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- 1 Capitolo VI La liceità della pena di morte nella Bibbia e nella Tradizione e gli errori di Papa Francesco a riguardo, nell’Amoris Laetitia e in altri suoi scritti.
- 1.1 1) La pena di morte nell’Amoris Laetitia, e in altre affermazioni di Papa Francesco.
- 1.2 2) La sana dottrina biblica, tradizionale e magisteriale sulla pena di morte.
- 1.2.1 a) La dottrina biblica.
- 1.2.2 b) Insegnamenti dei principali Padri e dei Dottori, in particolare di s. Tommaso d’ Aquino, sulla pena di morte.
- 1.2.3 c) Insegnamenti Magisteriali e Papali sulla pena di morte
- 1.2.4 d) Altri documenti e affermazioni recenti particolarmente significativi sulla liceità della pena di morte.
- 1.2.5 e) Importanti dichiarazioni di Cardinali e Vescovi che ribadiscono la liceità della pena di morte anche dopo il cambiamento del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica.
- 1.2.6 f) La liceità della pena di morte è affermata dalla legge naturale e confermata dalla Bibbia.
- 1.2.7 g) Origine divina del potere pubblico e pene che può giustamente irrogare.
- 1.2.8 h) Precisazioni sulla liceità dell’ergastolo, che Papa Francesco contesta.
- 1.2.9 i) Precisazioni sulla legittima difesa, la guerra giusta e la pena di morte.
- 1.2.10 l) La pena di morte nella tradizione ebraica.
- 1.3 3) Risposte più dirette alle affermazioni errate di Papa Francesco sulla pena di morte.
- 1.4 4) Un gruppo di intellettuali cattolici ha fatto pubblicamente rilevare l’errore del Papa sulla pena di morte.
- 1.5 5) Ulteriori errori di Papa Francesco riguardo a questioni di teologia morale vicine al tema della pena di morte.
- 1.6 6) Riflessioni sulle affermazioni di alcuni autori moderni che hanno “preparato” o sostenuto gli errori di Papa Francesco circa la pena di morte.
- 1.6.1 a) Qualche riflessione sulle affermazioni del teologo prof. Ciccone.
- 1.6.2 b) Riflessioni su un articolo della Civiltà Cattolica del 1981 .
- 1.6.3 c) Riflessioni su libro “Pena di morte” scritto da G. Concetti.
- 1.6.4 d) Qualche riflessione sulle affermazioni di N. Blazquez circa la pena di morte.
- 1.6.5 e) Qualche riflessione su alcune affermazioni di L. Eusebi circa la pena di morte.
- 1.6.5.1 e,1) Errori di Eusebi riguardo ad affermazioni bibliche, patristiche e magisteriali sulla liceità della pena di morte.
- 1.6.5.2 e,2) Eusebi vuole togliere la dimensione retributiva della sana dottrina.
- 1.6.5.2.1 e,2,1) Risposta fondamentale della Bibbia e della Tradizione alle affermazioni di Eusebi.
- 1.6.5.2.2 e,2,1,1) Approfondimento teologico nella linea della dottrina tomista sulla giustizia retributiva in Dio.
- 1.6.5.2.3 e,2,1,2) Precisazioni riguardo a Cristo che giudica e condanna.
- 1.6.5.2.4 e,2,2) Eusebi vuole togliere la dimensione retributiva alle conseguenze del peccato di Adamo.
- 1.6.5.2.5 e,2,2,1) Risposta biblica e magisteriale alle affermazioni di Eusebi
- 1.6.5.2.6 e,2,2,2) Precisazioni sulla “provenienza” della morte.
- 1.6.5.2.7 e,2,3) Eusebi vuole togliere la dimensione retributiva ai castighi biblici facendo leva sulla “violenza” attribuita a Dio nella Bibbia.
- 1.6.5.2.8 e,2,4) Eusebi vuole togliere la dimensione retributiva insita nella Passione di Cristo e nella nostra vita.
- 1.6.5.2.9 e,2,5) Eusebi vuole cancellare la dimensione retributiva insita nella realtà dell’inferno.
- 1.6.5.3 e,3) Conclusione sulle affermazioni di Eusebi.
- 1.6.6 f) Riflessioni sulle affermazioni di R. Fastiggi circa la pena di morte.
- 1.6.6.1 f,1) Le affermazioni del prof. Fastiggi sulla pena di morte nella Bibbia sono infondate.
- 1.6.6.2 f,2) Il prof. Fastiggi ha evidentemente una idea imprecisa delle affermazioni dei Padri della Chiesa circa la pena di morte
- 1.6.6.3 f,3) Il prof. Fastiggi si basa su una documentazione largamente insufficiente riguardo alle affermazioni magisteriali in tema di pena di morte
- 1.6.7 g) Riflessioni sulle affermazioni di E. Christian Brugger in “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” sulla pena di morte.
- 1.6.7.1 g,1) Riflessioni sulle affermazioni di E. Christian Brugger riguardo alla pena di morte nella S. Scrittura.
- 1.6.7.1.1 g,1,1) Devianti affermazioni di E. Christian Brugger riguardo alla pena di morte nella S. Scrittura.
- 1.6.7.1.2 g,1,1,1) Devianti affermazioni di E. Christian Brugger circa Gen. 9,5-6
- 1.6.7.1.3 g,1,1,2) Devianti affermazioni di E. Christian Brugger riguardo a Rom. 13,1-7
- 1.6.7.1.4 g,1,1,3) Altre devianti affermazioni di E. Christian Brugger circa la Bibbia e la pena di morte.
- 1.6.7.2 g,2) Riflessioni sulla documentazione patristica offerta da Brugger.
- 1.6.7.3 g,3) Riflessioni sulle affermazioni di s. Teodoro Studita sulla pena di morte.
- 1.6.7.4 g,4) Riflessioni sulla documentazione papale e magisteriale offerta da Brugger.
- 1.6.7.5 g,5) Riflessioni sulla critica di Brugger alle affermazioni di s. Tommaso d’ Aquino.
- 1.6.7.6 g,6) Riflessioni sulla irreformabilità della dottrina cattolica che afferma la liceità della pena di morte.
- 1.6.7.1 g,1) Riflessioni sulle affermazioni di E. Christian Brugger riguardo alla pena di morte nella S. Scrittura.
- 1.7 7) Precisazioni conclusive del cap. VI: il Papa sta pervertendo e non sviluppando la sana dottrina .
Capitolo VI La liceità della pena di morte nella Bibbia e nella Tradizione e gli errori di Papa Francesco a riguardo, nell’Amoris Laetitia e in altri suoi scritti.
Nota preliminare: il testo ufficiale è solo quello in lingua italiana, le varie versioni in altre lingue sono traduzioni automatiche neurali.
“Mi conceda Dio di parlare con intelligenza e di riflettere in modo degno dei doni ricevuti, perché egli stesso è la guida della sapienza e dirige i sapienti. Nelle sue mani siamo noi e le nostre parole, ogni sorta di conoscenza e ogni capacità operativa.”
(Sap. 7,15-23)
1) La pena di morte nell’Amoris Laetitia, e in altre affermazioni di Papa Francesco.
L’errore riguardante l’ordine della carità, al n. 101 di Amoris Letitia, da noi visto più sopra, è certamente una delle cause che determinano un ulteriore errore riguardante la pena di morte. Al n.83 dell’Amoris Laetitia si afferma “Allo stesso modo, la Chiesa non solo sente l’urgenza di affermare il diritto alla morte naturale, evitando l’accanimento terapeutico e l’eutanasia», ma «rigetta fermamente la pena di morte» (Relatio finalis 2015, 64.).” Quest’ultimo passo ripresenta quanto detto nella Relatio Finalis del Sinodo :“Allo stesso modo, la Chiesa non solo sente l’urgenza di affermare il diritto alla morte naturale, evitando l’accanimento terapeutico e l’eutanasia, ma si prende anche cura degli anziani, protegge le persone con disabilità, assiste i malati terminali, conforta i morenti, rigetta fermamente la pena di morte (cf. CCC, 2258).”[1] .
Occorre peraltro dire che Papa Francesco si è radicalmente opposto alla pena di morte in vari suoi interventi negli ultimi anni.
Ha detto infatti :
“È impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone.
San Giovanni Paolo II ha condannato la pena di morte (cfr Lett. enc. Evangelium vitae, 56), come fa anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 2267). …
Gli argomenti contrari alla pena di morte sono molti e ben conosciuti. La Chiesa ne ha opportunamente sottolineato alcuni …
Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi o a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà.[2]
Il Papa ha anche affermato:
“Un segno di speranza è lo sviluppo, nell’opinione pubblica, di una crescente opposizione alla pena di morte, perfino come strumento di legittima difesa sociale. Di fatto, oggi la pena di morte è inammissibile, per quanto possa essere grave il crimine del condannato. È un’offesa all’inviolabilità della vita e alla dignità della persona umana, che contraddice il disegno di Dio per l’uomo e la società e la sua giustizia misericordiosa e impedisce il compimento della giusta finalità delle pene. Non rende giustizia alle vittime, ma alimenta la vendetta. Il comandamento “non uccidere” ha un valore assoluto e include sia l’innocente sia il colpevole.”[3]
Ulteriori affermazioni di Papa Francesco su questo argomento sono le seguenti:
“ Auspico che il simposio possa dare rinnovato impulso all’impegno per l’abolizione della pena capitale. … Il comandamento «non uccidere» ha valore assoluto e riguarda sia l’innocente che il colpevole. … Anche il criminale mantiene l’inviolabile diritto alla vita, dono di Dio. Faccio appello alla coscienza dei governanti, affinché si giunga ad un consenso internazionale per l’abolizione della pena di morte. … Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono chiamati oggi ad operare non solo per l’abolizione della pena di morte, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà.”[4]
Il Papa ha detto anche : “Penso, infatti, alla pena di morte. Questa problematica non può essere ridotta a un mero ricordo di insegnamento storico senza far emergere non solo il progresso nella dottrina ad opera degli ultimi Pontefici, ma anche la mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana. Si deve affermare con forza che la condanna alla pena di morte è una misura disumana che umilia, in qualsiasi modo venga perseguita, la dignità personale. E’ in sé stessa contraria al Vangelo perché viene deciso volontariamente di sopprimere una vita umana che è sempre sacra agli occhi del Creatore e di cui Dio solo in ultima analisi è vero giudice e garante.”[5]
Come si vede il Papa afferma una radicale opposizione della pena di morte rispetto al Vangelo. Proseguendo il discorso il Papa ha detto che “neppure l’omicida perde la sua dignità personale»[6], infatti Dio è un Padre che sempre attende il ritorno del figlio errante che chiede perdono e incomincia una nuova vita.” Il Papa poi ha continuato dicendo che nel passato data la situazione di arretratezza rispetto ad oggi la pena di morte era ritenuta conseguenza logica dell’applicazione della giustizia ; in questa linea il Papa ha condannato, in certo modo, l’utilizzo della pena di morte nello Stato Pontificio nei secoli passati , trascurando il primato della misericordia sulla giustizia. Secondo il Papa l’uso della pena di morte era dettato da una mentalità più legalistica che cristiana. Il Papa poi ha precisato che le sue affermazioni non implicano contraddizione con l’insegnamento del passato ma uno sviluppo armonico di esso, visto che la Chiesa ha sempre difeso la vita umana dal concepimento alla morte naturale . Il Papa ha poi concluso: “ E’ necessario ribadire pertanto che, per quanto grave possa essere stato il reato commesso, la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona.”[7]
Negli ultimi tempi Papa Francesco ha voluto cambiare il n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica, ecco il nuovo testo nella sua parte più sognificativa : “ … la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che «la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona»,[1] e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo.”[8]
La Congregazione per la Dottrina della Fede ha voluto spiegare il cambiamento realizzato dal Papa sul n. 2267 del Catechismo dicendo , tra l’altro, quanto segue: “1. Il Santo Padre Francesco … ha chiesto che fosse riformulato l’insegnamento sulla pena di morte, in modo da raccogliere meglio lo sviluppo della dottrina avvenuto su questo punto negli ultimi tempi.[Cf. Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione (11 ottobre 2017): L’Osservatore Romano (13 ottobre 2017), 4.] Questo sviluppo poggia principalmente sulla coscienza sempre più chiara nella Chiesa del rispetto dovuto ad ogni vita umana. In questa linea affermava Giovanni Paolo II: «Neppure l’omicida perde la sua dignità personale e Dio stesso se ne fa garante».[Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae (25 marzo 1995), n. 9: AAS 87 (1995), 411.]”[9] Il testo fa notare che se nel passato la pena di morte era accettabile oggi non lo è più sia per la viva coscienza che la dignità della persona non viene perduta neppure se la persona commette grandi peccati,sia per l’approfondita comprensione del senso delle pene irrogate dallo Stato, sia per la messa a punto di sistemi di detenzione più efficaci che assicurano la doverosa difesa dei cittadini . Il documento poi ricorda varie affermazioni di Papi contrarie alla pena di morte e quindi conclude : “È in questa luce che Papa Francesco ha chiesto una revisione della formulazione del Catechismo della Chiesa Cattolica sulla pena di morte, in modo che si affermi che «per quanto grave possa essere stato il reato commesso, la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona».[ Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione (11 ottobre 2017): L’Osservatore Romano (13 ottobre 2017), 5.] La nuova redazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica, approvata da Papa Francesco, si situa in continuità con il Magistero precedente, portando avanti uno sviluppo coerente della dottrina cattolica.”[10]
Il testo della Congregazione per la Dottrina della Fede cerca di offrire indicazioni per presentare le novità volute dal Papa Francesco come sviluppo armonico della dottrina cattolica.
Le parole della Congregazione per la Dottrina della Fede appaiono in realtà come un’abile “copertura” con la quale i collaboratori del Papa cercano di nascondere i suoi errori, infatti tali novità in realtà, come vedremo, sono tradimento della sana dottrina realizzato da un Papa che su molti punti, come stiamo già vedendo, diffonde insegnamenti che deviano dalla retta fede e in particolare dalla vera morale cattolica. Tali novità non sono sviluppo armonico della dottrina della Chiesa ma un grave errore di un Papa che su questo punto come su altri non diffonde la dottrina della Chiesa.
Tali novità sono un tradimento della sana dottrina realizzato da un Papa che mostra di rigettare radicalmente la Legge Naturale e la Legge Rivelata in quanto esse, in particolare, affermano chiaramente appunto la liceità, in alcuni casi, della pena di morte; va notato a questo riguardo che il Papa aveva affermato: “ … La certezza che ogni vita è sacra e che la dignità umana deve essere custodita senza eccezioni, mi ha portato, fin dall’inizio del mio ministero, a lavorare a diversi livelli per l’abolizione universale della pena di morte. Tutto ciò si è visto riflesso di recente nella nuova redazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica, che esprime ora il progresso della dottrina degli ultimi Pontefici … Una pena contraria al Vangelo, perché significa sopprimere una vita che è sempre sacra agli occhi del Creatore e della quale solo Dio è vero giudice e garante (cfr. Lettera al Presidente della Commissione Internazionale contro la Pena di Morte, 20 marzo 2015).”[11] Quindi per il Papa la pena di morte è contraria al Vangelo. Addirittura il Papa ha affermato anche che la Chiesa ha proclamato la liceità della pena di morte per errore, a causa di una mentalità legalista: “ … È per questo che la nuova redazione del Catechismo implica che ci assumiamo anche la nostra responsabilità per il passato e che riconosciamo che l’accettazione di questo tipo di pena è stata conseguenza di una mentalità dell’epoca più legalista che cristiana, che ha sacralizzato il valore di leggi carenti di umanità e di misericordia. …”[12]
Quindi la pena di morte sarebbe stata accettata da sempre nella Chiesa in conseguenza di una mentalità dell’epoca più legalista che cristiana, che ha sacralizzato il valore di leggi carenti di umanità e di misericordia. Come vedremo le cose stanno in modo ben differente infatti il Vangelo, nella linea dell’ A. T., non condanna la pena di morte e anzi mostra piuttosto di accettarla, come vedremo; ugualmente la Tradizione riconosce pienamente la liceità della pena di morte in alcune situazioni. Nello stesso discorso appena visto il Papa ha ribadito la liceità della legittima difesa : “È quindi legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita, persino quando per farlo è necessario infliggere al proprio aggressore un colpo mortale (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2264).” ed ha precisato che : “La difesa del bene comune esige di porre l’aggressore nella condizione di non poter recare danno.”
Ha aggiunto il Papa :“ … la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che la pena di morte è sempre inammissibile perché lede l’inviolabilità e la dignità della persona. ”[13]
Queste parole dovrebbero essere la condanna delle affermazioni di santi Papi, di santi Dottori, di santi Teologi e della Parola di Dio che per migliaia di anni hanno affermato la liceità della pena di morte, in realtà tali parole sono la condanna che Papa Francesco fa della sua propria eterodossia, purtroppo, come vedremo meglio nel corso di questo capitolo.
Che il Papa, peraltro, parli qui di Chiesa che insegna la assoluta illiceità della pena di morte è una evidente falsità; la Chiesa con i suoi santi Papi e santi Dottori e santi Teologi, proprio basandosi sulla Bibbia è da sempre a favore della pena di morte, come vedremo, pur con particolari limitazioni.
Quelle che riporta il Papa sono, quindi, affermazioni solo sue:
– che nulla hanno a che fare con il vero l’ insegnamento della Chiesa;
– che sono contrarie alla sana dottrina che la Chiesa da sempre diffonde;
– e che ovviamente sono doppiamente dannose per la Chiesa stessa visto che sono diffuse dal suo Capo.
Dio intervenga.
Sottolineo con tutta la forza che qui non sto dicendo, né la Chiesa ha mai detto, che la pena di morte è sempre lecita ma che in alcuni casi molto particolari e particolarmente gravi essa è lecita. Sappiamo tutti molto bene che in molti o moltissimi casi i potenti uccidono i loro avversari coprendosi con il manto della “giustizia” attraverso processi pilotati e condanne a morte ingiuste e che spesso sono i più deboli e indifesi ad essere condannati a morte appunto perché non hanno potuto difendersi efficacemente in processo etc.; la sapienza cristiana è certamente molto ben consapevole di tutto questo … ma la Chiesa è consapevole anche del fatto che in alcuni casi molto particolari e particolarmente gravi la pena di morte è lecita, come vedremo … invece è evidente che per il Papa Francesco la pena di morte è contraria al Vangelo, è inammissibile senza se e senza ma … cioè assolutamente!
Dio ci illumini sempre meglio!
2) La sana dottrina biblica, tradizionale e magisteriale sulla pena di morte.
a) La dottrina biblica.
a,1) Antico Testamento
Dio ci illumini sempre meglio.
Per avere idee più chiare circa la pena di morte e la sua liceità mi sembra importante leggere quello che afferma il Card. Dulles in un importante articolo apparso nell’aprile del 2001, sulla rivista First Things. A Monthly Journal of Religion and Public Life, edita da The Institute on Religion and Public Life, di New York, negli Stati Uniti d’America, dal titolo Catholicism & Capital punishment (n. 112, pp. 30-35)[14] Il Cardinale americano spiega con molta incisività che la Bibbia non è contraria alla pena di morte, anzi nell’A. T. essa era prevista in vari casi, inoltre nessun passaggio del Nuovo Testamento disapprova la pena di morte, più precisamente egli afferma: “Nell’Antico Testamento la legge mosaica specifica non meno di trentasei peccati gravi punibili con l’esecuzione mediante lapidazione, rogo, decapitazione o strangolamento. Di questa lista fanno parte l’idolatria, la pratica della magia, la bestemmia, la violazione del sabato, l’omicidio, l’adulterio, la bestialità, la pederastia e l’incesto. La pena di morte è stata considerata particolarmente adatta come punizione per l’omicidio poiché nell’alleanza con Noè Dio ha stabilito il principio secondo cui “chi sparge il sangue dell’uomo / “dall’uomo il suo sangue sarà sparso, / “perché ad immagine di Dio / “Egli ha fatto l’uomo” (Gen. 9, 6). In molti casi si vede come Dio giustamente punisce i colpevoli con la morte, com’è successo a Core, Datan e Abiram (cfr. Nm. 16). In altri casi persone come Daniele e Mardocheo sono intermediari di Dio quando puniscono giustamente i colpevoli con la morte.”[15]
Uno studioso cattolico americano, Brugger, ha esaminato a fondo l’A. Testamento su questo argomento e afferma giustamente: “Death is prescribed more than forty times and for over twenty offenses throughout the various law codes of the books of the Pentateuch.1 Serious crimes against religion, the order of the family and community, and human life were all punished with death.”[16] La pena di morte era prescritta nell’ A. Testamento più di 40 volte e per circa 20 reati contro la religione, la comunità, la famiglia e la vita delle persone.
Israele, in particolare dopo l’esilio, era un’entità politica, una nazione teocratica.
La Legge, spiega ancora Brugger, era il codice legale di Israele e Dio era il sovrano politico e legale di Israele, l’obbedienza alla Legge era allo stesso tempo obbedienza a Dio e fedeltà alla comunità di cui ha plasmato l’identità, mentre la sua violazione era un atto di ribellione contro Dio così come di ostilità contro la comunità; la Legge era stata data alla nazione nel suo insieme quindi l’intera comunità era vincolata alle sue ordinanze (cfr. Lev. 20, 22) perciò le violazioni coinvolgevano l’intera comunità nella colpa. La pena di morte, continua Brugger, aveva non solo la funzione retributiva di espiare la colpa ma anche quella di eliminare una influenza dannosa per Israele, ulteriormente tale pena aveva il ruolo pedagogico di stimolare all’interno della comunità un timore della disobbedienza (Deut. 13,11; 17,13; 19,20; 21,21) e di ricordare a Israele la fedeltà e il potere di Dio (Deut. 3, 21-22); la pena di morte contro i nemici serviva da avvertimento perché capissero che il Dio d’Israele (Deut. 2,25) doveva essere grandemente temuto.[17]
Vediamo meglio … Nell’ A. T. leggiamo, tra l’altro …
“Chi colpisce un uomo provocandone la morte, sarà messo a morte.” (Es 21,12)
“Se un uomo colpisce una persona e ne provoca la morte, sia messo a morte.” (Lv 24,17)
“Colui che rapisce un uomo, sia che lo venda sia che lo si trovi ancora in mano sua, sarà messo a morte” (Es 21,16)
“Quando si troverà un uomo che abbia rapito qualcuno dei suoi fratelli tra gli Israeliti, l’abbia sfruttato come schiavo o l’abbia venduto, quel ladro sarà messo a morte. Così estirperai il male in mezzo a te.” (Dt 24,7)
“Colui che offre un sacrificio agli dèi, anziché al solo Signore, sarà votato allo sterminio.” (Es 22,19)
“«Chiunque maledirà il suo Dio, porterà il peso del suo peccato. Chi bestemmia il nome del Signore dovrà essere messo a morte: tutta la comunità lo dovrà lapidare. Straniero o nativo della terra, se ha bestemmiato il Nome, sarà messo a morte.” (Lv 24,15-16)
“Osserverete dunque il sabato, perché per voi è santo. Chi lo profanerà sia messo a morte; chiunque in quel giorno farà qualche lavoro, sia eliminato dal suo popolo. Per sei giorni si lavori, ma il settimo giorno vi sarà riposo assoluto, sacro al Signore. Chiunque farà un lavoro in giorno di sabato sia messo a morte.”(Es 31,14-15)
“Non lascerai vivere colei che pratica la magia.” (Es 22,17)
“Se uomo o donna, in mezzo a voi, eserciteranno la negromanzia o la divinazione, dovranno essere messi a morte: saranno lapidati e il loro sangue ricadrà su di loro..” (Lv 20,27)
“Colui che percuote suo padre o sua madre, sarà messo a morte.” (Es 21,15)
“Colui che maledice suo padre o sua madre, sarà messo a morte.” (Es 21,17)
“Chiunque maledirà suo padre e sua madre sia messo a morte: ha maledetto suo padre e sua madre; il suo sangue ricada sopra di lui.” (Lv 20,9)
“Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera dovranno esser messi a morte.” (Lv 20,10)
“Se uno ha rapporti con una moglie di suo padre, egli scopre la nudità del padre; tutti e due dovranno essere messi a morte: il loro sangue ricadrà su di loro.
Se uno ha rapporti con la nuora, tutti e due dovranno essere messi a morte; hanno commesso una perversione: il loro sangue ricadrà su di loro.” (Lv 20,11-12)
“Se un uomo prende in moglie sua sorella, figlia di suo padre o figlia di sua madre, ne vede la nudità ed ella vede la nudità di lui, è una vergogna; siano eliminati alla presenza dei figli del loro popolo. “Quell’uomo ha scoperto la nudità di sua sorella: porti le conseguenze del suo peccato.” (Lv 20,17)
“Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte: il loro sangue ricadrà su di loro.
Se uno prende in moglie la figlia e la madre, è un’infamia; si bruceranno con il fuoco lui e loro, perché non ci sia fra voi tale delitto.
L’uomo che si accoppia con una bestia dovrà essere messo a morte; dovrete uccidere anche la bestia. Se una donna si accosta a una bestia per accoppiarsi con essa, ucciderai la donna e la bestia; tutte e due dovranno essere messe a morte: il loro sangue ricadrà su di loro.
Se uno prende la propria sorella, figlia di suo padre o figlia di sua madre, e vede la nudità di lei e lei vede la nudità di lui, è un disonore; tutti e due saranno eliminati alla presenza dei figli del loro popolo. Quel tale ha scoperto la nudità della propria sorella: dovrà portare la pena della sua colpa.
Se uno ha un rapporto con una donna durante le sue mestruazioni e ne scopre la nudità, quel tale ha scoperto il flusso di lei e lei ha scoperto il flusso del proprio sangue; perciò tutti e due saranno eliminati dal loro popolo.” (Lv. 20, 13-17)
“Quando un uomo verrà trovato a giacere con una donna maritata, tutti e due dovranno morire: l’uomo che è giaciuto con la donna e la donna. Così estirperai il male da Israele.” (Dt 22,22)
“ Il Signore disse a Mosè: «Parla alla comunità e ordinale: Ritiratevi dalle vicinanze della dimora di Core, Datan e Abiram». … Mosè disse: «Da questo saprete che il Signore mi ha mandato per fare tutte queste opere e che io non ho agito di mia iniziativa. Se questa gente muore come muoiono tutti gli uomini, se la loro sorte è la sorte comune a tutti gli uomini, il Signore non mi ha mandato; ma se il Signore fa una cosa meravigliosa, se la terra spalanca la bocca e li ingoia con quanto appartiene loro e se essi scendono vivi agli inferi, allora saprete che questi uomini hanno disprezzato il Signore». Come egli ebbe finito di pronunciare tutte queste parole, il suolo si profondò sotto i loro piedi, la terra spalancò la bocca e li inghiottì: essi e le loro famiglie, con tutta la gente che apparteneva a Core e tutta la loro roba. Scesero vivi agli inferi essi e quanto loro apparteneva; la terra li ricoprì ed essi scomparvero dall’assemblea. Tutto Israele che era attorno ad essi fuggì alle loro grida; perché dicevano: «La terra non inghiottisca anche noi!». Un fuoco uscì dalla presenza del Signore e divorò i duecentocinquanta uomini, che offrivano l’incenso.” (Numeri 16, 23ss)
Nel I libro dei Re viene narrata la pena di morte inflitta dal profeta Elia ai profeti di Baal (1 Re 18) un uomo di Dio come il grande profeta Elia si occupa di condannare e scannare circa 400 profeti di Baal, evidentemente per la loro idolatria.
Nel libro di Daniele si parla della condanna a morte decretata su due anziani menzogneri (Dan. 13) … etc. etc.
Occorre precisare che non è una dichiarazione di assoluta illiceità della pena di morte l’affermazione biblica per cui: “… il Signore gli disse: «Ebbene, chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse.”(Gen. 4)
Disse Giovanni Paolo II: “Dio, tuttavia, sempre misericordioso anche quando punisce, «impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato» (Gn 4, 15): gli dà, dunque, un contrassegno, che ha lo scopo non di condannarlo all’esecrazione degli altri uomini, ma di proteggerlo e difenderlo da quanti vorranno ucciderlo fosse anche per vendicare la morte di Abele. Neppure l’omicida perde la sua dignità personale e Dio stesso se ne fa garante. Ed è proprio qui che si manifesta il paradossale mistero della misericordiosa giustizia di Dio” [18]
Il Papa polacco cita poi un testo di s. Ambrogio nel quale il s. Dottore afferma che essendo stato commesso un gravissimo peccato subito Dio estese la legge della misericordia divina perché non si verificasse che gli uomini non usassero alcuna mitezza nel punire quindi Dio respinse Caino ma non volle punire l’omicida con un omicidio, poiché vuole il pentimento del peccatore più che la sua morte.[19] Come vedremo studiando i Padri della Chiesa e in particolare s. Ambrogio, essi accettano tutti la pena di morte, sulla base della Bibbia. S. Ambrogio quindi non vuole negare assolutamente tale pena ma solo dire che in questo caso Dio non voleva che fosse applicata. L’Evangelium Vitae che cita questo passo di s. Ambrogio, peraltro, ribadisce la liceità della pena di morte in alcuni casi (Giovanni Paolo II “Evangelium Vitae” n. 56) , come vedremo meglio più avanti.
Il testo di Gn. 4 non afferma assolutamente l’illiceità della pena di morte, semplicemente protegge Caino; d’altra parte è evidente che il Signore stesso, parlando a Mosè, comanda, nei testi che ho riportato più sopra e appartenenti al Pentateuco, che tale pena capitale sia applicata nel popolo d’ Israele. Se Dio avesse condannato in modo assoluto la pena di morte non avrebbe mai comandato di applicarla. La Tradizione, che ha accettato pienamente la liceità della pena di morte, come vedremo, ovviamente ha negato che questo passo affermi l’assoluta illiceità della pena di morte.
L’affermazione di Dio riguardo a Caino va situata bene nel contesto della situazione e nel contesto di tutta la Bibbia: per il peccato compiuto da Adamo ed Eva l’Autorità che irroga la punizione è Dio (Gen. 3), e Dio ugualmente è l’Autorità che fissa la punizione per Caino; non è l’uomo ma Dio che fissa la punizione per il peccato. La giusta punizione per il peccato dell’uomo, dice chiaramente tutta la Bibbia, solo Dio può stabilirla in modo retto e giusto, Dio è il Giudice (Gn. 18,25; Rm. 2), e l’uomo può farlo rettamente sotto la guida di Dio perché il giudizio appartiene a Dio (Dt. 1,17; Gv. 8,16). Chi uccideva Caino lo faceva contro la volontà di Dio, Dio infatti è il supremo Legislatore e Giudice e tutto, anche le condanne a morte vanno realizzate secondo la sua Volontà. Il brano della Genesi in questione non nega la liceità della condanna a morte nega che essa possa essere irrogata fuori della volontà di Dio, perciò esso offre una precisazione illuminante che serve ad azzerare le sataniche pretese di coloro che si servono della della pena di morte non per fare giustizia secondo Dio ma per condannare attraverso leggi e processi contrari alla volontà di Dio e per uccidere, contro la volontà di Dio, persone innocenti. Dio infatti è il supremo Legislatore e Giudice, è Signore della vita e della morte tutti i giudizi e le condanne anche quelle capitali vanno realizzate secondo la sua Volontà, secondo la sua Parola.
Dio ci illumini sempre meglio.
E. (latino H.) Lio in un profondo articolo che si può leggere in “Dictionarium morale et canonicum”, Officium Libri Catholici , Catholic Book Agency, Romae, 1966 , t. III p. 677ss afferma che le leggi dell’A. Testamento che comminavano la pena di morte per certi delitti erano anche “leges quae interpretabantur legem naturalem” cioè leggi che spiegavano la legge naturale. Precisa in questa linea il famoso moralista francescano, praticamente con tutti i teologi, fino ad allora, che il consenso di tutti i popoli nell’irrogare la pena di morte indica la liceità intrinseca della pena di morte. Perciò chi vuole negare la liceità secondo il diritto naturale deve respingere anche questo argomento che viene tratto dal consenso di tutti i popoli.
Il fatto che la Bibbia parli chiaramente di liceità e anzi in certi casi di obbligo di irrogare la pena di morte indica che tale liceità è chiaramente affermata nella Legge rivelata. Non solo la Legge naturale ma anche la Legge rivelata parla di liceità della pena di morte.
a,2) Nuovo Testamento.
Il Card. Dulles afferma che nel Nuovo Testamento il diritto dello Stato di mettere a morte i criminali appare dato per scontato. “ … in nessun caso Gesù nega che lo Stato abbia l’autorità d’infliggere la pena capitale. Nei suoi dibattiti con i farisei, Gesù cita — mostrando approvazione — il severo comandamento secondo cui “chi maledice il padre e la madre sia messo a morte” (Mt. 15, 4; Mc. 7, 10 riferendosi a Es. 21, 7; cfr. Lev. 20, 9). Quando Pilato ricorda a Gesù che ha l’autorità di crocifiggerlo, Gesù precisa che l’autorità di Pilato gli viene dall’alto, cioè da Dio (cfr. Gv. 19, 11). Gesù si compiace delle parole del buon ladrone, crocifisso accanto a lui, quando questi ammette che lui e il suo compagno ricevono la ricompensa dovuta per le loro azioni (cfr. Lc. 23, 41).”[20] Come si vede, appare evidente che il diritto dello Stato di mettere a morte è dato per scontato e non è mai negato, per questo i primi cristiani evidentemente non hanno avuto niente contro la pena di morte e il Nuovo Testamento, in questa linea, quando afferma che “quando qualcuno ha violato la legge di Mosè, viene messo a morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni“ (Eb. 10, 28) non pare che si faccia problemi su questo precetto per il fatto che viene irrogata la pena di morte.
… quindi è destituita da ogni fondamento l’affermazione di Papa Francesco per cui: la pena di morte è una pena contraria al Vangelo, perché significa sopprimere una vita che è sempre sacra agli occhi del Creatore e della quale solo Dio è vero giudice e garante.[21] In realtà anche qualche altro passo evangelico ci presenta la pena di morte, si pensi alla parabola di Luca 19 che si conclude con queste parole: “E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me»”(Luca 19,27) Evidentemente ci troviamo davanti alla pena di morte … e Cristo non dice nulla che faccia pensare a una condanna della pena di morte … anzi usa l’esempio per parlare evidentemente della condanna finale che Dio riserva ai suoi oppositori.
Al cap. 20 dello stesso Vangelo di Luca leggiamo, al termine della parabola dei contadini omicidi, che il padrone …: “Verrà, farà morire quei contadini e darà la vigna ad altri”. Evidentemente ci troviamo anche qui davanti alla pena di morte … e Cristo non dice nulla che faccia pensare a una condanna della pena di morte … anzi usa l’esempio per parlare evidentemente della condanna finale che Dio riserva ai suoi oppositori.
Anche nel Vangelo di Matteo troviamo una parabola in cui si parla di un re che uccide i suoi sudditi malvagi … “Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.” (Mt 22,1-14) Evidentemente ci troviamo anche qui davanti alla pena di morte … e Cristo non dice nulla che faccia pensare a una condanna della pena di morte … anzi usa l’esempio per parlare evidentemente della condanna finale che Dio riserva ai suoi oppositori.
Nel Vangelo di Marco al cap. 12, al termine della parabola dei contadini omicidi leggiamo: “Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e farà morire i contadini e darà la vigna ad altri.”
Evidentemente ci troviamo anche qui davanti alla pena di morte … e Cristo non dice nulla che faccia pensare a una condanna della pena di morte … anzi usa l’esempio per parlare evidentemente della condanna finale che Dio riserva ai suoi oppositori.
a,2,1) In Gv. 8 Cristo abroga completamente la pena di morte?
Il cap. 8 del Vangelo di Giovanni laddove parla della donna sorpresa in adulterio viene presentato a volte come passo che negherebbe la liceità della pena di morte.
Diciamo anzitutto che questo passo del Vangelo non è citato da alcun Padre orientale prima del X secolo, in area latina il testo è conosciuto fin dal IV sec.[22] per questo purtroppo mancano indicazioni di parecchi Padri sul tema.
Il passo in questione non parla chiaramente di alcuna illegittimità della pena di morte, non afferma nessun contrasto tra la pena di morte e la Legge di Dio, anzi, nel momento in cui viene detto che certi peccati sono puniti con la morte Gesù potrebbe affermare chiaramente l’illiceità di tale pena ma non lo fa. Nell’episodio della donna adultera, spiega s. Agostino, Gesù Cristo: “ … non disapprovò la Legge che prescriveva la pena di morte per le donne colpevoli d’adulterio, ma nello stesso tempo, con lo spavento, richiamò a compassione coloro a giudizio dei quali poteva essere condannata a morte.”[23]. S. Agostino allorché commenta questo Vangelo non vede in esso un passo in cui Cristo mostra la volontà di cancellare da allora e per sempre la pena di morte; il passo va visto, invece, obiettivamente come una prova cui viene sottoposto Gesù; dietro la prova c’è la perversità dei suoi nemici, che si oppone alla verità di Cristo, c’è il loro cuore corrotto che si oppone al cuore retto di Cristo[24].
Si noti che Cristo semplicemente afferma che chi è senza peccato può lapidare la donna … quindi afferma che lui, che non era costituito giudice, non la condanna … senza spiegare il perché. Gesù va al caso concreto e non dice assolutamente nulla sulla questione generale della liceità della pena di morte! Gesù lascia la questione dottrinale circa la pena di morte e va semplicemente al caso concreto e afferma che lui, come gli altri, non condanna la donna. Il fatto che Cristo non entri nella questione dottrinale della liceità della pena di morte è estremamente significativo, Egli qui non sta toccando, evidentemente, il principio della legittimità della pena di morte! Egli sta affrontando solo il caso particolare.
Spiega s. Agostino: “In che senso allora essi volevano metterlo alla prova, per avere di che accusarlo? Abbiamo modo di ammirare, o fratelli, la straordinaria mansuetudine del Signore. … E siccome i suoi nemici, per invidia e per rabbia, non riuscivano a perdonargli né la verità né la mansuetudine, inscenarono uno scandalo per la terza cosa, cioè per la giustizia. … Si dissero dunque: Egli si è considerato amico della verità e passa per mansueto; dobbiamo imbastirgli uno scandalo sulla giustizia; presentiamogli una donna sorpresa in adulterio, ricordiamogli cosa stabilisce in simili casi la legge. Se egli ordinerà che venga lapidata, non darà prova di mansuetudine; se deciderà che venga rilasciata, non salverà la giustizia. … Il Signore, infatti, risponde in modo tale da salvare la giustizia senza smentire la mansuetudine. Non cade nella trappola che gli è stata tesa, ci cadono invece quegli stessi che l’hanno tesa: gli è che non credevano in colui che li avrebbe potuti liberare da ogni laccio.”[25]
Nella Catena Aurea s. Tommaso riporta varie affermazioni dei Padri su questo passo, e nessuna di esse è nel senso di abolire la pena di morte; il Dottore Angelico, seguace della Verità e della santa Tradizione afferma la liceità della pena di morte, come vedremo. Certamente s. Tommaso non avrebbe difeso, come ha fatto, la pena di morte se Gv. 8 avesse detto che essa va abolita.
Lasciando intatta la legittimità della pena di morte , Gesù afferma varie cose sul caso concreto … sottolineo caso concreto.
Anzitutto va notato che, nel caso concreto, Cristo non era stato costituito giudice dal popolo d’ Israele, un caso come quello doveva essere sottoposto al Sinedrio; quindi il caso in questione non si presenta come un vero giudizio in cui Cristo è chiamato ad affermare la Legge di Dio e ad applicarla fino in fondo come giudice costituito, manca anche l’uomo con cui la donna ha peccato … Insomma, ci troviamo evidentemente dinanzi ad una situazione che non ha nessun valore giudiziario reale, la prova cui viene sottoposto Gesù è una prova meramente dottrinale, senza reali conseguenze sul piano pratico.
Dalle parole di Cristo non sarebbe seguito nulla a livello giudiziario per la donna. In altra occasione Gesù aveva detto significativamente: “O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?”(Luca 12,14)
Se non sono stato costituito giudice, ovviamente, io, come quelli che mi hanno portato questa donna, non posso condannare … quindi: “Neppure io ti condanno.” … io come loro non siamo giudici costituiti … Gesù si smarca con estrema sapienza dalla rete in cui volevano farlo impigliare coloro che volevano accusarlo …
Neppure gli uomini che le avevano condotto la donna, nel caso concreto, potevano lapidarla … occorreva un processo dinanzi al Sinedrio (cfr. Ricciotti “Vita di Cristo”, ed. Mondadori 2011 II ristampa pp. 466).
A quel tempo il Sinedrio aveva il potere di emettere direttamente sentenze capitali ma non di farle eseguire, per l’esecuzione doveva intervenire il magistrato romano (cfr. Ricciotti “Vita di Cristo”, ed. Mondadori 2011 II ristampa pp. 63)
Una solenne norma giudiziaria voleva che le sentenze capitali fossero evitate il più possibile e sembra che tali sentenze fossero rarissime (cfr. Ricciotti “Vita di Cristo”, ed. Mondadori 2011 II ristampa pp. 63).
Lasciando intatta la validità della dottrina circa la legittimità della pena di morte, le risposte di Cristo vanno intese considerando le particolarità del caso concreto; non c’è condanna perché, evidentemente, il caso concreto la esclude.
E appunto perché il caso concreto esclude la pena di morte, Cristo chiama come Giudice lo stesso Dio che è senza peccato: intervenga Dio, il Santo, e nella santità guidi qualcuno a condannarla giustamente se davvero costei deve essere condannata.
Cristo è Dio-uomo: sa bene che Dio non interviene e che ovviamente nessuno di loro è senza peccato!
Inoltre Cristo ne approfitta per invitare la donna a fare la vita cui Dio la chiama: non peccare più …
Faccio notare che la Bibbia riporta anche un caso di donna accusata falsamente di adulterio (cfr. Dn. 13) non pare che la donna di Gv. 8 sia santa come Susanna, infatti le parole di Cristo vanno piuttosto nel senso che lei aveva peccato … ma non era giusto condannarla a morte, come non era giusto condannare a morte Caino (Gen. 4,15) anche se aveva ucciso Abele. Il giudizio appartiene a Dio, Giudice supremo è Dio, Lui sa quando è giusto condannare, Lui può giudicare e condannare!
Cristo è Dio e uomo e come Dio aveva fissato lui stesso la pena di morte attraverso Mosè … e in Giovanni 8 non tocca il principio per cui la pena di morte è legittima, entra soltanto nella questione concreta della condanna della donna; peraltro quello non è un processo, le testimonianze appaiono vaghe, manca l’uomo con cui la donna ha peccato , non si sa se la donna è stata violentata o comunque ha agito contro la sua reale volontà, gli uomini che la accusano non possono condannarla … neppure Lui, che non è stato costituito giudice e quindi non ha autorità, la condanna.
I partigiani dell’abolizionismo riguardo alla pena di morte cerchino, se lo trovano, qualche altro passo biblico che sostenga le loro affermazioni, perché questo di Giovanni 8 non solo non sostiene le loro idee ma piuttosto le confuta: Cristo, infatti, trovandosi dinanzi ad un caso che richiama la condanna a morte fissata da Lui stesso attraverso Mosè non la dichiara abrogata … e quindi la conferma indirettamente e pubblicamente! Appare chiaro che la pena di morte dopo tale incontro di Gesù con tale donna resta generalmente e pienamente in vigore perciò, come stiamo vedendo e come vedremo meglio più avanti, la Chiesa, che conosce bene questo passo del Vangelo di Giovanni, ha sempre ritenuto lecita la pena di morte .
a,2,2) Insegnamento di s. Paolo e s. Pietro su questioni attinenti alla pena di morte.
S. Paolo, che conosceva bene il Vangelo e Cristo, scriveva, con un evidente riferimento alla pena di morte, che l’autorità “[…] non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male” (Rm. 13, 4).
Nel suo articolo sulla pena di morte H. Lio [26] esamina bene questo testo di s. Paolo e prima afferma che questo testo non si può spiegare altrimenti se non nel senso che i magistrati possono punire gli uomini con la spada e che questo insigne diritto di vita e di morte i magistrati lo ricevettero e lo esercitano non temerariamente ma affinché con esso puniscano coloro che agiscono per il male , quindi cita di questo passo di s. Paolo il commento del famoso esegeta F. Prat per cui i magistrati non portano in vano la spada, simbolo del diritto di vita e di morte: diritto formidabile che non può venire che dal Maestro della vita ; perciò le loro punizioni, in quanto giuste, sono le punizioni di Dio (cfr. F. Prat , “La Theologie de saint Paul”, II, Beauchesne, Paris 1949 p. 392), il commento di F. Prat è praticamente uguale a quello di altri esegeti cattolici riguardo a questo passo, in questo stesso senso intesero questo passo s. Ambrogio, s. Agostino, s. Innocenzo I e praticamente tutti i teologi cattolici.
Per quanto riguarda l’interpretazione di Rm 13,4 e in particolare sulla questione del valore del termine μάχαιραν (machairan) occorre dire che la questione del significato della “spada” in Rm 13,4 è risolta, nella linea della Tradizione, dai grandi biblisti … che parlavano in “tempi non sospetti” …
Ricciotti nel suo testo “Le lettere di s. Paolo tradotte e commentate” ed. Coletti, Roma, 1949 , alla pag. 353, spiega che l’affermazione di s. Paolo (Romani 13,4) per cui l’autorità porta “la spada” è una metonimia per il diritto di punire, che cominciava dalla pena di morte, il ius gladii, e scendeva alle pene minori” , la metonimia è una “figura della retorica tradizionale, che consiste nel trasferimento di significato da una parola a un’altra in base a una relazione di contiguità spaziale, temporale o causale”[27] in questo caso l’autore biblico parla di spada per indicare ciò che la spada causa , cioè anche la morte.
Il termine spada è usato anche in Rm 8,35 e Ricciotti precisa che è una metonimia che indica morte violenta (Ricciotti “Le lettere di s. Paolo tradotte e commentate” ed. Coletti, Roma, 1949, p. 323) Nella lettera agli Ebrei 11,37 si usa il termine machaira per indicare la punizione e anche la morte data con la spada …
F. Zorell nel suo “Lexicon Graecum Novi Testamenti” , (Pontificio Istituto Biblico,Roma 1990) alla col. 805 precisa che il termine μάχαιρα (machaira) ha vari significati: coltello maggiore, in particolare spada piccola ma è generalmente usato nel significato di spada e indica per metonimia la morte (Rm 8,35) e indica diritto di punire (Rm 13,4) … e giustamente Ricciotti, come appena visto, mette in evidenza che l’affermazione di s. Paolo (Romani 13,4) per cui l’autorità porta “la spada” è una metonimia per il diritto di punire, che cominciava dalla pena di morte, il ius gladii, e scendeva alle pene minori” quindi il testo di Rm 13, 4 afferma chiaramente e fortemente la pena di morte … infatti, come detto, il termine spada è usato anche in Rm 8,35 e Ricciotti precisa che è una metonimia che indica morte violenta (Ricciotti “Le lettere di s. Paolo tradotte e commentate” ed. Coletti, Roma, 1949, p. 323) Nella lettera agli Ebrei 11,37 si usa il termine μάχαιρα machaira per indicare la morte data con la spada.
W. Michaelis nel “Grande Lessico del Nuovo Testamento” (Paideia , Brescia 1970 vol. VI p. 1419ss) spiega appunto che il termine in questione è usato in Rm 13, 4 “come simbolo del potere punitivo”. Più generalmente Michaelis fa notare che nel N. T. alla μάχαιρα (machaira) viene attribuita la morte violenta:
1)si veda Mt. 26, 52: “”Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno;
2)si veda Ap. 13,10: “Colui che deve andare in prigionia, vada in prigionia;
colui che deve essere ucciso di spada, di spada sia ucciso. In questo sta la perseveranza e la fede dei santi.”
3)si veda Eb. 11,34.37: “… spensero la violenza del fuoco, sfuggirono alla lama della spada, trassero vigore dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri. 35 Alcune donne riebbero, per risurrezione, i loro morti. Altri, poi, furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore risurrezione. 36 Altri, infine, subirono insulti e flagelli, catene e prigionia. 37 Furono lapidati, torturati, tagliati in due, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati ..” va notato che in questi due versetti si usa il termine in questione per menzionare avvenimenti veterotestamentari, in particolare uccisioni (1 Re. 19,1 ss.; 1 Re. 19,10; Ger. 26,23), va notato anche che in vari passi della LXX (Ex. 17,33; Num. 21,24; Deut. 13,16 ; 20,13) si usa l’espressione ἐν φόνῳ ⸀μαχαίρης ἀπέθανον, che si trova in Eb. 11,37, indicante morte data per spada;
4)si veda anche Lc. 21, 24 : “Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.” ;
5)si veda nel testo che parla dell’esecuzione capitale di Giacomo, Atti 12,2 : “ Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni.”
6)con valore pregnante per indicare esecuzione capitale, si veda Rm 8,35 : “35 Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?”
Michaelis conclude che da tutto ciò deriva il valore di μάχαιρα come simbolo di spargimento di sangue , Ap. 6,4: “Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra e di far sì che si sgozzassero a vicenda, e gli fu consegnata una grande spada.”
In questa linea mi pare illuminante quanto traggo da questo Lexicon del Greco: “of the sword as the instrument of a magistrate or judge: death by the sword, Romans 8:35; ἀναιρεῖν τινα μάχαιρα, Acts 12:2; τήν μαχαίρας φόρειν, to bear the sword, is used of him to whom the sword has been committed, viz. to use when a malefactor is to he punished; hence, equivalent to have the power of life and death, Romans 13:4 (so ξίφος, ξιφη ἔχειν, Philostr. vit. Apoll. 7, 16; vit. sophist. 1, 25, 2 (3), cf. Dion Cass. 42, 27; and in the Talmud the king who bears the sword, of the Hebrew king ..”[28] In particolare, per il nostro interesse, ciò significa che : il termine machaira in Rm 13,4 significa avere il potere della vita e della morte.
Nel commento a Rm 13 realizzato da s. Tommaso leggiamo che tutto ciò che si dice comunemente di Dio e delle creature deriva da Dio nelle creature e come ogni sapienza è da Dio così ogni potestà è da Dio. I principi devono essere stabiliti sulle comunità affinché coloro che che non sono spinti dall’amore ad evitare il male e a fare il bene, siano a ciò costretti dal timore della pena. D’altra parte i principi devono aiutare i sudditi ad agire per amore e non solo per timore. I principi portano la spada simbolo del potere dell’autorità, anche del potere di uccidere, e in ciò si manifesta il loro essere ministri di Dio che irrogano la punizione per eseguire il giusto giudizio di Dio su coloro che peccano. Per i principi non solo è lecito ma è meritorio agire con zelo per eseguire il giusto giudizio di Dio su coloro che peccano (cfr. Super Rom., cap. 13 l. 1).
S. Tommaso che, come vedremo, afferma chiaramente la liceità della pena di morte ovviamente include nelle punizioni che i principi possono irrogare, e di cui ci ha appena parlato, la pena capitale.
Meyer commenta questo passo (Rm. 13,4) dicendo:
“οὐ γὰρ εἰκῆ] for not without corresponding reason (frequently so in classical Greek), but in order actually to use it, should the case require.
τὴν μάχαιρ. φορεῖ] What is meant is not the dagger, which the Roman emperors and the governing officials next to them were accustomed to wear as the token of their jus vitae et necis (Aurel. Vict. 13; Grotius and Wetstein in loc.); for μάχαιρα, … , means in the N. T. always sword … and also among the Greeks the bearing of the sword (Philostr. Vit. Ap. vii. 16) is expressly used to represent that power of the magistrates. … We may add that our passage proves (comp. Acts 25:11) that the abolition of the right of capital punishment deprives the magistracy of a power which is not merely given to it in the O. T., but is also decisively confirmed in the N. T., and which it (herein lies the sacred limitation and responsibility of this power) possesses as God’s minister”[29]
In conclusione l’affermazione di s. Paolo (Romani 13,4) per cui l’autorità porta “la spada” è, come spiegava Ricciotti, una metonimia per il diritto di punire, che cominciava dalla pena di morte, il ius gladii, e scendeva alle pene minori” con tale espressione, come diceva già s. Innocenzo I, s. Paolo mette in particolare evidenza il fatto che la legittima autorità ha da Dio il potere di punire, secondo giustizia, i malfattori e anche di infliggere loro la morte. Sono particolarmente illuminanti a questo riguardo appunto le parole di s. Innocenzo I che esamineremo meglio più avanti:“ Si pone la domanda su coloro che dopo il Battesimo furono pubblici amministratori e usarono i soli strumenti di tortura o anche emisero la sentenza di condanna a morte. Di costoro non leggiamo alcunché come definito dagli antichi. Va ricordato infatti che tali poteri furono concessi da Dio e che, per punire i malvagi, la spada è stata permessa, inoltre è stato indicato che il ministro di Dio punisca in questo modo (Rm 13, 1. 4) Come potevano condannare un comportamento che vedevano essere stato concesso per autorità di Dio? Riguardo a costoro dunque, continuiamo a regolarci come come ci si è regolati finora, perché non paia che sovvertiamo la disciplina o che andiamo contro l’autorità del Signore. Sia riservato ad essi stessi di rendere ragione di tutte le loro azioni.”[30] Va ricordato infatti che tali poteri furono concessi da Dio e che, per punire i malvagi, la spada è stata permessa, inoltre è stato indicato che il ministro di Dio punisca in questo modo (Rm 13, 1. 4)
Il testo di s. Paolo indica con chiarezza che Dio ha concesso all’autorità, in quanto è al servizio di Dio, il potere di colpire i criminali con la pena capitale.
Ovviamente in s. Paolo parla Dio e parla Cristo e s. Paolo diffonde il Vangelo … quindi è destituita da ogni fondamento l’affermazione di Papa Francesco per cui: la pena di morte è una pena contraria al Vangelo, perché significa sopprimere una vita che è sempre sacra agli occhi del Creatore e della quale solo Dio è vero giudice e garante.[31] Dio liberi la sua Chiesa da questi errori! .
S. Paolo anche sottolinea di frequente il legame che è fra peccato e morte, si pensi, in particolare a questa affermazione : “ … a causa di un solo uomo è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte” (Rm 5,12). Si pensi anche a quest’altra affermazione: “per la caduta di uno solo tutti morirono” (Rm 5,15). Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n. 400 : “ Infine, la conseguenza esplicitamente annunziata nell’ipotesi della disobbedienza (Cf Gn 2,17.) si realizzerà: l’uomo tornerà in polvere, quella polvere dalla quale è stato tratto. (Cf Gn 3,19.) La morte entra nella storia dell’umanità. (Cf Rm 5,12.)”
Dio ci illumini sempre meglio.
Cyrille Dunot in un interessante articolo sulla pena di morte fa notare che: s. Paolo ha posto i fondamenti più precisi della legittimità della pena di morte: anzitutto in pratica in Atti 25,11 quando la accetta pienamente per sé stesso, quindi in teoria in Romani 13,4. Inoltre, secondo Dunot, s. Paolo offre un’altro passo illuminante in questa linea in 1 Cor. 5,13.[32]
Riguardo a s. Pietro e alle sue affermazioni su questo tema , Dunot, nello stesso articolo afferma che l’autorità pubblica secondo s. Pietro ha il potere per punire i malfattori e donare il premio ai meritevoli (1 Pt. 2,13s), alcuni Padri, dice Dunot, hanno ritenuto che s. Pietro stesso abbia condannato a morte Anania e Saffira (At. 5, 1-11).
Il testo di 1 Pt. 2,13s è il seguente: “Vivete sottomessi ad ogni umana autorità per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai governatori come inviati da lui per punire i malfattori e premiare quelli che fanno il bene.”
Commentando tale passo, Sales nota che s. Pietro : “Nei w. 13-17 tratta dei doveri dei cristiani verso il potere civile. Questo passo ha parecchi punti dì contatto con quanto scrive San Paolo, Rom. XIII, 1 e ss. ; Efes. V, 21-VI, 9; I Tim. II, 1 e ss., ecc. … Si deve ubbidire ai presidi, perchè sono i rappresentanti dell’imperatore, ed esercitano in nome di lui l’autorità per punire i malvagi e premiare i buoni (Ved. n. Rom. XIII, 3).”[33]
In questo passo non viene condannata la pena di morte, allora comune, ma piuttosto viene data una profonda giustificazione ad essa, Dio ha stabilito l’autorità civile e l’ha dotata del potere di punire i malfattori e di premiare i giusti e appunto per amore di Dio siate giustamente sottomessi a tale autorità stabilita da Dio stesso; ovviamente tale autorità deve usare secondo giustizia del suo potere e non deve abusarne.
Al n. 380 del “Compendio della Dottrina sociale della Chiesa” leggiamo riguardo a questo passo : “San Pietro esorta i cristiani a stare « sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore » (1 Pt 2,13). Il re e i suoi governatori hanno il compito di « punire i malfattori e premiare i buoni » (1 Pt 2,14). La loro autorità deve essere « onorata » (cfr. 1 Pt 2,17), cioè riconosciuta, perché Dio esige un comportamento retto, che chiuda « la bocca all’ignoranza degli stolti » (1 Pt 2,15). … ”[34]
Dio ci illumini sempre meglio.
a,2,3) Conclusione sulla liceità della pena di morte nel Nuovo Testamento.
E. Christian Brugger, pur favorevole all’inammissibilità della pena di morte, afferma : “The New Testament has little to say directly about the death penalty, but there can be hardly any doubt that the practice was considered legitimate by New Testament authors.”[35] Il Nuovo Testamento ha poco da dire direttamente sulla pena di morte, ma non ci può essere alcun dubbio che la pratica sia stata considerata legittima dagli autori del Nuovo Testamento e soprattutto dall’ Autore del Nuovo Testamento.
L’immagine che invariabilmente riceviamo quando il Nuovo Testamento racconta gli incontri con le autorità civili in cui è in gioco la morte è quella di una normale pratica giudiziaria, che viene messa in discussione solo quando si pensa che sia esercitata ingiustamente.[36] … quindi è destituita da ogni fondamento l’affermazione di Papa Francesco per cui: la pena di morte è una pena contraria al Vangelo, perché significa sopprimere una vita che è sempre sacra agli occhi del Creatore e della quale solo Dio è vero giudice e garante.[37]
Il Card. Dulles afferma :“Nessun passo del Nuovo Testamento disapprova la pena di morte.”[38]
Il Nuovo Testamento non condanna la pena di morte ma piuttosto la dà per scontata e anzi in certi suoi passi la legittima; il Nuovo Testamento quindi accetta pienamente ciò che, fondamentalmente, afferma l’A. T. a riguardo e cioè che pena di morte è pienamente legittima, in alcuni casi.
Bessette e Feser in un ampio studio sulla pena di morte hanno potuto affermare che l’insegnamento chiaro e coerente delle Scritture è che la pena capitale è in linea di principio legittima. Poiché la Chiesa sostiene che l’insegnamento scritturale in materia di fede e morale è divinamente ispirato e inerrante, concludiamo anche che, per questa sola ragione, l’affermazione radicale che la pena capitale è sempre e in linea di principio sbagliata semplicemente è contraria all’ortodossia cattolica e questo giudizio è ulteriormente rafforzato dall’insegnamento coerente dei Padri e dei Dottori della Chiesa, dei Papi e di autorevoli documenti ecclesiastici, cioè dalla Tradizione che è chiaramente in questa stessa linea.[39]
Il Card. Journet ha potuto affermare significativamente, in questa linea: “ Si l’Évangile interdit aux États d’appliquer jamais la peine de mort, saint Paul lui-même alors a trahi l’Évangile”[40] la cui traduzione italiana è: “Se il Vangelo vieta agli Stati di applicare la pena di morte, allora S. Paolo stesso ha tradito il Vangelo”(traduzione mia) … quindi è destituita da ogni fondamento l’affermazione di Papa Francesco per cui: la pena di morte è una pena contraria al Vangelo, perché significa sopprimere una vita che è sempre sacra agli occhi del Creatore e della quale solo Dio è vero giudice e garante.
Come dice il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica al n. 380: “ La sottomissione, non passiva, ma per ragioni di coscienza (cfr. Rm 13,5), al potere costituito risponde all’ordine stabilito da Dio. San Paolo definisce i rapporti e i doveri dei cristiani verso le autorità (cfr. Rm 13,1- 7). … L’Apostolo non intende certo legittimare ogni potere, quanto piuttosto aiutare i cristiani a « compiere il bene davanti a tutti gli uomini » (Rm 12,17), anche nei rapporti con l’autorità, in quanto essa è al servizio di Dio per il bene della persona (cfr. Rm 13,4; 1 Tm 2,1-2; Tt 3,1) e « per la giusta condanna di chi opera il male » (Rm 13,4). San Pietro esorta i cristiani a stare « sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore » (1 Pt 2,13). Il re e i suoi governatori hanno il compito di « punire i malfattori e premiare i buoni » (1 Pt 2,14). La loro autorità deve essere « onorata » (cfr. 1 Pt 2,17), cioè riconosciuta, perché Dio esige un comportamento retto, che chiuda « la bocca all’ignoranza degli stolti » (1 Pt 2,15). … ” [41]
In un passo molto significativo della Evangelium Vitae s. Giovanni Paolo II afferma: “40. Dalla sacralità della vita scaturisce la sua inviolabilità, inscritta fin dalle origini nel cuore dell’uomo, nella sua coscienza. … Il comandamento relativo all’inviolabilità della vita umana risuona al centro delle «dieci parole» nell’Alleanza del Sinai (cf. Es 34, 28). … il messaggio complessivo, che spetterà al Nuovo Testamento di portare alla perfezione, è un forte appello al rispetto dell’inviolabilità della vita fisica e dell’integrità personale, ed ha il suo vertice nel comandamento positivo che obbliga a farsi carico del prossimo come di se stessi: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19, 18). … Così il comandamento di Dio a salvaguardia della vita dell’uomo ha il suo aspetto più profondo nell’esigenza di venerazione e di amore nei confronti di ogni persona e della sua vita. È questo l’insegnamento che l’apostolo Paolo, facendo eco alla parola di Gesù (cf. Mt 19, 17-18), rivolge ai cristiani di Roma… (Rm 13, 9-10).”[42] Si noti bene che le parole di s. Giovanni Paolo II non significano che il Nuovo Testamento abbia cancellato la pena di morte, questo sarebbe assolutamente contrario alla Tradizione e alla verità biblica , il testo del papa Polacco mette semplicemente in evidenza come l’Antico Testamento presenti chiaramente la pena di morte come lecita e come il Vangelo abbia mitigato le pene fissate nel Vecchio Testamento, conservando, però, la pena di morte , infatti sempre nella Evangelium Vitae leggiamo, nella linea del Vangelo e della Tradizione: “ … la misura e la qualità della pena devono essere attentamente valutate e decise, e non devono giungere alla misura estrema della soppressione del reo se non in casi di assoluta necessità, quando cioè la difesa della società non fosse possibile altrimenti”[43]
Come precisa altresì questa enciclica : “Da sempre, tuttavia, di fronte ai molteplici e spesso drammatici casi che la vita individuale e sociale presenta, la riflessione dei credenti ha cercato di raggiungere un’intelligenza più completa e profonda di quanto il comandamento di Dio proibisca e prescriva”[44]
Il comandamento: non uccidere è stato quindi interpretato a fondo , sotto la guida dello Spirito Santo, in particolare dalla Chiesa, data l’importanza di tale comandamento, per conoscere bene la volontà di Dio racchiusa in esso. Tale interpretazione, condotta anche sui testi evangelici, è andata chiaramente nel senso che esiste un vero diritto alla propria difesa, che esiste anche un dovere di legittima difesa per chi è responsabile della vita di altri e che esiste anche un diritto della società alla legittima difesa (cfr. Catechismo Chiesa cattolica nn. 2263.2265) come dice chiaramente l’ Evangelium Vitae : “ Indubbiamente, il valore intrinseco della vita e il dovere di portare amore a se stessi non meno che agli altri fondano un vero diritto alla propria difesa. … Al diritto di difendersi, dunque, nessuno potrebbe rinunciare per scarso amore alla vita o a se stesso, ma solo in forza di un amore eroico … D’altra parte, «la legittima difesa può essere non soltanto un diritto, ma un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri, del bene comune della famiglia o della comunità civile» (cfr. Catechismo Chiesa cattolica n. 2265)”[45]
Ovviamente la legittima difesa può determinare la morte dell’aggressore e la sana interpretazione biblica insegna che: in tale caso:“… l’esito mortale va attribuito allo stesso aggressore che vi si è esposto con la sua azione con la sua azione, anche nel caso in cui egli non fosse moralmente responsabile per mancanza dell’uso della ragione.”[46] Siamo quindi pienamente dentro la sapienza biblica seguendo questa linea di interpretazione ecclesiale del comandamento non uccidere … e siamo ugualmente pienamente dentro la sapienza biblica seguendo questa linea di interpretazione ecclesiale del comandamento non uccidere quando tale interpretazione dice che all’interno dell’orizzonte della liceità della legittima difesa si colloca la liceità della pena di morte …
Dice infatti s. Giovanni Paolo II, dopo avere fissato l’orizzonte biblico della liceità della legittima difesa :“ 56. In questo orizzonte si colloca anche il problema della pena di morte …”
La pena di morte si colloca all’interno dell’orizzonte biblico per cui è lecita la legittima difesa, non siamo dunque fuori della Bibbia o contro la Bibbia quando affermiamo la liceità, in alcuni casi, della pena di morte, ma siamo nella Bibbia, nella sapienza biblica, nella retta interpretazione biblica …e quindi siamo nel Vangelo , nella sapienza evangelica e nella retta interpretazione del Vangelo . La pena di morte non va contro il Vangelo … da 2000 anni la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo e nella luce del Vangelo, afferma la liceità della pena di morte.
Quello che abbiamo detto e quanto vedremo conferma ulteriormente che è destituita da ogni fondamento l’affermazione di Papa Francesco per cui: la pena di morte è una pena contraria al Vangelo, perché significa sopprimere una vita che è sempre sacra agli occhi del Creatore e della quale solo Dio è vero giudice e garante.[47] Le affermazioni di Papa Francesco sono un insulto gravissimo allo Spirito Santo che da 2000 anni guida Papi e Dottori della Chiesa e che li ha portati nella luce della vera sapienza evangelica ad affermare chiaramente la liceità della pena di morte in alcuni casi.
Sorga Dio e i suoi nemici siano dispersi (Sal. 67(68)
b) Insegnamenti dei principali Padri e dei Dottori, in particolare di s. Tommaso d’ Aquino, sulla pena di morte.
Dio ci illumini sempre meglio.
La legittimazione operata dal N. Testamento circa la pena di morte è accolta in modo chiarissimo dai Padri della Chiesa, il Cardinale Dulles prosegue infatti dicendo:“Ritornando alla Tradizione cristiana, possiamo notare che i Padri e i Dottori della Chiesa sono pressoché unanimi nel sostenere la pena capitale, anche se alcuni fra loro — come per esempio sant’Ambrogio (339 ca.-397) — esortano i chierici a non pronunciare sentenze capitali o a servire come esecutori.”[48]
Scrive Brugger :“For the Fathers of the early Church, the authority of the state to kill malefactors is taken for granted. Opinions differed on whether Christians should hold offices whose responsibilities include the judging and carrying out of capital punishments—pre-Constantinian authors said they should not, those writing after ad 313 said they should—but the principled legitimacy of the punishment itself is never questioned.”[49]
Per i Padri della Chiesa primitiva, l’autorità dello stato di uccidere i malfattori è data per scontata. Le opinioni divergevano sul fatto se i cristiani dovessero ricoprire cariche le cui responsabilità includessero il giudizio e lo svolgimento della pena capitale, infatti gli autori pre-costantiniani dicevano che non avrebbero dovuto, quelli che scrivevano dopo l’editto del 313 dicevano che avrebbero dovuto; ma la legittimità di principio della punizione capitale stesso non viene mai messa in discussione.
Brugger mostra chiaramente nel suo libro le varie affermazioni dei Padri sulla questione della pena di morte e fa vedere appunto come essi affermano in modo unanime la liceità della pena di morte.[50]
Riguardo a tale consenso unanime occorre ricordare quello che afferma il Concilio Vaticano I “… a nessuno deve essere lecito interpretare tale Scrittura …. contro l’unanime consenso dei Padri.”[51] .
Sottolineo ancora con tutta la forza che qui non sto dicendo, né la Chiesa ha mai detto, che la pena di morte è sempre lecita ma che in alcuni casi molto particolari e particolarmente gravi essa è lecita. Sappiamo tutti molto bene che in molti o moltissimi casi i potenti uccidono i loro avversari coprendosi con il manto della “giustizia” attraverso processi pilotati e condanne a morte ingiuste e che spesso sono i più deboli e indifesi ad essere condannati a morte appunto perché non hanno potuto difendersi efficacemente in processo etc.; la sapienza cristiana è certamente molto ben consapevole di tutto questo … ma è consapevole anche del fatto che in alcuni casi molto particolari e particolarmente gravi la pena di morte è lecita, come stiamo vedendo.
b,1) Padri pre-costantiniani.
Diciamo anzitutto che, come ha affermato H. Giudice : “En los diversos escritores cristianos de los cinco primeros siglos se nota consenso en reconocer el origen divino de la autoridad civil y por lo tanto para obedecer las leyes justas. Fuera de las aplicaciones injustas, la justificación del sistema penal radica en la necesidad de poner freno a la violencia. Según Ireneo, la existencia del pecado hizo necesario el ejercicio de la autoridad punitiva. Para el Crisóstomo esta institución no sólo está ligada al pecado sino que hace a la concepción del orden.”[52] Nei vari scrittori cristiani dei primi cinque secoli esiste un consenso nel riconoscere l’origine divina dell’autorità civile e quindi nell’ obbedire alle giuste leggi. Al di fuori delle applicazioni ingiuste, la giustificazione del sistema penale sta nella necessità di fermare la violenza. Secondo Ireneo, l’esistenza del peccato ha reso necessario l’esercizio dell’autorità punitiva. Per il Crisostomo, questa istituzione non è solo legata al peccato ma anche alla concezione dell’ordine.
Queste affermazioni di Giudice appaiono di estrema importanza … ripeto: nei vari scrittori cristiani dei primi cinque secoli esiste un consenso nel riconoscere l’origine divina dell’autorità civile … invito a riflettere a fondo su questo punto …
Le stesse affermazioni troviamo, ma sviluppate, nel testo di Brugger: “If we grant two Patristic assumptions, namely, that political power is divinely instituted and that inherent in that power is the right to kill malefactors, then the idea that the exercise of political power is incompatible with membership in God’s special community, the Church, suffers from an obvious tension.”[53]
Due presupposti patristici occorre avere ben presenti: il potere politico è divinamente istituito, insito in quel potere è il diritto di uccidere i malfattori. Questi due presupposti praticamente azzerano l’idea che l’esercizio del potere politico e quindi della pena di morte sia incompatibile con l’appartenenza alla Chiesa. Il potere statale è istituito da Dio e da Dio ha il diritto di uccidere i malfattori, quindi la pena di morte in alcuni casi è lecita.
Inoltre per quanto riguarda i Padri pre-costantiniani mi pare importante mettere in evidenza quello che dice Brugger, che nel suo testo ha realizzato un’ampia raccolta di testi di questi Padri e quindi parla dall’alto di una notevole competenza: i Padri del II e III secolo raramente affrontano la moralità della pena di morte direttamente, quindi dobbiamo dedurre le loro idee per inferenza; tre convinzioni riconoscibili nei testi patristici già nel II secolo meritano attenzione: (1) che i governanti civili hanno un’autorità moralmente legittima sulla vita e morte; (2) che questa autorità è stata conferita da Dio ed è testimoniata nelle Scritture; e (3) che il discepolato cristiano è incompatibile con la partecipazione in violenza e spargimenti di sangue.[54]
Va detto comunque che tale incompatibilità si comprende bene se si considera che gli autori che vengono citati erano sudditi di un impero radicalmente anticristiano, mettersi direttamente al servizio di un tale impero e condannare a morte o uccidere sulla base delle leggi di un tale impero significava mettersi a servizio di un anticristo e quindi uccidere in nome suo.
In sintesi le citazioni riportate da Brugger e da me elaborate e precisate riguardo alle affermazioni dei Padri pre-costantiniani e sulle quali si basa il suo giudizio sono le seguenti:
– s. Giustino (morto nel 165 d. C. circa) : Justin Martyr, “The First Apology”, ch. 2,3,11,68 [55]; le opere di s. Giustino possono essere consultate online gratuitamente nel volume 6 della Patrologia Greca che si trova sul sito Patristica.net a questo indirizzo http://patristica.net/graeca/#t006 ;
– Atenagora (vissuto nel II secolo) : Athenagoras, “A Plea for the Christians”, ch. 1, 2,3, 35[56]; le opere di Atenagora presenti nella Patrologia Greca possono essere consultate online gratuitamente nel volume 6 della Patrologia Greca che si trova sul sito Patristica.net a questo indirizzo http://patristica.net/graeca/#t006
– s. Ireneo (nato tra il 140 e 160 , data della morte è incerta): Irenaeus of Lyons, “Against Heresies”, bk. 4, ch. 36, par. 6 ; bk. 5, ch. 24, par. 2[57]; le opere di s. Ireneo presenti nella Patrologia Greca possono essere consultate online gratuitamente nel volume 7 della Patrologia Greca che si trova sul sito Patristica.net a questo indirizzo http://patristica.net/graeca/#t006
– Clemente Alessandrino (nato tra il 145 e il 150 – morto tra il 211 e il 217): Clement of Alexandria, “Stromateis”, bk. 1, ch. 27, parr. 171- 173[58] bk. 4, ch. 24[59], “Paidagogos”, bk. 1, ch. 8; bk. 3, ch. 8[60] ; le opere di Clemente Alessandrino presenti nella Patrologia Greca possono essere consultate online gratuitamente nei volumi 8-9 della Patrologia Greca che si trovano sul sito Patristica.net a questo indirizzo http://patristica.net/graeca/#t006
– Tertulliano (nato nel 155 circa – morto dopo il 220): Tertullian, “De Idololatria”, ch. 17[61]; “De Idolatria”, ch. 19[62] ; “De Corona”, ch. 11.2 e 11.4–5[63] ; “De Spectaculis”, ch. 19[64] ; “Scorpiace”, ch. 14[65]; “De Anima”, ch. 56[66]; “Treatise on the Resurrection”, n. 16 (ed. Ernest Evans ,London: S.P.C.K., 1960 p. 42; PL. 2, 814 ss); “Apology”, ch. 4.9[67]; le opere di Tertulliano possono essere consultate online gratuitamente nei volumi 1-2 della Patrologia Latina che si trovano sul sito Patristica.net a questo indirizzo http://patristica.net/latina/
– Origene (nato nel 185 – morto nel 253): Origenes “In Jeremiam” Homilia XII (PG, vol. 13, col. 386b)., “In Leviticum” Homilia XI (PG, vol. 12, col.532- 533). “In Leviticum” Homilia XIV (PG, vol. 12, col. 557a–b); “Contra Celsum”, bk. 7, ch. 26, bk. 8, ch. 65 e 73, trans. Henry Chadwick (Cambridge: Cambridge University Press, 1953; PG. 11, 1458, 1614ss; 1626ss); In Matthaeum Tomus X, 21 (PG, vol. 13, col. 890b); “In Epist. ad Romanos” Lib. VI, 7 (PG, vol. 14, col. 1073a); “Comment. In Epist. ad Rom.” Lib. IX (PG, vol. 14, col. 1228b); le opere di Origene presenti nella Patrologia Greca possono essere consultate online gratuitamente nei volumi 11-17 della Patrologia Greca che si trovano su questo sito http://patristica.net/graeca/#t006
– s. Cipriano (nato nel 200 e morto nel 258 circa d. C.): Cyprian, “Epistle 60, to Cornelius”, par. 2 [68] ; “Ad Donatum”, ch. 7; le opere di s. Cipriano possono essere consultate online gratuitamente nei volumi 3-4 della Patrologia Latina che si trovano sul sito Patristica.net a questo indirizzo http://patristica.net/latina/ e nel Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum http://www.earlymedievalmonasticism.org/Corpus-Scriptorum-Ecclesiasticorum-Latinorum.html
– la Didascalia Apostolorum (inizio III sec.) : “Didascalia et Constitutiones Apostolorum”, lib. IV, cap. 6, no. 4, ed. F. X. Funk, vol. 1 (Paderborn, 1905), 224 consultabile gratuitamente su uesto sito archive.org , https://archive.org/details/didascaliaetcon00funkgoog)
– s. Ippolito: St. Hippolytus of Rome : “The Apostolic Tradition of St. Hippolytus of Rome”, part II, ch. 16, articles 17–19, ed. Gregory Dix, reissued by Henry Chadwick (London: S.P.C.K., 1968), 26–27); le opere di s. Ippolito presenti nella Patrologia Greca possono essere consultate online gratuitamente nel volume 10 della Patrologia Greca che si trova su questo sito http://patristica.net/graeca/#t006
– Minucio Felice (vissuto nel II-III secolo): Minucius Felix, “Octavius”, ch. 30 ([69]; le opere di Minucio Felice possono essere consultate online gratuitamente nel volume n. 3 della Patrologia Latina che si trova sul sito Patristica.net a questo indirizzo http://patristica.net/latina/ ;
– Lattanzio(vissuto nel III-IV secolo): Lactantius, “Divinae Institutiones”, lib. VI, cap. 20 [70] [71] ; “De Ira”, lib. 17[72] le opere di Lattanzio possono essere consultate online gratuitamente nei volumi 6-7 della Patrologia Latina che si trovano sul sito Patristica.net a questo indirizzo http://patristica.net/latina/ ;
– il Sinodo di Elvira che afferma al Canone 73: se qualcuno attraverso l’accusa o la denuncia causa ad un’altra persona l’ esilio o la condanna a morte, gli devono essere rifiutati i sacramenti anche alla fine della sua vita: “Delator si quis exstiterit fidelis, et per delationem ejus aliquis fuerit proscriptus vel interfectus, placuit eum nec in finem accipere communionem,” (PL, vol. 84, 309c ; https://books.google.it/books?id=mObNin3ReVIC&redir_esc=y).
Alcune precisazioni riguardo ai testi appena presentati.
1) Ireneo di Lione alla fine del s. II, nella sua polemica con gli gnostici, è il primo dei Padri a commentare il testo paolino di Rm 13; egli afferma che i regni della terra furono stabiliti da Dio e non dal diavolo; perciò si appoggia all’autorità di San Paolo e spiega che bisogna essere sottomessi a tutte le autorità superiori, perché non esiste autorità che non provenga da Dio e quelle che esistono sono state ordinate da Dio; il potere statale non invano porta la spada infatti è ministro di Dio, esercita infatti la vendetta per la punizione di chi opera male; questo è anche il motivo per cui bisogna pagare le tasse, perché il potere è ministro di Dio, incaricato di adempiere questo compito [73] Il testo di s. Ireneo non condanna in nessun modo la pena capitale ma la implica come giusta e voluta da Dio.
2) Degno di nota è il fatto che, secondo Brugger, Origene nel Contra Celso[74] sosterrebbe che l’insegnamento di San Paolo in Romani 13 implica che l’autorità civile abbia un potere legittimo sulla vita e sulla morte.[75] a me pare che sia piuttosto il commento di Origene alla lettera ai Romani a parlare di tale implicazione (cfr. Origene “Commento alla lettera ai Romani” PG 14, 1226-1228)
3) Come spiega Brugger riportando la dottrina di Clemente Alessandrino: quando la legge vede una persona in uno stato apparentemente incurabile, immersa fino al collo nel crimine, nella preoccupazione che gli altri possano essere contagiati da lui, lo uccide per la massima salute di tutti[76]. Tale punizione, prosegue Brugger citando Clemente, serve anche a controllare le tendenze ribelli degli altri, in questa linea si attua quello che dice la Bibbia: il timore del Signore genera saggezza; Clemente afferma in questa linea che la pena di morte è un bene per il suo beneficiario, le leggi che infliggono la morte agiscono come un “benefattore”.[77] Sottolineo che non mi consta che nessun Padre abbia scomunicato Clemente per le sue affermazioni circa la pena di morte …
4) Riguardo a s. Cipriano, alle indicazioni fornite da Brugger e per cui s. Cipriano mostra in alcuni casi di accettare fondamentalmente la liceità della pena di morte mi sembra utile aggiungere che in un testo attribuito per tanto tempo a s. Cipriano ma attualmente considerato non appartenente al santo si afferma che il re deve reprimere il furto, punire gli adulteri, far scomparire dalla terra gli empi, non permettere di vivere ai parricidi e agli spergiuri, né tollerare l’empietà dei figli[78]. Non si sa bene a chi appartenga questa opera, attualmente. In un testo sicuramente appartenente a s. Cipriano, il martire ricorda le regole fissate da Mosè con la pena di morte per gli idolatri e commentando il gesto con cui Mattatia ha ucciso appunto un idolatra (1Macc. 2, 24), afferma che se questi precetti riguardanti l’adorazione di Dio e il disprezzo degli idoli sono stati osservati prima dell’avvento di Gesù Cristo, tanto più più devono esserlo adesso che Egli è arrivato.[79] Va detto che s. Cipriano qui accetta quello che si realizzò nell’ A. T. ma non parla in modo diretto e netto della pena di morte e della sua legittimità anche se le sue parole sono estremamente significative.[80]
5) Come precisa Thompson, nel “De Ira Dei”, Lattanzio avverte gli stoici e gli epicurei che la pena di morte è accettabile se viene inflitta giustamente per gli interessi del bene contro il male[81], chap. VI, 20; Lactantius, A Treatise on the Anger of God, in “Fathers of the Third and Fourth Centuries”, ed. A. Cleveland Coxe (Edinburgh: T&T Clark, 1989), vol. 7, 273, 274) il testo in questione si trova anche in PL 6, 705-713. Thompson precisa che questa affermazione di Lattanzio va unita ad altre sue affermazioni contrarie alla pena di morte presenti nelle precedenti Istituzioni o nella successiva Epitome delle Divine Istituzioni. … (Thompson “Augustine and the Death Penalty”Augustinian Studies 40(2) p. 190-191)
6) Il testo del Concilio di Elvira va inteso considerando che i delatori, o sicofanti erano considerati male già per la morale comune di quei tempi e con alcuni imperatori per un certo tipo di delazione era prevista la pena di morte [82] , la delazione calunniosa, in particolare, è una menzogna dannosa e appunto in quanto porta alla morte o a gravi danni per la persona delata è un evidente peccato di particolare gravità, particolarmente grave era per la comunità cristiana la delazione con cui i cristiani che facevano conoscere alle autorità i nomi di altri cristiani delle loro comunità e perciò li facevano mettere a morte. Questi delatori, che agivano per lucro o per acquistare potere, compivano indubbiamente un atto gravissimo e degno di gravissima penitenza, e quindi la gravissima condanna emessa dal Concilio appare in certo modo giustificata. Il testo in oggetto non è una condanna radicale e assoluta della pena di morte ma solo del reato di delazione indicato. Nella Treccani leggiamo: “I cristiani dei primi secoli ebbero molto a soffrire per l’opera dei delatores. Gli antichi “canoni penitenziali” contenevano 10 pene severissime contro i delatori.”[83]
7) Thompson alla pag. 191 dell’articolo citato (Thompson “Augustine and the Death Penalty”Augustinian Studies 40(2) p. 191), ritiene giusta l’affermazione di Brugger per cui tre dati fondamentali appaiono riconoscibili nei testi patristici: (1) che i governanti civili hanno un’autorità moralmente legittima sulla vita e morte; (2) che questa autorità è stata conferita da Dio ed è testimoniata nelle Scritture; e (3) che il discepolato cristiano è incompatibile con la partecipazione in violenza e spargimenti di sangue.[84] Thompson concorda anche con l’opposizione di Brugger al punto di vista di Compagnoni, quest’ultimo infatti riteneva che Ambrogio, Agostino e la chiesa post-Costantino nel sostenere la pena di morte stessero semplicemente capitolando dinanzi alla nuova situazione creatasi con la realizzazione di un impero cristiano. (Thompson “Augustine and the Death Penalty”Augustinian Studies 40(2) p. 191)
Dio ci illumini sempre meglio.
b,2) Padri post-costantiniani.
Riguardo ai Padri post-costantiniani occorre dire che sant’ Ilario di Poitiers, nei suoi commenti su San Matteo, indica che ci sono due tipi di usi legittimi della spada e quindi ci sono due tipi di uccisioni legittime: quelle che si compiono per eseguire un giudizio dell’autorità legittima, quelle che si compiono nella necessità di resistere ai briganti [cfr. Hilaire de Poitiers, Sur Matthieu, éd. et trad. J. Doignon, Cerf, 1979 (Sources chrétiennes n. 258), t. 2, p. 243, XXXII, 2) .].[85] Non consta che qualche Padre abbia scomunicato s. Ilario per queste affermazioni, eppure sappiamo che i Padri avevano lo Spirito Santo e condannavano gli errori molto energicamente. Evidentemente questa dottrina era già ben radicata nel cuore della cristianità e non era una novità ma anzi riproponeva ciò che la Bibbia afferma. Le opere di s. Ilario presenti nella Patrologia Latina sono consultabili a questo sito, voll. 10-11 http://patristica.net/latina/
S. Ambrogio rispondendo a Studio precisa bene la dottrina cattolica e la Tradizione riguardo ai giudici: “De quo etiam ego vererer responsum referre: constrictus altero, quod est commissum vobis propter custodiam legum ; altero autem propter misericordiam et gratiam, nisi de hoc Apostolicam haberes auctoritatem : Quia non sine causa gladium portat, qui ju dicat (Rom. XIII, 4); Dei enim vindex est in eos, qui male agunt. Nam sunt, extra Ecclesiam tamen , qui eos in communionem non vocent sacramentorum coelestium, qui in aliquos capitalem sententiam ferendam æstimaverunt. Plerique etiam sponte se abstinent: et laudantur quidem, nec ipsi eos possumus non prædicare: qui auctoritatem Apostoli eatenus observamus, ut iis communionem non audeamus negare. – 5. Vides igitur quid auctoritas tribuat, quid suadeat misericordia. Excusationem habebis, si feceris: laudem, si non feceris.” (S. Ambrogio “Epist. Ad Studium” PL t. XVI, col. 1040 A)
Proprio basandosi sull’autorità delle affermazioni di s. Paolo (Rm 13, 4) s. Ambrogio afferma che i giudici possono ricevere l’Eucaristia, infatti sono ministri di Dio.
Ci sono alcuni, continua il s. Dottore, estranei alla Chiesa, che negano i Sacramenti a coloro che irrogano sentenze di morte (probabilmente, come nota il Migne, egli si riferisce ai novaziani, che appunto escludevano i giudici dalla Comunione Eucaristica[86] ma proprio sulla base del chiaro testo di s. Paolo s. Ambrogio ritiene che non si possa negare che coloro che svolgono attività giudiziale e irrogano pene capitali sono nella comunione della Chiesa e possono ricevere l’Eucaristia. Alcuni di essi si astengono dal ricevere tale Sacramento e sono per questo lodati, altri invece lo ricevono lecitamente. Da Dio hanno l’autorità per emanare le sentenze di morte, quindi non possono essere ritenuti pubblici peccatori e perciò possono ricevere l’Eucaristia.
S. Ambrogio poi sviluppa un riflessione sulla base di Gv. 8 che invita a non spargere sangue e quindi a non irrogare la pena di morte perché il reo si penta e la sua anima sia salvata, quindi questo santo Vescovo e Dottore della Chiesa ci offre una importantissima precisazione sulla Tradizione cattolica, infatti afferma: “Et ideo majores maluerunt indulgentiores esse circa judices ; ut dum gladius eorum timetur, reprimeretur scelerum furor, et non incitaretur: quod si negaretur communio, videretur criminosorum vindicata poena. Maluerunt igitur priores nostri, ut in voluntate magis abstinentis, quam in necessitate sit legis.” (Cfr. “Epist. Ad Studium” PL t. XVI, col. 1042)
La Tradizione cattolica era nel senso di essere più indulgenti verso i giudici perché mentre si teme la loro spada, si reprime e non si incita il furore degli scellerati; negare ad essi la Comunione sembrerebbe una vendetta dei criminali contro tali giudici. I nostri padri preferirono, quindi lasciare libertà di comunicarsi ai giudici, lodando, però, in particolare, come visto, quelli che si astenevano da tale Sacramento; in tal modo la questione doveva essere risolta non dalla legge ma dalla coscienza e quindi dalla volontà del soggetto.
Al giudice, peraltro, non è lecito astenersi dalla punizione dei colpevoli, anche con la pena di morte, in molte cause legali, poiché egli è al servizio della legge, afferma anche s. Ambrogio (cfr. “Super Psalmum XXXVII”, 51, PL XIV, 1035s).[87]
Le opere di s. Ambrogio presenti nella Patrologia Latina sono consultabili a questo sito, voll. 14-17 http://patristica.net/latina/
San Giovanni Crisostomo, a proposito del parricidio, dice Dunot, appare un sostenitore della pena capitale in quanto afferma che: un uomo così degradato, cioè un parricida, non basta farlo bandire dalla città, è ancora necessario farlo sparire dalla luce; un tale uomo, infatti, è un nemico comune di tutti gli uomini e di Dio, perciò dobbiamo tutti partecipare allo sterminio di lui, al fine di purificare la città. ( S. Giovanni Chrisostomo, Œuvres complètes, trad. M. Jeannin, L. Guérin & Cie éditeur, Clermont-Bar-le-Duc-Paris, 1865, t. 5, p. 456.]. (4 ° discorso su Genesi, § 3)[88]
Nei Sermoni sulle statue s. Giovanni Crisostomo, come spiega Brugger, mostra di accettare pienamente la legittimità della pena di morte ma dall’altra mostra l’azione sua e di altri affinché l’imperatore non intervenga a punire i criminali che, nel caso specifico, avevano compiuto gravi atti contro le statue dell’imperatore e dei suoi familiari[89] Le opere di s. Giovanni Crisostomo presenti nella Patrologia Greca sono consultabili a questo sito, voll. 47-64, http://patristica.net/graeca/
Eusebio di Cesarea, precisa Brugger, ugualmente considera come lecita la pena di morte in alcuni casi e loda a questo riguardo l’Imperatore Costantino per la sua opera di giustizia che, nonostante sia realizzata per lo più con benevolenza e senza l’uso della spada, in alcuni casi ha evidentemente richiesto l’uso di essa, come nel caso dell’esecuzione di Licinio e dei suoi consiglieri.[90] Le opere di Eusebio presenti nella Patrologia Greca sono consultabili a questo sito, voll. 19-24 http://patristica.net/graeca/
In questa stessa linea, fondamentalmente, va anche s. Gregorio Nazianzeno che mentre sollecita un magistrato cristiano ad esercitare moderazione nella punizione dei criminali, mostra di riconoscere che in alcuni casi la spada dell’autorità colpisce giustamente i criminali per i loro delitti.[91] Le opere di s. Gregorio Nazianzeno presenti nella Patrologia Greca sono consultabili a questo sito, voll. 35-38 http://patristica.net/graeca/
S. Ottato di Milevi, come spiega H. Giudice[92] , va inserito tra i sostenitori dell’uso della forza e della pena di morte. S. Ottato infatti assunse la difesa dei soldati dell’ imperatore che, inviati a distribuire cibo durante un periodo di privazione, uccisero dei rivoltosi donatisti.
S. Ottato indica come provenienti dallo stesso Dio sia il comandamento che vieta di uccidere (Eso 20:13; Deut 5:17; Mt 5:21) sia quello che ordina di punire alcune azioni (Deut 22:22; Lev 20:10) il santo osserva inoltre che alcuni mali sono fatti con un fine malvagio e altri sono fatti con un buon fine così il brigante compie il male per un fine malvagio mentre il giudice svolge il suo rigoroso dovere con buon fine quando diventa vendicatore della colpa perpetrata dal bandito; i donatisti che furono uccisi erano stati loro stessi la causa della loro morte, il funzionario imperiale Macario agì in difesa dei diritti di Dio in modo simile a Mosè ed Elía che pure avevano applicato la pena di morte; Ottato assume la difesa di Macario contro le accuse di donatisti, riconoscendo che sarebbe stato un grave senso di colpa se Macario avesse agito di sua spontanea volontà su ciò che doveva fare ma in realtà il funzionario imperiale ha agito come esecutore della volontà di Dio. (S. Ottato, “De schismate donatistarum” 3, 5-7 PL 11, 1013ss).
Faccio notare che s. Ottato è un santo e non consta che s. Agostino o qualcun altro Vescovo abbia scomunicato Ottato perché era a favore della pena di morte … Ottato, per la cronaca, ha scritto prima di s. Agostino … Le opere di s. Ottato presenti nella Patrologia Latina sono consultabili a questo sito, vol. 11 http://patristica.net/latina/
Sant’Agostino (354-430) appare, tra tutti i Padri, quello che parla di più su questo argomento. S. Agostino, afferma Thompson, precisa che la pena di morte può essere inflitta solo dalle autorità competenti per promuovere il bene comune della società e come deterrente per ulteriori azioni criminali, essa è un misura insolita che dovrebbe essere usata solo in casi di estrema necessità dove non esiste altra opzione; la Chiesa può e deve essere una forte sostenitrice di misericordia per i condannati, perché Dio è giusto e può perdonare i peccatori. (Thompson “Augustine and the Death Penalty”Augustinian Studies 40(2) p. 198)
In questa linea s. Agostino, come spiega Thompson, dinanzi agli attacchi dei donatisti afferma che essi non vanno puniti con la pena di morte : “The death penalty cannot be applied because he would rather free all the Donatists who have murdered and persecuted Catholics than exact their blood in revenge.[93]”
Dice in particolare s. Agostino : “Non che vogliamo con ciò impedire che si tolga a individui scellerati la libertà di commettere delitti, ma desideriamo che allo scopo basti che, lasciandoli in vita e senza mutilarli in alcuna parte del corpo, applicando le leggi repressive siano distolti dalla loro insana agitazione per esser ricondotti a una vita sana e, tranquilla, o che, sottratti alle loro opere malvagie, siano occupati in qualche lavoro utile. … Sdegnati contro l’iniquità in modo però da non dimenticare l’umanità; non sfogare la voluttà della vendetta contro le atrocità dei peccatori, ma rivolgi la volontà a curarne le ferite”[94]. S. Agostino, come ministro di Dio, interpretando il divino volere nel caso specifico dice che Dio non vuole che si applichi la pena di morte a costoro, come una specie di pena del taglione, che Gesù aveva praticamente abrogato. Ma l’affermazione di s. Agostino in quell’occasione è un giudizio che riguarda quella situazione specifica , non è un giudizio di condanna radicale della pena di morte, infatti s. Agostino, in tante sue opere afferma la liceità della pena di morte.
Più precisamente s. Agostino, nella luce della volontà di Dio, invita a salvare il più possibile la vita del criminale ma ammette chiaramente che in alcuni casi Dio stesso vuole l’irrogazione della pena di morte e allora l’uso di tale pena sarà pienamente conforme alla carità di Cristo perciò s. Agostino, in tante sue opere afferma la liceità della pena di morte.
Come dice Thompson : s. Agostino riconosce già nel “De Ordine” (386) che il carnefice è un “brutto ufficio”, ma necessario per uno stato “ben governato”; Thompson cita varie opere di s. Agostino che evidentemente vanno in questa linea[95]. Lo stesso Thompson aggiunge che questa posizione di Agostino si basa sulle Scritture Sacre, molte storie nell’Antico Testamento suggeriscono che “uomini nobili e santi inflissero la morte come punizione per il peccato “; in questa linea s. Agostino afferma che chi esegue una condanna a morte non è colpevole di un peccato.(Thompson “Augustine and the Death Penalty”Augustinian Studies 40(2) p. 197) S. Agostino accetta il diritto di punizioni penali tra cui l’esecuzione capitale anche come parte della pax Romana; secondo il s. Dottore africano le autorità statali hanno il dovere stabilizzare la vita della comunità e dare pace ad essa.
Più precisamente …
Nel “De ordine” s. Agostino afferma: “Che cosa v’è di più cupo di un carnefice? Che cosa di più truce ed efferato della sua mentalità? Tuttavia ha un posto indispensabile fra le leggi e rientra nell’ordinamento di uno Stato ben governato. E sebbene nel proprio animo faccia del male, è tuttavia la pena dei malfattori per ordinamento a lui estraneo.”[96]
Nella “Città di Dio”, s. Agostino afferma: “ Lo stesso magistero divino ha fatto delle eccezioni alla legge di non uccidere. Si eccettuano appunto casi d’individui che Dio ordina di uccidere sia per legge costituita o per espresso comando rivolto temporaneamente a una persona. Non uccide dunque chi deve la prestazione al magistrato. È come la spada che è strumento di chi la usa. Quindi non trasgrediscono affatto il comandamento con cui è stato ingiunto di non uccidere coloro che han fatto la guerra per comando di Dio ovvero, rappresentando la forza del pubblico potere, secondo le sue leggi, cioè a norma di un ordinamento della giusta ragione, han punito i delinquenti con la morte. … Eccettuati dunque questi casi, in cui una giusta legge in generale o in particolare Dio, sorgente stessa della giustizia, comandano di uccidere, è responsabile del reato di omicidio chi uccide se stesso o un altro individuo.”[97]. Quindi non è peccato dare la pena di morte in alcuni casi, questo è decisivo per capire il vero pensiero agostiniano: la pena di morte può essere irrogata senza peccato e, come vedremo chiaramente più avanti, secondo la volontà di Dio.
Spiega inoltre lo stesso s. Dottore africano in una lettera a Publicola che : “Non mi piace poi il parere per cui uno possa uccidere delle persone per non essere ucciso da esse, salvo che a farlo non sia un soldato o chi è obbligato al servizio pubblico, salvo cioè che uno agisca non per se stesso, ma a difesa degli altri o dello Stato di cui fa parte, qualora è legittimamente autorizzato e la sua azione è conforme alla sua funzione.”[98]
In una lunga lettera a Macedonio, vicario dell’Africa, s. Agostino sviluppa ampiamente gli argomenti che giustificano la pena di morte, e quindi il potere di mantenere in vita o di dare la morte (vitae necisque legitimam potestatem, Ep, 153, 8) S. Agostino spiega che i giudici :“ … nell’adempiere il loro ufficio non devono essere mossi da risentimenti personali, ma’ unicamente esecutori delle leggi; devono punire non già le ingiustizie perpetrate ai propri danni ma a quelli altrui … devono considerare d’avere essi stessi bisogno della misericordia di Dio a causa dei loro peccati personali e non devono pensare di mancare al loro dovere se usano indulgenza verso le persone sulle quali han potere di vita e di morte.”[99]
Nell’episodio della donna adultera, continua s. Agostino, Gesù Cristo: “ … non disapprovò la Legge che prescriveva la pena di morte per le donne colpevoli d’adulterio, ma nello stesso tempo, con lo spavento, richiamò a compassione coloro a giudizio dei quali poteva essere condannata a morte.”[100].
Il s. Dottore africano quindi precisa che: “… non sono stati istituiti senza uno scopo il potere del sovrano, il diritto di vita e di morte proprio del giudice, gli uncini di tortura del carnefice, le armi dei soldati, il potere di punire proprio del sovrano, e perfino la severità del buon padre di famiglia. Tutti questi ordinamenti hanno le loro norme, le loro cause, la loro ragione, la loro utilità. Quando essi vengono temuti, non solo sono tenuti a freno i malvagi, ma gli stessi buoni vivono più tranquilli tra i malvagi. … non è comunque inutile reprimere l’arroganza e la prepotenza degli uomini anche mediante la paura che incutono le leggi umane, affinché non solo gli innocenti si sentano sicuri in mezzo ai malfattori ma, mentre con la paura del castigo è messo un freno alla loro possibilità di far del male, la loro volontà venga guarita ricorrendo all’aiuto di Dio.”
Continua s. Agostino: “è utile dunque anche la vostra severità con cui è assicurata anche la nostra tranquillità; è utile però anche la nostra intercessione con cui viene mitigata la vostra severità. … Anche l’apostolo Paolo spaventò i malvagi non solo con il giudizio futuro, ma pure col vostro potere giudiziario asserendo che anch’esso rientra nell’ordine voluto dalla divina provvidenza … Queste parole dell’Apostolo dimostrano l’utilità della vostra severità. … Non si faccia nulla per brama di nuocere, ma per amore di giovare, e non si farà nulla di crudele, nulla d’inumano. … Se poi tanta è la perversione e l’empietà, che a correggerli non giova né il castigo né il perdono, i buoni non fanno che adempiere il precetto d’amare con la retta intenzione e con la coscienza che Dio conosce, sia quando castigano sia quando perdonano.”[101]
Evidente è, da parte del s. Dottore, l’impegno a indirizzare sulla via della giustizia i giudici cristiani, sulla via della giustizia che viene da Dio, sicché in questa luce essi sappiano giudicare, con misericordia e con giustizia, le persone e quindi irroghino con estrema prudenza le varie pene specie quella di morte, quest’ultima, in particolare, va irrogata come estrema ratio. Particolarmente illuminante in questa linea è il seguente testo agostiniano: “ Alcuni uomini grandi e santi … hanno punito alcuni peccati con la morte, affinché ai vivi fosse suscitato un salutare timore e a quelli, che venivano puniti con la morte, non recasse danno la morte stessa, ma il peccato che poteva accrescersi se continuavano a vivere. Non giudicavano sconsideratamente perché Dio aveva accordato loro un simile giudizio. … Quindi dopo averli ammaestrati che cosa significa amare il prossimo come se stessi , anche con l’infusione dello Spirito Santo … non mancarono tali punizioni, sebbene molto più raramente che nel Vecchio Testamento. Allora prevalentemente come schiavi erano asserviti col timore, poi principalmente con l’amore erano allevati come figli. Infatti, come leggiamo negli Atti degli Apostoli, alle parole dell’apostolo Pietro Anania e la moglie caddero esanimi e non furono risuscitati ma seppelliti …”[102] L’opera di s. Agostino va quindi nel senso di aiutare gli uomini a lasciarsi guidare da Dio sicché la pena di morte sia applicata quando Dio vuole e non quando Egli non vuole e appunto in alcuni particolari casi, anche dopo la venuta di Cristo, Dio vuole che sia irrogata tale pena.
S. Agostino non è quindi un abolizionista della pena di morte , la accetta pienamente ma solo nei casi in cui Dio veramente la vuole!
Il grande biblista, s. Girolamo, appare chiaramente e fortemente schierato per la liceità della pena di morte. Come ci ricorda Dunot, di cui riporto le citazioni[103], s. Girolamo ha giustificato più volte l’applicazione della pena capitale, sebbene in modo più conciso rispetto a s. Agostino. Nel suo commento all’Epistola ai Galati, è interessato ad affermare l’innocenza del giudice che irroga la pena: il giudice non è il colpevole del crimine quando ha incatenato i cattivi e li racchiude e li dichiara colpevoli in virtù della sua autorità (cfr. “In Galatas” PL XVI , 367s) Per s. Girolamo: chi colpisce i malvagi a causa della loro malizia, e detiene gli strumenti della morte per uccidere i cattivi, è il ministro del Signore: “Qui igitur malos percutit in eo quod mali sunt , et habet vasa interfectionis , ut occidat pessimos, minister est Domini . ( “In Ézéchielem”, III, 9 PL XXV, 85) Nel “Commentario a Gioele” s. Girolamo afferma che coloro che puniscono i malfattori sono ministri e esecutori dell’ira di Dio contro coloro che fanno il male, e non è senza motivo che portano la spada (cfr. “In Joelem”, PL XXV 973), Non è crudele colui che uccide persone crudeli dice anche s. Girolamo: “Non est enim crudelis qui crudeles jugulat sed quod crudelis patientibus esse videatur”[104]; il compito del re è fare giustizia, perciò punire con la morte gli omicidi, i sacrileghi e gli adulteri non è spargere sangue, è il ministero delle leggi (cfr. “In Hieremiam” IV,22,3, PL 24, 811).
Brugger purtroppo riporta solo una delle affermazioni di s. Girolamo, ne trovo solo una in una nota[105]
Le Costituzioni Apostoliche, scritte alla fine del quarto secolo e la cui influenza sui testi legali sarà considerevole, ripetono solo ciò che i Padri hanno detto: non è riprovevole l’omicidio, ma solo l’omicidio di innocenti, e l’omicidio permesso dalla legge è riservato solo ai magistrati[106]
Le affermazioni dei Papi di questo periodo patristico le ho inserite nella parte relativa alle affermazioni papali e magisteriali … ma qui voglio notare che san Gregorio Magno, Papa, Padre e Dottore della Chiesa , insegna la legittimità della pena capitale in diverse sue lettere, riconoscendo che gravi crimini meritano tale pena[107], come vedremo meglio più avanti.
Molti di questi testi dei Padri della Chiesa sono ben noti a teologi e canonisti e sono stati in gran parte incorporati nel decreto di Graziano[108], una questione del quale è esplicitamente dedicata alla liceità della sentenza capitale (C. 23, q. 5) [109].
La posizione fondamentale di accettazione della pena di morte che vediamo affermata dai Padri sarà mantenuta e sviluppata dai Pontefici che tratteranno di questo argomento. [110]
Faccio notare che in qualche autore dei nostri tempi notiamo una critica ai Padri post-costantiniani perché a suo giudizio avrebbero ceduto alla potenza militare costantiniana e avrebbero accettato la pena di morte che invece i Padri pre-costantiniani non accettavano. Questa posizione mi appare contraria alla realtà delle cose e in questo senso seguo Thompson che concorda con l’opposizione di Brugger al punto di vista di Compagnoni, quest’ultimo infatti riteneva che Ambrogio, Agostino e la chiesa post-Costantino nel sostenere la pena di morte stessero semplicemente capitolando dinanzi alla nuova situazione creatasi con la realizzazione di un impero cristiano. (Thompson “Augustine and the Death Penalty”Augustinian Studies 40(2) p. 191)
Aggiungo che è evidente che i Padri post-costantiniani avevano la certezza di seguire la dottrina vera della Chiesa di sempre e di seguire la Tradizione altrimenti non avrebbero detto quello che hanno detto. Diversi Padri sono Dottori della Chiesa e soprattutto loro non attaccano in modo generale i capi dei popoli per la pena di morte, non la negano in generale , possono farlo in concreto, in particolare in certe situazioni, ma non negano che vi sia un tale diritto da parte dei capi degli Stati, né mi consta ci sia stato qualche Padre che abbia accusato gli altri di aver tradito, di aver rinnegato la Tradizione in particolare per avere sostenuto la liceità della pena di morte … quindi per loro è stato coerente con la sana dottrina chi affermava la liceità in generale della pena di morte.
Ripeto: nessun Padre che era a favore della pena di morte è stato accusato per questo di eresia … o di opposizione alla Tradizione … anzi, come visto, erano i gruppi esterni alla Chiesa che impedivano ai giudici di ricevere l’ Eucaristia …
Le affermazioni della Bibbia e in particolare di s. Paolo erano evidentemente troppo chiare e forti perché la vera Chiesa e i suoi Vescovi potessero negare assolutamente la liceità della pena di morte; e sulle affermazioni bibliche, specie di s. Paolo si basano, come visto, due presupposti della liceità della pena di morte: il potere politico è divinamente istituito, i governanti civili hanno un’autorità moralmente legittima sulla vita e morte in particolare per punire i malvagi.
In questa linea la supposta opposizione della dottrina di alcuni Padri pre-costantiniani rispetto a quella di alcuni Padri post-costantiniani sembra più una costruzione moderna che una realtà antica … Certamente la dottrina della Chiesa cattolica, come vedremo, è giunta ad una chiarezza sempre più grande sul tema, fino alla grande sistemazione fissata da s. Tommaso, ma da sempre vi è stata una fondamentale accettazione della possibilità che il capo della comunità irrogasse in alcuni casi la pena di morte, Brugger è molto chiaro su questo punto, come visto, e con lui lo sono anche altri autori.
Dio ci illumini sempre meglio.
b,3) Conclusioni sull’insegnamento dei Padri riguardo alla liceità della pena di morte.
Tirando le conclusioni riguardo sull’insegnamento dei Padri sulla liceità della pena di morte dobbiamo dunque dire che due dati fondamentali appaiono riconoscibili nei testi patristici: (1) che i governanti civili hanno un’autorità moralmente legittima sulla vita e morte; (2) che questa autorità è stata conferita da Dio ed è testimoniata nelle Scritture (cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 75)
Brugger aggiunge: “If we grant two Patristic assumptions, namely, that political power is divinely instituted and that inherent in that power is the right to kill malefactors, then the idea that the exercise of political power is incompatible with membership in God’s special community, the Church, suffers from an obvious tension.” [111]
Due presupposti patristici occorre avere ben presenti: il potere politico è divinamente istituito, insito in quel potere è il diritto di uccidere i malfattori. Questi due presupposti praticamente azzerano l’idea che l’esercizio del potere politico e quindi della pena di morte sia assolutamente incompatibile con l’appartenenza alla Chiesa. Il potere statale è istituito da Dio e da Dio ha il diritto di uccidere i malfattori, quindi la pena di morte in alcuni casi è lecita.
Il Cardinale Dulles ha affermato:“Ritornando alla Tradizione cristiana, possiamo notare che i Padri e i Dottori della Chiesa sono pressoché unanimi nel sostenere la pena capitale, anche se alcuni fra loro — come per esempio sant’Ambrogio (339 ca.-397) — esortano i chierici a non pronunciare sentenze capitali o a servire come esecutori.”[112]
Brugger ha precisato significativamente:“Throughout the Patristic period, as we have seen, texts that question the prerogative of civil authority to exercise the death penalty are notably absent. In those accounts that address the question directly we find a virtually unanimous acceptance of such authority. Where reasons are elaborated, this acceptance is invariably grounded in an appeal to Scripture, in particular, Romans 13.”[113] Per tutto il periodo patristico sono assenti i testi che mettono in discussione la prerogativa dell’autorità civile di esercitare la pena di morte. In quei resoconti che affrontano direttamente la questione troviamo un’accettazione pressoché unanime di tale autorità. Laddove vengono elaborate le ragioni, questa accettazione è invariabilmente fondata su un appello alla Scrittura, in particolare a Romani 13.
Ancora Brugger ha scritto: “Among those Patristic writers … we find unanimous agreement that civil authority, as guardian of the public good, has the right to inflict punishments on evildoers, including the punishment of death. [114] Tra gli scrittori patristici troviamo un accordo unanime su questo: l’autorità civile, in quanto custode del bene pubblico, ha il diritto di infliggere pene sui malfattori, compresa la pena di morte. Quanto al motivo per cui i Padri sostenevano tale affermazione occorre dire che le loro ragioni erano allo stesso tempo teologiche, filosofiche e pratiche: teologiche perché questi scrittori fondano le loro affermazioni sull’autorità della Scrittura, in particolare sugli scritti dell’apostolo Paolo e soprattutto sulla lettera ai Romani, cap. 13 ; filosofiche perché ritenevano che questa verità fosse testimoniata dalla ragione umana, ragione che, come detto, ha praticamente sempre e ovunque accettato la liceità della pena di morte; e pratiche nella misura in cui le loro convinzioni riflettono le situazioni storiche in cui vivevano e le ipotesi convenzionali sulla natura dell’autorità e della punizione che condividevano.[115]
Precisiamo che in un bell’ articolo su questo tema p. A. Bellon, dopo aver spiegato chi sono i Santi Padri, riporta le affermazioni di p. Congar secondo cui: “L’unanimis consensus Patrum (l’unanime consenso dei Padri) è una norma sicura. Esprime il senso della Chiesa, e l’unanimità è sempre il contrassegno dello Spirito Santo. Si tratta di un consenso morale, che non esclude l’esistenza di qualche voce divergente.” [116]. L’unanime consenso dei Padri non esclude l’esistenza di qualche voce divergente. Al momento non pare ci siano voci di Padri che avversano radicalmente la liceità della pena di morte ma seppure si trovasse qualche rara voce veramente divergente dal consenso unanime dei Padri, tale consenso sarebbe ugualmente unanime.
Riguardo al consenso unanime dei Padri occorre ricordare quello che afferma il Concilio Vaticano I “… a nessuno deve essere lecito interpretare tale Scrittura …. contro l’unanime consenso dei Padri.” (Concilio Vaticano I, Cost. Dogm. “Dei Filius”, c. 2: DS 3007)
In questa linea mi pare di dover affermare che a nessuno è lecito interpretare la Scrittura contro il consenso unanime dei Padri che affermano la fondamentale liceità della pena di morte.
Dio ci illumini.
b,4) Dottori e teologi medievali, in particolare s. Tommaso d’ Aquino.
Nel Medioevo, precisa il Card. Dulles nella linea di H. Lio, i principali canonisti e teologi hanno affermato la liceità da parte tribunali civili di pronunciare la pena di morte per reati gravissimi come l’omicidio e il tradimento; S. Anselmo, s. Alberto Magno[117] s. Bonaventura, s. Tommaso d’Aquino e Duns Scoto sostennero la liceità della pena di morte fondandola sull’autorità della Scrittura e della tradizione patristica, e fornirono anche illuminanti argomenti dalla ragione.[118]
San Bonaventura, in un sermone sui precetti, attacca i manichei che distorcono il pensiero cristiano circa il comandamento che vieta di uccidere e rifiutano la pena capitale, egli risponde ai loro errori affermando che: quando il ministro della legge esegue la condanna a morte secondo la legge (giusta), è la legge che uccide l’uomo per una causa giusta e secondo spirito di giustizia, sicché il carnefice in questo caso esegue non per desiderio di vendetta, ma per amore per la giustizia.[119]
Lo stesso s. Bonaventura afferma: “ Ad illud vero quod obiicitur, quod in iudicialibus praecipitur interficere maleficos ; dicendum, quod nulla est ibi contradictio , quia in uno prohibetur homicidium innocentis et iusti, in alio praecipitur occisio malefici. In uno etiam prohibetur homicidium ex propria auctoritate, in alio iniungitur ex auctoritate Legis; et ista duo non habent oppositionem nec repugnantiam.”[120]
S. Tommaso, in particolare, cui il Papa dice di rifarsi nell’ Amoris Laetitia, a questo riguardo nella Summa Theologiae scrive:“Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, licitum est occidere animalia bruta inquantum ordinantur naturaliter ad hominum usum, sicut imperfectum ordinatur ad perfectum. Omnis autem pars ordinatur ad totum ut imperfectum ad perfectum. Et ideo omnis pars naturaliter est propter totum. Et propter hoc videmus quod si saluti totius corporis humani expediat praecisio alicuius membri, puta cum est putridum et corruptivum aliorum, laudabiliter et salubriter abscinditur. Quaelibet autem persona singularis comparatur ad totam communitatem sicut pars ad totum. Et ideo si aliquis homo sit periculosus communitati et corruptivus ipsius propter aliquod peccatum, laudabiliter et salubriter occiditur, ut bonum commune conservetur, modicum enim fermentum totam massam corrumpit, ut dicitur I ad Cor. V. ”(II-II, q. 64 a. 2 in c.). Dunque, qualora la salute di tutto il corpo umano esiga il taglio di un membro cancrenoso o dannoso per il resto dell’organismo, lodevolmente e con vantaggio per la salute esso viene tagliato; ma ciascun individuo sta a tutta la comunità come una parte sta al tutto, come un membro sta a tutto il corpo, perciò se un uomo per i suoi peccati è pericoloso per la comunità e la corrompe, è cosa lodevole e salutare sopprimerlo, per la conservazione del bene comune; infatti, come dice S. Paolo (1 Cor 5, 6), «un po‘ di lievito fa fermentare tutta la pasta». Ancora s. Tommaso afferma: “Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, occidere malefactorem licitum est inquantum ordinatur ad salutem totius communitatis. Et ideo ad illum solum pertinet cui committitur cura communitatis conservandae, sicut ad medicum pertinet praecidere membrum putridum quando ei commissa fuerit cura salutis totius corporis. Cura autem communis boni commissa est principibus habentibus publicam auctoritatem. Et ideo eis solum licet malefactores occidere, non autem privatis personis.”(I-II, q. 64 a. 3 in c.) Uccidere un malfattore, in quanto la sua uccisione è ordinata alla salvezza di tutta la collettività, è azione moralmente lecita e spetta soltanto a colui al quale è affidata la cura della sicurezza collettiva.
Nelle “Collationes in decem praeceptis” s. Tommaso afferma: “ Quidam dixerunt hic prohibitum esse homicidium hominis omnino. Unde homicidas dicunt esse iudices saeculares, qui condemnant secundum leges aliquos. Contra quos dicit Augustinus, quod Deus per hoc praeceptum non abstulit sibi potestatem occidendi: unde Deut. XXXII, 39: ego occidam, et vivere faciam. Est ergo licitum illis qui mandato Dei occidunt, quia tunc Deus facit. Omnis enim lex mandatum Dei est. Prov. VIII, 15: per me reges regnant, et legum conditores iusta decernunt. Et apostolus, Rom. XIII, 4: si malum feceris, time: non enim sine causa gladium portat, Dei enim minister est. Moysi quoque dicitur, Exod. XXII, 18: maleficos non patieris vivere. Id enim quod licitum est Deo, licitum est et ministris eius, per mandatum ipsius. Constat autem quod Deus non peccat, cum sit auctor legum, infligendo mortem propter peccatum. Rom. VI, 23: stipendia peccati mors. Ergo nec minister eius. Est ergo sensus: non occides .” (“Collationes in decem praeceptis”, a. 7)
Alcuni dissero che era proibito sempre uccidere l’uomo per cui i giudici secolari venivano accusati di essere assassini ma Dio non ha tolto a sé la potestà di uccidere e perciò è lecito uccidere per comando di Dio, e chi uccide per comando di Dio si fa strumento attraverso cui Dio uccide colui che deve essere ucciso.
Ogni legge divina è un comando di Dio, i capi delle nazioni che secondo la Verità condannano a morte e fanno morire i malvagi sono ministri di Dio (Rm 13, 4) . Ciò che è lecito a Dio è lecito ai suoi ministri per mandato di Dio. Dio non pecca infliggendo la morte per il peccato (Rm 6,23) quindi neppure pecca il ministro di Dio che uccide per mandato di Dio. Il senso del comandamento è dunque il seguente: non ucciderai per autorità tua.
Un altro testo particolarmente illuminante circa la dottrina tomista su questo argomento che stiamo trattando è il seguente, che troviamo nella Somma contro i gentili: “ Siccome alcuni disprezzano le punizioni inflitte da Dio, perché essendo dediti alle cose sensibili badano soltanto alle cose che si vedono, la divina provvidenza ha ordinato che ci siano sulla terra degli uomini i quali con pene sensibili e presenti, costringano costoro ad osservare la giustizia. Ora, è evidente che tali persone non peccano quando puniscono i malvagi. Infatti: Nessuno pecca nel compiere la giustizia. Ma che i malvagi siano puniti è una cosa giusta: poiché, come abbiamo visto sopra [c. 140], la colpa viene riparata dalla pena. Dunque i giudici non peccano nel punire i malvagi. … 5. Come il medico ha di mira la salute, che consiste nell’ordinata concordia degli umori, così il reggitore dello stato ha di mira la pace, che consiste nell’«ordinata concordia dei cittadini» [cfr. c. 128]. .. Quindi anche il reggitore dello stato uccide con giustizia e senza peccato gli uomini malvagi, affinché non sia turbata la pace dello stato. … Poiché nella legge in cui si dice: «Non uccidere», si aggiunge anche «Non lasciar vivere i malfattori» (Es., XXII, 18). Facendo così comprendere che è proibita l’uccisione ingiusta degli uomini. … Il fatto poi che i malvagi mentre vivono possono emendarsi, non toglie che si possano giustamente uccidere: poiché il pericolo derivante dal loro vivere è più grave e più certo che il bene sperato della loro emenda.”[121] Come dice s. Tommaso, dunque, la pena di morte è lecita perché il pericolo derivante dal vivere dei malvagi è più grave e più certo che il bene sperato della loro emenda. In un altro testo s. Tommaso precisa “quicumque non cavet pericula, videtur contemnere id cuius detrimentum pericula inducere possunt”(Quodlibet III, q. 4 a. 1 ad 3) chi non sta attento ai pericoli mostra di disprezzare ciò di cui i pericoli possono indurre il danno. Chi non sta attento,quindi, al pericolo che possono determinare per una comunità coloro che hanno commesso gravi reati mostra di disprezzare la comunità stessa e la vita di coloro che da tali criminali possono essere uccisi o gravemente danneggiati. La pena di morte è lecita perché il pericolo derivante dal vivere dei malvagi è più grave e più certo che il bene sperato della loro emenda. Se il sistema carcerario è davvero efficace il criminale è messo in prigione e il pericolo , in certo modo, cessa ma se non c’è un tale efficace sistema, il pericolo rimane, ed è un pericolo che s. Tommaso indica come più grave e più certo della sua emenda.
Dio ci illumini e ci faccia capire che la carità e con essa la prudenza portano, come spiega s. Tommaso, a irrogare la pena di morte: “ Per questo le leggi divine e umane comandano di uccidere questi peccatori, da cui ci si può attendere più un danno per gli altri che l’emenda. Tuttavia il giudice non fa questo per odio verso di loro, ma per l’amore di carità che fa preferire il bene pubblico alla vita di una persona singola. Inoltre la morte inflitta dal giudice giova anche al peccatore: se, infatti, egli si converte, la sua morte serve all’espiazione della colpa, e se non si converte la sua morte serve alla cessazione del male, così, infatti, gli viene tolta la possibilità di fare altri peccati.” [122] L’amore di carità porta a infliggere in certi casi la pena di morte per il vero bene della comunità e anche del reo, in questa linea la legge divina e umana comanda giustamente di infliggere in certi casi la pena di morte.
Riguardo alla carità, in particolare, nell’irrogare la pena di morte, s. Tommaso precisa che colui che svolge il compito di capo della comunità può lecitamente punire e anche uccidere i malfattori, mentre li ama con la carità; spiega infatti s. Gregorio che i giusti compiono l’azione giudiziaria nella carità:“Ad decimum dicendum, quod licite potest ille ad quem ex officio pertinet, malefactores punire, vel etiam occidere, eos ex caritate diligendo. Dicit enim Gregorius in quadam homilia, quod iusti persecutionem commovent, sed amantes: quia si foris increpationes per disciplinam exaggerant, intus tamen dulcedinem per caritatem servant.”(De virtutibus, q. 2 a. 8 ad 10) Possiamo infatti arrecare un male temporale per carità ai malfattori per tre ragioni: “ Primo quidem, propter eorum correctionem. Secundo, in quantum aliquorum temporalis prosperitas est in detrimentum alicuius multitudinis, vel etiam totius Ecclesiae … Tertio, ad servandum ordinem divinae iustitiae …”.(Cfr. De virtutibus, q. 2 a. 8 ad 10)
Possiamo arrecare un male temporale per carità ai malfattori per tre ragioni: (1) per correggerli, (2) in quanto la loro prosperità va a danno di un popolo o della Chiesa perché se costoro crescono molti vengono oppressi, (3) per conservare l’ordine della divina giustizia.
Faccio notare che secondo s. Tommaso, da quanto abbiamo detto, la carità e quindi la prudenza portano all’atto di infliggere la pena di morte, nei casi in cui è giusto farlo (cfr. De virtutibus, q. 2 a. 8 ad 10); non compiere tale atto quando è giusto farlo significherebbe, normalmente, realizzare una grave imprudenza mettendo in pericolo la comunità e spesso i più deboli di essa.
Inoltre occorre notare che s. Tommaso nel testo appena visto spiega quali sono le vere funzioni della pena, cioè gli scopi cui si mira allorché per carità si infligge una pena ad una persona.
Precisa s. Tommaso in un altro testo: “Si infligge una grave pena non soltanto per la gravità della colpa, ma anche per altri motivi. Primo, per la grandezza del peccato: poiché a un delitto maggiore, a parità di condizioni, è dovuta una pena più grave. Secondo, per l’abitudine di peccare: poiché gli uomini non si staccano facilmente dall’abitudine di peccare se non mediante gravi pene. Terzo, per l’intensità della concupiscenza o del piacere nel peccato: poiché anche da questi peccati gli uomini non si distaccano senza gravi punizioni. Quarto, per la facilità di commettere il peccato e di nasconderlo: infatti questi peccati, quando vengono scoperti, vanno puniti più severamente, per spaventare gli altri.”[123] S. Tommaso nel testo appena visto sottolinea in maniera particolare la funzione esemplare e medicinale della pena. Invece nel testo precedente ha parlato anche della funzione funzione vendicativa della pena. Mi pare interessante notare qui che la pena ha, secondo la dottrina tradizionale, seguita da s. Tommaso, tre funzioni: una funzione vendicativa, tendente a restaurare l’ordine infranto e all’espiazione del crimine; una funzione esemplare tendente a dissuadere i potenziali delinquenti e ad evitare le ricadute nel crimine; una funzione medicinale che mira all’emenda del reo, alla sua “conversione”. Tale dottrina ha origini molto antiche si può ritrovare anche in s. Gregorio Magno (cfr. Gregorii Magni “Registrum epistularum” l. XII, epistula 11) secondo cui una punizione adeguata è realizzata in modo tale da comprendere sia una punizione proporzionata per l’autore del reato sia un motivo di paura per coloro che condividono il suo ordine. [124]” . La giusta pena è quindi, secondo s. Gregorio (cfr. Gregorii Magni “Registrum epistularum” l. VIII, epistula19) una punizione per cui è riparata l’offesa fatta a Dio e il castigo inflitto è un esempio che induce gli altri alla correzione[125]” . La pena per s. Gregorio (cfr. Gregorii Magni “Registrum epistularum”l. IX, epistula 86) ha uno scopo: sociale per cui deve evitare il contagio del male e deve dissuadere dal compimento delle azioni malvagie; uno scopo individuale per cui è un dovere e un castigo, in modo che la punizione corregga la colpa.[126]
Anche la Bibbia mette in evidenza questo ruolo esemplare della pena: “Se si leva un testimone ingiusto contro un uomo per accusarlo di ribellione, i due uomini fra cui vi è contesa compariranno al cospetto del Signore, davanti ai sacerdoti e ai giudici che saranno in funzione in quei giorni. I giudici indagheranno con cura, e se il testimone è menzognero e ha accusato falsamente il fratello, farete a lui quanto meditava di fare al fratello. Estirperai il male in mezzo a te. Gli altri ne sentiranno parlare, ne avranno paura e non commetteranno di nuovo un’azione malvagia come questa in mezzo a te.” (Dt 19,15-20)
La Bibbia è il faro che guida le riflessioni dei grandi teologi, nella sua luce i grandi Dottori che abbiamo visto finora hanno affermato la liceità della pena di morte, nella sua luce anche s. Antonino ha ribadito tale liceità e ha respinto l’errore di coloro che affermano che il precetto biblico vieta l’uccisione di qualsiasi uomo, anche malfattore, e che chiamano omicidi i giudici e gli ufficiali che uccidono i colpevoli; il santo Arcivescovo di Firenze, in particolare, oppone a questi erranti l’autorità di s. Agostino e delle Scritture, quindi aggiunge che: i giudici, uccidendo i colpevoli secondo l’ordine legale, uccidono secondo il mandato di Dio, che ha stabilito le leggi che ordinano l’uccisione del colpevole; Dio che ha dato il comando di non uccidere non si è privato per ciò del potere di uccidere, come risulta chiaramente dalla Bibbia, e i giudici e i carnefici che irrogano la pena di morte lecitamente lo fanno appunto per mandato di Dio; il s. Vescovo cita anche la lettera di s. Paolo ai Romani cap. 13 per poggiare sul dato biblico le sue affermazioni.[127]
b,5) Altri Dottori e santi più recenti.
Successivamente grandi Dottori della Chiesa come s. Roberto Bellarmino[128] e sant’Alfonso Maria Liguori sostennero tranquillamente la liceità di tale pena e con essi Francisco de Vitoria[129] e Francisco Suárez[130].
San Pietro Canisio, nel suo Grande Catechismo, si domanda: quando siamo colpevoli di connivenza con il peccato? E risponde dicendo che commettiamo tale peccato quando lasciamo che si commetta impunemente un male o lasciamo che si aggravi un male che potremmo o dovremmo reprimere o punire con i mezzi che sono propri della nostra autorità. Questo è il peccato dei ministri della giustizia che portano la spada ma non ne fanno uso, cioè che non infliggono la pena di morte quando occorre, e così non reprimono i criminali o coloro che eccitano le sedizioni.[131]
San Roberto Bellarmino afferma che è lecito che i magistrati cristiani puniscano con la spada la perturbazione della pace pubblica e dimostra questa liceità dalle Scritture, dai Padri, dalla ragione e confuta gli errori di coloro che negano tale liceità.[132]
S. Alfonso afferma riguardo alla pena di morte “9. A niuno è lecito uccidere un altro uomo, se non già o per autorità pubblica, o per difesa propria. Per l’autorità pubblica possono certamente uccidersi i rei condannati, ed anche i proscritti (volgarmente fuorgiudicati), purché si stia nel territorio del principe proscribente. .”[133]
Afferma lo stesso s. Dottore in un’altra opera: “Per due sole cause è permesso l’uccidere il prossimo, per l’autorità pubblica, e per la propria difesa: per l’autorità pubblica, che condanna i malfattori alla morte per mano de’ carnefici; ed anche dà licenza ad ognuno di uccidere i proscritti … . Qui si noti per 1. che i chierici, ancorché giudici, non possono condannare altri a morte; solamente possono commettere ai laici una tal potestà, se l’hanno. Si noti per 2., che ogni giudice dee concedere a’ condannati a morte il tempo così di confessarsi, come di comunicarsi (N. 10.). In oltre è permesso uccidere l’ingiusto aggressore per difender la propria vita, quando non v’è altro modo di difendersi; così s. Tommaso (2. 2. q. 64. a. 7) cogli altri dd. comunemente, come sta espresso nel cap. Si vero, 3. de sent. excomm., dove si dice: Cum vim vi repellere omnes leges, omniaque iura permittant etc. Né osta il dire, che la vita spirituale del prossimo dee preferirsi alla vita temporale propria; poiché (come ben rispondono il Petrocorense, e gli altri autori comunemente) ciò corre sol quando il prossimo sta in estrema necessità della vita; per esempio, noi siam tenuti anche col pericolo della nostra vita a battezzare un bambino, che sta in prossimo pericolo di morir senza battesimo; ma non corre, quando l’aggressore volontariamente si espone al pericolo di morire, e dannarsi, perché allora la sua morte tutta s’imputa alla sua volontà e malizia.”[134]
Nell’ “Istruzione al popolo” s. Alfonso afferma: “… in quanto poi al prossimo solamente per tre cause è lecito uccidere un altro uomo: per l’autorità pubblica, per la propria difesa, e per la guerra giusta. Per l’autorità pubblica è ben lecito, anzi è obbligo de’ principi e de’ giudici di condannare i rei alla morte che si meritano, ed è obbligo de’ carnefici di eseguire la condanna. Dio stesso vuole che siano puniti i malfattori.”[135]
Sottolineo ancora con tutta la forza che qui non sto dicendo, né la Chiesa ha mai detto, che la pena di morte è sempre lecita ma che in alcuni casi molto particolari e particolarmente gravi essa è lecita. Sappiamo tutti molto bene che in molti o moltissimi casi i potenti uccidono i loro avversari coprendosi con il manto della “giustizia” attraverso processi pilotati e condanne a morte ingiuste e che spesso sono i più deboli e indifesi ad essere condannati a morte appunto perché non hanno potuto difendersi efficacemente in processo etc.; la sapienza cristiana è certamente molto ben consapevole di tutto questo … ma è consapevole anche del fatto che in alcuni casi molto particolari e particolarmente gravi la pena di morte è lecita, come stiamo vedendo.
c) Insegnamenti Magisteriali e Papali sulla pena di morte
Dio ci illumini sempre meglio.
I Papi , praticamente fino a Benedetto XVI, hanno accettato pacificamente la liceità della pena di morte in alcuni casi.
La legittimazione operata dalla Bibbia circa la pena di morte è stata recepita pienamente dal Magistero papale e in un testo di s. Innocenzo I nella lettera ad Exsuperius, dell’anno 405, leggiamo “ Si pone la domanda su coloro che dopo il Battesimo furono pubblici amministratori e usarono i soli strumenti di tortura o anche emisero la sentenza di condanna a morte. Di costoro non leggiamo alcunché come definito dagli antichi. Va ricordato infatti che tali poteri furono concessi da Dio e che, per punire i malvagi, la spada è stata permessa, inoltre è stato indicato che il ministro di Dio punisca in questo modo (Rm 13, 1. 4) Come potevano condannare un comportamento che vedevano essere stato concesso per autorità di Dio? Riguardo a costoro dunque, continuiamo a regolarci come come ci si è regolati finora, perché non paia che sovvertiamo la disciplina o che andiamo contro l’autorità del Signore. Sia riservato ad essi stessi di rendere ragione di tutte le loro azioni.”[136]
Il testo di s. Innocenzo I va ben analizzato , esso afferma anzitutto che Innocenzo segue la Tradizione , e segue la Scrittura (Rm 13); tali poteri, spiega il Papa, furono concessi da Dio e che, per punire i malvagi, la spada è stata permessa, inoltre è stato indicato che il ministro di Dio punisca in questo modo (Rm 13, 1. 4). Come potevano condannare, i predecessori di Innocenzo, un comportamento che vedevano essere stato concesso per autorità di Dio? Perciò non avevano definito nulla contro coloro che dopo il Battesimo furono pubblici amministratori e usarono i soli strumenti di tortura o anche emisero la sentenza di condanna a morte. L’espressione per cui nulla era stato definito non va intesa in generale riguardo a queste persone ma nel senso che nulla era stato definito di contrario ad esse, nessuna condanna era stata fissata contro di loro, invece era stata fissata almeno a grandi linee una disciplina, che s. Innocenzo I segue, che permette loro di continuare la loro vita nella comunità ecclesiale.
Ma cosa dire delle affermazioni di un Sinodo di Roma (Sinodo Romano ai Vescovi della Gallia, (Epistola V, 13, PL XIII ,1190) secondo cui non possono essere esenti da peccato i magistrati che hanno esercitato il loro mandato e hanno mandato a morte persone ? Lo stesso testo della Patrologia Latina precisa (PL XIII, p. 1180, V; nota e, pag. 1190;) che qui si tratta di persone che dovevano essere elevate al ministero episcopale nella Chiesa e spiega che di queste persone parla anche Papa s. Innocenzo I nella sua lettera II, quella scritta a Vittricio (PL 20 , 472), nella quale, al n. 2, afferma, nella linea di s. Siricio, che coloro che dopo il Battesimo avranno “ricevuto il cingolo della milizia”, cioè avranno fatto parte dell’esercito, non devono essere ammessi a fare parte del clero.
Le affermazioni di Innocenzo I e di Siricio, entrambi santi, sono in evidente accordo se si pensa che Innocenzo divenne Papa circa 2 anni dopo la morte di Siricio e che perciò conosceva molto bene le affermazioni di quest’ultimo e sapeva bene quale era la disciplina che veniva osservata durante il pontificato di lui.
Leone Magno , Papa, affermò significativamente riguardo all’empietà dei priscilliani “ Merito Patres nostri … instanter egere, ut impius furor ab universa Ecclesia pelleretur: quando etiam mundi principes ita hanc sacrilegam amentiam detestati sunt, ut auctorem eius (scl. Priscillianum) cum plerisque discipulis legum publicarum ense prosternerent. Videbant enim omnem coniugiorum copulam solvi simulque divinum ius humanumque subverti, si huiusmodi hominibus usquam vivere cum tali professione licuisset. Profuit diu ista districtio ecclesiasticae lenitati, quae etsi sacerdotali contenta iudicio, cruentas refugit ultiones, severis tamen christianorum principum constitutionibus adiuvatur, dum ad spiritale nonnumquam recurrunt remedium, qui timent corporale supplicium. …”[137]
Chiaramente qui Leone Magno afferma non solo la liceità della pena di morte ma elogia i pubblici poteri che l’hanno adoperata per reprimere l’eresia priscilliana. Ricordo che Leone Magno è non solo un Padre ma Dottore della Chiesa e Papa! Le sue parole sono quindi particolarmente preziose.
Queste parole furono riprese nel III Concilio Lateranense poco prima dell’anatema contro gli Albigesi: “… come disse il beato Leone [I], ecc. “(Can. 27). (Cfr. COD p.224).
Papa Simplicio, nel 478, raccomanda all’imperatore Zenone di mettere a morte gli assassini dei vescovi; questi sacrileghi uccisori, secondo il Pontefice, sono degni di perire per mezzo di questi tormenti, con tali pene la Chiesa e l’Impero troveranno riposo, con esse si attireranno i favori divini sull’ Impero .[138]
La stessa giustificazione è data da Pelagio I, in una lettera al duca d’Italia, allorché il Pontefice afferma che non bisogna pensare che sia peccato punire vescovi refrattari, infatti è stabilito dalle leggi divine e umane che i disordini della pace e dell’unità della Chiesa devono essere repressi dal potere civile, e questo è il più grande servizio che si può rendere alla religione.[139]
Onorio I riconosce ancora questo potere e chiede che l’autore di uno stupro riceva la pena di morte, che tale punizione non sia ritardata, e che sia notificata al maggior numero di persone.[140]
Lo stesso Dunot , nello stesso articolo appena citato afferma che san Gregorio Magno, Papa, insegna la legittimità della pena capitale in diverse sue lettere, riconoscendo che gravi crimini meritano tale pena. In un caso, parlando della violenza inflitta al vescovo Janvier de Malaga egli dice che: la legge punisce l’autore di un simile insulto con la pena di morte. (Lett. XIII, 49) In una lettera ad una regina (Lett. VIII, 4), la esorta a riparare le offese fatte a Dio punendo con la pena di morte gli adulteri, i ladri e i responsabili di altre azioni depravate per cui è prevista tale pena[141] Ricordo che la giusta pena è, secondo s. Gregorio , una punizione per cui: è riparata l’offesa fatta a Dio, è offerto un esempio che induce gli altri a non commettere il male, è corretta la colpa.[142] La pena per s. Gregorio (cfr. Gregorii Magni “Registrum epistularum” l. IX, epistula 86) ha uno scopo sociale e uno individuale; lo scopo sociale è quello per cui deve evitare il contagio del male e deve dissuadere dal compimento delle azioni malvagie; lo scopo individuale è quello per cui è un dovere e un castigo, in modo che la punizione corregga la colpa.[143]
Dio ci illumini sempre meglio.
San Nicola I nella sua risposta ai bulgari[144] tra le altre cose afferma che : quanto a coloro che hanno trucidato il loro consanguineo è bene che le rispettabili leggi trovino la loro applicazione ma se i colpevoli si sono rifugiati nella chiesa, siano strappati dalla morte promessa dalle leggi.[145]Ovviamente ciò significa che le leggi rispettabili prevedevano la pena di morte per coloro che uccidevano i loro consanguinei e Papa Nicola accetta che esse si applichino, solo chiede che ai colpevoli sia risparmiata la morte se si sono rifugiati in chiesa. S. Nicola non era radicalmente contrario, quindi, alla pena di morte! … e non parlava radicalmente contro la pena di morte; come poteva farlo, d’altronde, se Rm 13, 4, come visto, è chiarissima nel concedere ai governanti il diritto di uccidere i malvagi?
Le affermazioni di s. Nicola I sono state considerate da alcuni come una testimonianza di opposizione alla pena di morte, Nicola I sarebbe una specie di abolizionista del nono secolo … Le cose stanno ben diversamente se si considera quello che ho detto sopra e se si considera anche quello che la Tradizione cattolica affermava fino ad allora, come abbiamo visto. La Tradizione, come visto, affermava chiaramente che la pena di morte era lecita Nessun autore del tempo ha considerato rivoluzionarie rispetto alla Tradizione e contrarie alla Tradizione le affermazioni di s. Nicola ai Bulgari perché esse, in realtà, come detto, seguivano la Tradizione e affermavano la liceità della pena di morte. Nicola I non ha elevato una protesta contro le condanne a morte irrogate dai re cristiani di quei tempi, eppure è evidente che se ne comminavano … infatti Nicola I non si opponeva alla liceità della pena di morte. Le affermazioni di s. Nicola I non hanno determinato l’opposizione alla pena di morte a Roma o in Italia o altrove … semplicemente perché esse non si opponevano alla pena di morte … L’idea che s. Nicola sia un abolizionista appare un’idea che è sorta quando alcuni cattolici abolizionisti hanno cercato appigli alle loro affermazioni nella Tradizione … purtroppo, però, in questo caso hanno trovato un falso appiglio …
Urbano II, in un decreto indirizzato al vescovo di Lucca, legittimò una condanna a morte non ancora giudiziariamente pronunciata; egli non chiama omicidio quello di coloro che, nell’ardore del loro zelo per la loro madre, la santa Chiesa, hanno messo a morte degli scomunicati, ma chiede che costoro ricevano una penitenza adeguata, il testo è ripreso da Graziano [146]
In questa linea, Papa Innocenzo III nel 1199, con la Decretale Vergentis[147] traccia un parallelo tra eretici e colpevoli di lesa maestà, e scrive che secondo le sanzioni legittime i colpevoli di lesa maestà sono puniti con la morte, ancora di più più gli eretici che offendono Gesù Cristo devono essere separati dalla nostra testa che è Cristo.[148]
Lo stesso Pontefice, ribadirà ulteriormente la legittimità di tale pena capitale ordinando ai discepoli di Pietro Waldo, che cercavano la riconciliazione con la Chiesa, di accettare esplicitamente la dottrina cattolica sulla liceità della pena di morte : “De potestate saeculari asserimus, quod sine peccato mortali potest iudicium sanguinis exercere, dummodo ad inferendam vindictam non odio, sed iudicio, non incaute, sed consulte procedat”[149]. Che significa essenzialmente quanto segue: il potere secolare può, senza peccato mortale, esercitare il giudizio del sangue, cioè irrogare la pena di morte, purché nell’ infliggere la pena proceda non per odio, ma a ragion veduta, con prudenza, senza avventatezza. Il fatto che Innocenzo III abbia inserito la liceità della pena di morte tra le verità che i valdesi dovevano credere espressamente per entrare nella comunione della Chiesa Cattolica mostra che tale verità era evidentemente ritenuta come parte importante della dottrina della Chiesa.
Brugger nel suo testo sulla pena di morte riporta anche una lettera di Innocenzo III a Durando scritta nel luglio 1209 in cui il Pontefice afferma che è un errore affermare che il potere secolare non può, senza peccato mortale, condannare qualcuno a morte.[150]
I Papi Lucio III[151] Innocenzo III[152], Gregorio IX[153] e Bonifacio VIII[154] adottarono decretali, passate nella legislazione universale, che prevedevano che l’eretico fosse messo in potere del braccio secolare per la punizione ; la punizione che essi indicavano per tale delitto era la pena capitale per cremazione. [155] Al di là di ogni altra considerazione circa le pene per il crimine di eresia e per reati simili, questo indica chiaramente che per la dottrina cattolica è lecito infliggere la pena di morte in alcuni casi.
Bonifacio VIII arrivò a minacciare di sanzionare le autorità temporali che non procedevano senza indugio (indilando) all’esecuzione degli eretici; lo stesso Pontefice stabilì di abbandonare al braccio secolare gli assassini dei Cardinali perché tali assassini fossero puniti con la morte .[156]
La decretale Furatur[157], parafrasando l’Esodo (21, 16), afferma che chiunque sia stato riconosciuto colpevole di un rapimento e abbia venduto la persona rapita sia messo a morte.[158]
Nel 1215, durante il Concilio Lateranense IV (XII Ecumenico), fu adottato il canone Excommunicamus, che ordinò l’abbandono degli eretici condannati “ai poteri secolari” (cost. 3) … con conseguente irrogazione della pena capitale (COD p. 233 ss.) questo testo passerà nelle Decretali di Gregorio IX[159].
Per avere maggiore chiarezza sulla punizione degli eretici in quei tempi mi pare interessante riportare questo testo che tratta della punizione riservata agli eretici dalla legislazione di Federico II: “La norma federiciana stabiliva, prima di tutto, che gli eretici condannati dalla Chiesa e assegnati al giudizio secolare fossero puniti animadversione debita, un eufemismo che ormai indicava tecnicamente la pena capitale. Se, per paura della morte, il reo avesse deciso di tornare all’ortodossia, sarebbe stato comunque punito con il carcere perpetuo, come stabiliva la decretale del 1231, riprendendo a sua volta un canone del concilio di Tolosa del 1229 (cap. 11, in Mansi, vol. 23, coll. 191-205). La pena di morte veniva inflitta non solo agli eretici, ma anche ai favoreggiatori e a chi, dopo aver abiurato nel timore della morte, fosse tornato all’eresia.”[160]
Risoluzione uguale a quella del Concilio Lateranense IV sarà adottata dal Concilio di Costanza contro i wyclifiti (cfr. COD pp. 414ss) e gli hussiti (cfr. COD p. 429, condanna a rogo di Hus).
Tra le sentenze condannate dal Concilio di Costanza nella dottrina di Wicleff vi è quella per la quale questo eretico mostra di opporsi alla consegna degli eretici al braccio secolare infatti afferma che Dio non può approvare che uno venga giudicato civilmente o condannato civilmente (cfr. COD p. 425, n.44)
Tra le sentenze condannate nella dottrina di Hus dal Concilio di Costanza vi è quella per la quale questo eretico mostra di opporsi alla consegna degli eretici al braccio secolare (cfr. COD p. 430, n.14)
Secondo Seppelt Martino V non convalidò mai formalmente i decreti del Concilio di Costanza , tale convalida invece fu realizzata da Eugenio IV nel 1446 con la riserva: “senza pregiudizio del diritto, della dignità e della preminenza della Sede apostolica”. (F. X. Seppelt- G. Schwaiger “Storia dei Papi” Ed. Mediterranee, Roma 1964 v. III p. 186)
Martino V accettò, comunque, i decreti del Concilio di Costanza; C. Bianca afferma: “La piena adesione ai decreti del concilio che lo aveva eletto è testimoniata dalla bolla del 22 febbr. 1418 con la quale Martino V ribadiva congiuntamente la condanna per John Wyclif, Jan Hus e Girolamo da Praga.”[161]
R. De Mattei precisa :“Martino V, eletto “vero” Papa a Costanza l’11 novembre 1417, nella bolla Inter cunctas del 22 febbraio 1418, riconobbe l’ecumenicità del Concilio di Costanza e tutto ciò che esso aveva deciso negli anni precedenti, sia pure con una formula genericamente restrittiva: «in favorem fidei et salutem animarum»[162] Il testo di Hefele “Histoire des Conciles d’après les documents originaux”, tradotto in francese e pubblicato in una edizione del 1876, afferma che Martino V realizzò tale riconoscimento attraverso un questionario che egli voleva fosse presentato a coloro che erano sospetti di eresia. Riguardo a tale questionario Hefele afferma: “Comme nous l’avons vu , les évêques et les inquisiteurs devaient demander à tout suspect s’il croyait que le concile général , et nommément celui de Constance , représentait l’Église universelle , et s’il regardait ce que le dit concile , représentant l’Église universelle , avait approuvé et approuvait in favorem fidei et salutem animarum , comme devant être observé par tous les fidèles chrétiens , etc. (art.5)”[163] I Vescovi e inquisitori dovevano domandare ad ogni uomo sospetto di eresia se egli credesse che il Concilio di Costanza rappresenta la Chiesa e se egli considerasse i decreti del Concilio, realizzati «in favorem fidei et salutem animarum», come obbligatori per tutti i fedeli cristiani. Ovviamente questo voleva dire che tale Concilio di Costanza e i suoi documenti erano accolti dalla Chiesa e dovevano esserlo dai fedeli. Con tale documento, quindi, Martino V ribadiva la dottrina di tale Concilio circa la liceità della pena di morte e la rafforzava perché in tale questionario per esaminare la dottrina professata da persone sospette di wyclifismo e hussismo, si chiedeva esplicitamente alla persona esaminata se credesse nella possibilità per i prelati di fare appello al braccio secolare[164] e quindi di far infliggere la pena di morte. Una tale domanda è estremamente significativa della importanza di tale questione all’interno della dottrina cattolica; se non fosse importante , e molto importante, certamente non sarebbe stata posta a queste persone per riconoscerne la cattolicità. In sostanza Martino V riconosce pienamente la dottrina per cui è possibile condannare a morte un eretico e a sua volta condanna come eretici coloro che non accettano tale dottrina.
Una decisione del Concilio ecumenico di Vienne del 1311-1312[165], condanna l’uso di rifiutare il Sacramento della Confessione ai condannati a morte; i Padri conciliari desideravano, evidentemente, che i condannati a morte potessero fare ricorso a quel Sacramento prima della pena capitale, questo regolamento universale era stato preceduto da altri, locali, nel VII e IX secolo, come il can. 27 del Concilio di Magonza nell’847 (Mansi v. 14 p. 910ss) Qui l’abuso condannato non è la pena di morte, ma il rifiuto di fornire rimedi spirituali ai condannati. Il Papa esorta magistrati e signori temporali a far valere la possibilità per i condannati a morte di confessarsi e comunicarsi.[166]
Leone X, nel 1520, tra gli errori di Lutero inserì anche questo: “Che gli eretici siano bruciati è contro la volontà dello Spirito”.[167] Al di là di ogni altra considerazione circa le pene per il crimine di eresia e per reati simili, questa affermazione indica chiaramente che per la dottrina cattolica è lecito infliggere la pena di morte in alcuni casi. L’errore per cui Lutero nega che possa essere inflitta la pena di morte per eresia, rientra tra gli errori indicati da Leone X in questo modo: abbiamo visto che questi medesimi errori o articoli non sono cattolici, e non vanno creduti tali, ma che sono contrari alla dottrina della Chiesa Cattolica ed alla Tradizione, soprattutto alla vera e comune interpretazione delle divine Scritture … infatti dai medesimi errori o da alcuni deriva chiaramente che la stessa Chiesa, che è retta dallo Spirito Santo, erri o e abbia sempre errato.[168]
Inoltre, aggiunge Leone X, nello stesso documento:“ Praefatos omnes et singulos articulos seu errores tamquam, ut praemittitur, respective haereticos, aut scandalosos, aut falsos, aut piarum aurium offensivos, vel simplicium mentium seductivos, et veritati catholicae obviantes, damnamus, reprobamus, atque omnino reicimus.”[169]
Che significa che “… col parere e l’assenso dei medesimi venerabili Nostri fratelli, dopo matura deliberazione sopra ciascuno dei detti articoli, per l’autorità di Dio onnipotente e dei beati apostoli Pietro e Paolo e Nostra condanniamo e riproviamo e rigettiamo tutti e singoli i predetti articoli ed errori, rispettivamente eretici, scandalosi, falsi, offensivi delle pie orecchie, capaci di sedurre lo spirito dei semplici e contrari alla verità cattolica; e dichiariamo e definiamo che da tutti i Cristiani, di ambo i sessi, debbono essere ritenuti condannati, riprovati e rigettati.”[170] Quindi l’errore di Lutero circa la pena di morte per gli eretici si trova in questo gruppo di errori di cui si dice: per l’autorità di Dio onnipotente e dei beati apostoli Pietro e Paolo e Nostra condanniamo e riproviamo e rigettiamo tutti e singoli i predetti articoli ed errori, rispettivamente eretici, scandalosi, falsi, offensivi delle pie orecchie, capaci di sedurre lo spirito dei semplici e contrari alla verità cattolica; e dichiariamo e definiamo che da tutti i Cristiani, di ambo i sessi, debbono essere ritenuti condannati, riprovati e rigettati.
Il Catechismo Romano, insegnò la liceità della pena di morte: “Altra categoria di uccisioni permessa è quella che rientra nei poteri di quei magistrati che hanno facoltà di condannare a morte. Tale facoltà, esercitata secondo le norme legali, serve a reprimere i facinorosi e a difendere gli innocenti. Applicandola, i magistrati non solamente non sono rei di omicidio, ma, al contrario, obbediscono in una maniera superiore alla Legge divina, che vieta di uccidere, poiché il fine della Legge è la tutela della vita e della tranquillità umana. Ora le decisioni dei magistrati, legittimi vendicatori dei misfatti, mirano appunto a garantire la tranquillità della vita civile, mediante la repressione punitiva dell’audacia e della delinquenza. Ha detto David: “Sulle prime ore del giorno soppressi tutti i peccatori del territorio, onde eliminare dalla città del Signore tutti coloro che compiono iniquità” (Sal 100,8). Per le medesime ragioni non peccano neppure coloro che, durante una guerra giusta, non mossi da cupidigia o da crudeltà, ma solamente dall’amore del pubblico bene, tolgono la vita ai nemici”.[171]
Ugualmente il Catechismo Maggiore di san Pio X (parte terza, n. 413) insegnò la liceità di tale pena: “413 D. Vi sono dei casi nei quali sia lecito uccidere il prossimo? R. È lecito uccidere il prossimo quando si combatte in una guerra giusta, quando si eseguisce per ordine dell’autorità suprema la condanna di morte in pena di qualche delitto; e finalmente quando trattasi di necessaria e legittima difesa della vita contro un ingiusto aggressore.”
Papa Leone XIII scrisse nella “Pastoralis Officii”, lettera enciclica del 1881 : “È assodato infatti che entrambe le leggi divine, sia quella che è stata proposta con il lume della ragione, sia quella che è stata promulgata con gli scritti divinamente ispirati, vietano a chiunque, nel modo più assoluto, di uccidere o di ferire un uomo in assenza di un giusto motivo pubblico, a meno che non vi sia costretto dalla necessità di difendere la propria vita.” [172]
Faccio notare che fino al 1870 furono eseguite pene capitali nello Stato Pontificio, il che indica ovviamente che la dottrina della liceità della pena di morte era perfettamente accettata dai Sommi Pontefici. Scrive Dunot che ultima prova della legittimità della pena di morte è la prassi dei sovrani pontefici; questa è solo una giustificazione indiretta, precisa il professore francese, ma è ovvio che se tale pena fosse contraria al Vangelo, non avrebbe avuto diritto di cittadinanza nello Stato Pontificio. La pena di morte fu prevista e applicata dai vari Pontefici fino all’abolizione dello Stato Pontificio nel 1870. I Papi hanno applicato la pena capitale nello Stato Pontificio e il Codice penale della Santa Sede ha previsto fino al 1962 la pena di morte per chi tentava di uccidere il Papa.[173]
Ovviamente tutto questo è stato fatto nell’assoluta certezza che tale pena fosse legittima, viste le chiare indicazioni bibliche e patristiche nonché le affermazioni dei santi Dottori.
Leone X diede al governatore della città il potere di agire contro i criminali e anche quello di irrogare loro la pena di morte. [Etsi pro, 1514, in Bull. , t. 5, p. 615; ] Giulio III prevedeva la pena di morte per i detentori delle copie del Talmud non purgate delle loro affermazioni negative contro Cristo [Cum sicut, 1554, in Bull. , t. 6, p. 482] Paolo IV la prevedeva per i prosseneti [Volens sceleribus, 1558, in Bull., t. 6, p. 538.] etc. ; Cyrille Dounot nel suo articolo “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 [174] cita vari altri reati che, sulla base di statuizioni papali, prevedevano la pena di morte.
Pio XI nella Casti Connubii affermò: “E, con somma leggerezza, questo potere si fa derivare, contro innocenti, dal diritto di spada, che vale solo contro i rei; né ha qui luogo il diritto di difesa, fino al sangue, contro l’ingiusto aggressore (chi, infatti, chiamerebbe ingiusto aggressore una innocente creaturina?); né può essere, in alcun modo, il diritto che dicono « diritto di estrema necessità », e che possa giungere fino all’uccisione diretta dell’innocente. ”[175] Il diritto della spada è la pena di morte che vale solo contro i colpevoli, ovviamente.
Il pontefice che ha affrontato maggiormente l’argomento è Pio XII. In diverse occasioni Papa Pacelli ha ripreso l’insegnamento della Chiesa sulla pena di morte.
In un discorso del 22 febbraio 1944 disse : “Ma anche in tale materia la chiave di ogni soluzione è data dalla fede in un Dio personale, che è fonte di giustizia e ha riservato a sé il diritto sulla vita e sulla morte. Non altro che questa fede varrà a conferire la forza morale di osservare i dovuti limiti di fronte a tutte le insidie e le tentazioni di varcarli; tenendo presente allo sguardo che, eccettuati i casi della legittima difesa privata, della guerra giusta e guerreggiata con giusti metodi, e della pena di morte inflitta dall’autorità pubblica per ben determinati e provati gravissimi delitti, la vita umana è intangibile.”[176]
Lo stesso Pio XII, ritenendo perfettamente lecita in alcuni casi la pena di morte, disse ancora in un discorso del 12 novembre 1944 : “Il quinto comandamento — Non occides (Exod. 20, 13) —, questa sintesi dei doveri riguardanti la vita e la integrità del corpo umano, è fecondo d’insegnamenti, così per il docente sulla cattedra universitaria, come per il medico esercente. Finché un uomo non è colpevole, la sua vita è intangibile, ed è quindi illecito ogni atto tendente direttamente a distruggerla, sia che tale distruzione venga intesa come fine o soltanto come mezzo al fine, sia che si tratti di vita embrionale o nel suo pieno sviluppo ovvero giunta ormai al suo termine. Della vita di un uomo, non reo di delitto punibile con la pena di morte, solo signore è Dio!”[177]
Nello stesso discorso leggiamo anche:”Qui parimente ragione e fede tracciano i confini fra i diritti rispettivi della società e dell’individuo. … Non da essa, ma nel Creatore stesso, egli ha il diritto sul proprio corpo e sulla sua vita, e al Creatore risponde dell’uso che ne fa. Da ciò consegue che la società non può direttamente privarlo di quel diritto, fintantoché non si sia reso punibile di una tale privazione con un grave e proporzionato delitto.”
E in un discorso tenuto l’anno seguente ai chirurghi lo stesso Papa afferma: “ … unless a man is guilty of some crime deserving the death penalty, God alone, no power on earth, may dispose of his life.”[178] Che possiamo tradurre così: a meno che un uomo non sia colpevole di qualche crimine che meriti la pena di morte, solo Dio può disporre della vita.
Ulteriormente, Pio XII, affermò: “Aun en el caso de que se trate de la ejecución de un condenado a muerte, el Estado no dispone del derecho del individuo a la vida. Entonces está reservado al poder público privar al condenado del «bien» de la vida, en expiación de su falta, después de que, por su crimen, él se ha desposeído de su «derecho» a la vida.”[179] Che significa essenzialmente: anche quando si tratta dell’esecuzione capitale d’un condannato a morte, lo Stato non dispone del diritto dell’individuo alla vita. È riservato allora al pubblico potere di privare il condannato del bene della vita, in espiazione del suo errore, dopo che, col suo crimine, esso si è già spogliato del suo diritto alla vita.
Ovviamente la pena di morte va applicata solo quando si ha sicurezza circa la reale capacità di intendere e volere e sulla reale responsabilità del reo; Pio XII disse in un discorso del 5 dicembre 1954 : “Secondo i casi, il giudice non mancherà di consultare rinomati specialisti sulla capacità e responsabilità del presunto reo e di tener conto dei risultati delle moderne scienze psicologiche, psichiatriche e caratteriologiche. Se nonostante tutte queste premure, rimane ancora un importante e serio dubbio, nessun giudice coscienzioso procederà a una sentenza di condanna, tanto più quanto si tratta di una pena irrimediabile, come la pena di morte. ” [180]
Benedetto XVI, nonostante abbia affermato che «l’attenzione dei responsabili della società sulla necessità di fare tutto il possibile per giungere all’eliminazione della pena capitale»[181] … e che «le vostre deliberazioni possano incoraggiare le iniziative politiche e legislative, promosse in un numero crescente di Paesi, per eliminare la pena di morte e continuare i progressi sostanziali realizzati per adeguare il diritto penale sia alle esigenze della dignità umana dei prigionieri che all’effettivo mantenimento dell’ordine pubblico».[182] … ha comunque lasciato intatto il Catechismo che, come visto, al n. 2267, nella sua edizione typica fissata da s. Giovanni Paolo II con il grande aiuto del Card. Ratzinger, poi divenuto Papa Benedetto XVI, affermava la liceità della pena di morte in alcuni casi.
Vedremo meglio più avanti cosa disse a questo riguardo s. Giovanni Paolo II ma intanto mi pare importante precisare che la pena di morte non nega la dignità dell’uomo ma afferma in particolare la necessità di difendersi dai malvagi, più precisamente afferma la necessità di difendersi dal pericolo che essi costituiscono per la comunità. Questo diceva chiaramente il Catechismo della Chiesa Cattolica nella editio typica realizzata ai tempi di s. Giovanni Paolo II al n. 2267. .
Nella linea di s. Tommaso e di tutta la Tradizione andava anche l’Evangelium Vitae laddove affermava:“È chiaro che, proprio per conseguire tutte queste finalità, la misura e la qualità della pena devono essere attentamente valutate e decise, e non devono giungere alla misura estrema della soppressione del reo se non in casi di assoluta necessità, quando cioè la difesa della società non fosse possibile altrimenti.”[183]
La sana morale afferma l’inviolabilità dell’ uomo innocente ma non l’inviolabilità dell’uomo colpevole, l’uomo colpevole non è inviolabile infatti la legittima difesa, che pure Papa Francesco accetta, dice chiaramente che può essere ucciso colui che attenta alla vita altrui.
Concludendo, è evidente nel Magistero bimillenario della Chiesa l’affermazione della liceità della pena di morte in alcuni casi, d’altra parte è evidente soprattutto negli ultimi decenni l’impegno per difendere la vita umana da un’ uso eccessivo della pena di morte.
d) Altri documenti e affermazioni recenti particolarmente significativi sulla liceità della pena di morte.
Il Card. Ratzinger interrogato sulla questione della pena di morte nel Catechismo della Chiesa Cattolica ha detto che : “ C’ è un dinamismo, che non si distacca dall’insegnamento di 2000 anni, ma al tempo stesso sottolinea che solo in casi di estrema gravità questa pena può essere applicata. Il Catechismo dà una grande responsabilità alle stesse autorità di valutare la gravità del delitto e di vedere se lo scopo morale è ottenibile senza la pena di morte. In tal caso è obbligatorio seguire la via incruenta. Il Catechismo dà, dunque, l’idea di una evoluzione che si allontana sempre più dalla pena di morte”.[184] Lo stesso, praticamente, ha detto anche mons. Maggiolini[185] sbarrando chiaramente la strada a chi, incredibilmente, voleva affermare che il Catechismo in questione negava la legittimità della pena di morte.(cfr. R. Tamanti “La pena di morte” Cittadella Editrice, Assisi, 2004 pp. 169s)
Nel 2004 il Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, con la piena approvazione del Papa, pubblicò il “Compendio della Dottrina sociale della Chiesa”, in esso leggiamo al n. 405: “ La Chiesa vede come un segno di speranza « la sempre più diffusa avversione dell’opinione pubblica alla pena di morte anche solo come strumento di “legittima difesa” sociale … Seppure l’insegnamento tradizionale della Chiesa non escluda — supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole — la pena di morte « quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani »,(Catechismo della Chiesa Cattolica, 2267) i metodi non cruenti di repressione e di punizione sono preferibili in quanto « meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e più conformi alla dignità della persona umana ».(Catechismo della Chiesa Cattolica, 2267) … i casi in cui è assolutamente necessario sopprimere il reo « sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti ».[186] …” [187]
La dottrina tradizionale è dunque pienamente confermata anche se c’è una forte tendenza verso la pratica eliminazione della pena di morte stanti le attuali efficaci misure di sicurezza che rendono in molti casi il delinquente praticamente inoffensivo.
Dio ci illumini sempre meglio.
Il Cardinale Dulles conclude la sua disamina sulla Bibbia e la Tradizione riguardo alla pena di morte con queste parole :“Riassumendo il verdetto della Scrittura e della Tradizione, possiamo raccogliere alcuni punti fermi della dottrina. Si concorda sul fatto che il crimine merita di essere punito in questa vita e non solo in quella successiva. Inoltre, è stato convenuto che lo Stato ha l’autorità di applicare pene adeguate alle persone giudicate colpevoli di reati e che, nei casi gravi, tali pene possono comprendere la pena di morte.”[188]
Come abbiamo visto in 2000 anni mai la Chiesa ha detto che tale pena è contraria al Vangelo, ma anzi i Papi e i santi Dottori, che avevano lo Spirito Santo, hanno chiaramente affermato che era secondo il s. Vangelo.
Il Card. Dulles aggiunge una importante precisazione:“La crescente opposizione alla pena di morte in Europa dopo l’Illuminismo è andata di pari passo con un declino della fiducia nella vita eterna.” … e conclude : “I vescovi statunitensi, da parte loro, avevano già dichiarato nella loro dichiarazione di maggioranza del 1980 che “nelle condizioni della società americana contemporanea, le legittime finalità della pena non giustificano l’imposizione della pena di morte”. Da allora sono ripetutamente intervenute per chiedere clemenza in casi particolari. Come il Papa, anche i vescovi non escludono del tutto la pena capitale, ma affermano che non è giustificabile come viene praticata oggi negli Stati Uniti.
Giungendo a questa prudenziale conclusione, il magistero non sta cambiando la dottrina della Chiesa. La dottrina rimane quella che è stata: che lo Stato, in linea di principio, ha il diritto di comminare la pena di morte a persone condannate per crimini molto gravi. ”[189]
La pena di morte non è lecita, secondo la sapienza cristiana, laddove o fino a quando il sistema carcerario è veramente efficace ma rimane lecita laddove o quando manca un tale sistema carcerario efficace, rimane lecita, quindi, nei casi di guerra quando un tale sistema carcerario salta o manca del tutto; rimane lecito il ricorso alla pena di morte, quando questa è l’unica via praticabile per difendere in modo efficace la vita di esseri umani dall’ aggressore ingiusto.
e) Importanti dichiarazioni di Cardinali e Vescovi che ribadiscono la liceità della pena di morte anche dopo il cambiamento del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Dopo le affermazioni di Papa Francesco vari intellettuali, teologi e in particolare vari Pastori hanno ribadito la dottrina tradizionale che afferma la liceità della pena di morte particolarmente importanti appaiono in questa linea le affermazioni del Card. Müller, Prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede il quale ad una domanda circa la revisione del Catechismo realizzata dal Pontefice attualmente regnante per rendere “inammissibile” la pena capitale ha risposto dicendo: “Siamo contro le esecuzioni, ma in teoria non possiamo assolutamente negarle, se guardiamo alla storia della discussione su questo argomento. … E l’impressione non è buona che il Papa, se lo vuole fare, può semplicemente cambiare il catechismo. Dove sono i limiti? Il magistero non è al di sopra della parola di Dio, ma sotto di essa e la serve (Dei Verbum, 10). …
E’ stata giustificata come sviluppo del dogma, ma la pena di morte non ha nulla a che fare direttamente con il dogma. Questa è una verità naturale che appartiene all’etica naturale dello Stato. Non è materiale relativo alla rivelazione della verità e alla salvezza di tutti da parte di Dio.” [190]
Anche Cardinali e Vescovi sono intervenuti sulla questione e hanno realizzato ultimamente un’ importante “Dichiarazione …” in cui affermano, tra l’altro: “28. Conformemente alla Sacra Scrittura e alla tradizione costante del Magistero ordinario e universale, la Chiesa non ha errato nell’insegnare che il potere civile possa legittimamente esercitare la pena capitale sui malfattori laddove ciò è veramente necessario per preservare l’esistenza o il giusto ordine della società [191].”[192]
Quindi nonostante le affermazioni di Papa Francesco, la pena di morte resta legittima in alcuni casi, come la Chiesa ha sempre insegnato.
Dio ci illumini sempre meglio.
f) La liceità della pena di morte è affermata dalla legge naturale e confermata dalla Bibbia.
Bessette e Feser nel loro libro sulla pena di morte affermano: “The natural law, according to a typical definition, consists of the universal, practical obligatory judgments of reason, knowable by all men as binding them to do good and avoid evil, and discovered by right reason from the nature of man adequately considered.[193]”[194]
La legge naturale, quindi, è costituita dai giudizi obbligatori universali e pratici della ragione, conosciuti da tutti gli uomini come vincolanti per fare il bene ed evitare il male, e scoperti dalla giusta ragione dalla natura dell’uomo adeguatamente considerata.
Come dicemmo sopra , H. Lio in un profondo articolo che si può leggere in “Dictionarium morale et canonicum”, Officuum Libri Catholici , Catholic Book Agency, Romae, 1966 , III p. 677ss afferma che le leggi dell’A. Testamento che comminavano la pena di morte per certi delitti non erano semplicemente leggi positive degli Ebrei ma “leges quae interpretabantur legem naturalem” cioè leggi che spiegavano la legge naturale. Precisa in questa linea il famoso moralista francescano che tutti i teologi sogliono portare come argomento per dimostrare la liceità intrinseca della pena di morte il consenso generale di tutte le nazioni nell’irrogare tale pena; chi vuole negare la liceità di tale pena per la legge naturale dovrebbe respingere anche l’argomento tratto dal consenso di tutti i popoli; se la liceità della pena di morte fosse una dottrina conosciuta solo per rivelazione divina essa dovrebbe appartenere solo a coloro che sono stati oggetto di una speciale rivelazione divina, come giudei e cristiani, essa invece è patrimonio di tutti i popoli … quindi è parte del diritto naturale.[195]
Anche J. Leclerq affermava che la liceità pena di morte è affermata dal diritto naturale (“Leçons de Droit Naturel.” Wesmael-Charlier , Namur 1946, IV 89) come afferma G. Concetti nel suo testo “Pena di morte” ed. Piemme 1993 alla p. 112.
Quello che è stato affermato da H. Lio e da Leclerq è stato ribadito dal Card. Müller, come visto nel paragrafo precedente “ … la pena di morte non ha nulla a che fare direttamente con il dogma. Questa è una verità naturale che appartiene all’etica naturale dello Stato. Non è materiale relativo alla rivelazione della verità e alla salvezza di tutti da parte di Dio. … Ma abbiamo anche verità naturali: la Chiesa lotta per i diritti umani, per esempio, ma i diritti umani naturali non appartengono alla Rivelazione soprannaturale.”[196]
S. Tommaso afferma che: per il fatto che il bene si presenta come un fine da raggiungere e il male come cosa contraria, la ragione riconosce come buone, e quindi da farsi, tutte le cose verso le quali l’uomo ha un’inclinazione naturale e le contrarie le riconosce come cattive e da evitarsi (cfr. I-II q. 94 a. 2 in c.).
La legge naturale, spiegano Bessette e Feser, è “naturale” sia nel senso che non è creata dall’uomo, avendo una forza vincolante che fluisce dalla natura stessa delle cose prima di qualsiasi conoscenza o determinazione da parte di un legislatore umano[197]; sia nel senso che non è soprannaturale ma è distinta dall’ordine di grazia e conoscibile, in linea di principio, dalla ragione, senza una speciale rivelazione divina.[198]
Dio ha inserito nelle menti umane la legge naturale, perché fosse conosciuta naturalmente, e con tale inserimento l’ha promulgata.
La legge, secondo s. Tommaso, è un’ ordinazione (ordinatio) della ragione per il bene comune, promulgato da chi ha la cura di una collettività. La parola ordinazione mi pare che esprima meglio quello che dice s. Tommaso in quanto presa, in particolare, nel senso di dare ordine, assetto, regolare disposizione[199] La legge dà ordine, regola.
S. Paolo afferma l’esistenza della legge naturale (Rom 1,19-20) , nei loro cuori i pagani hanno tale legge, fissata da Dio (Rom 2,14-15)
Leone XIII affermò: “ Dunque la legge è guida all’uomo nell’azione, e con premi e castighi lo induce al ben fare e lo allontana dal peccato. Sovrana su tutto: tale è la legge naturale, scritta e scolpita nell’anima di ogni uomo, poiché essa non è altro che l’umana ragione che ci ordina di agire rettamente e ci vieta di peccare. Invero questa norma della ragione umana non può avere forza di legge se non perché è voce ed interprete di una ragione più alta, a cui devono essere soggette la nostra mente e la nostra libertà.”[200]
S. Paolo VI ha affermato: “ … anche la legge naturale è espressione della volontà di Dio, l’adempimento fedele di essa è parimenti necessario alla salvezza eterna degli uomini.”[201]
L’ argomentazione di base della legge naturale per la legittimità in linea di principio della pena capitale è molto chiara, secondo Bessette e Feser, e può essere sintetizzata come segue:
1.I criminali meritano una punizione.
2.Più grave è la trasgressione, più severa è la punizione meritata.
3.Alcuni crimini sono così gravi che nessuna punizione inferiore alla morte sarebbe proporzionata nella sua gravità.
4.Pertanto, i trasgressori colpevoli di tali crimini meritano la morte.
5.Le autorità pubbliche hanno il diritto, in linea di principio, di infliggere ai trasgressori le punizioni che meritano.
6.Pertanto, le autorità pubbliche hanno il diritto, in linea di principio, di infliggere la pena di morte ai colpevoli di reati più gravi. [202]
S. Tommaso mostra chiaramente nella “Summa contra gentiles” (Somma contro i gentili) nel libro III al capitolo CXLVI come la legge naturale affermi che i giudici hanno il potere di punire e di infliggere la morte ai malfattori; egli infatti sulla base di una riflessione precisa, radicata in principi di retta ragione, afferma la legittimità della pena di morte. Tale pena è giusta in alcuni casi e la stessa ragione umana lo riconosce.
Il ragionamento di s. Tommaso è nel senso che: il piano divino prevede la ricompensa dei buoni e la punizione dei malvagi, la colpa è riparata dalla pena; per il bene degli uomini è necessario che ai malvagi siano inflitte delle punizioni; il bene comune è più importante del bene particolare di un individuo quindi anche i governanti uccidono giustamente gli uomini malvagi, per conservare la pace nello stato.
Sottolineo che in queste affermazioni del s. Dottore è inclusa anche l’idea che la pena di morte evita che il criminale commetta altri reati e più generalmente che danneggi la comunità e in questo senso la pena di morte rientra nell’ambito della legittima difesa che ovviamente la legge naturale afferma chiaramente.
S. Tommaso conclude le sue affermazioni indicanti come la legge naturale affermi la legittimità della pena di morte riportando alcuni testi biblici: 1 Cor. 5,6, Rm 13, 4, 1 Pietro 2,13.
Questi testi biblici, quindi, secondo s. Tommaso contengono la legge naturale per cui è lecito ai governanti infliggere pene e anche infliggere la pena di morte; d’altra parte essi confermano dall’alto della Rivelazione soprannaturale la verità per cui è lecito in alcuni casi irrogare la pena capitale.
Si tratta dunque di precetti morali affermati dalla Legge naturale e confermati dalla legge rivelata, parlammo lungamente, più sopra di tali precetti allorché trattammo della Legge naturale e della sua relazione con la Legge rivelata.
g) Origine divina del potere pubblico e pene che può giustamente irrogare.
Diciamo anzitutto che, come ha affermato H. Giudice : “En los diversos escritores cristianos de los cinco primeros siglos se nota consenso en reconocer el origen divino de la autoridad civil y por lo tanto para obedecer las leyes justas. Fuera de las aplicaciones injustas, la justificación del sistema penal radica en la necesidad de poner freno a la violencia. Según Ireneo, la existencia del pecado hizo necesario el ejercicio de la autoridad punitiva. Para el Crisóstomo esta institución no sólo está ligada al pecado sino que hace a la concepción del orden.”[203] Nei vari scrittori cristiani dei primi cinque secoli esiste un consenso nel riconoscere l’origine divina dell’autorità civile e quindi nell’ obbedire alle giuste leggi. Al di fuori delle applicazioni ingiuste, la giustificazione del sistema penale sta nella necessità di fermare la violenza. Secondo s. Ireneo, l’esistenza del peccato ha reso necessario l’esercizio dell’autorità punitiva. Per il Crisostomo, questa istituzione non è solo legata al peccato ma anche alla concezione dell’ordine.
Queste affermazioni di Giudice appaiono di estrema importanza … ripeto: nei vari scrittori cristiani dei primi cinque secoli esiste un consenso nel riconoscere l’origine divina dell’autorità civile … invito a riflettere a fondo su questo punto …
Le stesse affermazioni troviamo, ma sviluppate, nel testo di Brugger: “If we grant two Patristic assumptions, namely, that political power is divinely instituted and that inherent in that power is the right to kill malefactors, then the idea that the exercise of political power is incompatible with membership in God’s special community, the Church, suffers from an obvious tension.”[204]
Due indicazioni patristiche occorre avere ben presenti: il potere politico è divinamente istituito, insito in quel potere è il diritto di uccidere i malfattori. Questi due presupposti praticamente azzerano l’idea che l’esercizio del potere politico e quindi della pena di morte sia incompatibile con l’appartenenza alla Chiesa. Il potere statale è istituito da Dio e da Dio ha il diritto di uccidere i malfattori, quindi la pena di morte in alcuni casi è lecita.
Ovviamente i Padri della Chiesa riconoscevano tale origine divina basandosi sulla Bibbia, che appunto afferma, come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, che l’autorità è richiesta dall’ordine morale e viene da Dio (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1899); questo passo del Catechismo cita due testi biblici: (1) il famoso testo di s. Paolo per cui: “Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna.” (Rm 13,1-2); (2) il testo della I lettera di Pietro per cui: “ Vivete sottomessi ad ogni umana autorità per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai governatori come inviati da lui per punire i malfattori e premiare quelli che fanno il bene. Perché questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all’ignoranza degli stolti, come uomini liberi, servendovi della libertà non come di un velo per coprire la malizia, ma come servi di Dio. Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re.”(1 Pt 2,13-17.)
Questa dottrina emerge anche da testi dell’A. T.
Nel libro dei Proverbi 8 leggiamo “ Per mezzo mio regnano i re e i prìncipi promulgano giusti decreti; per mezzo mio i capi comandano e i grandi governano con giustizia.”
In Proverbi 24 leggiamo: “ Figlio mio, temi il Signore e il re, e con i ribelli non immischiarti, perché improvviso sorgerà il loro castigo e la rovina mandata da entrambi chi la conosce?”
Nel libro della Sapienza, al cap. 6 leggiamo: “ Ascoltate dunque, o re, e cercate di comprendere; imparate, o governanti di tutta la terra. Porgete l’orecchio, voi dominatori di popoli, che siete orgogliosi di comandare su molte nazioni. Dal Signore vi fu dato il potere e l’autorità dall’Altissimo; egli esaminerà le vostre opere e scruterà i vostri propositi: pur essendo ministri del suo regno, non avete governato rettamente né avete osservato la legge né vi siete comportati secondo il volere di Dio.”
L’origine divina dell’autorità è un dato che emerge chiaramente dalla S. Scrittura e che la Chiesa ha sempre riconosciuto.
Leone XIII affermava : “E poiché non può reggersi alcuna società, senza qualcuno che sia a capo di tutti e che spinga ciascuno, con efficace e coerente impulso, verso un fine comune, ne consegue che alla convivenza civile è necessaria un’autorità che la governi: e questa, non diversamente dalla società, proviene dalla natura e perciò da Dio stesso. Ne consegue che il potere pubblico per se stesso non può provenire che da Dio. Solo Dio, infatti, è l’assoluto e supremo Signore delle cose, al quale tutto ciò che esiste deve sottostare e rendere onore: sicché chiunque sia investito del diritto d’imperio non lo riceve da altri se non da Dio, massimo Principe di tutti. Non v’è potere se non da Dio (Rm 13,1).”[205]
Come dice il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica al n. 380: “ La sottomissione, non passiva, ma per ragioni di coscienza (cfr. Rm 13,5), al potere costituito risponde all’ordine stabilito da Dio. San Paolo definisce i rapporti e i doveri dei cristiani verso le autorità (cfr. Rm 13,1- 7). … L’Apostolo non intende certo legittimare ogni potere, quanto piuttosto aiutare i cristiani a « compiere il bene davanti a tutti gli uomini » (Rm 12,17), anche nei rapporti con l’autorità, in quanto essa è al servizio di Dio per il bene della persona (cfr. Rm 13,4; 1 Tm 2,1-2; Tt 3,1) e « per la giusta condanna di chi opera il male » (Rm 13,4). San Pietro esorta i cristiani a stare « sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore » (1 Pt 2,13). Il re e i suoi governatori hanno il compito di « punire i malfattori e premiare i buoni » (1 Pt 2,14). La loro autorità deve essere « onorata » (cfr. 1 Pt 2,17), cioè riconosciuta, perché Dio esige un comportamento retto, che chiuda « la bocca all’ignoranza degli stolti » (1 Pt 2,15). … ”[206]
Occorre obbedire, secondo verità, a tali autorità civili onorandole e rispettandole, come dice il Catechismo al n. 1900: “ Il dovere di obbedienza impone a tutti di tributare all’autorità gli onori che ad essa sono dovuti e di circondare di rispetto e, secondo il loro merito, di gratitudine e benevolenza le persone che ne esercitano l’ufficio.”
Occorre anche pregare per i governanti, il Catechismo della Chiesa Cattolica (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n.1900) ci ricorda che s. Paolo ci esorta a pregare per i governanti : “Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.” (1 Timòteo 2, 1ss)
Il Catechismo quindi parla della: “… più antica preghiera della Chiesa per l’autorità politica: (Cf già 1 Tm 2,1-2.)”
Tale preghiera fu scritta da s. Clemente e chiede a Dio di dare ai governanti pace, concordia etc. perché possano esercitare sapientemente il loro compito che Dio stesso ha loro conferito (cfr. San Clemente Romano, Epistula ad Corinthios, 61, 1-2: SC 167, 198-200 (Funk 1, 178-180).)” (Catechismo della Chiesa Cattolica n.1900)
Ovviamente l’autorità deve agire secondo la Legge divina : “ L’autorità non trae da se stessa la propria legittimità morale.” (Catechismo della Chiesa Cattolica n.1902)
S. Tommaso affermò che le leggi umane sono veramente leggi e regole nella misura in cui a loro volta sono regolate dalla retta ragione e quindi da Dio che è Legge eterna. Da Dio che è Legge Eterna, Regola suprema, trae forza, in questa linea, la legge umana. Nella misura in cui le leggi umane si allontanano dalla ragione e quindi dalla Legge Eterna, sono ingiuste, sono piuttosto una forma di violenza e perciò non realizzano il concetto di legge.[207]
Leone XIII affermò:“ Ma in qualsiasi tipo di Stato i principi devono soprattutto tener fisso lo sguardo a Dio, sommo reggitore del mondo, e proporsi Lui quale modello e norma nel governo della comunità. … Dio … volle che nella società civile esistesse un potere sovrano, i cui depositari rimandassero in qualche modo l’immagine della potestà divina e della divina provvidenza sul genere umano. L’esercizio del potere deve quindi essere giusto, non da padrone, ma quasi paterno, poiché il potere di Dio sugli uomini è sommamente giusto e permeato di paterna benevolenza; deve essere esercitato in vista dell’utilità dei cittadini, poiché chi detiene il potere governa con quest’unico compito, di tutelare il bene dei cittadini.”[208]
Il Catechismo della Chiesa Cattolica precisa inoltre che lo Stato può e deve, in alcuni casi, irrogare pene proporzionate alla gravità del delitto: “ La legittima autorità pubblica ha il diritto ed il dovere di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto. ”(Catechismo della Chiesa Cattolica n.2266)
Come spiega bene il Compendio della Chiesa Cattolica:“ Lo Stato ha il duplice compito di reprimere i comportamenti lesivi dei diritti dell’uomo e delle regole fondamentali di una civile convivenza, nonché di rimediare, tramite il sistema delle pene, al disordine causato dall’azione delittuosa.”[209]
Come vedemmo più sopra la pena ha, secondo la dottrina tradizionale, seguita da s. Tommaso, tre funzioni: una funzione vendicativa, tendente a restaurare l’ordine infranto e all’espiazione del crimine; una funzione esemplare tendente a dissuadere i potenziali delinquenti e ad evitare le ricadute nel crimine; una funzione medicinale che mira all’emenda del reo, alla sua “conversione”. Tale dottrina ha origini molto antiche si può ritrovare anche in s. Gregorio Magno (cfr. Gregorii Magni “Registrum epistularum” l. XII, epistula 11) secondo cui una punizione adeguata è realizzata in modo tale da comprendere sia una punizione proporzionata per l’autore del reato sia un motivo di paura per coloro che condividono il suo ordine.[210] La giusta pena è quindi, secondo s. Gregorio (cfr. Gregorii Magni “Registrum epistularum” l. VIII, epistula19) una punizione per cui è riparata l’offesa fatta a Dio e il castigo inflitto è un esempio che induce gli altri alla correzione [211]. La pena per s. Gregorio (cfr. Gregorii Magni “Registrum epistularum”, l. IX, epistula 86) ha uno scopo: (1)sociale per cui deve evitare il contagio del male e deve dissuadere dal compimento delle azioni malvagie; (2) individuale per cui è un dovere e un castigo, in modo che la punizione corregga la colpa. ([212] [213]
Lo scopo della pena è molteplice, conferma il Compendio della dottrina sociale della Chiesa : “La pena non serve unicamente allo scopo di difendere l’ordine pubblico e di garantire la sicurezza delle persone: essa diventa, altresì, uno strumento per la correzione del colpevole, una correzione che assume anche il valore morale di espiazione quando il colpevole accetta volontariamente la sua pena (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n.2266). “[214]
Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma in questa linea che la pena:
1) ha innanzitutto scopo riparativo;
2) ha scopo difensivo delle persone e dell’ordine pubblico;
3) ha scopo medicinale;
4) se accettata volontariamente, ha valore di espiazione (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n.2266)
Dunot afferma in questa linea: “De manière classique, trois fonctions sont assignées à la peine : une fonction vindicative, tendant à restaurer l’ordre lésé, à faire expier le crime ; une fonction exemplaire, cherchant à dissuader la récidive, à intimider le délinquant potentiel ; une fonction médicinale, visant à l’amendement du coupable, à son redressement.[215]”[216]
La pena ha dunque: una funzione vendicativa, tendente a restaurare l’ordine infranto e all’espiazione del crimine; una funzione esemplare e difensiva tendente a dissuadere i potenziali delinquenti e ad evitare le ricadute nel crimine; una funzione medicinale che mira all’emenda del reo, alla sua “conversione”.
h) Precisazioni sulla liceità dell’ergastolo, che Papa Francesco contesta.
L’attacco del Papa contro l’ergastolo lo vediamo già nel 2014 allorché Papa Francesco ha affermato: “ E questo, io lo collego con l’ergastolo. Da poco tempo, nel Codice penale del Vaticano, non c’è più l’ergastolo. L’ergastolo è una pena di morte nascosta.”[217]
Ha detto ancora Papa Francesco: “ … il Magistero della Chiesa ritiene che le condanne a vita, che tolgono la possibilità di una redenzione morale ed esistenziale, a favore del condannato e a favore della comunità, sono una forma di pena di morte nascosta[218]. ”[219]
Tale attacco di Papa Francesco contro l’ergastolo si è attuato anche nel 2019: “Mentre si rimedia agli sbagli del passato, non si può cancellare la speranza nel futuro. L’ergastolo non è la soluzione dei problemi – lo ripeto: l’ergastolo non è la soluzione dei problemi -, ma un problema da risolvere. Perché se si chiude in cella la speranza, non c’è futuro per la società. Mai privare del diritto di ricominciare!”[220]
In un altro discorso, in questa linea, il Papa ha chiesto di: “ … ripensare sul serio l’ergastolo.” [221]
Ulteriormente il Papa ha affermato: “Portate con voi questa immagine delle finestre e dell’orizzonte, e fate sì che nei vostri paesi le prigioni, le carceri, abbiano sempre finestra e orizzonte, persino un ergastolo, che per me è discutibile, persino un ergastolo dovrebbe avere un orizzonte.”[222]
Quindi il Papa, che ha dichiarato inammissibile la pena di morte, praticamente nega la legittimità anche dell’ergastolo … anche l’ergastolo sarebbe, in questa linea, contrario al Vangelo, come la pena di morte.
Addirittura il Papa afferma in questa linea che il Magistero della Chiesa “ritiene che le condanne a vita” siano inammissibili … appunto perché sarebbero una forma di pena di morte nascosta.
Questo mi pare un altro chiaro errore.
Stiamo vedendo e sempre meglio vedremo che la liceità della pena di morte è una verità che appartiene alla Legge divina e che il Magistero bimillenario della Chiesa non ha mai negato la liceità di tale pena in questa linea il Magistero della Chiesa bimillenario non mi consta che abbia mai affermato l’inammissibilità dell’ergastolo. Se è lecita la pena di morte tanto più lo è l’ergastolo. Anche la condanna dell’ergastolo appare un chiaro errore di Papa Francesco che non ha nulla a che fare con il Magistero della Chiesa, con Cristo Maestro e con la Legge divina.
Dio ci illumini sempre meglio e liberi la sua Chiesa dagli errori che Papa Francesco diffonde.
i) Precisazioni sulla legittima difesa, la guerra giusta e la pena di morte.
Dio ci illumini sempre meglio.
La sana interpretazione biblica realizzata dalla Chiesa, di cui già parlammo più sopra, afferma attraverso il Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2263: “ La legittima difesa delle persone e delle società non costituisce un’eccezione alla proibizione di uccidere l’innocente, uccisione in cui consiste l’omicidio volontario.” S. Tommaso spiega che nel realizzare la propria, lecita, difesa personale l’uomo può causare due cose: la conservazione della propria vita e l’uccisione dell’attentatore (cfr. II-II, q. 64, a. 7, c).
Le persone e le comunità possono difendersi e tale difesa può determinare la morte dell’aggressore.
Nella Evangelium Vitae s. Giovanni Paolo II, dopo avere esaminato il quinto comandamento (non uccidere) alla luce di tutta la Scrittura e dopo aver messo in evidenza come i primi cristiani prevedessero pene severissime per gli omicidi afferma che: “ Indubbiamente, il valore intrinseco della vita e il dovere di portare amore a se stessi non meno che agli altri fondano un vero diritto alla propria difesa. Lo stesso esigente precetto dell’amore per gli altri, enunciato nell’Antico Testamento e confermato da Gesù, suppone l’amore per se stessi quale termine di confronto: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mc 12, 31). Al diritto di difendersi, dunque, nessuno potrebbe rinunciare per scarso amore alla vita o a se stesso, ma solo in forza di un amore eroico, che approfondisce e trasfigura lo stesso amore di sé, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf. Mt 5, 38-48) nella radicalità oblativa di cui è esempio sublime lo stesso Signore Gesù.”[223]
Come vedemmo più sopra all’interno dell’orizzonte biblico e della retta interpretazione biblica è lecita la legittima difesa, non siamo dunque fuori della Bibbia o contro la Bibbia quando affermiamo la liceità, della legittima difesa, ma siamo nella Bibbia, nella sapienza biblica, nella retta interpretazione biblica … e quindi siamo nel Vangelo , nella sapienza evangelica e nella retta interpretazione del Vangelo; non siamo dunque fuori della Bibbia o contro la Bibbia quando affermiamo la liceità, nell’ambito della legittima difesa, dell’uccisione dell’ingiusto aggressore ma siamo nella Bibbia, nella sapienza biblica, nella retta interpretazione biblica …e quindi siamo nel Vangelo , nella sapienza evangelica e nella retta interpretazione del Vangelo …
In questa linea della retta interpretazione biblica occorre ricordare che la legittima difesa, come precisa la stessa Evangelium Vitae, nel passo appena citato, non riguarda solo noi stessi ma anche le persone a noi affidate, quindi essa riguarda anche i capi della comunità e le persone loro affidate; oltre ad essere un diritto, la legittima difesa è un dovere per chi è responsabile della vita di altri. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n.2265: “La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere.”
In questa linea della retta interpretazione biblica occorre ricordare che esiste anche una guerra giusta, combattuta per legittima difesa.
Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa afferma al n. 500: “ Una guerra di aggressione è intrinsecamente immorale. Nel tragico caso in cui essa si scateni, i responsabili di uno Stato aggredito hanno il diritto e il dovere di organizzare la difesa anche usando la forza delle armi. (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2265) L’uso della forza, per essere lecito, deve rispondere ad alcune rigorose condizioni: « — che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; — che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; — che ci siano fondate condizioni di successo; — che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione. Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della “guerra giusta”. La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune ».(Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2039)” [224]
Dice s. Alfonso riguardo alla guerra giusta: “ … circa hostes in bello justo liceat ea omnia facere, quae ad finem belli sunt necessaria, v. gr. occidere, spoliare, etc.: innocentes tamen (quo nomine intelliguntur pueri qui arma gestare non possunt, mulieres, senes, religiosi, clerici, peregrini, mercatores et rustici) directe vita spoliari non possunt.”[225]
Circa i nemici è lecito, in una guerra giusta, fare tutte quelle cose che sono necessarie al fine della guerra, cioè uccidere, spogliare etc. gli innocenti, però, non possono essere uccisi.
Ora, nel caso della guerra giusta, cioè una guerra di legittima difesa, si possono verificare situazioni in cui la nazione che appunto si difende legittimamente debba, durante tale guerra, colpire persone armate, convogli di armati, veicoli nemici armati etc. che non sono suoi attuali ma solo potenziali aggressori; pensiamo al caso, p. es. , che tale nazione colpisca truppe armate che si stanno dirigendo verso il fronte di guerra ma non vi sono ancora arrivate e non hanno iniziato a sparare contro chi si difende legittimamente … Questo deve farci capire che, nel quadro della guerra giusta, è lecito attaccare chi, tra i nemici, è un serio pericolo, cioè è un serio potenziale aggressore anche se non attuale aggressore.
Dio ci illumini sempre meglio.
Il discorso della guerra giusta ci aiuta a entrare meglio nel campo della pena di morte perché ci presenta casi in cui occorre colpire persone pericolose anche se esse sul momento non ci stanno attaccando … nel caso della pena di morte viene irrogata la pena capitale non a persone che sono attuali aggressori di qualcuno ma a persone che hanno fatto un grave male e sono potenziali aggressori; faccio notare a riguardo che certi criminali possono aggredire anche i loro carcerieri e quindi anche in carcere sono un pericolo attuale …
La Evangelium Vitae, presenta la liceità della pena di morte come una verità che è strettamente legata alla legittima difesa e che emerge dalla Bibbia e dalla sana interpretazione di essa.
La Evangelium Vitae afferma nella linea del Vangelo e della Tradizione: “ 56. In questo orizzonte si colloca anche il problema della pena di morte … La pubblica autorità deve farsi vindice della violazione dei diritti personali e sociali mediante l’imposizione al reo di una adeguata espiazione del crimine, quale condizione per essere riammesso all’esercizio della propria libertà. … È chiaro che, proprio per conseguire tutte queste finalità, la misura e la qualità della pena devono essere attentamente valutate e decise, e non devono giungere alla misura estrema della soppressione del reo se non in casi di assoluta necessità, quando cioè la difesa della società non fosse possibile altrimenti. … In ogni caso resta valido il principio indicato dal nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, secondo cui «se i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere le vite umane dall’aggressore e per proteggere l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana».(2267)”[226]
Qualora non sia possibile rendere sicuramente innocuo, con adeguati sistemi di carcerazione, un criminale riconosciuto autore di gravi reati, è lecito sopprimerlo per difendere la comunità dal grave danno che la malvagità di lui potrebbe recarle; faccio notare che appunto in tale situazione il capo della comunità che tenesse in vita un criminale del genere metterebbe in pericolo la comunità e verrebbe meno al suo dovere di proteggerla. Non si protegge realmente una comunità bloccando anche con la loro morte solo gli aggressori attuali, occorre infatti bloccare adeguatamente, anche con la morte, se necessario, anche quelli che sono un reale pericolo per la comunità. Come è giusto incarcerare in modo efficace un delinquente anche per difendere la comunità dal ripetersi dei crimini di lui, così è giusto uccidere un criminale pericoloso, nel caso non si possa incarcerarlo efficacemente, per difendere la comunità dal ripetersi dei crimini di lui.
Dio ci illumini sempre meglio.
Come si vede, il problema che emerge da quanto appena detto è il problema del pericolo che il criminale crea alla comunità qualora essa non possa imprigionarlo efficacemente … l’autorità civile è tenuta a proteggere l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone non solo dagli aggressori attuali ma anche da coloro che, in base ai loro crimini, vanno considerati veri pericoli per la comunità e in questo senso sono aggressori potenziali …
La prudenza vuole che la persona o l’autorità si guardi efficacemente dai pericoli e quindi non solo da aggressori attuali ma anche da aggressori potenziali cioè da coloro che costituiscono un serio pericolo per il futuro …
Una grave imprudenza sarebbe quella per cui un genitore lasciasse andare un figlio in una zona in cui ci sono leoni pericolosi e mal custoditi, grave imprudenza sarebbe quella per cui un genitore lasciasse andare una bella figlia di notte con poca protezione tra noti stupratori, grave imprudenza è quella dei governanti che, non potendo incarcerare efficacemente pericolosi criminali, li lasciano vivere in prigioni mal custodite nelle quali possono uccidere guardie carcerarie o altri prigionieri e dalle quali possono abbastanza facilmente fuggire per continuare la loro opera criminale.
La prudenza che ci porta a fuggire l’occasione prossima di peccato, cioè una situazione che è pericolosa in quanto ci porta a peccare, ci porta anche a evitare che ci troviamo in serio pericolo noi e le persone della cui vita siamo responsabili.
In particolare è la cautela, in quanto parte della prudenza, che ci porta ad evitare i pericoli : “ Tra i mali che l’uomo deve evitare alcuni capitano nella maggior parte dei casi. E questi possono essere abbracciati dalla ragione. E contro di essi è ordinata la cautela, per evitarli del tutto, o per renderli meno nocivi. Altri invece capitano di rado e casualmente. E questi, essendo infiniti, sfuggono alla ragione, e l’uomo non può cautelarsi efficacemente da essi: sebbene la prudenza prepari l’uomo a subire meno gravemente i colpi della fortuna.” [227] L’esperienza insegna che certi criminali che hanno compiuto reati gravi hanno una particolare tendenza a compierli di nuovo, essi sono un pericolo per la comunità. Gravemente incauto è quel governante che, non disponendo di un efficace e sicuro sistema carcerario, mette in carcere criminali pericolosi per la comunità. In un altro testo s. Tommaso precisa “quicumque non cavet pericula, videtur contemnere id cuius detrimentum pericula inducere possunt”(Quodlibet III, q. 4 a. 1 ad 3) chi non sta attento ai pericoli mostra di disprezzare ciò di cui i pericoli possono indurre il danno. Chi non sta attento, quindi, al pericolo che possono determinare per una comunità certi criminali, mostra di disprezzare la comunità stessa e la vita di coloro che da tali criminali possono essere uccisi o gravemente danneggiati. La carità rende prudenti e cauti i governanti perché li porta ad amare, in Cristo, la comunità che essi guidano e quindi a non esporla a pericoli chiaramente prevedibili.
Non si protegge realmente una comunità bloccando anche con la loro morte solo gli aggressori attuali, occorre infatti bloccare adeguatamente, anche con la morte, se necessario, anche quelli che sono un reale pericolo per la comunità. Come è giusto incarcerare in modo efficace un delinquente anche per difendere la comunità dal ripetersi dei crimini di lui, così è giusto uccidere un criminale pericoloso, nel caso non si possa incarcerarlo efficacemente, per difendere la comunità dal ripetersi dei crimini di lui.
Qualcuno può pensare che il fatto che il criminale possa convertirsi ci deve portare a non applicare la pena di morte … ma in realtà può convertirsi anche chi ci aggredisce … e può convertirsi ancora di più un popolo che aggredisce la nostra nazione, ma la sana dottrina, come visto, ci dà la possibilità anche di uccidere l’ingiusto aggressore e ci dà la possibilità di fare una guerra giusta contro i nemici nonostante quelle persone possano convertirsi … Le persone che uccidiamo nell’ambito della legittima difesa e della guerra giusta potrebbero convertirsi, se rimanessero in vita … ma ciò non toglie che possiamo ucciderli … S. Tommaso afferma:“Il fatto poi che i malvagi mentre vivono possono emendarsi, non toglie che si possano giustamente uccidere: poiché il pericolo derivante dal loro vivere è più grave e più certo che il bene sperato della loro emenda.”[228] Come dice s. Tommaso, dunque, la pena di morte è lecita perché il pericolo derivante dal vivere dei malvagi è più grave e più certo che il bene sperato della loro emenda. Se il sistema carcerario è davvero efficace il criminale è messo in una prigione efficacemente custodita e il pericolo , in certo modo, cessa sia per i cittadini sia per i carcerieri, sia per altri detenuti ma se non c’è un tale efficace sistema, il pericolo rimane, ed è un pericolo che s. Tommaso indica come più grave e più certo della sua emenda.
Come detto più sopra, ripeto anche qui, la persona prudente e cauta, che ama davvero la comunità in Cristo capisce molto bene quello che stiamo dicendo nella luce della carità invece chi non sta attento ai pericoli e non li pondera bene mostra di disprezzare ciò di cui i pericoli possono indurre il danno (cfr. Quodlibet III, q. 4 a. 1 ad 3) i governanti che non stanno attenti ai pericoli e non li ponderano bene mostrano di disprezzare la comunità che da tali pericoli può essere danneggiata.
Peraltro occorre notare anche che i criminali più malvagi creano, normalmente, problemi anche in carcere agli altri detenuti e possono anche ucciderli come possono uccidere i carcerieri e che normalmente ingenti sono le spese che una comunità deve sostenere per mantenere innocui in carcere certi criminali ed evitare che non uccidano altri detenuti o i carcerieri o evadano da tali luoghi di reclusione, ovviamente le risorse che vanno per tali scopi non possono essere usate per la lotta contro la fame, per la lotta contro le malattie etc. ciò causa ovviamente la morte di tante persone innocenti mentre i criminali sono tenuti bene in vita. Non so se qualche esperto abbia mai affrontato questo argomento ma occorre rendersi conto che le ingenti risorse che una comunità deve riversare nell’ambito carcerario non possono essere usate per altri scopi come la lotta alla fame e alle malattie … e che perciò muoiono tanti innocenti di fame, di malattie in tante parti del mondo … Occorre dunque domandarsi fino a che punto, anche in nazioni molto ricche, è giusto voler salvare la vita di certi criminali che fanno reati particolarmente gravi, togliendo risorse che portano la vita a tanti innocenti …
Dio ci illumini sempre meglio.
l) La pena di morte nella tradizione ebraica.
Riguardo alla pena di morte nella tradizione ebraica si possono consultare utilmente e gratuitamente on-line questi interessanti articoli : Haim Hermann Cohn, Louis Isaac Rabinowitz , Menachem Elon “Capital punishment” in “Encyclopedia Judaica”, The Gale Group 2008[229]; Marcus Jastrow, S. Mendelsohn “Capital punishment”Jewish Encyclopedia, 1901-1906, New York and London[230]
Il testo di Haim Hermann Cohn, Louis Isaac Rabinowitz , Menachem Elon offre in particolare, interessanti e attuali indicazioni, anzitutto esso ci avverte che, sulla base dell’ A. Testamento il diritto talmudico distingueva quattro metodi di esecuzione giudiziaria: lapidazione, rogo, uccisione e strangolamento, poi precisa che è di estrema difficoltà determinare se le modalità di pena capitale suddette riflettano la pratica effettiva, o se si trattasse di discussioni accademiche; discussione accademica è quella per cui secondo alcuni un sinedrio che mette a morte un uomo una volta in sette anni o una volta in 70 anni è chiamato un omicida; R. Akiva e R. Tarfon affermano, nella stessa discussione, che se fossero stati nel Sinedrio non sarebbe mai stata pronunciata la condanna a morte, ma altri ancora affermano, molto realisticamente, che se fosse eliminata la pena di morte si moltiplicherebbero le uccisioni in Israele. Nella sentenza Nagar (pp. 163-71) il giudice Elon ha discusso i vari sviluppi nella legge ebraica rispetto alla pena di morte ed ha spiegato che il punto di vista di cui sopra di R. Akiva e R. Tarfon, che andava nel senso della totale abolizione della pena di morte, era un punto di vista di minoranza, che meritava l’ironico rimprovero dei rabbini R. Simeon b. Gamaliele per cui se Akiva e Tarfon avessero agito così avrebbero moltiplicato il numero di assassini in Israele; una moratoria assoluta sull’esecuzione delle sentenze capitali contro gli assassini porterebbe alla perdita del potere deterrente del tribunale, e quindi porterebbe all’aumento dello spargimento di sangue.[231]
In questa linea le indicazioni della tradizione ebraica ben intese sono nel senso della liceità della pena di morte e infatti anche se secondo la legge più pura la competenza di infliggere la pena capitale cessò con la distruzione del Tempio i tribunali ebraici continuarono, ovunque avessero il potere, ad eseguire condanne a morte e non solo per reati di omicidio ma anche per altri reati considerati, secondo le circostanze prevalenti all’epoca, come particolarmente pericolosi o odiosi, o anche solo per reati distinti da quelli originariamente punibili ai sensi della legge. Nella tradizione ebraica, più precisamente, leggiamo che anche se non esiste giurisdizione al di fuori della Terra d’Israele per la pena capitale, la fustigazione o le multe, se, però, un tribunale ebraico, fuori dalla Terra Santa, ritiene che sia un’esigenza del tempo, in quanto il crimine è dilagante tra la gente, può imporre: la pena di morte, multe monetarie o altre punizioni; occorre però, per irrogare tale pena, che vi sia chiara evidenza del fatto che un certo soggetto abbia compiuto tale crimine perchè è meglio che persone colpevoli siano libere piuttosto che una singola persona innocente sia messa a morte.[232]
Riguardo a tale giurisdizione esercitata fuori dalla terra di Israele occorre dire:
1)la comunità ebraica spagnola godette di un’ampia giurisdizione criminale, compreso il potere di infliggere la pena capitale, per un lungo periodo; tale giurisdizione esisteva anche nella comunità ebraica della Polonia;
2)nella maggior parte dei casi, l’esecuzione delle condanne a morte è stata probabilmente lasciata alla discrezione delle persone assegnate dal giudice per eseguirla [233]
Riguardo alle prove necessarie per condannare qualcuno alla pena di morte occorre dire che
la Corte Suprema di Israele ha affermato nel caso Nagar che anche se è necessario esercitare la giurisdizione capitale e condannare sulla base di prove indiziarie, in violazione delle disposizioni della legge ebraica originale, le prove devono essere tali che i giudici credano che sia la verità, che l’accusa deve dimostrarsi ben fondata e l’unica intenzione deve essere quella di perseguire la giustizia e la verità. La Corte, nel caso in questione, riprese i commenti di Maimonide avvertendo coloro che condanneranno a morte qualcuno di essere molto attenti nell’esercizio di questa speciale giurisdizione con cui si irroga la pena di morte, affinché la dignità umana non venga violata più del necessario: i giudici dovrebbero sempre agire come ministri di Dio e non dovrebbero assumere un atteggiamento frivolo nei confronti della dignità umana.[234]
Interessante è considerare il significato teologico della pena di morte nel pensiero rabbinico, e non solo le sue funzioni penali e deterrenti così come concepite dalla società secolare. Il famoso rabbino Neusner ha affermato che: “In the Halakhic context, the death penalty achieves atonement of sin, leading to the resurrection at the end of days. It is an act of mercy, atoning for the sin that otherwise traps the sinner/criminal in death. … The Mishnah interprets the death penalty as a medium of atonement in preparation for judgment leading to resurrection, just as the theology of the Passion narratives has always maintained. For both the Mishnah and the Gospels, the death penalty is a means to an end. It does not mark the end but the beginning. The trial and crucifixion of Christ for Christianity, like the trial and execution of the Israelite criminal or sinner for Judaism, form necessary steps toward the redemption of humanity from death, as both religions have maintained, each in its own idiom. ….” [235] Nel contesto halakhico, cioè della Legge, quindi, la pena di morte ottiene l’espiazione del peccato, portando alla risurrezione alla fine dei giorni, quindi è un atto di misericordia, di espiazione del peccato che altrimenti intrappola il peccatore / criminale nella morte. La Mishnah interpreta la pena di morte come un mezzo di espiazione in preparazione al giudizio che conduce alla risurrezione, proprio come la teologia della Passione. Sia per la Mishnah che per i Vangeli, la pena di morte è un mezzo per raggiungere un fine. Non segna la fine ma l’inizio. Il processo e la crocifissione di Cristo per il cristianesimo, come il processo e l’esecuzione del criminale israelita o peccatore per il giudaismo, sono necessari passi verso la redenzione dell’umanità dalla morte, come hanno sostenuto entrambe le religioni, ciascuna nel proprio idioma, dice Neusner. Spiega lo stesso Neusner più dettagliatamente che per il monoteismo, alla fine Dio ripristinerà quella perfezione che era fissata nel suo piano originario per la creazione e la morte, venuta a causa del peccato, morirà, i morti saranno risuscitati e giudicati sulla base delle loro azioni in questa vita, e la maggior parte di loro, essendo stata giustificata, andrà alla vita eterna nel mondo a venire.[236]
La Scrittura indica che alla fine prevale la giustizia e che la misericordia di Dio alla fine si manifesta pienamente. La vita non può finire nella tomba. E poiché Dio è giusto, il peccatore o il criminale sopravvive al suo peccato o crimine per espiazione, in particolare, pagando con la sua vita qui e ora, in modo che alla risurrezione possa riprendere la vita, insieme a tutto Israele. È per questo che il momento culminante nella Legge arriva alla fine del lungo catalogo di quei peccati e crimini puniti con la pena capitale; in questa linea il Talmud pone a conclusione e culmine della sua versione la dichiarazione, “tutto Israele ha una parte nel mondo a venire, tranne …” La Legge dà per scontata la risurrezione dei morti, il giudizio finale, e la vita del mondo che verrà oltre la morte. Da questa prospettiva, la morte diventa un evento nella vita ma non la fine della vita; e anche la pena di morte non segna l’annientamento totale della persona del peccatore o criminale; costui perché paga per il suo crimine o peccato in questa vita, è pronto per il giudizio finale con tutto il resto dell’Israele soprannaturale. Essendo stato giudicato troverà la sua strada per la vita del mondo insieme a tutti gli altri.[237] Neusner cita Giosuè 7,25 e afferma che il peccatore è punito con la morte qui in terra per la sua salvezza eterna. [238]
Quindi al centro stesso dell’esposizione halakica sta il principio teologico per cui la pena di morte apre la strada alla vita eterna: tutto Israele, con eccezioni specificate, eredita il mondo a venire; questi sono quelli che non hanno parte nel mondo a venire: coloro che dicono che la risurrezione dei morti è un insegnamento che non deriva dalla Torah, e che la Torah non viene dal Cielo e gli epicurei. Il criminale giustiziato con la pena di morte non figura specificamente tra coloro che non avranno la vita eterna, a meno che sia tra quelli indicati qui sopra cioè tra quelli che sfidano volontariamente Dio in materia di eternità.
E l’intera costruzione dell’esposizione continua del Sanhedrin-Makkot mira a fare questa semplice affermazione: il criminale, avente immagine e somiglianza di Dio, paga la pena per il suo crimine in questo mondo ma come il resto d’Israele resisterà all’ingiustizia e, riabilitato, godrà del mondo a venire.[239]
In conclusione, la tradizione ebraica, nella linea biblica, ritiene lecita, in alcuni casi, la pena di morte e insiste molto sull’attenzione alla dignità umana della persona imputata e poi condannata e sulla reale evidenza del crimine commesso.
3) Risposte più dirette alle affermazioni errate di Papa Francesco sulla pena di morte.
Per il nostro scopo è importante affermare anzitutto che, come si vede chiaramente, le affermazioni dell’ Amoris Laetitia contrastano nettamente con la Bibbia e la Santa Tradizione … Affermare che la pena di morte è da vietare assolutamente è del tutto contrario alla sana dottrina e al diritto naturale: come l’uomo può difendersi dall’aggressore ingiusto così può e deve, in certi casi, fare lo Stato e tale difesa implica la liceità in alcuni casi della pena di morte. Certamente ci sono governi che applicano la pena di morte non secondo la sana morale e che uccidono ingiustamente ma questo non vuol dire che si debba “buttare con l’acqua sporca anche il bambino” cioè non vuole dire che la pena di morte sia sempre moralmente illecita; a volte tale pena è lecita, come visto, e va applicata per il bene della comunità e delle persone e questo non va contro la legge di Dio
Le affermazioni dell’ Amoris Laetitia, e anche altre affermazioni del Papa Francesco, contrastano nettamente con quelle di s. Tommaso, quindi appare errato dire semplicemente che:“Una seconda cosa: alcuni sostengono che sotto l’Amoris Laetitia non c’è una morale cattolica o, quantomeno, non è una morale sicura. Su questo voglio ribadire con chiarezza che la morale dell’Amoris Laetitia è tomista, quella del grande Tommaso. Potete parlarne con un grande teologo, tra i migliori di oggi e tra i più maturi, il cardinal Schönborn. Questo voglio dirlo perché aiutiate le persone che credono che la morale sia pura casistica. Aiutatele a rendersi conto che il grande Tommaso possiede una grandissima ricchezza, capace ancora oggi di ispirarci. ” [240]
Appare errato dire semplicemente : “Per la vostra tranquillità, devo dirvi che tutto quello che è scritto nell’Esortazione – e riprendo le parole di un grande teologo che è stato segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Schönborn, che l’ha presentata – tutto è tomista, dall’inizio alla fine. E’ la dottrina sicura.”[241] Il Papa ha ribadito in varie occasioni che l’Amoris Laetitia segue s. Tommaso, come vedemmo più sopra, ma anche riguardo alla liceità della pena ciò non è vero!
Preciso poi che la Congregazione per la Dottrina della Fede ha affermato: “ La vita umana è sacra perché fin dal suo inizio comporta “l’azione creatrice di Dio”[242] e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine(Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, 24.). Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a se il diritto il distruggere direttamente un essere umano innocente[243]”[244] Il n. 2258 del Catechismo della Chiesa Cattolica è realizzato riportando integralmente questo testo.
Come si vede chiaramente, il testo appena presentato non condanna la pena di morte ma condanna l’uccisione di una persona innocente e quindi non condanna in modo assoluto, in particolare, l’uccisione di persona colpevole, quindi il n. n.83 dell’Amoris Laetitia laddove si afferma “Allo stesso modo, la Chiesa non solo sente l’urgenza di affermare il diritto alla morte naturale, evitando l’accanimento terapeutico e l’eutanasia», ma «rigetta fermamente la pena di morte»(Relatio finalis 2015, 64.).” e il passo della Relatio Finalis del Sinodo che afferma :“Allo stesso modo, la Chiesa non solo sente l’urgenza di affermare il diritto alla morte naturale, evitando l’accanimento terapeutico e l’eutanasia, ma si prende anche cura degli anziani, protegge le persone con disabilità, assiste i malati terminali, conforta i morenti, rigetta fermamente la pena di morte (cf. CCC, 2258). (Relatio Finalis del Sinodo) …. fanno riferimento e si appoggiano su un testo (CCC 2258) in cui in realtà non si parla di assoluta inammissibilità della pena di morte.
Aggiungo che alcune affermazioni del Papa Francesco sono evidentemente false. Papa Francesco afferma: “San Giovanni Paolo II ha condannato la pena di morte (cfr Lett. enc. Evangelium vitae, 56), come fa anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 2267).” Ma s. Giovanni Paolo II non ha condannato la pena di morte in quei passi … infatti in Evangelium Vitae, n. 56 Giovanni Paolo II ha scritto: … “ In questo orizzonte si colloca anche il problema della pena di morte, su cui si registra, nella Chiesa come nella società civile, una crescente tendenza che ne chiede un’applicazione assai limitata ed anzi una totale abolizione. …
È chiaro che … la misura e la qualità della pena devono essere attentamente valutate e decise, e non devono giungere alla misura estrema della soppressione del reo se non in casi di assoluta necessità, quando cioè la difesa della società non fosse possibile altrimenti. Oggi, però, a seguito dell’organizzazione sempre più adeguata dell’istituzione penale, questi casi sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti.
In ogni caso resta valido il principio indicato dal Catechismo della Chiesa Cattolica, secondo cui «se i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere le vite umane dall’aggressore e per proteggere l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana».”[245]
Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, nella ed. typica fissata da s. Giovanni Paolo II, al n. 2267 non viene condannata la pena di morte infatti si dice: “ L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani. …” Nel Catechismo della Chiesa Cattolica si afferma anche al n. 2265: “ La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere.”
Come si può vedere s. Giovanni Paolo II, ha dichiarato che la dottrina sulla liceità della pena di morte è tradizionale cioè appartiene alla Tradizione della Chiesa, inoltre il s. Pontefice non ha negato il principio morale che sta alla base della pena di morte ma anzi lo ha riaffermato, ha solo detto che “Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo « sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti ».” … cioè forse oggi non si presentano casi in cui è necessaria la pena di morte … s. Giovanni Paolo II ha solo fatto una ipotesi : forse nella situazione attuale non si verificano casi in cui occorre condannare a morte qualcuno …
In questa linea vanno intese anche altre affermazioni di Giovanni Paolo II “ … la dignità della vita umana non deve essere mai negata, nemmeno a chi ha fatto del grande male. La società moderna possiede gli strumenti per proteggersi, senza negare ai criminali la possibilità di ravvedersi. Rinnovo quindi l’appello… per abolire la pena di morte, che è crudele e inutile”[246] … o altre affermazioni … infatti nella Esortazione apostolica post-sinodale “Ecclesia in America” al paragrafo 63 si legge: «Né posso dimenticare il non necessario ricorso alla pena di morte, quando altri “mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone”»
E in un messaggio scritto il 2 febbraio 2003, il Papa polacco disse : “Né posso dimenticare il non necessario ricorso alla pena di morte . . . Un simile modello di società è improntato alla cultura della morte ed è perciò in contrasto col messaggio evangelico” [247] [248] Come si vede il Papa condanna l’uso non necessario della pena di morte, cioè l’uso della pena di morte al di fuori delle giuste regole morali e in particolare al di fuori dei casi che la giustificano, perché ci sono casi in cui essa è lecita, come ha spiegato bene il Papa polacco nel Catechismo e nella “Evangelium Vitae” ma ce ne sono altri, moltissimi, in cui essa è illecita.
Leggendo con attenzione i testi di s. Giovanni Paolo II dunque non troviamo nessuna condanna assoluta della pena di morte, la cui liceità è affermata dalla Tradizione e, come afferma il famoso moralista p. Lio[249] dalla legge naturale[250]. Ricordo che , come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica al n.1958 :“ La legge naturale è immutabile(Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 10: AAS 58 (1966) 1033.) e permane inalterata attraverso i mutamenti della storia; rimane sotto l’evolversi delle idee e dei costumi e ne sostiene il progresso. Le norme che la esprimono restano sostanzialmente valide.” Non si può distruggere tale legge naturale, né strapparla dal cuore dell’uomo, anche se alcuni uomini arrivano a negare i principi di essa. Tale legge, seppur negata e combattuta da alcuni, sempre risorge nella vita degli individui e delle società (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica al n.1958 ). S. Agostino affermò a riguardo: “La tua legge, Signore, condanna chiaramente il furto, e così la legge scritta nei cuori degli uomini, che nemmeno la loro malvagità può cancellare. ».” …. Sempre risorge nella vita degli individui e delle società: « La tua Legge, Signore, condanna chiaramente il furto, e così la legge scritta nel cuore degli uomini, legge che nemmeno la loro malvagità può cancellare.”[251] …. inoltre come spiega s. Giovanni Paolo II “8. Il Romano Pontefice, infatti, ha la “sacra potestas” di insegnare la verità del Vangelo, amministrare i sacramenti e governare pastoralmente la Chiesa in nome e con l’autorità di Cristo, ma tale potestà non include in sé alcun potere sulla Legge divina naturale o positiva. ” [252] Il Papa non ha alcun potere sulla Legge divina naturale o positiva. Peraltro la liceità della pena di morte è chiaramente affermata non solo dalla Legge naturale ma anche dalla Legge rivelata, come vedemmo in precedenza; la Bibbia afferma chiaramente tale liceità.
Inoltre vista la continua e assoluta affermazione della liceità della pena di morte, in certe situazioni, durante 2000 anni di storia della Chiesa in modo chiaro e inequivocabile, ci troviamo ovviamente di fronte ad un’ affermazione che evidentemente, come preciseremo meglio più avanti, appartiene al Magistero Ordinario e Universale della Chiesa e tale affermazione magisteriale è fondata, come visto sopra, sulla stessa Scrittura e sulla Tradizione.
Faccio notare che nel Catechismo, anche dopo il cambiamento imposto dal Papa, è scritto con chiarezza al n. 2265 “La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell’autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità”. Si noti in particolare che: “La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere.”(Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2265) Dunque l’ingiusto aggressore va posto in stato di non nuocere , ma se il sistema carcerario non può assicurare questo in modo stabile e certo, è evidente che, in alcuni casi, l’unico modo per porre l’aggressore in stato di non nuocere è ucciderlo.
E infatti anche oggi la pena di morte rimane perfettamente valida in qualsiasi Stato in cui i mezzi incruenti non sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone. Vi sono casi in cui anche oggi, vengono ad essere sconvolte e annullate le possibilità di cui la comunità dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso … si pensi ai casi di bande criminali che sono veri eserciti e che minacciano uno Stato o al caso di guerre civili etc. o al caso di guerre, in questi casi e in altri simili capita che i mezzi incruenti non siano sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone; da notare il fatto che certi criminali particolarmente forti sono comandanti di veri e propri eserciti che sono in grado anche di attaccare le prigioni in cui i loro capi possono essere incarcerati e quindi possono liberarli cosicché possano continuare ad operare il male; si noti poi che in certi attacchi alla sicurezza di alcuni Stati i responsabili agiscono con il sostegno e l’aiuto militare di altri Stati a volte molto potenti … è evidente che in questi casi i mezzi incruenti non siano, spesso, sufficienti per proteggere la sicurezza delle persone, per difendere da uno di tali aggressori, sebbene sia stato catturato, e quindi per evitare la pena di morte.
Quanto appena detto confuta radicalmente la seguente affermazione: “… visto che la società odierna possiede sistemi di detenzione più efficaci, la pena di morte risulta non necessaria come protezione della vita di persone innocenti. ”[253]
Purtroppo non sempre lo Stato possiede tali sistemi di detenzione efficaci, come ho detto più sopra; la pena di morte resta dunque in alcuni casi particolari del tutto lecita per difendere la nazione e in particolare gli innocenti.
La pena di morte non è, dunque, sempre inammissibile.
Mi pare importante notare anche che il Catechismo della Chiesa Cattolica nella sua editio typica, di s. Giovanni Paolo II :“… è frutto di una larghissima collaborazione: è stato elaborato in sei anni di intenso lavoro condotto in uno spirito di attenta apertura e con un appassionato ardore”[254] lo stesso non mi pare possa dirsi di questa “correzione” realizzata da Papa Francesco, che è un evidente errore.
Il Papa Francesco vuole far passare i suoi cambiamenti nella dottrina sulla pena di morte come uno sviluppo dell’insegnamento della Chiesa, perciò afferma : “Qui non siamo in presenza di contraddizione alcuna con l’insegnamento del passato”[255] Purtroppo queste affermazioni papali, come altre sue che stiamo vedendo, non sono vere: è un chiaro errore, un evidente cambiamento della dottrina cattolica , una deviazione dalla sana dottrina la dottrina di Papa Francesco per cui la pena di morte è inammissibile.
Ugualmente appaiono devianti ed errate alcune affermazioni che troviamo nella “Fratelli tutti “[256] e riguardanti la pena capitale.
In tale Enciclica si afferma al n. 265. “Fin dai primi secoli della Chiesa, alcuni si mostrarono chiaramente contrari alla pena capitale. Ad esempio, Lattanzio sosteneva che «non va fatta alcuna distinzione: sempre sarà un crimine uccidere un uomo».(Divinae Institutiones VI, 20, 17: PL 6, 708.)” Come precisa Thompson, però, e come vedemmo più sopra, nel “De Ira Dei”, Lattanzio avverte gli stoici e gli epicurei che la pena di morte è accettabile se viene inflitta giustamente per gli interessi del bene contro il male [257].
Quindi Lattanzio non era radicalmente contro la pena di morte, in alcuni casi la accettava!
Ancora nella “Fratelli tutti” si afferma: “Papa Nicola I esortava: «Sforzatevi di liberare dalla pena di morte non solo ciascuno degli innocenti, ma anche tutti i colpevoli» (Epistula 97 (responsa ad consulta bulgarorum), 25: PL 119, 991)[258] Papa Francesco evidentemente vuole annoverare tra gli abolizionisti Papa s. Nicola I ma costui nella sua risposta ai bulgari [259] dell’anno 866, come vedemmo più sopra, affronta un gran numero di domande dogmatiche e canoniche e ribadisce la legittimità della pena di morte.[260]
Tra le altre cose s. Nicola afferma infatti che : quanto a coloro che hanno trucidato il loro consanguineo è bene che le rispettabili leggi trovino la loro applicazione ma se i colpevoli si sono rifugiati nella chiesa, siano strappati dalla morte promessa dalle leggi.[261]
Ovviamente ciò significa che le leggi rispettabili prevedevano la pena di morte per coloro che uccidevano i loro consanguinei e Papa Nicola accetta che esse si applichino, solo chiede che ai colpevoli sia risparmiata la morte se si sono rifugiati in chiesa. S. Nicola non era radicalmente contrario, quindi, alla pena di morte! … e non parlava radicalmente contro la pena di morte; come poteva farlo, d’altronde, se anche Rm 13, 4, come visto, è chiarissima nel concedere ai governanti il diritto di uccidere i malvagi?
Si consideri anche che la Tradizione affermava chiaramente a quei tempi che la pena di morte era lecita e nessun autore del tempo ha considerato rivoluzionarie rispetto alla Tradizione e contrarie alla Tradizione le affermazioni di s. Nicola ai Bulgari perché esse, in realtà, come detto, seguivano la Tradizione e affermavano la liceità della pena di morte. Nicola I non ha elevato una protesta contro le condanne a morte irrogate dai re cristiani di quei tempi, eppure è evidente che se ne comminavano … infatti Nicola I non si opponeva alla liceità della pena di morte. Le affermazioni di s. Nicola I non hanno determinato, in quel tempo, l’opposizione alla pena di morte a Roma o in Italia o altrove … semplicemente perché esse non si opponevano alla pena di morte … L’idea che s. Nicola sia un abolizionista appare un’idea che è sorta quando alcuni cattolici abolizionisti hanno cercato appigli alle loro affermazioni nella Tradizione … purtroppo, però, hanno trovato, in questo caso, un falso appiglio; S. Nicola non era contro la pena di morte, semplicemente cercava di rendere meno crudele il diritto bulgaro di allora e perciò cercava di limitare i casi in cui applicare tale pena.
Inoltre Papa Francesco afferma sempre nella “Fratelli tutti”[262] che: “In occasione del giudizio contro alcuni omicidi che avevano assassinato dei sacerdoti, Sant’Agostino chiese al giudice di non togliere la vita agli assassini, e lo giustificava in questo modo: «Non che vogliamo con ciò impedire che si tolga a individui scellerati la libertà di commettere delitti, ma desideriamo che allo scopo basti che, lasciandoli in vita e senza mutilarli in alcuna parte del corpo, applicando le leggi repressive siano distolti dalla loro insana agitazione per esser ricondotti a una vita sana e, tranquilla, o che, sottratti alle loro opere malvage, siano occupati in qualche lavoro utile. … Sdegnati contro l’iniquità in modo però da non dimenticare l’umanità; non sfogare la voluttà della vendetta contro le atrocità dei peccatori, ma rivolgi la volontà a curarne le ferite».([263]. Evidentemente s. Agostino viene presentato come contrario alla pena di morte. Abbiamo visto ampiamente più sopra, allorché parlammo della dottrina dei Padri circa la pena di morte che s. Agostino non è un abolizionista, la accetta pienamente ma solo nei casi in cui Dio veramente la vuole, cioè solo come estrema ratio!
S. Agostino, afferma giustamente Thompson, precisa che la pena di morte può essere inflitta solo dalle autorità competenti per promuovere il bene comune della società e come deterrente per ulteriori azioni criminali, essa è un misura insolita che dovrebbe essere usata solo in casi di estrema necessità dove non esiste altra opzione. (Thompson “Augustine and the Death Penalty”Augustinian Studies 40(2) p. 198)
Con le citazioni degli autori suddetti il Papa ovviamente vorrebbe far pensare che le sue affermazioni circa l’ inammissibilità della pena di morte sono uno sviluppo della dottrina cattolica; in realtà, come stiamo vedendo, uno studio approfondito della Bibbia, della Tradizione e del Magistero mostra la netta contraddizione tra la sana dottrina cattolica e le novità introdotte dall’attuale Pontefice, esse sono, dunque, errori che non fanno evolvere la dottrina cattolica ma la alterano.
Voglio ricordare, a proposito della fede a noi trasmessa, un’ importante affermazione magisteriale: «Quarto: accolgo sinceramente la dottrina della fede trasmessa fino a noi dagli apostoli per mezzo dei padri ortodossi “nello stesso senso e sempre nello stesso contenuto”; e per questo respingo totalmente l’eretica invenzione dell’evoluzione dei dogmi, che passano da un significato all’altro, diverso da quello che prima ritenne la Chiesa» [264].
Il Concilio Vaticano I affermò “Crescono pure, quindi e progrediscono largamente e intensamente, per ciascuno come per tutti, per un sol uomo come per tutta la Chiesa, l’intelligenza, la scienza, la sapienza secondo i ritmi propri a ciascuna generazione e a ciascun tempo, ma esclusivamente nel loro ordine, nella stessa credenza, nello stesso senso e nello stesso pensiero”.[265]
Mi pare evidente che il cambiamento realizzato dal Papa sulla dottrina relativa alla pena di morte è appunto un cambiamento e non uno sviluppo della dottrina che la Chiesa ha sempre sostenuto; le affermazioni di Papa Francesco si pongono fuori dalla sana dottrina cattolica e in contrasto con essa, purtroppo.
Il prof. Rutler ha affermato significativamente: “Pope Francis says that his innovative teaching “does not imply any contradiction” of the Church’s tradition but, one has to say reluctantly, it indeed does. The shift cannot be called a legitimate development of doctrine because it neglects all the classical criteria for authentic development, most especially what John Henry Newman named “preservation of type.” And as capital punishment pertains to natural law, once it is rejected as intrinsically wrong, the same could happen to any aspect of natural law, not least the anthropology of Humanae Vitae or the moral doctrine of Veritatis Splendor. Abidingly conscious of the claims and burdens of the Church’s highest office, that holy seat and high duty is diminished by neglect of its obligations to the perennial teachings of the fathers; and the faithful are at risk when they are offered confusion and superficiality in place of systematic thought. In short, the Vatican has become a theological Chernobyl. We are in dangerous territory.”[266]
Papa Francesco afferma che il suo insegnamento innovativo “non implica alcuna contraddizione” della tradizione della Chiesa ma, bisogna dire con riluttanza, lo fa davvero. Il cambiamento non può essere definito uno sviluppo legittimo della dottrina perché trascura tutti i criteri classici per lo sviluppo autentico, in particolare quello che John Henry Newman ha definito “conservazione del tipo”. E poiché la pena capitale riguarda la legge naturale, una volta respinta come intrinsecamente sbagliata, lo stesso potrebbe accadere per qualsiasi aspetto della legge naturale, non ultimo l’antropologia di Humanae Vitae o la dottrina morale di Veritatis Splendor. Dati gli oneri del più alto ufficio della Chiesa, è evidente che la Santa Sede e il suo alto dovere riguardo alla Verità sono danneggiati dalla negligenza dei suoi obblighi nei confronti degli insegnamenti perenni dei padri. I fedeli sono a rischio quando vengono offerti confusione e superficialità al posto del pensiero sistematico. Il Vaticano è diventato una Chernobyl teologica. Siamo in un territorio pericoloso.
Nella linea di p. Rutler va il prof. Echeverria che afferma“Here, I simply want to argue that, in light of the Lérinian distinction between “progress” and “change”, Francis’s call for abolishing the death penalty is clearly a change and not progress, and hence it is in contradiction with the Church’s teaching. … First, there is a clear contradiction between historic Catholic teaching and calling for the unqualfied abolition of the death penalty because the latter, Francis now insists, is always wrong. … Second … Despite Francis’s claim to the contrary, he is in contradiction not only with “settled points of doctrine” … but also with the 1995 Encylical Evangelium Vitae (nos. 55-56), the Catechism of the Catholic Church (nos. 2266-2267), and the Compendium of the Church’s Social Doctrine (no. 405) … Third, as a matter of moral principle, the most important natural law defense of the death penalty is regarded as a matter of retributive justice. .. Clearly, Francis’s position involves change and not progress.”[267]
Alla luce della distinzione lériniana tra “progresso” e “cambiamento”, la richiesta di Francesco di abolire la pena di morte è chiaramente un cambiamento e non un progresso, e quindi è in contraddizione con l’insegnamento della Chiesa.
In primo luogo, c’è una chiara contraddizione tra l’insegnamento storico cattolico e la richiesta dell’abolizione senza riserve della pena di morte perché quest’ultima, insiste ora Francesco è sempre sbagliata . …
In secondo luogo l’affermazione di Francesco è in contraddizione non solo con “punti fermi di dottrina” … ma anche con l’Enciclica Evangelium Vitae del 1995 (nn. 55-56), il Catechismo della Chiesa Cattolica (nn. 2266-2267) e il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (n. 405) … e, aggiungo io, con tutti gli altri documenti magisteriali su questo punto.
In terzo luogo, per una questione di dottrina morale, la più importante difesa della legge naturale della pena di morte viene dalla giustizia retributiva.
La retribuzione, precisa Echeverria, giustifica la punizione e la punizione richiede che i trasgressori non ottengano più e non meno di ciò che è proporzionato, o giusto, al loro crimine.
Chiaramente, conclude Echeverria, la posizione di Francesco comporta cambiamenti e non progressi. Come visto, indubbiamente tale affermazione di Papa Francesco appare contraria alla Scrittura, alla Tradizione e al Magistero di 2000 anni, rettamente inteso.
Faccio notare che nella critica all’Amoris Laetitia realizzata da 45 teologi si dice che l’affermazione di AL 83: “La Chiesa … rigetta fermamente la pena di morte”, intesa nel senso che la pena di morte è sempre e ovunque ingiusta in sé e che quindi non può mai essere giustamente inflitta dallo Stato è affermazione eretica, contraria alla S. Scrittura e dannosa.[268]
Papa Francesco mentre cerca di indebolire gli assoluti morali riguardo al sesto comandamento, in particolare riguardo all’adulterio e agli atti impuri contro natura, crea un nuovo assoluto morale, visto che, contrariamente a ciò che la Chiesa ha affermato finora, egli dichiara assolutamente inammissibile la pena di morte; la pena di morte diventa così, praticamente, un intrinsece malum …
Il Papa “apre” le porte ad adulteri e a coloro che vivono nella pratica omosessuale sicché pur senza proposito di non peccare ricevano i Sacramenti, in chiaro contrasto con la Bibbia e la Tradizione, lo stesso Papa afferma l’assoluta inammissibilità della pena di morte e la sua contrarietà al Vangelo … ugualmente in chiaro contrasto con la Bibbia e della Tradizione …
Dio ci illumini sempre più.
Sottolineo ancora con tutta la forza che qui non sto dicendo, né la Chiesa ha mai detto, che la pena di morte è sempre lecita ma che in alcuni casi molto particolari e particolarmente gravi essa è lecita. Sappiamo tutti molto bene che in molti o moltissimi casi i potenti uccidono i loro avversari coprendosi con il manto della “giustizia” attraverso processi pilotati e condanne a morte ingiuste e che spesso sono i più deboli e indifesi ad essere condannati a morte appunto perché non hanno potuto difendersi efficacemente in processo etc.; la sapienza cristiana è certamente molto ben consapevole di tutto questo … ma è consapevole anche del fatto che in alcuni casi molto particolari e particolarmente gravi la pena di morte è lecita, come stiamo vedendo.
Il problema dei potenti che usano in modo perverso la pena di morte e tanti altri problemi connessi con essa non si risolvono, semplicisticamente, cambiando radicalmente la dottrina cattolica, non si risolvono deviando dalla sana dottrina ma si risolvono con la nostra più profonda conversione a Cristo e con la conversione del mondo a Cristo … più gli uomini si lasceranno guidare da Cristo più ci sarà vera giustizia sulla terra più gli uomini si ameranno tra loro veramente e più si utilizzerà rettamente il diritto e con esso la pena di morte.
Il divieto assoluto della pena di morte affermato dal Papa non solo non risolve la questione del cattivo uso della pena di morte da parte di alcuni governi ma crea due problemi che esamineremo qui di seguito.
1) Imponendo la difesa a tutti i costi dei criminali espone chiaramente i cittadini più piccoli e indifesi agli attacchi di tali criminali, se infatti non si può mai applicare la pena di morte, essa è vietata anche quando il sistema carcerario non riesce a bloccare il criminale perché non commetta ulteriori crimini, ovvia conseguenza di ciò è che in alcuni o in molti casi i più deboli e indifesi saranno attaccati e probabilmente anche uccisi da tali criminali appena questi ultimi riusciranno a liberarsi dai deboli vincoli di tale sistema carcerario …
2) Fa pensare che il Papa possa cambiare la Legge naturale e la Legge divina positiva, il che non è vero, come vedemmo [269].
Ulteriormente, va ricordato che , come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica al n.1958 :“ La legge naturale è immutabile(Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 10: AAS 58 (1966) 1033.) e permane inalterata attraverso i mutamenti della storia; rimane sotto l’evolversi delle idee e dei costumi e ne sostiene il progresso. Le norme che la esprimono restano sostanzialmente valide.” Non si può distruggere tale legge naturale, né strappare dal cuore dell’uomo, anche se alcuni uomini arrivano a negare i principi di essa. Tale legge, seppur negata e combattuta da alcuni, sempre risorge nella vita degli individui e delle società (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica al n.1958 ) … la liceità della pena di morte che, come visto, fa parte della Legge naturale e anche della Legge rivelata risorgerà e si prenderà la totale rivincita sugli errori di Papa Francesco e degli altri abolizionisti che ora sembrano trionfare …
Dio ci illumini sempre più.
4) Un gruppo di intellettuali cattolici ha fatto pubblicamente rilevare l’errore del Papa sulla pena di morte.
Cristo regni.
Parecchi intellettuali cattolici hanno fatto rilevare la loro opposizione all’errore del Papa sulla pena di morte, essi hanno sottoscritto un appello ai Cardinali che afferma quanto segue:
“Pope Francis has revised the Catechism of the Catholic Church to read, “the death penalty is inadmissible because it is an attack on the inviolability and dignity of the person.” This statement has been understood by many, both inside and outside the Church, to teach that capital punishment is intrinsically immoral and thus is always illicit, even in principle. Though no Catholic is obliged to support the use of the death penalty in practice (and not all of the undersigned do support its use), to teach that capital punishment is always and intrinsically evil would contradict Scripture. That the death penalty can be a legitimate means of securing retributive justice is affirmed in Genesis 9:6 and many other biblical texts, and the Church holds that Scripture cannot teach moral error. The legitimacy in principle of capital punishment is also the consistent teaching of the magisterium for two millennia. To contradict Scripture and tradition on this point would cast doubt on the credibility of the magisterium in general. … ”[270]
Qui di seguito trovate la traduzione del testo completo di tale appello, offerta dal blog di Sabino Paciolla: “Papa Francesco ha rivisto il Catechismo della Chiesa Cattolica dove ora si può leggere: “La pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e alla dignità della persona”. Questa affermazione è stata compresa da molti, sia all’interno che all’esterno della Chiesa, come l’insegnamento che la pena capitale è intrinsecamente immorale e quindi sempre illecita, anche in linea di principio.
Sebbene nessun cattolico sia obbligato a sostenere il ricorso alla pena di morte nella pratica (e non tutti i sottoscritti la sostengono), insegnare che la pena capitale è sempre e intrinsecamente malvagia sarebbe in contraddizione con la Scrittura. Che la pena di morte possa essere un mezzo legittimo per assicurare la giustizia retributiva è affermato in Genesi 9:6 e in molti altri testi biblici, e la Chiesa ritiene che la Scrittura non possa insegnare l’errore morale. La legittimità in linea di principio della pena capitale è anche l’insegnamento coerente del magistero per due millenni. Contrastare la Scrittura e la Tradizione su questo punto metterebbe in dubbio la credibilità del magistero in generale. Preoccupati da questa situazione gravemente scandalosa, vogliamo esercitare il diritto sancito dal Codice di Diritto Canonico della Chiesa, che al Canone 212 afferma:
Can. 212 – (…) I fedeli hanno il diritto di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità, soprattutto spirituali, e i propri desideri.§3. In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità della persona. Siamo guidati anche dall’insegnamento di San Tommaso d’Aquino, che afferma: Se la fede fosse in pericolo, un suddito dovrebbe rimproverare il suo prelato anche pubblicamente. Perciò Paolo, che fu suddito di Pietro, lo rimproverò in pubblico, a motivo dell’imminente pericolo di scandalo sulla fede, e, come dice il glossario di Agostino su Galati 2,11, “Pietro diede un esempio ai superiori, perché se in qualche momento si allontanassero dalla retta via, non disdegnerebbero di essere rimproverati dai loro sottomessi”. (Summa Theologiae, parte II-II, domanda 33, articolo 4, ad 2)
Per questo motivo, i sottoscritti emettono il seguente appello:
Alle loro Reverendissime Eminenze, i Cardinali di Santa Romana Chiesa,
Poiché è una verità contenuta nella Parola di Dio, e insegnata dal magistero ordinario e universale della Chiesa cattolica, che i criminali possono legittimamente essere messi a morte dal potere civile quando ciò sia necessario per preservare il giusto ordine nella società civile, e poiché l’attuale Pontefice Romano ha manifestato più volte pubblicamente il suo rifiuto di insegnare questa dottrina, e ha piuttosto portato grande confusione nella Chiesa facendo intendere di contraddirla, e inserendo nel Catechismo della Chiesa Cattolica un paragrafo che farà e sta già facendo intendere a molte persone, credenti e non credenti, che la Chiesa consideri, contrariamente alla Parola di Dio, che la pena capitale è intrinsecamente malvagia, chiediamo alle Vostre Eminenze di avvertire Sua Santità che è suo dovere porre fine a questo scandalo, di ritirare questo paragrafo dal Catechismo, e di insegnare la genuina Parola di Dio; e noi affermiamo la nostra convinzione che questo è un dovere che impegna seriamente voi stessi, davanti a Dio e davanti alla Chiesa.
Cordiali saluti.” (“Pena capitale: appello ai cardinali della Chiesa Cattolica” www.sabinopaciolla.com 15.8.2018 https://www.sabinopaciolla.com/pena-capitale-appello-ai-cardinali-della-chiesa-cattolica/)
Dio intervenga e liberi la Chiesa da questi errori che Papa Francesco diffonde!
5) Ulteriori errori di Papa Francesco riguardo a questioni di teologia morale vicine al tema della pena di morte.
Affermare che la pena di morte è da vietare assolutamente e sempre, e quindi è inammissibile, è del tutto contrario alla sana dottrina e al diritto naturale: come l’uomo può difendersi dall’aggressore ingiusto così può e deve, in certi casi, fare lo Stato e tale difesa implica la liceità in alcuni casi della pena di morte. La pena di morte è lecita, come visto, in alcuni casi e va applicata per il bene della comunità e delle persone ma questo non va contro la legge di Dio perché il comandamento “non uccidere” non è assoluto, cioè non riguarda sia l’innocente che il colpevole!
Qui emerge un altro errore grave di Papa Francesco, errore che si pone in contrasto con la dottrina della Chiesa, e che notiamo nei testi seguenti:
“ Un segno di speranza è costituito dallo sviluppo, nell’opinione pubblica, di una sempre più diffusa contrarietà alla pena di morte anche solo come strumento di legittima difesa sociale. … Il comandamento «non uccidere» ha valore assoluto e riguarda sia l’innocente che il colpevole.”[271]
Aggiunge, ancora , il Papa : “Un segno di speranza è lo sviluppo, nell’opinione pubblica, di una crescente opposizione alla pena di morte, perfino come strumento di legittima difesa sociale. … Non rende giustizia alle vittime, ma alimenta la vendetta. Il comandamento “non uccidere” ha un valore assoluto e include sia l’innocente sia il colpevole.”[272]
Il Papa parla di valore assoluto del comandamento non uccidere che vale sia per l’innocente che per il colpevole e dice che la pena di morte è inammissibile perché offende la inviolabilità della persona umana, ma un testo della Donum Vitae, citato dal Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2258, afferma : “ La vita umana è sacra perché fin dal suo inizio comporta “l’azione creatrice di Dio”[273] e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine(Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, 24.). Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a se il diritto il distruggere direttamente un essere umano innocente[274].”[275]
Sottolineo che: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a se il diritto il distruggere direttamente un essere umano innocente … Inviolabile assolutamente è l’innocente non il colpevole!
Precisiamo che il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede appena citato , intitolato “ Donum vitae” ha l’approvazione scritta di s. Giovanni Paolo II e che in più punti tale testo ribadisce la verità per cui solo la vita dell’innocente è assolutamente inviolabile infatti: “ L’inviolabilità del diritto alla vita dell’essere umano innocente “dal momento del concepimento alla morte”[276] è un segno e un’esigenza dell’inviolabilità stessa della persona, alla quale il Creatore ha fatto il dono della vita. ”[277]
Il diritto alla vita dell’essere umano innocente è inviolabile, non quello dell’essere umano colpevole.
Inoltre questo stesso documento della Congregazione per la Dottrina della Fede afferma: “L’essere umano va rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento e, pertanto, da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano innocente alla vita.”[278] Il diritto alla vita dell’essere umano innocente è inviolabile, non quello dell’essere umano colpevole.
… e infine: “Il diritto inviolabile alla vita di ogni individuo umano innocente, i diritti della famiglia, dell’istituzione matrimoniale costituiscono dei valori morali fondamentali, perché riguardano la condizione naturale e la vocazione integrale della persona umana, nello stesso tempo sono elementi costitutivi della società civile e del suo ordinamento.”[279] Il diritto alla vita dell’essere umano innocente è inviolabile, non quello dell’essere umano colpevole.
Infatti …. dice la “Evangelium Vitae” al n. 57 “Se così grande attenzione va posta al rispetto di ogni vita, persino di quella del reo e dell’ingiusto aggressore, il comandamento «non uccidere» ha valore assoluto quando si riferisce alla persona innocente.”[280] Sottolineo: il comandamento «non uccidere» ha valore assoluto quando si riferisce alla persona innocente, non quando si riferisce alla persona colpevole!
Pio XII, ritenendo perfettamente lecita in alcuni casi la pena di morte, disse in un discorso del 12 novembre 1944 : “Il quinto comandamento — Non occides (Exod. 20, 13) —, … Finché un uomo non è colpevole, la sua vita è intangibile, ed è quindi illecito ogni atto tendente direttamente a distruggerla, sia che tale distruzione venga intesa come fine o soltanto come mezzo al fine, sia che si tratti di vita embrionale o nel suo pieno sviluppo ovvero giunta ormai al suo termine. Della vita di un uomo, non reo di delitto punibile con la pena di morte, solo signore è Dio!”[281] Intangibile è la vita dell’innocente non quella del colpevole!
Nello stesso discorso leggiamo anche:” Qui parimente ragione e fede tracciano i confini fra i diritti rispettivi della società e dell’individuo. … Non da essa, ma nel Creatore stesso, egli ha il diritto sul proprio corpo e sulla sua vita, e al Creatore risponde dell’uso che ne fa. Da ciò consegue che la società non può direttamente privarlo di quel diritto, fintantoché non si sia reso punibile di una tale privazione con un grave e proporzionato delitto.”
Intangibile è la vita dell’innocente non quella del colpevole!
Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n. 2260: “ … L’uccisione volontaria di un innocente è gravemente contraria alla dignità dell’essere umano, alla « regola d’oro » e alla santità del Creatore. La legge che vieta questo omicidio ha una validità universale: obbliga tutti e ciascuno, sempre e dappertutto.”
Quindi è intrinsecamente immorale uccidere l’innocente, non il colpevole.
Lo stesso Catechismo afferma al n. 2263: “ La legittima difesa delle persone e delle società non costituisce un’eccezione alla proibizione di uccidere l’innocente, uccisione in cui consiste l’omicidio volontario.” Il quinto comandamento proibisce di uccidere l’innocente non chi si è macchiato di gravi delitti o l’ingiusto aggressore…
Le parole del Papa Francesco mostrano di contenere un errore molto grave, tale errore è in contrasto anche con la dottrina della Chiesa circa la legittima difesa e la guerra giusta; infatti se il comandamento non uccidere ha valore assoluto anche riguardo al colpevole non si può uccidere l’aggressore ingiusto neppure per difendersi, quindi se uno Stato viene attaccato da altro Stato neppure per difendersi può uccidere coloro che lo attaccano! Tutto questo è chiaramente contrario alla Bibbia e alla Tradizione.
Dobbiamo però dare atto a Papa Francesco di aver ribadito la liceità della legittima difesa : “È quindi legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita, persino quando per farlo è necessario infliggere al proprio aggressore un colpo mortale (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2264).” ed ha precisato che : “La difesa del bene comune esige di porre l’aggressore nella condizione di non poter recare danno.”; nello stesso discorso, però, ha aggiunto il Papa :“ … la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che la pena di morte è sempre inammissibile perché lede l’inviolabilità e la dignità della persona. ”[282]
Logica vorrebbe che se il comandamento “non uccidere” fosse assoluto anche per il colpevole e se la persona umana fosse inviolabile non dovrebbe essere lecita neppure la legittima difesa … ma sono contento che, al di là del significato più diretto delle sue parole, il Papa abbia ribadito la liceità della legittima difesa.
Un ulteriore errore di Papa Francesco riguardo a temi connessi con la pena di morte è quello per cui il Pontefice afferma che la pena di morte offende l’ inviolabilità della persona umana.
Rispondo a tale affermazione ribadendo che, come visto, in realtà la persona umana in alcuni casi è violabile e cioè appunto quanto diventa un pericolo per gli altri …. la legittima difesa afferma precisamente questo: l’ingiusto aggressore può essere ucciso. Inviolabile è l’innocente , non il colpevole … e in questa linea il Catechismo della Chiesa Cattolica, seguendo la sana dottrina, ribadisce la liceità della legittima difesa e della guerra giusta, infatti ai nn. 2263 ss afferma: “ La legittima difesa delle persone e delle società non costituisce un’eccezione alla proibizione di uccidere l’innocente, uccisione in cui consiste l’omicidio volontario. … Chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio anche se è costretto a infliggere al suo aggressore un colpo mortale … La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri….”
Inoltre, nella Gaudium et Spes, riguardo alla guerra giusta, leggiamo: « Fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa ».[283]
Al n. 2309 il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: “ Si devono considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare. …”
In caso di guerra giusta i governanti: ” … hanno il diritto e il dovere di imporre ai cittadini gli obblighi necessari alla difesa nazionale. …”(Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2310)
In caso di guerra la legge morale resta valida: “La Chiesa e la ragione umana dichiarano la permanente validità della legge morale durante i conflitti armati.” (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2312) … perciò: “Si devono rispettare e trattare con umanità i non-combattenti, i soldati feriti e i prigionieri.”(Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2313) etc.
Ugualmente la liceità della legittima difesa e della guerra giusta sono affermate anche nella Evangelium Vitae al n. 55 che afferma riguardo al quinto comandamento: “ Al diritto di difendersi, dunque, nessuno potrebbe rinunciare per scarso amore alla vita o a se stesso, ma solo in forza di un amore eroico …
D’altra parte, «la legittima difesa può essere non soltanto un diritto, ma un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri, del bene comune della famiglia o della comunità civile». Accade purtroppo che la necessità di porre l’aggressore in condizione di non nuocere comporti talvolta la sua soppressione. In tale ipotesi, l’esito mortale va attribuito allo stesso aggressore che vi si è esposto con la sua azione, anche nel caso in cui egli non fosse moralmente responsabile per mancanza dell’uso della ragione.” [284]
…. Come si vede, il quinto comandamento non ha valore assoluto e la vita umana del colpevole non è inviolabile, infatti è lecita e a volte doverosa la legittima difesa dei singoli e degli Stati e ciò comporta in alcuni casi la soppressione dell’aggressore.
Le affermazioni di Papa Francesco anche su questo punto costituiscono purtroppo, in forma sottile ma molto grave, un sovvertimento della dottrina morale cattolica …. sono in sé stesse pericolose e contrarie all’insegnamento biblico e tradizionale …
Dio intervenga e liberi la Chiesa da questi errori che Papa Francesco diffonde!
6) Riflessioni sulle affermazioni di alcuni autori moderni che hanno “preparato” o sostenuto gli errori di Papa Francesco circa la pena di morte.
La Verità ci guidi sempre meglio.
Alcuni autori cattolici soprattutto negli ultimi decenni hanno preparato le affermazioni di Papa Francesco sulla pena di morte. Mi pare interessante esaminare alcune loro affermazioni per chiarire alcune questioni che attraverso i loro scritti emergono e quindi per esaminare più a fondo riguardo a vari aspetti il giudizio morale sulla pena di morte.
Come ha spiegato G. Concetti nel suo libro : “Pena di morte” (ed. Piemme , Casale Monferrato 1993) la contestazione della legittimità della pena di morte da parte di teologi cattolici è iniziata alla fine del 1700 ed è proseguita fino ai primi del 1900 ma in questo periodo di circa 200 anni solo qualche autore isolato ha attuato tale contestazione, si pensi a Malanima , Zanghi, Keller, Ude; tale contestazione si è sviluppata, poi, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II (cfr. Concetti “Pena di morte” ed. Piemme , Casale Monferrato 1993 pp.22s)
Soprattutto dopo il Concilio Vaticano II si trovano autori cattolici che si oppongono alla liceità della pena di morte sulla scia delle affermazioni di vari Episcopati che si sono pronunciati contro la pena di morte. Leggiamo in un testo di un moralista gesuita: “El 8 de septiembre de 1978 aparecía en la primera página de l´Osservatore Romano una protesta solemne por la ejecución de una mujer en los Estados Unidos señalando que la imposición de la pena capital es la mayor humillación imaginable. …[285] (…) Existe un movimiento episcopal abolicionista de la pena de muerte, surgido a raíz del Concilio Vaticano II. La Conferencia Episcopal canadiense, por ejemplo, se dirigió al Parlamento de aquel país el 6 de enero de 1973. … [286] (…)… También el episcopado francés incluyó en su agenda de trabajó la cuestión de la pena capital el año 1977, … [287] (…) En 1980 los obispos norteamericanos … [288]” [289]
Dopo il Concilio a partire da un forte intervento pubblicato sull’Osservatore Romano, contro l’inflizione della pena capitale ad una donna negli Stati Uniti, si nota un movimento abolizionista tra i Vescovi e alcuni documenti, in particolare dei Vescovi francesi e nordamericani, trattano della pena di morte.
In realtà le affermazioni dei Vescovi nordamericani, non negavano in assoluto la legittimità della pena di morte ma solo che essa fosse giustificabile nella situazione concreta degli Stati Uniti; più abolizioniste apparivano le affermazioni dell’Episcopato francese raccolte in un documento del 1978 ma anche queste dicevano che la Chiesa ha riconosciuto la pena di morte anche sulla base di Rm 13,4 [290].
Vi furono anche alcuni moralisti che si opposero alla pena di morte come Concetti, Vidal, Blazquez, Ciccone etc. Qui di seguito esamineremo alcune affermazioni di alcuni di loro su questo argomento e vedremo anche ciò che altri autori nella linea abolizionista affermano.
Dio ci illumini sempre meglio.
a) Qualche riflessione sulle affermazioni del teologo prof. Ciccone.
Esaminiamo anzitutto alcune cose che diceva il prof. Lino Ciccone nel libro “Non uccidere” (Ed. Ares Milano 1988)
1)La documentazione biblica.
Ciccone afferma che, sebbene la pena di morte sia legittimata nell’ A. Testamento essa si poneva in termini ben diversi da quelli in cui oggi si pone; secondo Ciccone essa non serviva per la difesa della società ma si poneva in termini completamente diversi, inoltre Ciccone dice che l’A. T. offre indicazioni contrarie alla pena di morte ad es. Gen. 4,14s
Mi pare chiaro per chi conosce l’ A. T. che le affermazioni di L. Ciccone sono evidentemente errate la pena di morte nell’A. T. era irrogata anche per la difesa e più generalmente per il bene della comunità infatti , come spiega Brugger: “Serious crimes against religion, the order of the family and community, and human life were all punished with death. For example, blasphemy (Lev. 24:16), sacrifice to foreign gods (Ex. 22:20, 32:21–27, Deut. 13:6–10, 17:2–7), and working on the Sabbath (Ex. 31:12–14, 35:2) were capital crimes; so, too, were false prophecy, the idolatrous dreaming of dreams, and sorcery and wizardry (Deut. 13:5, Lev. 20:27, Ex. 22:18).”[291]
Gravi crimini contro la religione, l’ordine della famiglia e della comunità e la vita umana venivano tutti puniti con la morte. “A most serious crime in Israel, one against both the community and its religion, was the intentional killing of the innocent or intentional injury resulting in the death of the innocent (Gen. 9:6, Ex. 21:12, Lev. 24:17, 21, Num. 35:16–20, Deut. 19:11–13)[292] Un crimine particolarmente grave in Israele, contro la comunità e la sua religione, è stata l’uccisione intenzionale dell’innocente o la ferita intenzionale risultante nella morte degli innocenti. “Slain innocent blood defiled not only the murderer (Deut. 19:13) but also his larger household (Deut. 22:8); it polluted his city and his land (Deut. 19:10, Num. 35:33, 2 Sam. 21:1–2, Jer. 26:15, Ps. 106:38) and even rendered barren the soil on which it was spilt (Gen. 4:11–12).” [293] Il sangue innocente versato contaminava non solo l’assassino ma anche la sua famiglia, la città e il suo paese. La Legge puniva con la morte coloro che peccavano; tale punizione era irrogata per espiare il peccato e quindi per difendere il popolo d’ Israele dal divino castigo che colpiva il popolo per i peccati dei suoi membri, ciò è particolarmente chiaro nell’episodio di Giosuè che mette a morte Acan (Giosuè 7) Tutto il capitolo mostra i danni del peccato e l’irrogazione della pena di morte per il bene della nazione e per la sua difesa ma sono particolarmente significative queste parole: “Gli Israeliti hanno peccato. Hanno trasgredito gli ordini che avevo dato. Hanno osato prendere per sé qualcosa che doveva essere distrutto. L’hanno rubato e l’anno nascosto tra i propri bagagli. Per questo gli Israeliti non possono più resistere ai nemici. D’ora in poi davanti a loro si daranno alla fuga: hanno attirato su di sé lo sterminio. Io non sarò più dalla vostra parte, finché non avrete distrutto gli oggetti destinati allo sterminio. Perciò fa’ compiere a tutto il popolo un rito di purificazione. Ordina loro di farlo per domani. Dirai da parte mia: In mezzo a voi, Israeliti, ci sono degli oggetti che io, il Signore, Dio d’Israele, avevo ordinato di distruggere. Finché non lo avrete fatto non potrete più resistere ai vostri nemici!” (Giosuè 7, 11,13) La stessa idea di fondo la troviamo nel massacro compiuto da Elia nei confronti dei profeti di Baal (I Re 18, 40) , il loro peccato stava facendo del male a tutto il popolo … e doveva essere espiato appunto con la loro morte infatti dopo di essa torna la pioggia su Israele (I Re 18, 45s).
Nel libro del Levitico leggiamo: “Se un Israelita o uno straniero, che vive in Israele, offre uno dei suoi figli in sacrificio al dio Moloc, dev’essere messo a morte. … Se gli abitanti della regione chiudono gli occhi davanti a tali azioni, per evitare di mettere a morte quest’uomo, io interverrò personalmente contro di lui e contro la sua famiglia; li escluderò dal popolo d’Israele, lui e tutti quelli che si uniscono a lui nel culto idolatrico reso a Moloc.”(20,1.4-5)
L’A. Testamento quindi afferma chiaramente la liceità della pena di morte; tale pena è vista come un’azione dell’autorità secondo il volere di Dio per la difesa e per il bene della comunità.
Anche la trattazione che Ciccone fa del Nuovo Testamento in relazione con la pena di morte è gravemente incompleta e chiaramente deviante, evita di citare Rm 13 e altri passi del Nuovo Testamento che la Tradizione pone a sostegno della liceità della pena di morte. Brugger, pur favorevole all’inammissibilità della pena di morte, afferma : “The New Testament has little to say directly about the death penalty, but there can be hardly any doubt that the practice was considered legitimate by New Testament authors.”[294] Il Nuovo Testamento ha poco da dire direttamente sulla pena di morte, ma non ci può essere alcun dubbio che la pratica sia stata considerata legittima dagli autori del Nuovo Testamento e soprattutto dall’ Autore del Nuovo Testamento. L’immagine che invariabilmente riceviamo quando il Nuovo Testamento racconta gli incontri con le autorità civili in cui è in gioco la morte è quella di una normale pratica giudiziaria, che viene messa in discussione solo quando si pensa che sia esercitata ingiustamente. [295]
Ciccone si appoggia molto su Giovanni 8 ma come visto più sopra tale passo non afferma nulla riguardo alla pena di morte in sé stessa. Come abbiamo visto più sopra laddove ho parlato della pena di morte nella Bibbia, occorre affermare che la legittimità della pena di morte, chiaramente affermata nel Vecchio Testamento, è confermata nel Nuovo Testamento sebbene con una forte indicazione di mitigazione della disciplina penale.
2)La documentazione patristica di Ciccone appare largamente incompleta e le affermazioni che fa sono false, infatti dice che prima dell’avvento di Costantino vi era un rifiuto diretto alla pena di morte da parte dei cristiani … purtroppo per lui, le cose sono ben differenti da ciò che egli afferma, come avete potuto vedere in questo mio libro nella parte in cui parlo dei Padri pre-costantiniani … ovviamente i Padri seguivano la Scrittura e infatti non solo il Vecchio ma anche il Nuovo Testamento non si oppone alla pena di morte, come avete potuto leggere in questo capitolo nella parte relativa agli insegnamenti della Bibbia a riguardo e come abbiamo detto qualche rigo più sopra.
3)La documentazione papale e magisteriale presentata da Ciccone appare largamente incompleta. Ciccone afferma che la prima esplicita conferma magisteriale della pena di morte sarebbe nell’anno 1208 … ma non presenta la lettera di Innocenzo I ad Exsuperius del 20.2.405 che, come visto è estremamente illuminante sulla questione: “ Si pone la domanda su coloro che dopo il Battesimo furono pubblici amministratori e usarono i soli strumenti di tortura o anche emisero la sentenza di condanna a morte. Di costoro non leggiamo alcunché come definito dagli antichi. Va ricordato infatti che tali poteri furono concessi da Dio e che, per punire i malvagi, la spada è stata permessa, inoltre è stato indicato che il ministro di Dio punisca in questo modo (Rm 13, 1. 4) Come potevano condannare un comportamento che vedevano essere stato concesso per autorità di Dio? Riguardo a costoro dunque, continuiamo a regolarci come come ci si è regolati finora, perché non paia che sovvertiamo la disciplina o che andiamo contro l’autorità del Signore. Sia riservato ad essi stessi di rendere ragione di tutte le loro azioni.” [296] Le affermazioni di s. Paolo erano e sono troppo chiare per volerle chiarire ulteriormente. I Papi sulla base della Scrittura avevano assoluta certezza della liceità della pena di morte perciò, come visto, dal momento che nessuno attaccava questa verità non si preoccuparono mai di trattarla in modo approfondito. I problemi dottrinali erano ben altri e su di essi appunto il Magistero realizzò approfondimenti e statuizioni , invece la liceità della pena di morte era un dato chiaro perciò, come visto, i Pontefici si limitarono a far applicare tale pena senza levare mai, di fronte alle tante esecuzioni capitali che si svolgevano, la voce contro la tale pratica. Quando però i valdesi cominciarono a negare il diritto delle autorità ad applicare la pena di morte, allora la Chiesa intervenne e lo stesse fece quando Wicleff e Hus diffusero i loro errori. La documentazione di Ciccone è largamente incompleta e non menziona quanto noi abbiamo detto più sopra:
– che nel 1215, durante il Concilio Lateranense IV (XII Ecumenico), fu adottato il canone Excommunicamus, che ordinò l’abbandono degli eretici condannati “ai poteri secolari” (cost. 3) … con conseguente irrogazione della pena capitale (COD p. 233 ss.) questo testo passerà nelle Decretali di Gregorio IX[297]; uguale soluzione sarà adottata dal Concilio di Costanza (XVI ecumenico) contro i wyclifiti (cfr. COD pp. 414ss) e gli hussiti (cfr. COD p. 429, condanna a rogo di Hus).
– che tra le sentenze condannate dal Concilio di Costanza nella dottrina di Wicleff vi è quella per la quale questo eretico mostra di opporsi alla consegna degli eretici al braccio secolare infatti afferma che Dio non può approvare che uno venga giudicato civilmente o condannato civilmente (cfr. COD p. 425, n.44)
-che tra le sentenze condannate nella dottrina di Hus dal Concilio di Costanza vi è quella per la quale questo eretico mostra di opporsi alla consegna degli eretici al braccio secolare (cfr. COD p. 430, n.14)
-che Papa Martino V, nel 1418, redasse un questionario per esaminare la dottrina professata da persone sospette di wyclifismo e hussismo, in esso si chiedeva esplicitamente alla persona se credesse nella possibilità per i prelati di fare appello al braccio secolare (Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003 n. 1272) … e quindi di far infliggere la pena di morte .
-che Leone X, nel 1520, tra gli errori di Lutero inserì anche questo: “Che gli eretici siano bruciati è contro la volontà dello Spirito”. [298] L’errore per cui Lutero nega che possa essere inflitta la pena di morte per eresia, rientra tra gli errori indicati da Leone X in questo modo:
abbiamo visto che questi medesimi errori o articoli non sono cattolici, e non vanno creduti tali, ma che sono contrari alla dottrina della Chiesa Cattolica ed alla Tradizione, soprattutto alla vera e comune interpretazione delle divine Scritture … infatti dai medesimi errori o da alcuni deriva chiaramente che la stessa Chiesa, che è retta dallo Spirito Santo, erri o e abbia sempre errato.[299]
– che il Catechismo Romano, insegnò la liceità della pena di morte[300].
-che Papa Leone XIII scrisse nella “Pastoralis Officii”, lettera enciclica del 1881 : “È assodato infatti che entrambe le leggi divine, sia quella che è stata proposta con il lume della ragione, sia quella che è stata promulgata con gli scritti divinamente ispirati, vietano a chiunque, nel modo più assoluto, di uccidere o di ferire un uomo in assenza di un giusto motivo pubblico, a meno che non vi sia costretto dalla necessità di difendere la propria vita.”[301]
Data l’insufficiente ed erronea documentazione di base, non è strano che, nel libro di Ciccone, si aprano le porte all’ inammissibilità assoluta della pena di morte.
Ricordo poi a tutti che lo Stato Pontificio da quando è esistito e fino al 1870 ha irrogato la pena di morte … Scrive Dunot: “Dernière preuve de la légitimité de la peine de mort, la pratique des souverains pontifes. Il ne s’agit ici que d’une justification indirecte, mais il est évident que si une telle pratique était contraire à l’Évangile, elle n’aurait pas eu droit de cité dans les États pontificaux. Or c’est exactement le contraire qui s’observe. La peine de mort a été prévue et appliquée par les pontifes successifs jusqu’à la suppression des États pontificaux en 1870, et elle a même été prévue, par le Code pénal du Saint-Siège, pour les cas de tentatives d’assassinat sur la personne du pape, de 1929 à 1969[42]. Dans leurs États, les papes n’ont pas fait montre d’une clémence abolitionniste envers les coupables.”([302] Ultima prova della legittimità della pena di morte, la prassi dei sovrani pontefici. Questa è solo una giustificazione indiretta, ma è ovvio che se tale pratica fosse contraria al Vangelo, non avrebbe avuto diritto di cittadinanza nello Stato Pontificio. Ma è vero l’esatto contrario. La pena di morte fu prevista e applicata dai successivi pontefici fino all’abolizione dello Stato Pontificio nel 1870. I Papi hanno applicato la pena capitale nello Stato Pontificio e il Codice penale della Santa Sede ha previsto fino al 1962 la pena di morte per chi tentava di uccidere il Papa.
Ovviamente tutto questo è stato fatto nell’assoluta certezza che tale pena fosse legittima secondo la Legge di Dio, in caso di dubbio sarebbe stato illecito applicare tale pena. …
Ciccone affermava anche (p. 83) che le affermazioni del teologo Concetti che negano allo Stato il diritto di irrogare la pena di morte a causa l’inviolabilità assoluta di ogni vita umana, sono riprese dal “Magistero” … ma il Magistero per eccellenza che è quello Pontificio ha ben precisato che : “ La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta l’azione creatrice di Dio e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente ”[303] Questo documento, avente approvazione scritta del Papa, ribadisce più volte questa verità.
La Evangelium Vitae al n. 57 afferma: “Se così grande attenzione va posta al rispetto di ogni vita, persino di quella del reo e dell’ingiusto aggressore, il comandamento «non uccidere» ha valore assoluto quando si riferisce alla persona innocente.” Se la vita umana fosse sempre inviolabile sarebbe vietata anche la legittima difesa; invece la legittima difesa è lecita e proprio per la legittima difesa la comunità con i legittimi governanti ha il diritto e il dovere di difendersi irrogando in alcuni casi la pena di morte.
Ciccone afferma però che la legittima difesa nei confronti dell’aggressore potrebbe essere considerata come uccisione indiretta, non voluta … e in questa linea sarebbe da considerare illecita la pena di morte pur rimanendo lecita la legittima difesa.
Ricordo che s. Tommaso afferma chiaramente che solo l’autorità civile ha da Dio il potere di infliggere punizioni e quindi di infliggere la pena di morte … per questo nessun altro può intenzionalmente uccidere legittimamente qualcuno. Ognuno può certamente difendersi e appunto perciò può, secondo s. Tommaso, compiere atti che portano alla morte dell’ingiusto aggressore, tali atti però sono leciti nella misura in cui sono lecite le azioni dal duplice effetto che appunto causano la morte di qualcuno (cfr. II-II q. 64 a.7). Secondo qualche “probatus auctor” come De Lugo e Waffelaert, peraltro, è lecita anche l’uccisione diretta di un ingiusto aggressore purché sia scelta come mezzo e non come fine (cfr. H. B. Merkelbach “Summa Theologiae Moralis”, Desclée de Brouwer , Brugis – Belgica , 1962, II, p. 362)
Non può essere uccisa direttamente una persona indifesa e innocente come un piccolo essere umano nel grembo di sua madre ma l’autorità ha da Dio il potere di uccidere un aggressore ingiusto e, in alcuni casi, chi è pericoloso per la comunità a causa dei crimini di lui; la Scrittura interpretata nella luce della Tradizione è chiarissima nell’affermarlo ed anche la retta ragione .
Le affermazioni di Ciccone sul tema della pena di morte appaiono dunque profondamente imprecise e devianti nei fondamenti e quindi nelle conclusioni.
Stranamente l’articolo della Civiltà Cattolica non ha avuto condanne …
Dio intervenga!
b) Riflessioni su un articolo della Civiltà Cattolica del 1981 .
Peraltro anche un articolo della Civiltà Cattolica [304]che Ciccone cita e su cui si appoggia è sottilmente ma chiaramente erroneo e deviante.
Questo articolo appare abilmente strutturato per portare fuori dalla sana dottrina; esso manca della classica struttura Scrittura, Tradizione, Magistero, non propone tutta la sana dottrina , almeno in sintesi efficace, presentata in 2000 anni di cristianesimo; la struttura classica se ben realizzata aiuta a far vedere chiaramente cosa ha detto realmente Dio e la Chiesa su questo tema e aiuta a smascherare errori ed eresie ma aiuta anche a capire quali sono i margini per un vero sviluppo della dottrina.
L’articolo in questione manca di notare con sufficiente ricchezza e precisione che l’Antico Testamento affermava chiaramente la legittimità della pena di morte e che Gesù non l’ha mai negata come errata o illegittima e sulla scia di Cristo, il Nuovo Testamento l’ha evidentemente confermata in modo pieno … a tale punto che s. Innocenzo I nella lettera ad Exsuperius scrive “ Si pone la domanda su coloro che dopo il Battesimo furono pubblici amministratori e usarono i soli strumenti di tortura o anche emisero la sentenza di condanna a morte. Di costoro non leggiamo alcunché come definito dagli antichi. Va ricordato infatti che tali poteri furono concessi da Dio e che, per punire i malvagi, la spada è stata permessa, inoltre è stato indicato che il ministro di Dio punisca in questo modo (Rm 13, 1. 4) Come potevano condannare un comportamento che vedevano essere stato concesso per autorità di Dio? Riguardo a costoro dunque, continuiamo a regolarci come come ci si è regolati finora, perché non paia che sovvertiamo la disciplina o che andiamo contro l’autorità del Signore. Sia riservato ad essi stessi di rendere ragione di tutte le loro azioni.”[305].
I cristiani guidati dallo Spirito Santo hanno capito fin dall’inizio che Cristo non ha abolito la pena di morte, anzi hanno capito che essa è pienamente confermata da Cristo e quindi dal Nuovo Testamento.
I passi biblici che l’articolo della Civiltà Cattolica presenta per affermare che il Vangelo è contro la pena di morte sono stati interpretati ben diversamente da 2000 anni, da santi e Dottori e Papi che, conoscendo tutta la Bibbia e interpretandola rettamente, hanno pienamente accettato e affermato la liceità della pena di morte.
La negazione della legge del taglione da parte di Cristo non significa negazione della legittima difesa e della pena di morte … da 2000 anni la Chiesa attraverso migliaia di santi e Dottori e Padri e Papi lo afferma chiaramente!
Dio, che è Amore e Giustizia, ha totale possesso della vita umana e può punire con la morte il peccatore, la Bibbia lo mostra chiaramente; il ministro di Dio appunto in quanto guidato dalla Verità di Dio e secondo la Legge di Dio può infliggere la pena di morte legittimamente. Come a Dio spetta il giudizio e la condanna, in modo analogo al ministro di Dio spetta nella luce della Verità il giudizio e la condanna.
Sulla scorta della Tradizione e del testo presentato qualche rigo più sopra che appunto riferisce come i primi cristiani accettavano la pena di morte e come appunto guidato dalla Tradizione Papa Innocenzo I afferma la liceità della pena di morte, molti altri Papi, come visto, non solo hanno teoricamente affermato la legittimità della pena di morte ma l’hanno chiesta ai re o l’hanno fatta irrogare nello Stato Pontificio come visto.
L’articolo della Civiltà Cattolica manca anche di sottolineare che già prima di Costantino i Padri affermavano la liceità della pena di morte, come abbiamo visto più sopra, nella documentazione patristica … invece mette in evidenza qualche affermazione che sembrerebbe sostenere che in tale periodo erano assolutamente contrari a tale pena …
A questo riguardo occorre precisare che la pena di morte non è sempre e comunque lecita all’autorità … è lecita all’autorità legittima ed è lecita quando è irrogata secondo giustizia , secondo la Verità di Dio; purtroppo sappiamo che ai tempi di Roma e anche oggi i governanti comandano spesso non nella luce della giustizia e della Verità e quindi spesso la pena di morte viene irrogata contro il volere divino. In questa luce non è strano che in passato chi ammetteva la legittimità della pena di morte a livello dottrinale, non ammettesse in concreto il modo di agire delle autorità statali e quindi invitasse i cristiani a non fare parte dell’esercito o a non essere giudice per non doversi trovare a condannare o uccidere sulla base di leggi inique … un giudice o un soldato cristiani si sarebbe potuti trovare, per es. , a dover condannare e uccidere una persona semplicemente perché cristiana appunto perché leggi inique definirono, molte volte nella storia, il cristianesimo come religione vietata e sanzionarono l’appartenenza alla nostra religione con la pena di morte!
L’articolo della Civiltà Cattolica inoltre afferma che san Nicola I nella sua risposta ai bulgari (“Responsa ad consulta Bulgarorum”, PL 119, 978-1016) dell’anno 866 avrebbe negato la pena di morte, il che non è vero, come abbiamo dimostrato ampiamente più sopra, infatti questo santo Pontefice affronta un gran numero di domande dogmatiche e canoniche e ribadisce la legittimità della pena di morte.[306] temperando però la severità della legge di quei popoli. Così il santo Papa Nicola I scrive, tra l’altro: “XXVI. De his qui proximum, id est consanguineum suum, qui est frater, consobrinus, aut nepos, trucidaverint, venerandae leges proprium robur obtineant. Sed si ad ecclesiam convolaverint, mortis quidem legibus eruantur: poenitentiae vero, quam autistes loci, vel presbyier consideraverit, absque dubio submittantur : Nolo, inquit Dominus, mortem peccatoris, sed ut convertatur, et vivat (Ezech. xviii)”. Il che significa essenzialmente che quanto a coloro che hanno trucidato il loro consanguineo è bene che le rispettabili leggi trovino la loro applicazione (quindi si può applicare la pena di morte) ma se i colpevoli si sono rifugiati nella chiesa, siano strappati dalla morte promessa dalle leggi.[307]
Per chi è interessato, è possibile andare a leggere il testo di s. Nicola al link seguente andando alla colonna 978 ss. ( https://books.google.it/books?id=3iPuOWKAb0YC&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false … ) così potete rendervi conto direttamente degli errori diffusi dall’articolo di Civiltà Cattolica su tale testo. Come dicemmo più sopra quando parlammo delle affermazioni dei Papi sulla liceità della pena di morte ci sono altre chiare indicazioni che fanno capire che Papa Nicola I non è un abolizionista circa la pena di morte.
Il testo della Civiltà Cattolica insiste sul fatto che la dottrina cattolica comune “medioevale” era per la pena di morte …; ma non dobbiamo dimenticare che ai nostri tempi parlare di “medievale” può essere inteso in senso negativo … e non dobbiamo dimenticare che la dottrina comune cattolica patristica afferma la liceità della pena di morte e che l’unanime consenso dei Padri è fondamentale per conoscere la dottrina cattolica … Il Cardinale Dulles afferma:“Ritornando alla Tradizione cristiana, possiamo notare che i Padri e i Dottori della Chiesa sono pressoché unanimi nel sostenere la pena capitale, anche se alcuni fra loro — come per esempio sant’Ambrogio (339 ca.-397) — esortano i chierici a non pronunciare sentenze capitali o a servire come esecutori.”[308]
Scrive Brugger :“For the Fathers of the early Church, the authority of the state to kill malefactors is taken for granted. Opinions differed on whether Christians should hold offices whose responsibilities include the judging and carrying out of capital punishments—pre-Constantinian authors said they should not, those writing after ad 313 said they should—but the principled legitimacy of the punishment itself is never questioned.”[309]
Per i Padri della Chiesa primitiva, l’autorità dello stato di uccidere i malfattori è data per scontata.
Brugger mostra chiaramente nel suo libro le varie affermazioni dei Padri sulla questione della pena di morte e fa vedere appunto come essi affermano in modo assolutamente unanime la liceità della pena di morte[310].
Riguardo al consenso unanime dei Padri occorre ricordare quello che afferma il Concilio Vaticano I “… a nessuno deve essere lecito interpretare tale Scrittura …. contro l’unanime consenso dei Padri.” (Concilio Vaticano I, Cost. Dogm. “Dei Filius”, c. 2: DS 3007) … Il testo della Civiltà Cattolica non parla neppure del testo di s. Innocenzo I visto da noi più sopra, eppure è un testo noto che afferma la liceità della pena di morte.
L’articolo della Civiltà Cattolica afferma : “D’altra parte, Gesù nel Vangelo si mostra contrario ad ogni forma di violenza. Egli insegna piuttosto a subirla, ma proibisce di opporre violenza a violenza. Sotto tale profilo, non soltanto egli corregge radicalmente la legge mosaica, dichiarando non più lecita l’antica legge dell’« occhio per occhio, dente per dente », ma prescrive di non opporsi al malvagio e di porgere a chi percuote la guancia destra « anche l’altra » (Mr 5,38-39). Quando, poi, subisce la violenza suprema – la pena di morte – la sua reazione è il perdono, cioè il superamento della violenza, lo spezzamento della catena della vendetta che alla morte risponde con la morte.”
Domanda: dunque s. Tommaso e tutti Padri e i Dottori che con lui hanno affermato la liceità della pena di morte avevano letto un altro Vangelo e conosciuto un altro Cristo ?… e quale Vangelo hanno letto quei Papi che appunto guidati dagli autori appena indicati e anzitutto dalla Bibbia hanno fatto giustiziare tanti criminali?
La violenza in quanto peccaminosa e malvagia è condannata da Cristo ma la pena di morte non rientra nella violenza di questo tipo come non vi rientra la legittima difesa … la giustizia va ben distinta dalla violenza peccaminosa: Dio vuole la giustizia non la violenza in quanto peccaminosa.
Peraltro Cristo addirittura afferma che i violenti rapiscono il regno dei Cieli :”Il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono.” (Matteo 11,12) Ovviamente si tratta di una violenza non peccaminosa ma santa.
L’ articolo poi afferma che attualmente molti teologi e molti episcopati mettono in dubbio la liceità della pena di morte e aggiunge che essi lo fanno anche grazie ad una esegesi più appropriata della Bibbia … ma mi permetto di rispondere che “stranamente” da 2000 anni a questa parte fior di esegeti, Padri, Dottori della Chiesa e Papi, uomini veramente guidati dallo Spirito Santo, hanno chiaramente affermato proprio sulla base della Bibbia che la pena di morte è lecita in alcuni casi. E lo Spirito Santo che guidava in modo particolare molti di questi autori è l’Autore principale della Bibbia … quindi la conosce bene …
Bessette e Feser nel loro studio sulla pena di morte hanno affermato che l’insegnamento chiaro e coerente delle Scritture è che la pena capitale è in linea di principio legittima; poiché la Chiesa sostiene che l’insegnamento scritturale in materia di fede e morale è divinamente ispirato e inerrante, concludiamo anche che, per questa sola ragione, l’affermazione radicale che la pena capitale è sempre e in linea di principio sbagliata semplicemente non può essere resa coerente con l’ortodossia cattolica e questo giudizio è ulteriormente rafforzato dall’insegnamento coerente dei Padri e dei Dottori della Chiesa, dei Papi e di autorevoli documenti ecclesiastici.([311]
Il Card. Journet ha potuto affermare significativamente, in questa linea: “ Si l’Évangile interdit aux États d’appliquer jamais la peine de mort, saint Paul lui-même alors a trahi l’Évangile”[312]
Stranamente l’articolo della Civiltà Cattolica non ha avuto condanne …
c) Riflessioni su libro “Pena di morte” scritto da G. Concetti.
Anche il libro “Pena di morte”, ed. Piemme 1993, scritto da G. Concetti, un francescano che ha firmato vari articoli sulla pena di morte anche sul giornale vaticano “Osservatore Romano”, afferma l’assoluta inammissibilità e immoralità della pena di morte.
Esaminiamo qui di seguito tale testo.
1)La documentazione biblica di Concetti mi pare , alle pagg. 16 e 17 molto sintetica e piuttosto vaga, ma fondamentalmente il teologo in questione afferma che la Bibbia è favorevole alla pena di morte.
2)La documentazione patristica è incompleta e deviante. Alla p. 18 di tale testo si afferma che gli scrittori ecclesiastici pre-costantiniani erano contrari alla pena di morte , il che è falso, come abbiamo visto riportando le affermazioni di chi ha studiato a fondo la questione.[313] Come dice Thompson: “In the Stromata, Clement justifies capital punishment if the criminal cannot be reformed. The death is essential to prevent the wrongdoer from other crimes and to deter future offenders[314]”(Thompson “Augustine and the Death Penalty”Augustinian Studies 40(2) p. 190) Clemente Alessandrino, famoso teologo alessandrino del II e III secolo, quindi pre-costantiniano , afferma chiaramente che la pena di morte è lecita.
3)La documentazione papale è la largamente incompleta ed è anche erronea.
Concetti si ferma solo alle affermazioni di Innocenzo I e non cita gli altri Papi che hanno fatto affermazioni sulla pena di morte dopo di lui fino a s. Nicola I.
Concetti erra in modo completo su s. Nicola I ritenendolo del tutto contrario alla pena di morte, il che è falso, come ho spiegato più sopra laddove ho presentato la dottrina papale su questo punto.
Concetti inoltre non dice:
– che nel 1215, durante il Concilio Lateranense IV (XII Ecumenico), fu adottato il canone Excommunicamus, che ordinò l’abbandono degli eretici condannati “ai poteri secolari” (cost. 3) … con conseguente irrogazione della pena capitale (COD p. 233 ss.) questo testo passerà nelle Decretali di Gregorio IX [315]; uguale soluzione sarà adottata dal Concilio di Costanza contro i wyclifiti (cfr. COD pp. 414ss) e gli hussiti (cfr. COD p. 429, condanna a rogo di Hus);
– che tra le sentenze condannate dal Concilio di Costanza nella dottrina di Wicleff vi è quella per la quale questo eretico mostra di opporsi alla consegna degli eretici al braccio secolare infatti afferma che Dio non può approvare che uno venga giudicato civilmente o condannato civilmente (cfr. COD p. 425, n.44)
-che tra le sentenze condannate nella dottrina di Hus dal Concilio di Costanza vi è quella per la quale questo eretico mostra di opporsi alla consegna degli eretici al braccio secolare (cfr. COD p. 430, n.14)
-che Papa Martino V, nel 1418, redasse un questionario per esaminare la dottrina professata da persone sospette di wyclifismo e hussismo, in esso si chiedeva esplicitamente alla persona se credesse nella possibilità per i prelati di fare appello al braccio secolare [316] … e quindi di far infliggere la pena di morte ;
-Leone X diede al governatore della città il potere di agire contro i criminali e anche quello di irrogare loro la pena di morte. (“Etsi pro”, 1514, Bull., t. 5, p. 615) Giulio III prevedeva la pena di morte per i detentori delle copie del Talmud non purgate delle loro affermazioni contro Cristo (“Cum sicut”, 1554, Bull., t. 6, p. 482) Paolo IV la prevedeva per i prosseneti (“Volens sceleribus”, 1558, Bull., t. 6, p. 538.) etc. ; Cyrille Dounot nel suo articolo “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018[317] cita vari altri reati che, sulla base di statuizioni papali, prevedevano la pena di morte;
– che il Catechismo Romano, insegnò la liceità della pena di morte[318].
-che diversi Papi, come Urbano II Bonifacio VIII e molti altri che ho citato più sopra hanno fatto chiare affermazioni a favore della pena di morte;
-che fino al 1870 furono eseguite pene capitali nello Stato Pontificio, il che indica ovviamente che la dottrina della liceità della pena di morte era perfettamente accettata dai Sommi Pontefici. I Papi hanno applicato la pena capitale nello Stato Pontificio e il Codice penale della Santa Sede ha previsto fino al 1962 la pena di morte per chi tentava di uccidere il Papa.
Ovviamente tutto questo è stato fatto nell’assoluta certezza che tale pena fosse legittima secondo la Legge di Dio, in caso di dubbio sarebbe stato illecito applicare tale pena.
Inoltre alla pag. 46 Concetti cerca di mettere sulla bocca di Papa Giovanni Paolo II che la vita umana è sempre inviolabile (G. Concetti “Pena di morte”, ed. Piemme 1993 p. 46), anche quella del criminale … purtroppo per Concetti, però, oltre che il testo stesso di Giovanni Paolo II che il francescano ha citato nella pagina precedente anche altri testi dello stesso Papa indicano che la pena di morte è legittima in alcuni casi e che quindi la vita umana non è assolutamente inviolabile … Assolutamente inviolabile è la vita dell’innocente, non quella del criminale … E infatti, come lo stesso Concetti ha dovuto dire poche pagine dopo: il Catechismo della Chiesa Cattolica realizzato da Giovanni Paolo II afferma la liceità in alcuni casi della pena di morte e un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1987, intitolato “Donum Vitae” e realizzato con approvazione scritta dello stesso Papa afferma che assolutamente inviolabile è la vita dell’innocente … non quella del criminale: “Il diritto inviolabile alla vita di ogni individuo umano innocente, i diritti della famiglia, dell’istituzione matrimoniale costituiscono dei valori morali fondamentali, perché riguardano la condizione naturale e la vocazione integrale della persona umana, nello stesso tempo sono elementi costitutivi della società civile e del suo ordinamento.”[319]
Peraltro mi pare abbastanza chiara l’incoerenza dello stesso Concetti che nello stesso libro afferma il diritto alla legittima difesa dopo averlo negato in radice appunto dicendo che la vita umana è sempre inviolabile; coerenza vuole che se la vita umana è sempre inviolabile: non può essere mai violata … quindi è illecita la legittima difesa e la guerra giusta in quanto prevede anche l’uccisione dell’aggressore ingiusto … e se ti stanno aggredendo non puoi mai uccidere neppure per difenderti e se stanno per uccidere dei bambini non puoi uccidere quegli assassini per difendere i bambini e se stanno per violentare e uccidere donne e bambini innocenti non puoi uccidere quegli stupratori e pedofili e assassini … appunto perché la vita umana è sempre inviolabile …
Capite bene che tutto questo è del tutto contrario alla sana morale! Stranamente il libro del p. Concetti non ha avuto condanne …
d) Qualche riflessione sulle affermazioni di N. Blazquez circa la pena di morte.
Dio ci illumini sempre meglio.
Nel suo testo “La pena de muerte y biotanasia de estado” Vision Libros 2012 questo autore fa alcune affermazioni per noi interessanti e appunto questo testo esamineremo in modo particolare e qualche altro suo scritto.
1)La documentazione biblica di p. Blazquez (pp. 29ss) appare assolutamente insufficiente e mancante del supporto della Tradizione che aiuta a interpretare rettamente la Bibbia.
Innanzitutto, quando tratta dell’A. T. p. Blazquez sottolinea l’esistenza della legge del taglione[320]… ma non precisa bene che nell’A. T. la pena di morte veniva comminata in molti casi non sulla base della legge del taglione infatti la legge del taglione è una pena : “ … consistente nell’infliggere all’autore di una lesione personale un’uguale lesione. … È legge ripetutamente formulata nella Bibbia e appunto con le parole della Bibbia «occhio per occhio, dente per dente» essa è più comunemente indicata per quanto la sua definizione giuridicamente precisa si trovi nella frase «si farà a lui come egli ha fatto all’altro … gli si farà la stessa lesione che egli ha fatta all’altro»” (“Taglione” in Enciclopedia Online Treccani, www.treccani.it , http://www.treccani.it/enciclopedia/taglione/)
La legge del taglione era inflitta, quindi, a chi era colpevole di una lesione di un’altra persona e consisteva appunto nell’infliggere al reo la stessa lesione che lui aveva inflitto alla vittima.
Come spiega il card. Dulles“ Nell’Antico Testamento la legge mosaica specifica non meno di trentasei peccati gravi punibili con l’esecuzione mediante lapidazione, rogo, decapitazione o strangolamento. Di questa lista fanno parte l’idolatria, la pratica della magia, la bestemmia, la violazione del sabato, l’omicidio, l’adulterio, la bestialità, la pederastia e l’incesto. La pena di morte è stata considerata particolarmente adatta come punizione per l’omicidio poiché nell’alleanza con Noè Dio ha stabilito il principio secondo cui “chi sparge il sangue dell’uomo / “dall’uomo il suo sangue sarà sparso, / “perché ad immagine di Dio / “Egli ha fatto l’uomo” (Gen. 9, 6). In molti casi si vede come Dio giustamente punisce i colpevoli con la morte, com’è successo a Core, Datan e Abiram (cfr. Nm. 16). In altri casi persone come Daniele e Mardocheo sono intermediari di Dio quando puniscono giustamente i colpevoli con la morte.”[321]
Brugger, ha esaminato a fondo l’A. Testamento su questo argomento e afferma giustamente: “Death is prescribed more than forty times and for over twenty offenses throughout the various law codes of the books of the Pentateuch.1 Serious crimes against religion, the order of the family and community, and human life were all punished with death.”[322] La pena di morte era prescritta nell’ A. Testamento più di 40 volte e per circa 20 reati contro la religione, la comunità, la famiglia e la vita delle persone.
In molti casi l’applicazione della pena di morte non aveva nulla a che fare con la legge del taglione.
Il prof. Blazquez non fa notare, p. es., che : il profeta Elia uccise i profeti di Baal (1 Re 18) … e non era questione di “legge del taglione” …
Quando parla del N. Testamento ovviamente Blazquez sottolinea che Cristo ha soppresso la legge del taglione quindi afferma che le pene capitali fissate nell’A. T. sono letteralmente soppresse da Cristo, come detto, però, la pena di morte era prevista per molti cai che nulla hanno a che fare con la legge del taglione. Quindi il ragionamento di Blazquez crolla miseramente.
Blazquez giunge a dire, anche, che la pena di morte è stata soppressa da Cristo e che è incompatibile con il Vangelo[323] … il che non è vero; Cristo ha confermato e perfezionato la Legge antica ma non ha cancellato la pena di morte, come hanno capito molto bene sia s. Paolo che, fondamentalmente, tutti i Padri della Chiesa, come abbiamo visto, e dopo di loro i Dottori e i Papi la cui unanimità sul tema, come visto, è evidentemente molto significativa; ricordo ancora, oltretutto, che dalla sua nascita fino al 1870 lo Stato Pontificio ha eseguito condanne a morte … e il Codice penale della Santa Sede ha previsto fino al 1962 la pena di morte per chi tentava di uccidere il Papa.[324]
Ovviamente tutto questo è stato fatto nell’assoluta certezza che tale pena fosse legittima sulla base della Bibbia e della Tradizione.
Cristo è venuto a perfezionare l’A. T. ma non nel senso della condanna assoluta della pena di morte … e la Chiesa lo ha capito molto bene! Il cap. 8 del Vangelo di Giovanni, come vedemmo, non affronta la questione della pena di morte in generale … semplicemente è la risposta di Cristo a chi voleva irretirlo proponendogli un caso concreto; Gesù, in quel passo, non parla della pena di morte in generale ma semplicemente tratta un caso particolare; anzi, esaminato a fondo, il passo di Giovanni 8, come notai più sopra, è piuttosto una conferma, in generale, della pena di morte e infatti la Chiesa Cattolica, che conosce bene il Vangelo e la Bibbia, insegna da sempre che la pena di morte è lecita in alcuni casi, come abbiamo visto.
Dio ci illumini sempre meglio.
Il Card. Dulles afferma che nel Nuovo Testamento il diritto dello Stato di mettere a morte i criminali appare dato per scontato. “ … in nessun caso Gesù nega che lo Stato abbia l’autorità d’infliggere la pena capitale. Nei suoi dibattiti con i farisei, Gesù cita — mostrando approvazione — il severo comandamento secondo cui “chi maledice il padre e la madre sia messo a morte” (Mt. 15, 4; Mc. 7, 10 riferendosi a Es. 21, 7; cfr. Lev. 20, 9). Quando Pilato ricorda a Gesù che ha l’autorità di crocifiggerlo, Gesù precisa che l’autorità di Pilato gli viene dall’alto, cioè da Dio (cfr. Gv. 19, 11). Gesù si compiace delle parole del buon ladrone, crocifisso accanto a lui, quando questi ammette che lui e il suo compagno ricevono la ricompensa dovuta per le loro azioni (cfr. Lc. 23, 41).”[325] Come si vede, appare evidente che il diritto dello Stato di mettere a morte è dato per scontato e non è mai negato, per questo i primi cristiani evidentemente non hanno avuto niente contro la pena di morte e il Nuovo Testamento, in questa linea, quando afferma che “quando qualcuno ha violato la legge di Mosè, viene messo a morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni“ (Eb. 10, 28) non pare che si faccia problemi su questo precetto per il fatto che viene irrogata la pena di morte.
In realtà anche qualche altro passo evangelico ci presenta la pena di morte, si pensi alla parabola di Luca 19 che si conclude con queste parole: “E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me»”(Luca 19,27) Evidentemente ci troviamo davanti alla pena di morte … e Cristo non dice nulla che faccia pensare a una condanna della pena di morte … anzi usa l’esempio per parlare evidentemente della condanna finale che Dio riserva ai suoi oppositori.
Brugger, pur favorevole all’inammissibilità della pena di morte, afferma che il Nuovo Testamento ha poco da dire direttamente sulla pena di morte, ma non ci può essere alcun dubbio che la pratica sia stata considerata legittima dagli autori del Nuovo Testamento e soprattutto dall’ Autore del Nuovo Testamento. (cfr E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 63) Il Card. Dulles afferma :“Nessun passo del Nuovo Testamento disapprova la pena di morte.”[326]
L’immagine che invariabilmente riceviamo quando il Nuovo Testamento racconta gli incontri con le autorità civili in cui è in gioco la morte è quella di una normale pratica giudiziaria, che viene messa in discussione solo quando si pensa che sia esercitata ingiustamente.[327] … Il Nuovo Testamento non condanna la pena di morte ma piuttosto la dà per scontata e anzi in certi suoi passi la legittima , si pensi in particolare a Rm 13,4.
Inoltre, come dice il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica al n. 380: “ La sottomissione, non passiva, ma per ragioni di coscienza (cfr. Rm 13,5), al potere costituito risponde all’ordine stabilito da Dio. San Paolo definisce i rapporti e i doveri dei cristiani verso le autorità (cfr. Rm 13,1- 7). … L’Apostolo non intende certo legittimare ogni potere, quanto piuttosto aiutare i cristiani a « compiere il bene davanti a tutti gli uomini » (Rm 12,17), anche nei rapporti con l’autorità, in quanto essa è al servizio di Dio per il bene della persona (cfr. Rm 13,4; 1 Tm 2,1-2; Tt 3,1) e « per la giusta condanna di chi opera il male » (Rm 13,4). San Pietro esorta i cristiani a stare « sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore » (1 Pt 2,13). Il re e i suoi governatori hanno il compito di « punire i malfattori e premiare i buoni » (1 Pt 2,14). La loro autorità deve essere « onorata » (cfr. 1 Pt 2,17), cioè riconosciuta, perché Dio esige un comportamento retto, che chiuda « la bocca all’ignoranza degli stolti » (1 Pt 2,15). … ” [328]
I Padri che hanno letto, meditato e interpretato la Bibbia e quindi il Nuovo Testamento non hanno rilevato nessuna contraddizione tra l’accettazione in generale della pena di morte e la vita cristiana. Nel testo di Brugger leggiamo: “If we grant two Patristic assumptions, namely, that political power is divinely instituted and that inherent in that power is the right to kill malefactors, then the idea that the exercise of political power is incompatible with membership in God’s special community, the Church, suffers from an obvious tension.” [329]
Due presupposti patristici occorre avere ben presenti: il potere politico è divinamente istituito, insito in quel potere è il diritto di uccidere i malfattori. Questi due presupposti praticamente azzerano l’idea che l’esercizio del potere politico e quindi della pena di morte sia incompatibile con l’appartenenza alla Chiesa. Il potere statale è istituito da Dio e da Dio ha il diritto di uccidere i malfattori, quindi la pena di morte in alcuni casi è lecita. Ovviamente i Padri dicevano questo sulla base della Bibbia … e, in particolare, del Vangelo!
Dio ci illumini sempre meglio.
La documentazione biblica di p. Blazquez (pp. 29ss) appare assolutamente insufficiente e mancante del supporto della Tradizione che aiuta a interpretare rettamente la Bibbia … ma la Tradizione parla di liceità della pena di morte quindi capiamo bene che p. Blazquez tagli radicalmente la Tradizione dall’ interpretazione dei testi biblici e presenti l’insegnamento biblico in modo parziale e orientato a negare la liceità della pena di morte …
2)La documentazione patristica che Blazquez riporta (pp. 32ss) e che farebbe pensare ad un’assoluta condanna della pena di morte da parte dei Padri è un fallimento scientifico e un esempio di distorsione dei dati reali della storia e della stessa Patrologia … spero francamente che il problema di Blazquez sia la mancanza di profondo studio dei Padri e spero che non abbia volutamente travisato i dati reali … “Stranamente” comunque Blazquez si attarda a presentarci le affermazioni di s. Agostino, soprattutto alcune, abbiamo visto che in realtà s. Agostino non è un abolizionista. Blazquez non parla delle affermazioni di d. Girolamo e s. Ottato di Milevi, che erano favorevoli alla pena di morte … non precisa bene il pensiero di s. Ambrogio e di altri in quanto accettavano fondamentalmente che lo Stato potesse usare la “spada” sulla base di Romani 13,4 …
Rispetto al testo di Blazquez, il testo di Brugger è uno studio molto più profondo e soprattutto imparziale dei testi patristici sulla pena di morte e questo autore, come visto, conclude il suo studio dicendo: “For the Fathers of the early Church, the authority of the state to kill malefactors is taken for granted. Opinions differed on whether Christians should hold of – fices whose responsibilities include the judging and carrying out of capital punishments—pre-Constantinian authors said they should not, those writing after ad 313 said they should—but the principled legitimacy of the punishment itself is never questioned.”[330]
Per i Padri della Chiesa primitiva era scontato che l’autorità dello stato avesse il potere di uccidere i malfattori. Le opinioni divergevano sul fatto se i cristiani dovessero ricoprire cariche le cui responsabilità includessero il giudizio e lo svolgimento del capitale punizioni — gli autori pre-costantiniani dicevano che non avrebbero dovuto, quelli che scrivevano dopo l’editto del 313 hanno detto che avrebbero dovuto – ma la legittimità di principio della punizione stesso non viene mai messa in discussione.
3)La documentazione magisteriale e papale (pp. 43 ss.) del testo di Blazquez, come quella patristica, è distorta e presenta affermazioni false … infatti evita di citare i testi papali a favore della pena di morte e ne cita altri in senso in modo impreciso facendoli apparire come del tutto contrari ad essa. Blazquez non presenta il famoso testo di s. Innocenzo I, che vedemmo più sopra, e non presenta gli altri testi che ugualmente vedemmo più sopra e che mostrano come i Papi dei primi secoli e dei secoli successivi accettavano la liceità della pena di morte. Blazquez parla di Papa Nicola come contrario alla pena di morte il che è falso, come vedemmo più sopra.
Dio ci illumini sempre meglio.
4)Passando alla critica di p. Blazquez a s. Tommaso, faccio notare anzitutto che: nel Medioevo, precisa il Card. Dulles nella linea di H. Lio, i principali canonisti e teologi hanno affermato la liceità da parte tribunali civili di pronunciare la pena di morte per reati gravissimi come l’omicidio e il tradimento; S. Anselmo, s. Alberto Magno[331] s. Bonaventura, s. Tommaso d’Aquino e Duns Scoto sostennero la liceità della pena di morte fondandola sull’autorità della Scrittura e della tradizione patristica, e fornirono anche illuminanti argomenti dalla ragione.[332]
San Bonaventura, in un sermone sui precetti, attacca i manichei che distorcono il pensiero cristiano circa il comandamento che vieta di uccidere e rifiutano la pena capitale, egli risponde ai loro errori affermando che: quando il ministro della legge esegue la condanna a morte secondo la legge (giusta), è la legge che uccide l’uomo per una causa giusta e secondo spirito di giustizia, sicché il carnefice in questo caso esegue non per desiderio di vendetta, ma per amore per la giustizia.[333]
Lo stesso s. Bonaventura afferma: “ Ad illud vero quod obiicitur, quod in iudicialibus praecipitur interficere maleficos ; dicendum, quod nulla est ibi contradictio , quia in uno prohibetur homicidium innocentis et iusti, in alio praecipitur occisio malefici. In uno etiam prohibetur homicidium ex propria auctoritate, in alio iniungitur ex auctoritate Legis; et ista duo non habent oppositionem nec repugnantiam.”[334] Proibito è l’omicidio dell’innocente, non quello del malfattore …
S. Tommaso insieme a questi grandi Dottori del suo tempo e insieme praticamente a tutti i Padri , sulla base della Scrittura, dichiara lecita la pena di morte … e contro s. Tommaso ma più generalmente contro tutti costoro p. Blazquez afferma: “ Desde el punto de vista del bien común, cabe preguntar a Santo Tomas si existe algún bien más comun a la sociedad que la vida de las personas, íncluida la de los delìncuentes. Por otra parte, un efecto objetivo malo, como es la muerte del reo, jamás podrá justificarse en nombre de una íntención buena. El fin bueno íntencional jamás podrá justíficar el uso de medios objetivamente malos, en cuyo ámbito se encuentra la pena de muerte. Creemos que la analogia utilízada no vale. Si la medicina mata al enfermo deja de ser medicina, al menos para el enfermo que es víctima de ella. Ahora bien, la pena de muerte produce siempre la muerte del enfermo o delincuente.” [335]
Dal punto di vista del bene comune, dice Blazquez, vale la pena chiedere a Santo Tomas se esiste un bene più comune, nella società, della vita delle persone, compreso quello dei criminali; d’altra parte, un cattivo effetto oggettivo, come la morte del prigioniero, non può mai essere giustificato in nome di una buona intenzione; il buon fine intenzionale non può mai giustificare l’uso di mezzi oggettivamente cattivi, e tra questi mezzi è la pena di morte. Secondo Blazquez l’analogia utilizzata da s. Tommaso (per cui come si amputa un membro cancrenoso per la salvezza del corpo così si uccide un criminale per la salvezza della comunità) non è valida, se la medicina uccide il malato cessa di essere medicina, almeno per il malato che ne è vittima, la pena di morte produce sempre la morte del malato o dell’autore del reato. Blazquez non accetta, evidentemente, che il bene della vita umana della società è maggiore di quello di una sola persona e che se un uomo attenta al bene vero della comunità è lecito anche sopprimerlo.
Dice ancora Blazquez parlando di un passo della Somma Teologica di s. Tommaso : “Después de distinguir entre la dimensión personal y la social del individuo humano, afirma categórícamente que la vida de toda persona humana, en sí mísma considerada, es inviolable, aunque se trate de la vida de un pecador. … Santo Tomás, … afirma este principio, pero después se olvída por completo de él, fijándose exclusivamente en la dimensìón social del hombre. Y … concluye de acuerdo con el principio arjstotélico del todo y las partes, aplicando a las relaciones sociales presididas por el bien común. Al inocente hay que respetarle su vida… . El delincuente o pecador, por el contrario, representa la parte corruptiva del mismo, por lo que pudiera ser licito condenarle a muerte.”([336]
Dopo aver distinto la dimensione personale e quella sociale dell’individuo umano, s. Tommaso, dice p. Blazquez, afferma categoricamente che la vita di ogni persona umana, considerata di per sé, è inviolabile, anche se è la vita di un peccatore; San Tommaso, continua Blasquez, afferma questo principio, ma poi se ne dimentica completamente, concentrandosi esclusivamente sulla dimensione sociale dell’uomo e quindi conclude secondo il principio aristotelico del tutto e delle parti, applicato alle relazioni sociali presiedute dal bene comune: l’innocente va protetto, invece il criminale o peccatore rappresenta la parte corruttrice della società, quindi potrebbe essere lecito condannarlo a morte.
Rispondo al p. Blazquez facendo notare anzitutto che con le sue affermazioni lui non si oppone solo a s. Tommaso ma a tutta la Tradizione cattolica e alla Bibbia nonché praticamente a tutti gli uomini di tutti i tempi i quali come dicemmo hanno sempre ritenuto lecita la pena di morte.
Contro Blazquez sta in realtà la sapienza di tutti i tempi, cristiana e non.
Per precisare i fondamenti della liceità della pena di morte occorre ricordare due principi patristici: (1) i governanti civili hanno un’autorità moralmente legittima sulla vita e morte; (2) questa autorità è stata conferita da Dio ed è testimoniata nelle Scritture[337]
Brugger aggiunge: “If we grant two Patristic assumptions, namely, that political power is divinely instituted and that inherent in that power is the right to kill malefactors, then the idea that the exercise of political power is incompatible with membership in God’s special community, the Church, suffers from an obvious tension.”[338]
Due presupposti patristici occorre avere ben presenti: il potere politico è divinamente istituito, insito in quel potere è il diritto di uccidere i malfattori. Questi due presupposti praticamente azzerano l’idea che l’esercizio del potere politico e quindi della pena di morte sia assolutamente incompatibile con l’appartenenza alla Chiesa. Il potere statale è istituito da Dio e da Dio ha il diritto di uccidere i malfattori, quindi la pena di morte in alcuni casi è lecita.
S. Tommaso nella linea dei Padri afferma che Dio governa il mondo con la sua Provvidenza [339] Dio governa le altre creature mediante quelle dotate di intelletto (cfr. “Somma contro i gentili” III c. 78) tra le sostanze dotate di intelligenza le inferiori sono governate dalle superiori (cfr. “Somma contro i gentili” III c. 79) vi è un ordinamento tra gli angeli e tra gli uomini (cfr. “Somma contro i gentili” III c. 80s)
Nel “De regno ad regem Cypri” lo stesso s. Dottore afferma che l’uomo, per giungere al fine stabilito a lui da Dio, ha bisogno di qualche uomo che ad esso lo diriga “ … opus est aliquo dirigente, per quod directe debitum perveniatur ad finem.”(“De regno ad regem Cypri”, lib. 1 cap. 1)
Per l’uomo è naturale vivere in società “Est igitur homini naturale quod in societate multorum vivat.” (“De regno ad regem Cypri”, lib. 1 cap. 1) ; l’uomo è un animale sociale e politico che vive nella moltitudine : “… animal sociale et politicum, in multitudine vivens …”(“De regno ad regem Cypri”, lib. 1 cap. 1)
E appunto solo a coloro che hanno pubblica autorità nella società umana è lecito uccidere i malfattori: “… occidere malefactorem licitum est inquantum ordinatur ad salutem totius communitatis. Et ideo ad illum solum pertinet cui committitur cura communitatis conservandae, sicut ad medicum pertinet praecidere membrum putridum quando ei commissa fuerit cura salutis totius corporis. Cura autem communis boni commissa est principibus habentibus publicam auctoritatem. Et ideo eis solum licet malefactores occidere, non autem privatis personis.” (II-II q. 64 a. 3) S. Tommaso spiega che: Dio, Signore della vita e della morte, a volte, sopprime i peccatori subito, altre volte lascia loro tempo di pentirsi e la giustizia umana lo imita in certo modo anche in questo facendo morire subito i grandi criminali e dando tempo di pentirsi a coloro che non sono grandi criminali (cfr. IIª-IIae q. 64 a. 2 ad 2m).
Dio, Signore della vita e della morte, quindi ha dato il potere ai governanti di uccidere in alcuni casi i criminali.
Appunto per divino decreto è giusto uccidere in alcuni casi i criminali; in questa linea s. Tommaso precisa, contrariamente a ciò che afferma Blazquez, che mentre l’obiettivo di uccidere un innocente è certamente un obiettivo malvagio, non è un obiettivo malvagio ma buono uccidere un criminale appunto perché il bene della comunità e degli innocenti della comunità va protetto dai criminali che vogliono attentare ad esso, s. Tommaso appunto spiega che uccidere un uomo che pecca può essere un bene: come uccidere una bestia in alcuni casi è un bene, perché è nociva, allo stesso modo in alcuni casi è bene uccidere un uomo perché è nocivo per il vero bene della comunità; un uomo cattivo, spiega s. Tommaso riprendendo Aristotele, è peggiore e più nocivo di una bestia (cfr. IIª-IIae q. 64 a. 2 ad 3).
L’effetto cattivo della uccisione di una persona, dice p. Blazquez, non si potrà mai giustificare in nome di una buona intenzione … dunque, precisiamo, neppure in nome della buona intenzione di difendersi … Se le parole di Blazquez fossero vere e cioè se fosse intrinsecamente malvagio uccidere una persona sarebbe illecita anche la legittima difesa perché sarebbe sempre illecito uccidere un uomo; questo fa capire ancora meglio che le affermazioni di Blazquez sono assurde e gravemente erronee … non per niente la S. Scrittura, tutti i Padri e i Dottori gli sono contro …
Rispondo inoltre a p. Blasquez che le affermazioni di s. Tommaso secondo cui la vita umana, considerata in sé stessa, è assolutamente inviolabile (II-II q. 64 a. 6) vanno intese, più generalmente, rifacendosi alla dottrina tomista e più particolarmente a quanto s. Tommaso dice nell’ a.1 e 2 della stessa questione 64 laddove afferma: “ Nessuno pecca per il fatto che si serve di un essere per lo scopo per cui è stato creato. … nella gerarchia degli esseri quelli meno perfetti son fatti per quelli più perfetti” [340] “… le cose meno perfette sono ordinate a quelle perfette. Ora, qualsiasi parte è ordinata al tutto come ciò che è meno perfetto è ordinato a un essere perfetto. Perciò la parte è per natura subordinata al tutto. ”[341] … come una parte sta al tutto così ogni uomo sta a tutta la comunità; quindi l’uomo è ordinato alla comunità e subordinato ad essa come la parte è ordinata e subordinata al tutto. E quindi se un uomo è pericoloso con i suoi peccati per la collettività, è bene sopprimerlo, per il bene vero del tutto di cui l’uomo è parte. Non per sé stesso può essere ucciso l’uomo ma per i suoi peccati che arrecano danno alla comunità (cfr. II-II q. 64 a. 6).
L’uomo è dunque ordinato alla comunità ma anzitutto, dice s. Tommaso in I, q. 1 a. 1 l’uomo è ordinato a Dio; l’uomo è ordinato anzitutto a Dio e poi alla comunità!
La comunità può sopprimerlo, secondo la Legge divina, solo se è nocivo ad essa per i peccati di lui; la comunità non può uccidere l’uomo per sé stesso!
Dinanzi all’ affermazione di chi dice: “ … uccidere un uomo è in se stesso un male: poiché siamo tenuti ad amare con la carità tutti gli uomini; e, a detta di Aristotele, gli amici “vogliamo che vivano ed esistano”. Perciò in nessun modo è lecito uccidere un peccatore.”[342] … s. Tommaso, seguendo la Bibbia risponde : “Col peccato l’uomo abbandona l’ordine della ragione … degenerando in qualche modo nell’asservimento delle bestie, che implica la subordinazione all’altrui vantaggio. Così infatti si legge nella Scrittura: “L’uomo non avendo compreso la sua dignità, è disceso al livello dei giumenti privi di senno, e si è fatto simile ad essi” … Perciò … uccidere un uomo che pecca può essere un bene, come uccidere una bestia: infatti un uomo cattivo … è … più nocivo di una bestia.”II-II q. 64 a.2 ad. 3m traduzione tratta dalla edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, ESD
La comunità può sopprimere l’uomo solo se è nocivo ad essa per i suoi peccati; la comunità non può uccidere l’uomo per sé stesso ma solo in quanto con i suoi peccati egli la danneggia!
S. Tommaso stesso dunque, nell’art. 2 , appena visto, pone in chiaro in anticipo quello che vuole dire nell’art. 6 della stessa questione laddove afferma:“ Considerato in se stesso nessun uomo può essere ucciso lecitamente: perché in ciascuno, anche se peccatore, dobbiamo amare la natura, che è stata creata da Dio, e che viene distrutta dall’uccisione.”[343]
Tenuto conto che l’uomo è ordinato a Dio e alla comunità, e nella luce della verità divina, la comunità non può uccidere l’uomo per sé stesso ma solo può ucciderlo in quanto con i suoi peccati egli la danneggia!
In questa linea s. Tommaso afferma: “… l’uccisione del colpevole diviene lecita … in vista del bene comune, che il peccato compromette”[344]
Voglio qui sottolineare alcune affermazioni di s. Tommaso appena viste :
-“ … nella gerarchia degli esseri quelli meno perfetti son fatti per quelli più perfetti”[345]
-“… qualsiasi parte è ordinata al tutto come ciò che è meno perfetto è ordinato a un essere perfetto. Perciò la parte è per natura subordinata al tutto. … E quindi se un uomo con i suoi peccati è pericoloso e disgregativo per la collettività, è cosa lodevole e salutare sopprimerlo, per la conservazione del bene comune; infatti, come dice S. Paolo: “Un po’ di fermento può corrompere tutta la massa”.”[346]
L’uomo, quindi, è in certo modo, nella luce della divina sapienza, per la comunità come gli esseri meno perfetti sono per i più perfetti (cfr. II-II q. 64 a.1), ogni uomo è parte della sua comunità come una parte sta al tutto così ogni uomo sta a tutta la comunità; quindi l’uomo è, nella luce della divina sapienza, ordinato alla comunità e subordinato ad essa come la parte è ordinata e subordinata al tutto (cfr. IIª-IIae q. 64 a. 2 co.) perciò se un uomo è pericoloso con i suoi peccati per la collettività è bene sopprimerlo, per il bene vero del tutto di cui l’uomo è parte. Non per sé stesso può essere ucciso l’uomo ma per i suoi peccati che arrecano danno alla comunità (cfr. II-II q. 64 a. 6).
Nelle “Collationes in decem praeceptis” s. Tommaso afferma che alcuni dissero che era proibito sempre uccidere l’uomo per cui i giudici secolari venivano accusati di essere assassini ma Dio non ha tolto a sé la potestà di uccidere e perciò è lecito uccidere per comando di Dio, e chi uccide per comando di Dio si fa strumento attraverso cui Dio uccide colui che deve essere ucciso.
Ogni legge divina è un comando di Dio, i capi delle nazioni che secondo la Verità condannano a morte e fanno morire i malvagi sono ministri di Dio (Rm 13, 4) . Ciò che è lecito a Dio è lecito ai suoi ministri per mandato di Dio. Dio non pecca infliggendo la morte per il peccato (Rm 6,23) quindi neppure pecca il ministro di Dio che uccide per mandato di Dio. (“Collationes in decem praeceptis”, a. 7); secondo la Legge divina è quindi lecito ai capi uccidere persone malvagie che per i suoi peccati è dannoso alla società.
Quanto appena detto è molto importante per fare emergere un altro errore di p. Blazquez.
Blazquez non accetta la tesi di fondo di s. Tommaso e perciò, come visto nei testi riportati non intende bene la similitudine fatta dal santo Dottore, non la condivide e cerca di azzerarne la validità[347].
La similitudine riportata da s. Tommaso, per cui come è lecito tagliare un membro malato del corpo per il bene del corpo in modo simile è lecito uccidere un membro malvagio di una comunità per il bene della stessa, fu presentata anzitutto da Clemente Alessandrino[348] e non mi pare che nessuno abbia mai scomunicato questo antichissimo autore per tale similitudine … essa peraltro va intesa rettamente, come similitudine che appunto riguarda cose simili e non uguali: le comunità sono ben differenti dai corpi e gli uomini sono ben differenti dalle membra dei corpi ma quanto a qualcosa che li riguarda sono simili, infatti in alcuni casi una parte dannosa al tutto può essere lodevolmente eliminata per salvare il tutto perché la parte è ordinata e subordinata al tutto e ciò è vero sia per alcune membra malate in ordine alla salvezza di tutto il corpo e sia per il caso di criminali in ordine al bene di tutta la comunità, come abbiamo visto che s. Tommaso dice chiaramente (cfr. II-II q. 64 aa.1 e 2).
L’errore fondamentale di Blazquez sta appunto nel non voler ammettere questa retta ordinazione dell’uomo alla comunità, ordinazione che anzitutto la Bibbia e la Tradizione ma anche la sapienza non cristiana riconoscono e appunto per questo affermano che la pena di morte è lecita in alcuni casi.
Nella linea di s. Tommaso , Pio XII ha affermato : “Il quinto comandamento — Non occides (Exod. 20, 13) — … Finché un uomo non è colpevole, la sua vita è intangibile, ed è quindi illecito ogni atto tendente direttamente a distruggerla, sia che tale distruzione venga intesa come fine o soltanto come mezzo al fine, sia che si tratti di vita embrionale o nel suo pieno sviluppo ovvero giunta ormai al suo termine. Della vita di un uomo, non reo di delitto punibile con la pena di morte, solo signore è Dio!”[349]
Nello stesso discorso leggiamo anche:”Qui parimente ragione e fede tracciano i confini fra i diritti rispettivi della società e dell’individuo. … Non da essa, ma nel Creatore stesso, egli ha il diritto sul proprio corpo e sulla sua vita, e al Creatore risponde dell’uso che ne fa. Da ciò consegue che la società non può direttamente privarlo di quel diritto, fintantoché non si sia reso punibile di una tale privazione con un grave e proporzionato delitto.”
Occorre aggiungere che mentre il criminale attenta al bene della comunità, la vita dei giusti conserva e promuove il bene comune, essi infatti sono la parte migliore della comunità (cfr. IIª-IIae q. 64 a. 6 co.). Mai è lecito uccidere un giusto e chi uccide un giusto pecca, ovviamente, più gravemente di chi, facendosi illegittimamente giustizia da sé stesso, uccide il peccatore; nel caso in questione, in particolare, per tre ragioni l’uccisione di un giusto è più grave di quella di un peccatore: “Primo, perché nuoce a una persona che è tenuto ad amare di più: e quindi il suo agire è più in contrasto con la carità. Secondo, perché fa un torto a chi meno lo merita: e quindi offende maggiormente la giustizia. Terzo, perché priva la società di un bene maggiore. Quarto, perché disprezza maggiormente Dio, avendo egli detto per i giusti quelle parole: “Chi disprezza voi disprezza me”.”IIª-IIae q. 64 a. 6 ad 2 traduzione tratta dalla edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, ESD
Blazquez, inoltre, accetta evidentemente, come emerge da questi scritti che sto esaminando[350] che la comunità possa punire un uomo ma non che possa ucciderlo perché la vita è opera propria di Dio. Va notato, però, che non solo la vita ma tutti i beni che l’uomo ha vengono da Dio, sono opera propria di Dio, anche la libertà … quindi se la comunità non può toccare i beni che vengono da Dio nel criminale non lo può neanche punire togliendogli i beni e soprattutto la libertà che ugualmente vengono da Dio. La vita del criminale non è proprietà della comunità, dice Blazquez, quindi la comunità non può toglierla … ma neppure la libertà di movimento del criminale è proprietà della comunità eppure anche Blazquez riconosce che incarcerare un criminale è cosa lecita …
In questa linea il criminale non potrebbe essere punito in nessun modo per i suoi crimini.
La vita fisica è uno dei beni che Dio ha dato all’uomo … gli ha dato anzitutto la vita spirituale, e gli ha dato tanti altri beni … La comunità può appunto, per gravi ragioni, per il bene della comunità stessa togliere all’uomo alcuni beni che ha ricevuto da Dio : la libertà, la convivenza con le persone care etc. … e può anche togliere la vita fisica al criminale … Il criminale viene giustiziato per il bene della comunità (cfr. IIª-IIae q. 64 a. 3 ad 2). Il cristianesimo non rompe e non distrugge questa profonda verità, questa legge naturale, s. Tommaso lo ha capito molto bene; il cristianesimo è venuto a divinizzare l’uomo, e come Dio giudica e anche punisce e toglie la vita , così l’uomo per mandato di Dio può e in alcuni casi deve anche togliere la vita al criminale che mette in pericolo la comunità.
La vita è certamente opera di Dio, ma la legittima autorità, come spiega bene s. Paolo e con lui s. Tommaso (cfr. IIª-IIae q. 104 a.6), è costituita da Dio e, per volere di Dio, deve imitare Dio secondo le esigenze del proprio stato (cfr. IIª-IIae q. 64 a. 4), anche giudicando e condannando a morte.
Blazquez si fissa sulla vita fisica del singolo uomo e perde di vista tutto il resto, perde di vista l’insieme della dottrina cristiana che invece s. Tommaso presenta con grande coerenza, come sappiamo bene.
S. Tommaso, peraltro, nel trattare della pena di morte e nel ritenerla lecita non segue semplicemente Aristotele, contrariamente a ciò che afferma p. Blazquez, ma segue la Scrittura e la Tradizione, che appunto ritengono lecita la pena di morte e segue lo Spirito Santo che anche attraverso Aristotele ha parlato, secondo la nota espressione tomista: “omne verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est”[351] Ogni cosa vera, da chiunque sia detta, viene dallo Spirito Santo … Sottolineo che s. Tommaso nel trattare della pena di morte segue precisamente la Tradizione : Padri, Dottori, Papi … e Magistero della Chiesa … Tradizione che Blazquez mostra di mettere da parte … quindi non è s. Tommaso fuori dalla linea evangelica ma piuttosto Blazquez.
Le affermazioni di Blazquez sono un coacervo di errori, imprecisioni e incoerenze molto gravi … Dio intervenga e ci liberi da queste aberrazioni! La luce di Cristo dissipi le tenebre degli errori.
e) Qualche riflessione su alcune affermazioni di L. Eusebi circa la pena di morte.
Dio ci illumini sempre meglio.
Tra gli autori che hanno preparato le affermazioni del Papa, errate, sull’inammissibilità della pena di morte c’è, in particolare, il prof. Luciano Eusebi secondo cui i passi, favorevoli alla liceità della pena di morte, dell’edizione tipica del Catechismo della Chiesa Cattolica realizzata al tempo di Giovanni Paolo II presentavano una impostazione che : “ … rimaneva carente nella forza profetica perché svolgeva un’argomentazione di taglio essenzialmente utilitaristico, senza alcun riferimento – in un Catechismo – di carattere teologico-morale (come peraltro continua ad accadere con riguardo al n. 2266, che attiene alle sanzioni penali in genere)”[352] Già queste affermazioni di Eusebi appaiono francamente strane per non dire assurde perché quei passi del Catechismo sono inseriti nella trattazione del V comandamento, quindi rimandano alla Bibbia inoltre parlano di Tradizione … quindi tali affermazioni si riferiscono all’insegnamento della Bibbia e della Tradizione. Come abbiamo visto più sopra la Bibbia interpretata dalla Tradizione ha sempre legittimato la pena di morte e il Magistero lo ha chiaramente ribadito! Non contento di aver letto solo queste che appaiono vere assurdità teologiche del prof. Eusebi ho deciso di riflettere sul suo libro “La Chiesa e il problema della pena. Sulla risposta al negativo come sfida giuridica e teologica.” (Ed. La Scuola, 2014) per esaminare più a fondo le sue affermazioni. Come vedremo è interessante esaminare ciò che dice Eusebi anche per vedere certe derive teologiche dei nostri tempi e per ribadire dinanzi ad esse la sana dottrina cattolica su varie questioni importanti che stanno “dietro” alla questione della pena di morte.
Diciamo anzitutto che Eusebi manca di fare un discorso teologico seriamente strutturato con la Bibbia, i Padri, i Dottori, il Magistero … ovviamente se lo avesse fatto si sarebbe accorto, se avesse voluto, che la fede della Chiesa dice ben altro rispetto a ciò che lui afferma. La fede della Chiesa parla di giusta retribuzione divina, parla di giusto castigo e di giusta punizione, parla di giustizia di Dio includendo in essa anche la giusta condanna e giusto premio che Dio dà a ciascuno secondo le sue opere, parla di inferno come giusta punizione per i peccati etc. In questa linea dottrinale sicura e tradizionale, che è appunto la fede della Chiesa, si intende anche con precisione la liceità, in alcuni casi, della pena di morte, che la Chiesa praticamente da sempre ha accettato entro certi limiti, come visto.
Come abbiamo visto più sopra, riguardo alla pena di morte occorre tenere presenti alcuni dati fondamentali:
1)la Bibbia mostra di accettare tale pena sia nell’A. T. che nel Nuovo;
2)i Padri sono praticamente unanimi nell’accettare tale pena;
3)il Magistero, appunto sulla base delle indicazioni bibliche e patristiche ha sempre ritenuto lecita, in alcuni casi, la pena di morte e in alcuni casi ha inserito il riconoscimento di tale liceità in professioni di fede richieste per rimanere nell’ ortodossia cattolica;
4)la liceità della pena di morte è una verità che appartiene anche al diritto naturale, accettata praticamente ovunque e sempre.
Questi dati ci portano a capire che affermare l’inammissibilità assoluta della pena di morte va contro la dottrina cattolica e contro la legge naturale, perciò in vari casi la Santa Sede, nel corso di 2000 anni, ha condannato persone che negavano la liceità della pena di morte ed ha imposto a coloro che volevano fare parte della Chiesa una professione di fede che includeva la verità per cui la pena di morte è lecita.
Dinanzi a questa solidissima affermazione della liceità della pena di morte attraverso la Bibbia e la Tradizione nonché attraverso il Magistero e attraverso la legge naturale il prof. Eusebi sviluppa una inconsistente opposizione basata su:
1) confusione a livello della pratica della sana teologia;
2) errori circa le affermazioni bibliche e circa la loro retta interpretazione nella Tradizione riguardo alla pena di morte;
3) attacco a verità di fede fondamentali che stanno alla base della dottrina cattolica sulla pena di morte.
Nel prossimo paragrafo esamineremo i punti 1 e 2 dell’elenco appena presentato, nei paragrafi successivi esamineremo il punto 3.
e,1) Errori di Eusebi riguardo ad affermazioni bibliche, patristiche e magisteriali sulla liceità della pena di morte.
Riguardo al punto 1 e al punto 2 occorre notare che Eusebi, come già detto, non sviluppa una solida e precisa trattazione teologica basata sulla Bibbia interpretata attraverso la Tradizione e con l’ausilio del Magistero, l’autore cita molti teologi anche protestanti ma non fissa con precisione i dati fondamentali per una sana e sicura teologia. L’impressione che io ricavo dallo scritto di Eusebi è che questo autore prima si è fatto la sua idea negativa circa la pena di morte e poi ha cercato teologi che la sostenevano … Al di là delle mie impressioni comunque il testo appare teologicamente disordinato, inconsistente e deviante dalla sana dottrina.
Eusebi non sviluppa una trattazione solida delle affermazioni bibliche circa la pena di morte interpretate alla luce della Tradizione; faccio notare peraltro, a questo riguardo, che, come vedemmo più sopra, anche la tradizione ebraica basata sull’ Antico Testamento afferma chiaramente la liceità della pena di morte.
Eusebi afferma che la pena di morte non risale alla tradizione apostolica (p. 128) come vedemmo sopra le cose non stanno per nulla così: il Nuovo Testamento e il suo Autore accettano pienamente la liceità della pena di morte affermata già nell’ A. T. dallo stesso Autore e da Lui confermata nella Tradizione. Rimando in particolare a quanto dissi più sopra circa l’ affermazione della liceità della pena di morte nel Nuovo e Vecchio Testamento.
Come vedemmo, E. Christian Brugger, pur favorevole all’inammissibilità della pena di morte, afferma : “The New Testament has little to say directly about the death penalty, but there can be hardly any doubt that the practice was considered legitimate by New Testament authors.”[353] Il Nuovo Testamento ha poco da dire direttamente sulla pena di morte, ma non ci può essere alcun dubbio che la pratica sia stata considerata legittima dagli autori del Nuovo Testamento … e soprattutto dall’ Autore del Nuovo Testamento che lo aveva già detto nell’ Antico Testamento e ha continuato a dirlo attraverso la Tradizione.
L’immagine che invariabilmente riceviamo quando il Nuovo Testamento racconta gli incontri con le autorità civili in cui è in gioco la morte è quella di una normale pratica giudiziaria, che viene messa in discussione solo quando si pensa che sia esercitata ingiustamente[354].
Il Card. Dulles afferma :“Nessun passo del Nuovo Testamento disapprova la pena di morte.”[355]
Il Nuovo Testamento non condanna la pena di morte ma piuttosto la dà per scontata e anzi in certi suoi passi la legittima; il Nuovo Testamento quindi accetta pienamente ciò che, fondamentalmente, afferma l’ Antico Testamento a riguardo e cioè che pena di morte è pienamente legittima, in alcuni casi.
E appunto sulla base del Nuovo e Vecchio Testamento i Padri della Chiesa, come vedemmo più sopra, ammettono praticamente unanimemente la pena di morte.
Scrive inoltre Brugger :“For the Fathers of the early Church, the authority of the state to kill malefactors is taken for granted. Opinions differed on whether Christians should hold offices whose responsibilities include the judging and carrying out of capital punishments—pre-Constantinian authors said they should not, those writing after ad 313 said they should—but the principled legitimacy of the punishment itself is never questioned.”[356]
Per i Padri della Chiesa primitiva, l’autorità dello stato di uccidere i malfattori è data per scontata. Le opinioni divergevano sul fatto se i cristiani dovessero ricoprire cariche le cui responsabilità includessero il giudizio e lo svolgimento della pena capitale, infatti gli autori pre-costantiniani dicevano che non avrebbero dovuto, quelli che scrivevano dopo l’editto del 313 dicevano che avrebbero dovuto; ma la legittimità di principio della punizione capitale stesso non viene mai messa in discussione.
Sulla scia delle affermazioni bibliche e patristiche il Magistero, come vedemmo più sopra, per 2000 anni ha costantamente affermato, insieme con i Dottori, la liceità della pena di morte e lo ha dichiarato anche ad un livello molto alto di impegno dottrinale.
Abbiamo visto anche come le affermazioni dei Papi sul tema della liceità della pena di morte sono parecchie già prima del 1200 e indicano che per essi era molto chiaro che la Bibbia dava alle autorità la facoltà di irrogare la pena di morte.
Dinanzi a queste verità sono evidenti gli errori di Eusebi nelle pagine 128 ss del suo libro laddove parla appunto del N. T. , dei Padri e del Magistero riguardo alla questione della pena di morte e nelle quali Eusebi mostra di accettare alcune affermazioni di N. Blazquez.
e,2) Eusebi vuole togliere la dimensione retributiva della sana dottrina.
Dio ci illumini sempre meglio.
Nel suo libro alle pag. 7-52 Eusebi mostra di voler mettere da parte in campo teologico ciò che lui definisce come modello retributivo e secondo cui: fare giustizia significa applicare a coloro che peccano delle pene che riproducono la negatività delle loro azioni (p. 7)
Eusebi attua concretamente riguardo a vari passi biblici la cancellazione della dimensione retributiva che essi naturalmente contengono.
e,2,1) Risposta fondamentale della Bibbia e della Tradizione alle affermazioni di Eusebi.
La Croce di Cristo sia la nostra luce.
Diaciamo anzitutto che la realtà di Dio è “infinitamente al di sopra di tutto ciò che possiamo comprendere o dire: egli è il « Dio nascosto» (Is 45,15), il suo nome è ineffabile”(Catechismo della Chiesa Cattolica n. 206) La giustizia divina è infinitamente super giustizia le cui caratteristiche emergono dalla Bibbia e dalla Tradizione. Il p. Bonino ha affermato“« Giusto [çaddîq] è il Signore, ama le cose giuste [çedâqâh] » (Sal 11, 7). « Il Signore regna, […] giustizia [çèdèq] e diritto [mishepât] sono la base del suo trono » (Sal 97 [96], 2). La Bibbia ci presenta la giustizia come una delle principali « qualità » di Dio. Tuttavia, nella sacra Scrittura, la “giustizia” è una nozione originale e complessa che non coincide esattamente con il concetto filosofico comune di giustizia”[357] Secondo il famoso professore francese: “Quando viene attribuita a Dio, la giustizia biblica significa che Dio agisce conformemente proprie sue promesse, alla propria alleanza. In questo senso, la giustizia di Dio significa la fedeltà di Dio rispetto al proprio disegno di salvezza e, tutto sommato, la giustizia equivale all’amore misericordioso … La nozione della giustizia salvifica di Dio è senz’altro centrale nel Nuovo Testamento, specialmente da san Paolo.” (S. T. Bonino “Amore …” p. 34s) D’altra parte: “… l’approccio della giustizia di Dio come giustizia salvifica non cancella nella Bibbia l’idea, forse più comune e diffusa, della giustizia di Dio quale giustizia retributiva. Dio è il « giusto Giudice che prova il cuore e la mente » (Ger 11, 20), che non fa distinzione fra le persone, ma rende a ciascuno a seconda delle sue opere. San Paolo, pure insistendo sulla gratuità della salvezza, scrive nondimeno : « Ho combattuto la buona battaglia […]. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno » (2 Tm 4, 7-8).” (S. T. Bonino “Amore …” p. 36)
La Bibbia parla chiaramente di giustizia retributiva di Dio[358]
La Tradizione appunto nella linea della Bibbia ribadisce con estrema chiarezza tale giustizia retributiva, come vedremo.
Il nostro Dio è buono e giusto dice chiaramente la Tradizione[359]
Innumerevoli sono i testi che si possono trovare nella Tradizione e che affermano appunto che Dio retribuisce gli uomini per le loro azioni premiandoli o castigandoli[360]
Il giudizio divino è unito alla retribuzione che Dio dà per le opere degli uomini.
Origene[361], s. Giovanni Crisostomo [362] offrono importanti testi che indicano la giustizia retributiva di Dio. Dice s. Agostino che la giustizia divina non cessa di essere esercitata in questo mondo ma non sempre appare chiara, ci sarà un futuro giudizio in cui Dio manifesterà tutta la sua suprema sapienza davanti a tutti e renderà a ciascuno ciò che gli spetta, ai buoni renderà beni eterni, ai malvagi renderà mali eterni: “Et bonis bona, et malis mala, sine fine mansura”[363] Si possono trovare altre significative affermazioni di s. Agostino in questa linea[364] Dio giudica, Dio premia e condanna … in base alle nostre opere.
Dio ci giudicherà anche attraverso noi stessi.[365] Preciso che il giudice supremo sarà sempre Dio; e in Lui, nella sua Verità, mai contro essa, ci giudicheremo e condanneremo, come dice s. Gregorio Nazianzeno .
Dio, Supremo Giudice, che è Verità, farà vedere a noi le nostre opere e ci farà giudicare, in Lui e con Lui, la nostra vita …
Nel Concilio di Lione fu letta la professione di fede di Michele Paleologo per cui chi muore in grazia di Dio riceve il premio della vita eterna mentre chi muore in peccato grave si danna[366] , questa stessa dottrina è stata definita dogmaticamente da Papa Benedetto XII nella costituzione “Benedictus Deus”[367]
Paolo VI affermò: “È dottrina divinamente rivelata che i peccati comportino pene inflitte dalla santità e giustizia di Dio, da scontarsi sia in questa terra, con i dolori, le miserie e le calamità di questa vita e soprattutto con la morte, sia nell’aldilà anche con il fuoco e i tormenti o con le pene purificatrici. … Le quali pene sono imposte secondo giustizia e misericordia da Dio per la purificazione delle anime, per la difesa della santità dell’ordine morale e per ristabilire la gloria di Dio nella sua piena maestà.”[368]
Paolo VI affermò qualcosa di significativo anche riguardo al castigo per il peccato originale[369]
La Veritatis Splendor afferma cose molto significative in questa linea(VS n. 73 e 93) … Dio è giudice giusto e buono che premia il bene e castiga il male. Il premio eterno viene a noi elargito da Dio.
Come già detto, molti altri testi della Tradizione che affermano che Dio premia o castiga e che affermano, quindi, la giustizia distributiva divina ne metterò alcuni nelle prossime pagine e nei prossimi paragrafi.
e,2,1,1) Approfondimento teologico nella linea della dottrina tomista sulla giustizia retributiva in Dio.
La Croce di Cristo sia la nostra luce.
Volendo rispondere più profondamente alle affermazioni del professore Eusebi riguardo alla giustizia distributiva in Dio mi sembra utile fare un ampio discorso che presento qui di seguito e che ci porta anzitutto a vedere in particolare quello che insegna a questo riguardo s. Tommaso d’ Aquino.
Il Dottore Angelico parlando della giustizia distingue due specie di giustizia, cioè quella commutativa e quella distributiva (cfr. IIª-IIae q. 61 a. 1 co). La giustizia distributiva, come dice Aristotele, “… serve a dirigere nelle distribuzioni …”(Ethica, V libro, citato in s. Tommaso d’ Aquino, Somma Teologica IIª-IIae q. 61 a. 1) essa, più precisamente, ha il compito di distribuire le cose comuni secondo proporzionalità (cfr. IIª-IIae q. 61 a. 1 co) … a norma di essa chi governa o amministra dà a ciascuno secondo la sua dignità (cfr. Iª q. 21 a. 1 co)
La giustizia commutativa, che consiste in quelle cose che si compiono reciprocamente tra due persone, non si trova in Dio, invece la giustizia distributiva si trova in Lui che dà a tutti quel che è loro proprio secondo la dignità di ciascuno degli esseri esistenti, e che conserva la natura di ogni essere nel proprio ordine e nel proprio valore (cfr. Dionigi Aeropagita, “I nomi divini” c. VIII, citato in s. Tommaso d’ Aquino, I, q. 21 a. 1); la giustizia distributiva è, dunque, in Dio che
La giustizia distributiva di Dio è anche giustizia retributiva perché Egli distribuisce alcuni beni retribuendo, secondo giustizia, per meriti delle creature.
S. Tommaso parla chiaramente, in questa linea, di giustizia retributiva in Dio in particolare in due testi (“Super Isaiam”, cap. 62; “Super Psalmo” 17, n. 14)
Nella Somma Teologica s. Tommaso afferma che la giustizia in Dio in alcuni casi è detta convenienza (condecentia) della sua bontà, e in altri casi retribuzione per i meriti (cfr. Iª q. 21 a. 1 ad 3). Lo stesso s. Dottore afferma ulteriormente in vari passi che Dio retribuisce [370] Nella Somma contro i Gentili s. Tommaso in vari articoli tratta dei premi e dei castighi che Dio infligge agli uomini (“Somma contro i Gentili” libro III cc. 140-145)
Si parla di merito e demerito in ordine alla retribuzione che viene fatta a un uomo secondo giustizia , perché egli ha agito a vantaggio o a danno di qualcuno; gli atti umani sono un merito o un demerito dinanzi a Dio (cfr. I-II q. 21 a.4) e quindi giustamente Dio premia o punisce chi li compie.
In questa linea s. Tommaso afferma che: “ … a Colui che ha cura dei singoli uomini spetta dare il premio per la virtù e le pene per il peccato …”[371]
S. Tommaso, inoltre, parlando della pena afferma che tutto ciò che è contenuto sotto un certo ordine forma come una cosa sola in ordine al principio di esso. Da questo consegue che tutto ciò che insorge contro l’ ordine, sia represso dall’ordine stesso, oppure da chi è a capo di esso. Il peccato è un atto disordinato, quindi chi pecca agisce contro un certo ordine, ne consegue che dall’ordine medesimo tale atto sia represso. La pena è appunto tale repressione di colui che compie tale atto disordinato (cfr. I-II q. 87 a.1).
Tale repressione, occorre notare, si attua ab aeterno, perché Dio è eterno (cfr. I q. 10 a. 2) e immutabile (cfr. I q. 9 a. 1), quindi Dio, a differenza del giudice terreno, non cambia, non muta nel momento in cui infligge la condanna (cfr. Iª q. 21 a. 1 ad 3), tale condanna è decretata, anzi “super decretata” dall’eternità!
Come la creazione intesa in senso attivo non implica cambiamento in Dio e significa l’azione divina cioè l’essenza divina con la relazione alla creatura (cfr. Iª q. 45 a. 3 ad 1) così l’opera di giustizia che Dio compie dando alle creature ciò che è giusto in base alle loro opere è ugualmente la super azione divina cioè la super essenza divina, immutabile ed eterna, con la relazione alla creatura.
Prosegue s. Tommaso dicendo che secondo i tre ordini cui è sottoposta la volontà umana, un uomo può essere punito con una triplice pena. Anzitutto, infatti, la persona umana è sottoposta all’ordine della propria ragione; in secondo luogo è sottoposto all’ordine dell’uomo che governa gli uomini dall’esterno, sia nell’ambito spirituale che in quello temporale, sia nell’ ambito politico che in quello economico; in terzo luogo, è sottoposta all’ordine universale del governo divino.
A causa del peccato ciascuno di questi ordini viene pervertito: chi pecca agisce contro la ragione, contro la legge umana, e contro la legge divina, perciò tre sono le pene in cui incorre: la prima, che gli è irrogata da sé stesso, ed è il rimorso della coscienza; la seconda che gli è irrogata dagli uomini; la terza che gli è irrogata da Dio (cfr. I-II q. 87 a.1).
Peraltro anche nella pena che l’uomo irroga a sé stesso e che gli altri uomini irrogano a lui dobbiamo vedere altresì l’azione di Dio; infatti, come spiega s. Tommaso, Dio opera in ogni operante (cfr. I q. 105 a. 5); in maniera particolare , poi, Dio agisce attraverso coloro che Egli ha messo a capo delle comunità. In questa linea, come vedemmo più sopra, nel commento alla lettera ai Romani cap. 13 s. Tommaso afferma che i principi portano la spada simbolo del potere punitivo dell’autorità, che include anche il potere di uccidere, e in ciò si manifesta il loro essere ministri di Dio che irrogano la punizione per eseguire il giusto giudizio di Dio su coloro che peccano. Attraverso tali principi che puniscono giustamente i colpevoli opera appunto in modo particolare Dio. Per i principi, dice s. Tommaso in questa linea, non solo è lecito ma è meritorio agire con zelo per eseguire il giusto giudizio di Dio su coloro che peccano (cfr. Super Rom., cap. 13 l. 1). S. Tommaso, che afferma chiaramente la liceità della pena di morte, ovviamente include nelle punizioni che i principi possono irrogare, e di cui ci ha appena parlato, la pena capitale.
I principi, cioè le autorità, in quanto usano secondo giustizia il loro potere sono quindi strumenti di Dio e nel loro operare agisce in modo particolare Dio, nel loro irrogare la pena di morte secondo giustizia è Dio che opera attraverso di loro.
D’altra parte come precisa s. Tommaso in Iª q. 49 a. 2 ad 2 l’effetto della causa seconda difettosa si riconduce alla causa prima indefettibile per quanto esso ha di entità e di perfezione ma non per quello che ha di difetto: tutto quello che vi è di entità e di attività nell’azione malvagia si riconduce a Dio come a sua causa, ma quanto vi si trova di manchevole non è causato da Dio, bensì dalla causa seconda che è difettosa.
In questa linea, nell’azione del principe che irroga la pena di morte ingiustamente, contro la volontà divina, occorre distinguere :
1) quello che vi è di entità, che appunto si riconduce a Dio come a sua causa;
2) quanto vi si trova di manchevole e di peccaminoso, che appunto non è causato da Dio, bensì dal peccato del principe.
La pena è proporzionata al peccato, spiega ancora s. Tommaso, e nel peccato si devono considerare due cose: la prima è, nel caso del peccato mortale, l’allontanamento dal bene immutabile, che è infinito, e per questo aspetto il peccato è infinito; la seconda è la conversione disordinata al bene mutevole e da questo lato il peccato è limitato; perciò dalla parte dell’allontanamento da Dio corrisponde al peccato una pena infinita, che è detta pena del danno, ed è la perdita del bene infinito, cioè di Dio. Invece dalla parte della conversione disordinata alle creature corrisponde al peccato una pena limitata, detta pena del senso (cfr. I-II q. 87 a.4).
La pena viene commisurata alla colpa quanto alla durezza, sia nel giudizio divino che in quello umano, spiega s. Tommaso (cfr. Iª-IIae q. 87 a. 3)
Dio punisce e premia in questa vita e nell’altra, dopo la morte, contrariamente a ciò che Eusebi afferma [372].
S. Tommaso precisa (I-II q. 87 a. 8 in c.), che alcune delle pene per il peccato riguardano solo chi lo commette, altre si estendono ad altre persone.
Ricapitolando: in Dio vi è giustizia retributiva perciò Egli ha fissato dall’ eternità, insieme ai premi per i giusti, le pene per il peccato; Dio è causa di tali pene come giudice dell’uomo mentre l’uomo le causa con il suo peccato. Tali pene possono estendersi, in certo modo, anche ad altre persone che non siano direttamente gli autori per tali peccati
Dio ci illumini sempre meglio.
e,2,1,2) Precisazioni riguardo a Cristo che giudica e condanna.
Non vedo trattato da Eusebi il tema di Cristo Giudice … né ben approfondita sempre nella linea classica, l’esegesi della famosa frase evangelica detta da Cristo: “Via lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno!” (Mt. 25,41) ma ciò si capisce, infatti, tutto questo afferma appunto che Cristo è giudice e condanna e ciò va direttamente contro le affermazioni di Eusebi …
Tanti testi biblici, di Padri, di grandi santi e di Dottori, testi profondi del s. Magistero affermano che Dio e quindi Cristo giudica e condanna; per non rimanere nel vago , qui di seguito presenterò in modo più preciso qualche testo di quelli che ho appena indicato.
La Bibbia afferma chiaramente il giudizio di Cristo (Cf. Gv 5,22.27; Mt 25,31; At 10,42; 17,31; 2 Tm 4,1)
Il Simbolo degli Apostoli afferma chiaramente che Cristo: “ siede alla destra di Dio Padre onnipotente: di là verrà a giudicare i vivi e i morti.”
Il Simbolo niceno-costantinopolitano afferma: “E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.”
Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n. 679: “Cristo è Signore della vita eterna. Il pieno diritto di giudicare definitivamente le opere e i cuori degli uomini appartiene a lui in quanto Redentore del mondo.” In questa linea si veda anche lo stesso Catechismo al n. 682 . Cristo, quindi, premierà o castigherà ….
Il Catechismo Romano afferma: “Per amor di chiarezza i Parroci distingueranno bene le due epoche, nelle quali ciascuno deve comparire innanzi al Signore per rendere ragione di tutti e singoli i pensieri, le opere, le parole, e sentire poi l’immediata sentenza del giudice. ”[373]… quindi Cristo premierà o castigherà ….
S. Tommaso spiega chiaramente che Dio premia e condanna (S. Tommaso d’ Aquino, “Somma Contro i Gentili” , Ed. UTET, Prima edizione eBook: Marzo 2013, l. III. cap. CXL)
S. Tommaso afferma inoltre che: “ … il potere giudiziario è una prerogativa comune a tutta la Trinità: il che è vero. Tuttavia per appropriazione esso viene attribuito al Figlio…”[374] … quindi Cristo premierà o castigherà …. Il Dottore Angelico ribadice questa dottrina in altri suoi scritti[375] Cristo è, assolutamente, il Giudice, Lui che è vero Dio e vero uomo.
Le parole di s. Tommaso ci aiutano a comprendere a fondo ciò che dice il Catechismo della Chiesa Cattolica allorché afferma: ” … Ora, il Figlio non è venuto per giudicare … È per il rifiuto della grazia nella vita presente che ognuno si giudica già da se stesso, (Cf Gv 3,18; 12,48.) riceve secondo le sue opere (Cf 1 Cor 3,12-15) e può anche condannarsi per l’eternità rifiutando lo Spirito d’amore. (Cf Mt 12,32; Eb 6,4-6; 10,26-31)” (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 679) Cristo è, assolutamente, il Giudice, la prima parte del n. 679 e il n. 682, in cui si afferma che il pieno diritto di giudicare definitivamente le opere e i cuori degli uomini appartiene a Cristo, ci aiutano a interpretare precisamente la seconda parte del n. 679 citata qui sopra. Cristo è Salvatore ma anche Giudice e giudicherà: premierà e condannerà. Il giudizio sarà basato sulle nostre azioni e in questo senso il Catechismo dice che ognuno si giudica da sé. Più precisamente: non è che ci giudichiamo realmente e assolutamente da noi stessi ma, come detto, con il nostro comportamento determiniamo il giudizio di Cristo. Dio è il Giudice soprattutto quando il giudizio ha per effetto una realtà eterna di beatitudine o di sofferenza. Il Catechismo al n. 679 deve dire chiaramente che ognuno riceve secondo le sue opere (Cf 1 Cor 3,12-15), riceve cioè il premio o la pena che appunto Cristo irroga : “Cristo glorioso, venendo alla fine dei tempi a giudicare i vivi e i morti, rivelerà la disposizione segreta dei cuori e renderà a ciascun uomo secondo le sue opere e secondo l’accoglienza o il rifiuto della grazia.”(Catechismo della Chiesa Cattolica n. 682)
In nota il Catechismo riporta un testo del cap. 3 del Vangelo di Giovanni; commentando questo passo s. Tommaso afferma che nel I avvento Gesù è venuto per un giudizio di discernimento e non per un giudizio di condanna ma nel II avvento Egli verrà per un giudizio di condanna (Super Io., cap. 3 l. 3)
In nota al n. 679 il Catechismo riporta anche un testo del cap. 12 del Vangelo di Giovanni, s. Tommaso commenta luminosamente questo testo in questo modo: Cristo giudicherà e condannerà, è Lui la Verità che giudica e permette anche alle anime di giudicare sé stesse rettamente circa le loro opere …(Super Io., cap. 12 l. 8) e la Chiesa, di cui Cristo è Capo, sarà unita a Lui nel giudizio e nella condanna. Quindi il Giudice è sempre Cristo e non siamo mai noi. Noi accogliamo la Verità e quindi la sentenza che Cristo stabilisce e in questo senso possiamo da noi stessi in certo modo giudicarci ma il Giudice supremo è Lui, è il suo Giudizio che vale perché Lui solo sa tutto ed è Giustizia. Non siamo dunque noi a giudicarci ma Lui, la sua Verità sovrana giudica in modo sommamente giusto e perfetto, in quanto la accogliamo possiamo anche noi giudicarci in Lui e con Lui, mai contro di Lui, perché il Giudice supremo è Lui.
Un tale giudizio supremo che riguarda l’eternità non può competere semplicemente a noi, solo Dio può giudicare con verità piena, non può essere semplicemente l’uomo a giudicare sé stesso, perché l’uomo non si conosce pienamente secondo verità, solo Dio conosce perfettamente e può realizzare un giudizio perfetto, uguale per tutti! Fare dell’uomo il giudice perfetto e vero di sé, escludendo il supremo Giudice che è Dio, è una assurda deificazione e divinizzazione del nulla e dell’ignoranza umana … Non siamo noi a giudicarci ma Lui, la sua Verità sovrana giudica in modo sommamente giusto e perfetto; in quanto la accogliamo possiamo anche noi giudicarci in Lui e con Lui, mai contro di Lui, perché il Giudice supremo è Lui.
Dire che siamo semplicemente noi a giudicarci significa rendere ridicolo il giudizio finale perché sappiamo bene che: nessuno è buon giudice in causa propria … Mentre nel mondo vale il principio per cui nessuno è buon giudice in causa propria, e quindi nei processi il giudice è diverso dall’imputato, proprio il giudizio più importante, cioè il giudizio finale, sarebbe fatto da chi è il peggior giudice per la propria causa cioè dall’imputato stesso: il che è assurdo e ridicolo!
Il Catechismo Romano afferma, in questa linea: “Rivolto poi a quelli che staranno alla sua sinistra, fulminerà contro di essi la sua giustizia con queste parole: Via da me, maledetti, al fuoco eterno, preparato per il diavolo ed i suoi angeli (Mt 25,41). … Questa è dai teologi chiamata pena del danno
Seguono poi le parole: “al fuoco eterno”; è il secondo genere di pena che i teologi chiamano pena del senso, perché si percepisce con i sensi del corpo … Tale sentenza giustamente il Signore e Salvatore nostro emanerà contro gli empi …”[376] Cristo, supremo Giudice, è Colui che irroga la pena del danno e quella del senso.
Le parole del Vangelo citate in questo passo del Catechismo Romano sono illuminanti e s. Alfonso riprendendole afferma:“ L’anima che esce da questa vita in disgrazia di Dio, prima che il giudice la condanni, ella si condannerà da se stessa, e poi udirà intimarsi da Gesu-Cristo la terribil sentenza …”[377] La condanna che l’anima fa di sé è l’attuarsi della condanna del Giudice Supremo!
Aggiunge il s. Dottore napoletano:“ Che farà, che risponderà il peccatore a Gesu-Cristo giudice? … Ecco finalmente il giudice darà la sentenza. «Discede a me, maledicte, in ignem aeternum».(Matth., 25, 41: «Discedite a me, maledicti, in ignem aeternum».) ”[378] Cristo è giudice … e giudica e condanna … e la Chiesa è unita a Lui.
L’inferno, si noti bene, implica una condanna a una pena eterna eterna. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica leggiamo, in questa linea, al n. 1034: “ Gesù parla ripetutamente della « geenna », del « fuoco inestinguibile »,(Cf Mt 5,22.29; 13,42.50; Mc 9,43-48.) … Gesù annunzia … ed egli pronunzierà la condanna: « Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno! » (Mt 25,41).” Sottolineo: egli, cioè Cristo, pronunzierà la condanna: « Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno! » (Mt 25,4). Quindi Cristo giudicherà e condannerà alla dannazione eterna coloro che avranno meritato ciò!
Eusebi parla di contrappasso aristotelico (p. 47) … ma non riferisce del contrappasso biblico: “ … il testo sacro dice: “Perché capissero che con quelle stesse cose per cui uno pecca, con esse è poi castigato” (“per quae peccavit, per haec et torquetur”, Sap 11,16).
Il tema del contrappasso è ripreso diverse volte nella sacra Scrittura: “Perciò quanti vissero ingiustamente con stoltezza tu li hai tormentati con i loro stessi abomini” (Sap 12,23 e anche 16,1 e 18,4).”[379] Si vedano anche, in questa linea, le affermazioni dell’Apocalisse, cap. 18. La pena del contrappasso è ben radicati nella Verità che Dio ci ha donato e non la possono cancellare le deboli e devianti affermazioni di Eusebi!
e,2,2) Eusebi vuole togliere la dimensione retributiva alle conseguenze del peccato di Adamo.
Eusebi parla di peccato originale e praticamente toglie la dimensione retributiva alle conseguenze del peccato di Adamo, in particolare cerca di cancellare la verità per cui Dio ha punito l’umanità a causa del peccato originale[380] A fronte delle affermazioni di Eusebi il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma riguardo al peccato originale, basandosi in particolare sui testi di sommo livello magisteriale del Concilio di Trento, che esso è un avvenimento primordiale, accaduto all’inizio della storia e che segna tutta storia: “La Rivelazione ci dà la certezza di fede che tutta la storia umana è segnata dalla colpa originale liberamente commessa dai nostri progenitori.[381]”(Catechismo della Chiesa Cattolica n. 390)
Papa Benedetto disse varie cose importanti, sottolineando la dimensione storica di tale peccato[382]
Benedetto XVI ha anche affermato:” “Il mistero dell’Immacolata Concezione di Maria, che oggi solennemente celebriamo, ci ricorda due verità fondamentali della nostra fede: il peccato originale innanzitutto, e poi la vittoria su di esso della grazia di Cristo, vittoria che risplende in modo sublime in Maria Santissima.”[383] … il peccato originale è una verità fondamentale della nostra fede!
La Chiesa custodisce il dogma del peccato originale: ” … se, nella fede della Chiesa, è maturata la consapevolezza del dogma del peccato originale, è perché esso è connesso inscindibilmente con l’altro dogma, quello della salvezza e della libertà in Cristo.”[384] … Il peccato originale è un dogma …
Come detto: Eusebi praticamente toglie la dimensione retributiva alle conseguenze del peccato di Adamo … Vedremo qui di seguito come la dimensione retributiva delle conseguenze del peccato è molto chiaramente attestata dalla Bibbia e dalla Tradizione che interpreta la Bibbia.
e,2,2,1) Risposta biblica e magisteriale alle affermazioni di Eusebi
Il testo biblico di riferimento, indicante l’ operare della giustizia retributiva sui nostri progeitori dopo il peccato è Genesi 3,16-19 La dimensione retributiva insita in questo testo è evidente. Il famoso biblista Spadafora nel suo Dizionario Biblico dice, parlando della morte, che essa è: “Conseguenza e pena del peccato (v. Adamo): Gen. 2, 27; 3, 3.” [385]
Prima di lui aveva detto questo anche p. M. Sales :“ Il peccato è dunque la causa della morte, e la morte è il castigo del peccato (Gen. II, 17; III, 19; Sap. I, 13, ecc.).” [386] Parla ovviamente di castigo e punizione dell’uomo per il peccato originale anche il “Nuovo Grande Commentario Biblico” alla p. 15[387] Per il peccato originale Dio ha irrogato all’uomo varie pene tra cui appunto la pena della morte.
Dio ci illumini sempre meglio.
Nel II Sinodo di Orange troviamo importanti affermazioni sulla giustizia divina in atto dopo il peccato originale[388] per noi ciò significa in particolare che la morte è la pena per il peccato originale e che insieme a alla morte vi è, ugualmente come pena per il peccato, il deterioramento della natura umana, significa altresì che la pena per il peccato di Adamo ed Eva ha colpito non solo loro ma anche tutta la discendenza. Le stesse verità sono proclamate dal Concilio di Trento: “Chi non ammette che il primo uomo Adamo, avendo trasgredito nel paradiso il comando di Dio, ha perso subito la santità e la giustizia, nelle quali era stato creato e che è incorso per questo peccato di prevaricazione nell’ira e nell’indignazione di Dio, e, quindi, nella morte, che Dio gli aveva prima minacciato, e, con la morte, nella schiavitù di colui che, in seguito, ebbe il potere della morte e cioè il demonio (21)’, e che Adamo per quel peccato di prevaricazione fu peggiorato nell’anima e nel corpo: sia anatema.” [389]
Nella Professione di fede di s. Paolo VI leggiamo in questa linea: “Noi crediamo che in Adamo tutti hanno peccato; il che significa che la colpa originale da lui commessa ha fatto cadere la natura umana, comune a tutti gli uomini, in uno stato in cui essa porta le conseguenze di quella colpa, e che non è più lo stato in cui si trovava all’inizio nei nostri progenitori, costituiti nella santità e nella giustizia, in cui l’uomo non conosceva né il male né la morte. È la natura umana così decaduta, spogliata dalla grazia che la rivestiva, ferita nelle sue proprie forze naturali e sottomessa al dominio della morte, che viene trasmessa a tutti gli uomini; ed è in tal senso che ciascun uomo nasce nel peccato.”[390] Si noti che questa è una professione di fede, quindi ha una elevata importanza a livello dottrinale! Le conseguenze del testo appena visto sono pene, infatti come visto: “… è dottrina divinamente rivelata che i peccati comportino pene inflitte dalla santità e giustizia di Dio.” (Paolo VI ” Indulgentiarum Doctrina”).
S. Giovanni Paolo II ha fatto varie affermazioni nella linea che stiamo vedendo[391] Il peccato di Adamo è stato, dunque, punito e le pene irrogate per il peccato dei progenitori si sono diffuse a tutta la discendenza. Origene afferma a questo riguardo: “… l’uomo, per castigo del peccato, era venuto dal paradiso della libertà alla schiavitù di questo mondo.”[392]
Il Catechismo della Chiesa Cattolica ai nn. 399 s. elenca tutte le drammatiche conseguenze del peccato originale, tra cui c’è la morte e la sofferenza. In questa linea, il Catechismo precisa altresì quali sono le pene per il peccato: la pena eterna e la pena temporale (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1472s)
La morte e le prove di ogni genere sono le pene temporali per il peccato originale.
Benedetto XVI ha affermato: “ … Dio … non ha creato la morte, ma questa è entrata nel mondo per invidia del diavolo il quale, ribellatosi a Dio, ha attirato nell’inganno anche gli uomini, inducendoli alla ribellione (cfr. Sapienza 1, 13-14; 2, 23-24).” [393]
Ricapitolando: Dio retribuisce il male con la giusta punizione, con essa Dio ha colpito anzitutto i nostri genitori e ha colpito anche noi, loro discendenti, per il peccato originale; tutto questo significa ovviamente, come vedremo anche meglio nelle pagine seguenti, che in Dio vi è giustizia retributiva.
Nel caso del peccato dei primi uomini, che è oggetto delle affermazioni di Eusebi cui stiamo rispondendo, basandoci sulle affermazioni di s. Tommaso viste più sopra (cfr. I-II q. 87 a.1), dobbiamo dire che le pene causate da tale peccato sono due: una pena irrogata a loro da loro stessi, ed è il rimorso della coscienza e una pena che è irrogata loro da Dio.
Nella giusta pena che i primi uomini irrogano a sé stessi dobbiamo vedere altresì l’azione di Dio, come detto da me più sopra in questo paragrafo; infatti, come spiega s. Tommaso, Dio opera in ogni operante (cfr. I q. 105 a. 5).
Riguardo alla pena irrogata direttamente da Dio ai primi uomini occorre dire che essa è la repressione di colui che compie un atto disordinato, repressione realizzata da Dio (cfr. I-II q. 87 a.1).
La condanna che Dio “super decreta” dall’eternità, ma che si compie nella storia, prevede, come pena, anche sofferenza e morte per gli uomini.
S. Tommaso afferma in particolare riguardo alla pena della morte “Homo ergo demerendo causa est mortis, sed Deus, ut iudex. Stipendia enim peccati mors, Rom. VI, 23.” (Super Heb. [rep. vulgata], cap. 9 l. 5) L’uomo con il suo peccato è la causa della morte ma Dio è causa della morte in quanto Egli è giudice e appunto irroga ab aeterno la pena della morte per il peccato.
Quindi non bisogna immaginare Dio come un personaggio che di fronte al peccato e reagendo ad esso infligge, come un sadico carnefice, la pena infierendo sulla persona … né bisogna immaginarlo come un violento personaggio che risponde ai suoi nemici, che lo odiano, infierendo su di loro. Dio è immutabile e dall’eternità ha decretato nella sua Sapienza e Carità la giusta punizione dei malvagi, dall’eternità ha decretato la giusta punizione per il peccato. Adamo ed Eva, avendo peccato, furono puniti da Dio secondo tale decreto e la dimensione “esteriore” della irrogazione della pena, che Eusebi cerca di cancellare, è molto evidente nella Bibbia: Dio condanna chiaramente l’uomo e la donna nel cap. 3 della Genesi per il loro peccato e alla fine li scaccia dal Paradiso terrestre; sono azioni molto chiare indicanti la punizione di Dio che colpisce Adamo ed Eva. Le successive pagine della Bibbia chiariscono ulteriormente gli effetti negativi di tale peccato originale.
Quanto detto finora ci aiuta a capire quello che afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica allorché dice riguardo alla pena temporale e alla pena eterna: “Queste due pene non devono essere concepite come una specie di vendetta, che Dio infligge dall’esterno, bensì come derivanti dalla natura stessa del peccato.” (Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1472)
Dio non è un un sadico carnefice che si vendica con odio e che infligge la pena infierendo sulla persona.
Come ha spiega s. Tommaso: l’ uomo con il suo peccato è la causa della morte, cioè l’uomo con il peccato causa la pena della morte, quindi la pena della morte deriva dalla natura del peccato, ma d’altra parte Dio è causa della morte in quanto Egli è giudice immutabile e santissimo e appunto ha irrogato ab aeterno secondo la sua giustizia la pena della morte per il peccato, cioè ha fissato dall’eternità tale pena e quindi l’ha irrogata.
S. Tommaso precisa (I-II q. 87 a. 8 in c.), che alcune delle pene per il peccato riguardano solo chi lo commette, altre si estendono ad altre persone, in questa linea, alcune pene del peccato di Adamo ed Eva si estendono a tutti gli uomini, altre, più direttamente causate dal loro peccato personale, non si estendono a tutta l’umanità.[394] In questo modo la pena che colpisce il progenitore ricade sui discendenti.
Ricapitolando: in Dio vi è giustizia retributiva perciò Egli ha fissato dall’ eternità, insieme ai premi per i giusti, le pene per il peccato; Dio è causa di tali pene come giudice dell’uomo mentre l’uomo le causa con il suo peccato. Tali pene possono estendersi, in certo modo, anche ad altre persone che non siano direttamente gli autori per tali peccati; il peccato originale, in questa linea, ha causato in modo particolare pene non solo per Adamo ed Eva ma anche per l’umanità .
e,2,2,2) Precisazioni sulla “provenienza” della morte.
Con l’evidente intento di arrivare a dire che Dio non retribuisce, e quindi non punisce, il peccato con la morte, Eusebi cita in nota[395] un teologo ortodosso il quale afferma che secondo i nostri autori occidentali la morte sarebbe un fenomeno proveniente da Dio, una specie di creatura di Dio, mentre gli scrittori dei primi due secoli e i Padri greci lo negano.
Rispondo al prof. Eusebi e al teologo, facendo notare anzitutto quello che dissi poco più sopra.
Il famoso biblista Spadafora nel suo Dizionario Biblico dice, parlando della morte, che essa è: “Conseguenza e pena del peccato (v. Adamo)” (“Morte” in Spadafora (diretto da) “Dizionario Biblico” Studium 1963 2 voll. (A-M; M-Z), prima di lui aveva detto questo anche p. M. Sales (M. Sales “La Sacra Bibbia commentata dal p. M. Sales” Torino 1914, v. II, p. 41)
Per il peccato originale Dio ha irrogato all’uomo varie pene tra cui appunto la pena della morte.
Nel II Sinodo di Orange fu dichiarato: che la morte è la pena per il peccato originale [396]
Nel Concilio di Trento fu dichiarato qualcosa di simile [397]
Nella Professione di fede di s. Paolo VI leggiamo in questa linea che è la natura umana decaduta a causa del peccato originale : “ … spogliata dalla grazia che la rivestiva, ferita nelle sue proprie forze naturali e sottomessa al dominio della morte, che viene trasmessa a tutti gli uomini; ed è in tal senso che ciascun uomo nasce nel peccato.” [398] Affermazioni in questa linea troviamo anche in altri testi di Papi[399]
La morte e le prove di ogni genere sono le pene temporali per il peccato originale.
Inoltre rispondo al prof. Eusebi e al teologo russo con le parole di s. Tommaso per cui: all’ordine dell’universo attiene anche l’ordine della giustizia, il quale richiede che la giusta pena venga inflitta ai peccatori. Dio che è Giustizia ed è Ordine perfettissimi ed è l’artefice del creato e del suo ordine, per ciò stesso è Colui che infligge quel male che è la pena, quindi è (Super) Autore del male che è la pena, non però di quel male che è colpa (cfr. Iª q. 49 a. 2 co.).
Dio è “Super Vita” ed è “Super Giustizia”, “Super Perfezione” ed evidentemente dall’eternità ha decretato che la pena per tale peccato originale dell’uomo sia anche la morte; la morte non è propriamente creata da Dio, la creazione implica che si faccia qualcosa dal nulla, secondo S. Tommaso (I, q. 65, a. 3), la creazione è la produzione, operata da Dio, di un essere secondo tutta la sua sostanza, senza che sia presupposta una qualche entità che sia increata o creata da qualche altra realtà.[400] La morte non è propriamente una creatura, non è un bene ma è una mancanza di perfezione, è un male, che Dio infligge ab aeterno per il peccato.
Spiega s. Tommaso che Dio quando causa l’ordine dell’universo, che è un bene, conseguentemente e quasi accidentalmente causa la corruzione delle cose, secondo l’espressione della Scrittura contenuta in I Re 2 “Il Signore fa morire e fa vivere”, se la Bibbia afferma d’altra parte che “Dio non fece la morte” (Sap. 1), ciò va interpretato nel senso che Dio non volle direttamente la morte (cfr. Iª q. 49 a. 2 co.).
S. Tommaso afferma ancora a riguardo che l’uomo con il suo peccato è la causa della morte ma Dio è causa della morte in quanto Egli è giudice e appunto irroga ab aeterno la pena della morte per il peccato. (Super Heb. , cap. 9 l. 5)
Nel Compendium Theologiae s. Tommaso afferma che la pena del peccato originale è anche la morte e Cristo l’ha voluta patire, pur non avendo peccato, per salvarci. (Compendium theologiae , lib. 1 cap. 227 co.)
Dio è (Super) Autore del male che è la pena, non però di quel male che è colpa (cfr. Iª q. 49 a. 2 co.).
Dio può togliere ciò che ha donato, cioè la perfezione e quindi la vita, a chi risulta immeritevole … e la Scrittura e la Tradizione, che s. Tommaso segue, lo affermano molto chiaramente.
D’altra parte anche s. Giovanni Crisostomo nella omelia XVII sulla Genesi afferma che nelle parole di Gen. 3,17ss si possono notare sia la sentenza di Dio giudice contro l’uomo, sia le punizioni cui lo sottopone (cfr. S. Joannis Chrysostomi “Homiliae in Genesim” PG 53, 145. hom. XVII n. 9).
La causa della morte è certamente l’uomo che ha peccato ma, d’altra parte, anche Dio è causa della morte perché ab aeterno ha condannato e punito il peccato di Adamo ed Eva anche con la morte.
S. Tommaso, che conosceva i Padri della Chiesa, anche quelli orientali, ed è rimasto ben radicato nella Tradizione, ha ripreso il loro pensiero, sotto la guida dello Spirito Santo,e lo ha precisato facendo notare che la causa della morte è certamente l’uomo che ha peccato ma, d’altra parte, anche Dio è causa della morte perché ab aeterno ha condannato e punito il peccato di Adamo ed Eva con la morte.
e,2,3) Eusebi vuole togliere la dimensione retributiva ai castighi biblici facendo leva sulla “violenza” attribuita a Dio nella Bibbia.
Riguardo alle affermazioni di Eusebi circa i castighi biblici e la violenza attribuita a Dio[401] va notato anzitutto che Eusebi non precisa bene cosa egli intenda per violenza.
La sana teologia afferma che Dio è infinita perfezione e quindi non è violento in quanto per violenza si intenda qualcosa di malvagio, di brutale, di contrario alla giustizia; la violenza, intesa in questo senso, è contraria alla perfezione, alla giustizia e alla carità divine (cfr. “Violenza” in Enciclopedia on-line Treccani, www.treccani , http://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/violenza/ ; “Violento” in Enciclopedia on-line Treccani , www.treccani http://www.treccani.it/vocabolario/violento/)
Dio è super perfezione assoluta e punisce, restando immutabile, senza fare violenza nel senso detto; le pene che Egli irroga sono atti di giustizia e non di violenza e anche quando deve irrogare pene molto dolorose o la morte, tale irrogazione non è mai atto di violenza; in modo simile, non è violenta l’autorità che irroga secondo giustizia le pene anche molto dolorose o anche capitali ai suoi sudditi e non è violenta l’azione di chi si difende giustamente contro un ingiusto aggressore e arriva ad uccidere secondo giustizia tale ingiusto aggressore.
Sono violenti i malvagi che fanno crimini, non è violento chi, veramente per mandato divino, agisce e compie atti su uomini o popoli. Se Dio comanda qualcosa nella sua Sapienza e nel suo Amore sa molto bene ciò che sta facendo, Lui è il Signore e Lui è Amore; il vero bene è nel compiere ciò che Dio vuole.
Il Concilio Vaticano I ha affermato riguardo al nostro Dio: “La Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana crede e confessa che uno solo è il Dio vivo e vero … infinito per … ogni perfezione …”(Concilio Vaticano I , Cost. Dogmatica “Dei Filius” c. I)
Papa Leone XIII ha precisato: “Dio stesso provvidentissimo, infinitamente buono e potente ..”[402] Dio è buono e compie sempre opere buone, Dio è perfetto, non è violento!
In particolare per gli interessi del nostro studio sulla pena di morte dei malfattori, è evidente che non sono violente nel senso appena detto le condanne a morte di certi malfattori dichiarate e applicate nella Bibbia secondo il volere di Dio e non è violenta la condanna alla dannazione per gli angeli ribelli e per i peccatori. Più generalmente non sono violenti ma sommamente giusti i comandi che vengono da Dio che è infinita giustizia e bontà.
D’altra parte occorre tenere conto che la Bibbia mostra chiaramente come la violenza intesa come qualcosa di malvagio, di brutale, di contrario alla giustizia entra nel mondo degli uomini con il peccato di Adamo ed Eva e si diffonde a tutta l’umanità. Siamo noi, peccatori, i violenti e gli insipienti quindi è doppiamente assurdo e insipiente che qualcuno di noi uomini peccatori voglia giudicare i giudizi divini.
Dio attraverso la Rivelazione aiuta l’uomo ad opporsi a questa violenza, lo fa già con l’Antico Testamento, lo fa ancora di più con il Nuovo Testamento.
La venuta di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, ha portato a compimento quello che Dio aveva già iniziato a fare; con la venuta di Cristo, con la sua testimonianza, Dio ha condotto l’uomo ad una realizzazione più perfetta della sua volontà anche riguardo alla vittoria contro la violenza.
La Commissione Teologica Internazionale ha affermato :“Per la decifrazione teologica complessiva del tema della violenza sacra nelle pagine bibliche la riflessione teologica chiama tradizionalmente in causa due criteri. Da un lato la tradizione teologica sottolinea il carattere pedagogico della rivelazione storica, che deve aprirsi strada in un contesto di recezione duro e tribale, molto diverso da quello che plasma la nostra sensibilità odierna. Dall’altro lato, essa mette in rilievo la storicità dell’elaborazione della fede attestata nelle scritture bibliche, segnalando l’evidenza di una dinamica evolutiva dei modi in cui la violenza è rappresentata e giudicata: nella prospettiva del suo progressivo superamento, dal punto di vista della fede nel Dio della creazione, dell’alleanza della salvezza.”[403]
Dalla violenza causata dal peccato Dio libera gli uomini con una pedagogia che si mostra nella Rivelazione, questa pedagogia fa evolvere la fede del popolo di Dio perché possa sempre meglio vincere il peccato e con esso la violenza.
Noi oggi guardiamo la Bibbia illuminati dal messaggio di Cristo cioè rileggiamo l’A. Testamento dopo che da 2000 anni il cristianesimo ci ha insegnato un alto grado di carità, di santità e quindi di vittoria sulla violenza ma non dobbiamo fare l’errore di giudicare l’ Antico Testamento sulla base della Rivelazione cristiana senza considerare la pedagogia divina che la Bibbia mette in evidenza. Il Vangelo è parte della Bibbia e nella Bibbia Dio ha portato l’uomo al Vangelo attraverso una lunga pedagogia iniziata con l’Antico Testamento . Senza l’Antico Testamento non ci sarebbe il Vangelo.
Attraverso la venuta di Cristo, Dio ha realizzato un colossale perfezionamento dell’insegnamento religioso e della teologia morale, la venuta di Cristo ha riportato l’uomo alla condizione di perfezione iniziale dell’umanità, in certo modo, ed ha riaperto le porte del paradiso per l’uomo. Prima della venuta di Cristo le cose erano radicalmente diverse e Dio parlava, nell’Antico Testamento, ad uomini che non erano stati visitati da Cristo e dava loro insegnamenti santi ma in relazione alla loro situazione, alla loro mentalità, secondo la sapienza divina, che non è la nostra. Dio parlava a uomini immersi nel loro tempo, con la loro cultura e i precetti divini erano appunto adatti per loro, che non avevano ancora ricevuto la visita di Cristo.
Se noi pensiamo a quello che facevano gli altri popoli al tempo dell’ A. Testamento, se pensiamo al modo con cui essi combattevano e trattavano i prigionieri, se pensiamo al modo con cui trattavano i bambini e le donne dei popoli sconfitti, possiamo meglio capire come Dio guidava il suo popolo ad opporsi alla violenza.
A noi quello che leggiamo nell’Antico Testamento può apparire barbaro, violento ma quei tempi non sono i nostri tempi, la mentalità era radicalmente differente e Cristo non era venuto sicché le parole di Dio erano adatte per gli uomini di quei tempi.
Se Dio dava quelle parole e non altre era perché quel livello di moralità era possibile realmente per quegli uomini e non era possibile qualcosa di più, il peccato gravava in modo particolarmente forte sull’umanità.
Il peccato aveva abbrutito l’uomo fin dalle origini e appunto Dio nella sua giustizia e misericordia parlava a uomini su cui gravava pesantemente il peccato e che erano capaci, pur con l’ aiuto divino, di quello che appunto Dio comandava loro.
Dio è sempre stato infinitamente giusto e santo, se ha detto certe cose che leggiamo nella Bibbia, le ha dette dall’alto della sua perfezione e sapienza che noi non possiamo raggiungere!
Leggere l’A. Testamento non deve servire a giudicare negativamente i comandi divini dall’alto della nostra morale attuale; giudicare negativamente le opere divine è da stolti, ovviamente!
Se siamo arrivati alla morale che oggi accettiamo dobbiamo ringraziare il Dio che nella sua sapienza da migliaia di anni porta avanti con sapiente pedagogia un meraviglioso dialogo, attestato da tutta la Bibbia, con l’uomo! D’ altra parte dobbiamo renderci conto che anche dopo Cristo la morale ha uno sviluppo e un perfezionamento; non siamo arrivati alla perfezione assoluta della morale.
Dobbiamo peraltro renderci conto che anche oggi, dopo la venuta di Cristo, si compiono molti gravissimi peccati e atti di violenza, si pensi solo ai 50 milioni di aborti che ogni anno vengono effettuati … questo fa capire quanto l’uomo sia abbrutito dal peccato e quanta malvagità possa attuare l’uomo anche dopo la venuta di Cristo, figuriamoci quello che poteva fare e faceva l’uomo prima di Cristo!
Quello che ho appena detto risolve alla radice i problemi che possono sorgere allorché leggiamo l’Antico Testamento.
Sottolineo per i nostri scopi che la venuta del Signore e la vittoria sul peccato e sulla violenza che Egli ha portato non implica la cancellazione della pena di morte.
La pena di morte giustamente irrogata secondo il volere divino non era e non è violenza ma attuazione della vera giustizia.
Cristo non ha condannato la pena di morte, la pena di morte è stata ritenuta perfettamente lecita durante 2000 anni di cristianesimo, essa non è un atto violento ma giusto. Violento è il crimine compiuto, non l’atto giusto con cui tale crimine viene punito. Grandi santi, grandi taumaturghi , grandi Dottori della Chiesa, che avevano lo Spirito Santo, hanno ritenuto chiaramente lecita in alcuni casi la pena di morte; la pena di morte irrogata giustamente secondo la volontà di Dio non è atto di violenza, allorché si parla di violenza nella Bibbia occorre escludere i passi in cui viene attuata giustamente la pena di morte.
Eusebi appunto parlando della violenza nella Bibbia commenta le affermazioni dell’Antico Testamento (tra cui vi sono quelle circa la liceità della pena di morte) dicendo che in esso “ atteggiamenti di violenza sono attribuiti a Dio” (Eusebi p.27) mentre “Dio è assolutamente non violento” (Eusebi p.28) e aggiungendo che Gesù “di quella visione tradizionale subisce le conseguenze” (Eusebi p.29). Lo scopo di Eusebi è ovviamente quello di:
1) delegittimare la dimensione retributiva insita nella Bibbia e quindi nella Tradizione e quindi delegittimare anche ciò che l’ Antico Testamento dice riguardo alla pena di morte;
2) affermare, praticamente, che il Nuovo Testamento supera tale dimensione retributiva e quindi che ha dichiarato illecita tale pena; abbiamo visto che per Eusebi la pena di morte non appartiene alla Tradizione apostolica.
Il piano di Eusebi però, come detto, crolla miseramente: la dimensione retributiva insita chiaramente nella Bibbia è chiaramente ribadita dalla Tradizione, come visto sopra, e il Nuovo Testamento la conferma fondamentalmente. Il Nuovo Testamento ammette chiaramente, in questa linea, la liceità della pena di morte, per questo, come vedemmo ampiamente, sulla base della Rivelazione e in particolare del Nuovo Testamento, Papi e Vescovi , grandi santi, grandi taumaturghi , grandi Dottori della Chiesa, uomini pieni di Spirito Santo, hanno ritenuto chiaramente lecita in alcuni casi la pena di morte.
Dio ci illumini sempre meglio.
e,2,4) Eusebi vuole togliere la dimensione retributiva insita nella Passione di Cristo e nella nostra vita.
In risposta alle affermazioni di Eusebi che vuole cancellare la dimensione retributiva della Passione di Cristo (pp. 34 ss) dobbiamo precisare, come dice anche s. Tommaso (cfr. Compendium theologiae , lib. 1 cap. 227 co.), che: Cristo ci ha salvato con la carità crocifissa, ha riparato i nostri peccati con la carità che si è gravata della sofferenza e della morte per i nostri peccati, egli è il Redentore, colui che ci ha riscattato e liberato dalla schiavitù del peccato.
Questa Redenzione fu annunciata già dopo il peccato originale[404]
Questa stessa Redenzione fu ugualmente annunciata attraverso i profeti (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 64)
La redenzione universale come riscatto che libera gli uomini dalla schiavitù del peccato (cfr. Is 53,11-12; Gv 8,34-36) attraverso l’uccisione dell’ Agnello di Dio, il Servo Giusto (cfr. Is 53,11; At 3,14) era stata anticipatamente annunziata nelle Scritture come disegno divino di salvezza; Gesù perciò ha presentato il senso della sua vita e della sua morte in questa linea (cfr. Mt 20,28), la morte redentrice di Gesù compie le profezie (cfr. Is 53,7-8; At 8,32-35) (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 601) Gesù disse anche altre cose molto significative in questa linea (cfr. Luca 9,22ss)
Il sesto Sinodo di Toledo affermò: siamo stati purificati dalla morte e dal Sangue di Cristo.[405]
Lo stesso Sinodo di Toledo e poi il Concilio di Trento dissero altre cose molto significative in questa linea [406]
Tutto questo significa essenzialmente che Cristo ci ha redento attraverso la sua Croce.
Leo XIII, dopo aver ricordato il sacrificio che Cristo ha offerto inchiodato sulla Croce afferma: “Quella è stata una espiazione degli uomini del tutto perfetta e assoluta: e non è affatto un’altra, ma è la stessa, quella contenuta nel sacrifìcio eucaristico. … l’efficacia di questo sacrificio, sia per ottenere sia per espiare, deriva totalmente dalla morte di Cristo …”[407]
Cristo è Redentore che con la sua Passione ha espiato i nostri peccati e ci ha quindi redento, cioè liberato, come detto più sopra … l’Eucaristia fa diventare perpetuo il Sacrificio della Croce e la sua efficacia espiatrice.
A questo riguardo Pio XII affermò che il terzo fine dell’ Eucaristia è : “ … è l’espiazione e la propiziazione. Certamente nessuno al di fuori di Cristo poteva dare a Dio Onnipotente adeguata soddisfazione per le colpe del genere umano; Egli, quindi, volle immolarsi in Croce «propiziazione per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo». Sugli altari si offre egualmente ogni giorno per la nostra redenzione, affinché, liberati dalla eterna dannazione, siamo accolti nel gregge degli eletti.”[408] Pio XII affermò che il Salvatore si fece “ … vittima di espiazione per i peccati degli uomini.”[409]
Lo stesso autore nella stessa enciclica citò il seguente passo di s. Tommaso : “ Giova osservare che la liberazione dell’uomo, mediante la passione di Cristo, fu conveniente sia alla sua misericordia che alla sua giustizia. Alla giustizia anzitutto, perché con la sua passione Cristo soddisfece per la colpa del genere umano: e quindi per la giustizia di Cristo l’uomo fu liberato. Alla misericordia, poi, poiché, non essendo l’uomo in grado di soddisfare per il peccato inquinante tutta l’umana natura, Dio gli donò un riparatore nella persona del Figlio suo. Ora questo fu da parte di Dio un gesto di più generosa misericordia, che se Egli avesse perdonato i peccati senza esigere alcuna soddisfazione. Perciò sta scritto: “ Dio, ricco di misericordia, per il grande amore che ci portava pur essendo noi morti per le nostre colpe, ci richiamò a vita in Cristo” »(III, q. 46, a. 1 ad 3)
La Commissione Teologica Internazionale scrisse cose molto significative in questa linea[410]
Disse ancora s. Tommaso: “ … si deve dire che la passione di Cristo è il nostro riscatto o redenzione.”[411]
Cristo meritò, afferma s. Tommaso, in modo particolare con la sua Passione la salvezza per tutte le membra del suo Corpo mistico. (III, q. 48, a. 1) S. Tommaso scrisse che Cristo doveva patire in Croce anche per soddisfare per il peccato dei primi uomini e che i dolori di Cristo furono massimi tra i dolori di questa vita perché erano proporzionati al frutto che dovevano produrre (cfr. III q. 46 a. 3) Cristo, per riparare per i peccati di tutti gli uomini, assunse la tristezza più grande, senza eccedere i giusti limiti (cfr. III q. 46 a. 6).
Nello stesso a. 6 , nelle risposte da 4 a 6 s. Tommaso spiega che Cristo soffriva anche per i peccati di tutti e il suo dolore superò quello di qualsiasi penitente perché derivava da una maggiore carità e sapienza, sia perché soffriva simultaneamente per i peccati di tutti … inoltre la vita corporale di Cristo era preziosissima ma Cristo la offrì per la salvezza del mondo,[412] Cristo offrì anche, ovviamente, la sofferenza della perdita della sua vita corporale per la salvezza delle anime e offrì anche il dolore per l’ingiustizia subita.[413]
Cristo volle liberare l’uomo non solo con la sua potestà ma anche con la giustizia e quindi non solo fu attento a quanto grande fosse la forza che, dalla divinità a Lui unita, aveva il suo dolore ma fu attento anche a quanto grande fosse il suo dolore secondo la sua natura umana perché fosse sufficiente per realizzare una così grande riparazione.[414] … la strada di Cristo non fu solo “amore” … fu carità crocifissa, fu carità espiatrice e riparatrice e Cristo ci chiama a percorrere quella stessa strada … di carità crocifissa, espiatrice e riparatrice (cfr. Luca 9, 23ss).
Invito tutti, in questa linea, a leggere le illuminanti affermazioni di Pio IX sulla riparazione raccolte nella “Miserentissimus Redemptor”[415] In essa possiamo anche leggere: “… per quella mirabile disposizione della divina Sapienza secondo la quale nel nostro corpo si deve compiere quello che manca dei patimenti di Cristo a favore del corpo di Lui, che è la Chiesa [Cf. Coloss., I, 24.], noi possiamo, anzi dobbiamo aggiungere alle lodi e soddisfazioni « che Cristo in nome dei peccatori tributò a Dio », anche le nostre lodi e soddisfazioni. Ma conviene sempre ricordare che tutto il valore espiatorio dipende unicamente dal cruento sacrificio di Cristo, il quale si rinnova, senza interruzione, sui nostri altari in modo incruento poiché « una stessa è la Vittima, uno medesimo è ora l’oblatore mediante il ministero dei sacerdoti, quello stesso che si offrì sulla croce, mutata solamente la maniera dell’oblazione » [Conc. Trid., sess. XXII, c. 2.]. Per tale motivo con questo augusto sacrificio Eucaristico si deve congiungere l’immolazione dei ministri e degli altri fedeli, affinché anche essi si offrano quali « vittime vive, sante, gradevoli a Dio » [Rom., XII, 1.]”
Pio XII disse cose molto efficaci sulla vittimalità di Cristo e la nostra in Lui :“ … Gesù è vittima, ma per noi, sostituendosi all’uomo peccatore; ora il detto dell’Apostolo: «abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» esige da tutti i cristiani di … il volontario e spontaneo esercizio della penitenza, il dolore e l’espiazione dei propri peccati. Esige, in una parola, la nostra mistica morte in Croce con Cristo, in modo da poter dire con San Paolo: «sono confitto con Cristo in Croce» … ”.[416]
Tutto questo significa essenzialmente che, nella luce della santissima giustizia divina retributiva Cristo ci ha liberato dal peccato e dal castigo con la sua Croce, Cristo ci ha redento dal peccato e dal castigo con la sua Croce e quindi con le sue sofferenze unite alla sua carità, ma significa anche che noi dobbiamo partecipare a tale mistero della Croce, come Gesù stesso ha detto (cfr. Luca 9,22ss).
Nella “Miserentissimus Redemptor”[417] nell’atto di riparazione che conclude questa enciclica è scritto tra l’altro: “E mentre intendiamo espiare tutto il cumulo di sì deplorevoli delitti, ci proponiamo di ripararli ciascuno in particolare … ”
Cristo non parla solo di seguirlo nell’ “amore” … ma chiama a seguirlo sulla via della Croce … che non è solo “amore”, è carità e quindi include anche dolori, sofferenze, umiliazioni, morte … riparazione dei peccati, espiazione! Dobbiamo seguire Cristo nella giusta riparazione dei peccati che implica anche sofferenza per essi … infatti, tra l’altro, l’atto di dolore per i peccati implica dolore per i peccati …
S. Paolo VI affermò cose molto significative in questa linea[418]
Come si vede in questi testi, lo stesso Concilio Vaticano II invita alla penitenza … e quindi all’espiazione e riparazione dei peccati.
Come disse la Commissione Teologica “La penitenza cristiana è una partecipazione alla vita, alla sofferenza e alla morte di Gesù Cristo. E ciò si attua per fidem et caritatem et per fidei sacramenta [S. Thomas Aq., Summa Theol. III, 49, 3.6.]. La penitenza cristiana … deve determinare l’intera vita del cristiano (cf. Rm 6, 3 ss.).[419]
La nostra partecipazione alla Passione si attua attraverso la fede e attraverso i Sacramenti della fede (III, 49, aa. 3 e 5) In particolare l’Eucaristia ci trasforma in Cristo perché appunto possiamo partecipare alla Passione di Lui.
Aggiunge s. Tommaso : “Per conseguire gli effetti della passione di Cristo, è necessario, come abbiamo notato sopra, che ci conformiamo o configuriamo a lui. …. coloro che peccano dopo il battesimo, devono conformarsi al Cristo sofferente, mediante le penalità e le sofferenze che essi devono sopportare.”[420]
La teologia vera non è scoperta straordinaria di strade “facili” di un “amore” che salva senza la dura Croce, se ci fossero tali strade Cristo ce le avrebbe insegnate 2000 anni fa e i santi, guidati dallo Spirito Santo, le avrebbero già percorse… la vera teologia è accoglienza della vera e unica strada per cui ci salviamo cioè della via “stretta” della vera carità che passa per la Croce e che “pochi” trovano anche perché è via di santa mortificazione spirituale e corporale, è via di penitenza e di morte e di vita, è via che i nostri nemici spirituali (carne, diavolo e mondo) non vogliono farci percorrere e fanno di tutto perché non la seguiamo…
Anche i grandi Dottori e i grandi mistici hanno detto chiaramente quello che sto affermando in questo paragrafo[421], e ovviamente essi sono praticamente assenti, con tali testi, dalla trattazione di Eusebi … Eusebi parla di “amore” ma l’amore salvifico è la carità e la carità vera porta a voler riparare i peccati prendendo con Cristo la Croce. La vera carità non fa dire frasi del tipo: “ha già sofferto tutto Cristo non c’è bisogno che io ripari con Lui” … la vera carità è quella di s. Paolo che dice: “Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa.”(Col. 2,24s)
I grandi santi, grandi mistici, come s. Caterina da Siena s. Paolo della Croce, s. Giovanni della Croce hanno vissuto a fondo le parole di Cristo per cui: “ «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. ”(Luca 9).
Cristo ha salvato e redento il mondo attraverso la sua carità e la sua Croce e chi si vuole salvare e vuole aiutare gli altri a salvarsi deve immergersi nella carità vera e quindi nella Croce di Cristo. I peccati si espiano con la carità vera, come Cristo stesso ha indicato . Chi vuole seguire Lui deve farlo sulla via della Croce, che è via della carità vera e quindi dolorosa, umiliata, e spesso perseguitata; carità vera che ripara i peccati e converte i peccatori. La famosa frase: sanguis martyrum semen christianorum (il sangue dei martiri è seme di cristiani) vuole farci capire appunto che la carità sofferente dei martiri strappa le anime al peccato, all’incredulità e le aiuta a convertirsi al cristianesimo. È la vera carità che aiuta i peccatori a convertirsi a Cristo. I veri e più grandi teologi non sono quelli che insegnano a percorrere strade diverse dalla Croce ma sono coloro che, in Cristo, hanno camminato e hanno insegnato a camminare nel modo migliore sulla via della Croce!
Cristo, quindi, non rifiuta la visione tradizionale cattolica del sacrificio, ma la conferma e i grandi santi la confermano con Lui .
L’Eucaristia che è lo stesso Sacrificio della Croce vuole trasformarci in Cristo, (cfr. s. Leone Magno, «Discorsi», PL 54, 355-357 , “Discorso 12 sulla Passione”, 3, 6, 7) vuole renderci altri Cristo (“christianus alter Chritus”) perché nella carità vera, sulla via della Croce, ripariamo con Lui e in Lui i peccati del mondo e giungiamo al Cielo. L’ Eucaristia è Sacrificio, trasforma in Cristo il pane e il vino ma vuole trasformare anche anche noi in Cristo perché possiamo seguirlo sulla via della Croce nella carità obbediente, sofferente e riparante, sicché possiamo dire con s. Paolo: non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me(Gal. 2).
Nel Messale Romano leggiamo “Ti sia gradita, o Padre, la nostra offerta in questa notte di luce, e per questo santo scambio di doni trasformaci in Cristo tuo Figlio, che ha innalzato l’uomo accanto a te nella gloria. Per Cristo nostro Signore.” (Dalla Liturgia della Notte di Natale)
Nello stesso Messale leggiamo anche “Concedi a noi, Padre onnipotente, che, inebriati e nutriti da questi sacramenti, veniamo trasformati in Cristo che abbiamo ricevuto come cibo e bevanda di vita.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.”(Dalla Liturgia della XXVII domenica del Tempo Ordinario)
Lo Spirito Santo che ha guidato Cristo sulla via della Croce vuole guidare anche noi per la stessa strada, l’unica che conduce alla beatitudine del Cielo. Le vite di grandi santi italiani come s. Francesco di Assisi o s. Caterina da Siena o s. Veronica Giuliani dovrebbero fare riflettere un pensatore italiano che, come Eusebi, vuole parlare di teologia, di Sacrificio della Croce e di Giustizia divina. S. Francesco ha realizzato le grandi cose che vediamo nella sua vita ed ha strappato tante anime al peccato seguendo Cristo sulla via della vera carità, che ripara, che soffre che si immola e le stigmate sue come quelle di s. Caterina, e quelle di Padre Pio ci dicono molto significativamente cosa vuol seguire Cristo e prendere la Croce con Cristo. S. Paolo sapeva bene tutto questo quando diceva: “Sono stato crocifisso con Cristo. Non son più io che vivo: è Cristo che vive in me.”(Gal. 2). Il vero cristiano è crocifisso con il Crocifisso, la carità ci fa seguire la via della Croce; più è grande la carità più ci immerge nella Croce di Cristo, nella sua santità, nella sua riparazione dei peccati e quindi anche nei suoi patimenti, per la salvezza del mondo.
Nella preghiera Colletta per la solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù leggiamo: “O Dio, fonte di ogni bene, che nel Cuore del tuo Figlio ci hai aperto i tesori infiniti del tuo amore, fa’ che rendendogli l’omaggio della nostra fede adempiamo anche al dovere di una giusta riparazione.
Per il nostro Signore Gesù Cristo …” La vita cristiana implica la giusta riparazione, in Cristo per i peccati del mondo. L’angelo a Fatima disse significativamente ai piccoli bambini più volte di riparare per i peccati del mondo:[422] … e l’angelo era pieno di carità per i bambini e per il mondo …
La Madonna a Fatima disse ai tre piccoli veggenti: “– Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione per i peccati con cui Egli è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori? -Sì, vogliamo. -Allora, dovrete soffrire molto, ma la grazia di Dio sarà il vostro conforto.”[423] Ulteriormente, sempre a Fatima, i piccoli veggenti affermarono: “Capimmo che era il Cuore Immacolato di Maria, oltraggiato dai peccati dell’umanità, che voleva riparazione.»[424]
Le vere affermazioni dei santi , dei Dottori e soprattutto della Bibbia azzerano le affermazioni teologiche che negano alla sofferenza vissuta nella carità la sua dimensione salvifica riparatrice dei peccati. La carità o è quella di Cristo, carità riparatrice dei peccati del mondo sulla via della Croce, o non è carità ed è solo un “amore” che non salva! Ci sono tanti tipi di amore ma l’amore che viene da Dio e che salva è solo la vera carità che si vive sulla via della Croce … e solo questo amore conduce al Cielo! Chi ama veramente secondo la volontà di Dio si fa con Cristo strumento di salvezza del mondo prendendo con lui la Croce in tutte le sue dolorose e angustianti dimensioni. Gesù non ci ha salvato con un “amore intelligente” ma con la carità vera “super intelligente” che attua la concreta , dura, terribile, obbediente, sofferta, sanguinosa riparazione dei peccati …
S. Tommaso appunto afferma che Cristo ci ha salvato con la vera carità che lo ha portato alla Croce a riparare per i peccati del mondo, come visto più sopra (cfr. III q. 46 aa.4-6); per s. Tommaso, inoltre, Cristo con la sua Passione ci ha donato un esempio di virtù che dobbiamo seguire (III q. 46 a.3 in c. e a.4 in c.). S. Caterina da Siena e altri santi nonché s. Alfonso ci insegnano che tutta la vita di Cristo fu Croce e martirio, Cristo visse quindi 33 anni di carità nella sofferenza , negli stenti, nelle persecuzioni, lo fece evidentemente per riparare tutti i peccati della storia. S. Alfonso afferma: “Gesù per nostro amore volle fin dal principio di sua vita patir le pene della sua Passione.”[425] Il ministero di Cristo è iniziato, significativamente, con 40 giorni di assoluto digiuno nel deserto. Figli di Dio, cioè salvati, sono coloro che si fanno guidare dallo Spirito Santo, che appunto ci guida sulla via di Cristo , la via della Croce … Non ci salviamo con le nostre idee o con quelle di certi “teologi” ma con la reale carità, sulla via della Croce, come insegna la Bibbia e la sana dottrina. Per salire al Cielo non c’è altra strada che la Croce , dice il Catechismo, al n. 618, più precisamente esso afferma che Cristo : “… chiama i suoi discepoli a prendere la loro croce e a seguirlo … Infatti egli vuole associare al suo sacrificio redentore quelli stessi che ne sono i primi beneficiari (cf. Mc 10,39; Gv 21,18-19; Col 1,24). … “Al di fuori della croce non vi è altra scala per salire al cielo” (santa Rosa da Lima; cf. P. Hansen, Vita mirabilis, Louvain 1668)” Cristo ci ha lasciato un esempio di carità vera cioè crocifissa .. riparatrice … e ci chiama a seguirlo per questa strada, non per altra strada.
S. Paolo afferma, in questa linea, che è una grazia di Dio, un dono prezioso di Dio, poter soffrire per Cristo : “ … a voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo; ma anche di soffrire per lui” (Fil. 1,29); Gesù infatti ha detto: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.”(Mt. 5,11s) … beati coloro che soffrono per Cristo, grande è la loro ricompensa nei cieli! La sofferenza vissuta nella carità è preziosa davanti a Dio e merita uno speciale premio.
Dio ci illumini sempre meglio.
e,2,5) Eusebi vuole cancellare la dimensione retributiva insita nella realtà dell’inferno.
Ovviamente per Eusebi l’inferno non è retribuzione divina per i peccati compiuti (pp. 47ss). Il dogma dell’inferno[426], però, è legato a quello di Cristo Giudice che premia e condanna ; come visto Cristo è Bontà ma anche Giustizia, è il Giudice … e in tale giustizia vera, e quindi non solo salvifica ma anche retributiva, Cristo appunto premia e castiga …
Il tentativo di Eusebi naufraga miseramente dinanzi alla dottrina cattolica, dinanzi alle affermazioni dei Padri, dei Dottori e del Magistero che affermano chiaramente che Dio è giudice, che Dio premia e castiga già quaggiù e poi dopo la morte.
Ovviamente tra le pene, che Dio commina, vi è la pena eterna dell’inferno.
Papa Pelagio I scrisse nella professione di fede inviata ad un re qualcosa di molto significativo a riguardo[427] I giusti , quindi, riceveranno da Cristo Giudice premi per le loro azioni, i malvagi riceveranno pene eterne. Ciascuno riceverà nel giudizio sulla base di ciò che avrà compiuto , coloro che hanno compiuto il male riceveranno la dannazione con le pene eterne.
Scrisse il sesto Sinodo di Toledo che Cristo darà a ciascuno secondo le sue opere , ai giusti i premi, agli empi le pene eterne[428]
Nel sedicesimo Sinodo di Toledo fu dichiarato praticamente lo stesso[429]
Adriano I affermò: Dio ha preparato nella sua immutabilità le opere della giustizia e della misericordia e per i malvagi ha preparato i giusti ed eterni supplizi.[430]
Innocenzo III affermò: crediamo e affermiamo fermamente il giudizio futuro che si compirà per l’opera di Cristo che appunto darà pene o premi, eterni, a ciascuno in base a ciò che ciascuno avrà fatto nella carne. [431]
Benedetto XII affermò dogmaticamente: i giusti riceveranno premi eterni per le loro azioni, i malvagi riceveranno le pene infernali. [432]
Nel Catechismo leggiamo al n. 1034: “ Gesù parla ripetutamente della « geenna », del « fuoco inestinguibile »,(Cf Mt 5,22.29; 13,42.50; Mc 9,43-48.) … Gesù annunzia … ed egli pronunzierà la condanna: « Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno! » (Mt 25,41).”
Inoltre il Catechismo della Chiesa Cattolica ribadisce la sana dottrina sull’inferno ai numeri 1033ss e anzitutto spiega che la causa della nostra dannazione è il nostro peccato e non la “malvagità” di Dio. La dannazione è la pena decretata da Dio, dall’eternità, per coloro che muoiono in peccato grave.(Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1033)
Quindi la Chiesa afferma chiaramente l’esistenza dell’inferno: “ La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità. …” (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1035)
Molti sono i testi della Tradizione che affermano chiaramente che chi muore in peccato grave si danna eternamente.[433]
Ovviamente, nella visione di Eusebi l’inferno tende a sfumare in una specie di contenitore immaginario vuoto, infatti Eusebi cita testi che vanno in questa linea (Eusebi p. 47 e p. 50 nota 88) mentre non c’è posto nello scritto di Eusebi per le affermazioni della Madonna a Fatima secondo cui molti si dannano: ” Pregate, pregate molto; e fate sacrifici per i peccatori, perché molte anime vanno all’inferno, perché non c’è chi si sacrifichi e interceda per loro.”(Apparizione del 19 agosto 1917) Non c’è posto per le affermazioni della veggente suor Lucia che in un colloquio con padre R. Lombardi affermò che molti si dannano (Osservatore Romano del 7-2-1954 (edizione settimanale) Né c’è posto nello scritto di Eusebi per le affermazioni di tanti santi e di mistici nonché di Papi che hanno detto che molti si dannano sulla base delle affermazioni del Vangelo.
S. Agostino, affermò: “Molti sono chiamati pochi eletti” dunque pochi non vengono cacciati. …. Molti sono infatti i buoni, ma in confronto dei cattivi i buoni sono pochi.”[434]
Ancora s. Agostino disse qualcosa di significativo a riguardo [435]
S. Leone Magno disse: “ … mentre la larghezza della strada che conduce alla morte è frequentata da molte folle (di persone n.d.t.), dei pochi che entrano nelle vie della salvezza sono rare le orme . ” [436]
S. Gregorio Magno, Papa e Dottore della Chiesa affermò qualcosa di simile (“XL Homiliarum in Evangelia libri duo” , l. 1, homilia 19, cap. 5, PL 76, 1157)
S. Tommaso in molti passi dice cose simili , nella Summa affermò, in particolare : “Cum igitur beatitudo aeterna, in visione Dei consistens, excedat communem statum naturae, et praecipue secundum quod est gratia destituta per corruptionem originalis peccati, pauciores sunt qui salvantur.” (I q.23 a.7 ad 3m)
Molte altre affermazioni di Dottori e di Padri si possono trovare in questa linea.
e,3) Conclusione sulle affermazioni di Eusebi.
Le affermazioni di Eusebi sono evidentemente devianti dalla sana dottrina circa la giustizia retributiva divina e la sua azione nella storia.
Eusebi si chiede se perde qualcosa l’annuncio cristiano se le terminologie distributive vengono considerate solo come linguaggio espressivo e non come contenuto essenziale[437] la risposta, alla luce di quanto abbiamo visto finora è un forte: sì! La dimensione retributiva è radicalmente insita nella sana dottrina; solo pervertendo la dottrina cattolica si può escludere da essa tale dimensione.
La linea teologica seguita da Eusebi riguardo alla liceità pena di morte e ai suoi fondamenti teologici e biblici non regge di fronte alla Verità che attraverso la Chiesa (con le sue Scritture,con i suoi Padri, con i suoi Dottori e con il suo Magistero) Dio ci ha rivelato.
Anche l’ opposizione di Eusebi alla liceità della pena di morte, come quella degli autori visti in precedenza, mostra che, normalmente, coloro che attaccano la verità della liceità della pena di morte lo fanno non partendo dalla Bibbia e dalla Tradizione conosciute in profondità ma da altri dati o da dati imprecisi.
Dio attraverso la sua Legge afferma chiaramente la liceità della pena di morte e la Bibbia e la Tradizione lo attestano molto chiaramente.
Dio ci illumini sempre meglio.
f) Riflessioni sulle affermazioni di R. Fastiggi circa la pena di morte.
Dio ci illumini sempre meglio.
Il prof. Fastigi ha svolto una interessante trattazione sulla pena di morte nella dottrina cattolica in vari articoli; anzitutto c’è un articolo del 2004 intitolato “Capital Punishment, the Magisterium and Religious Assent,” Josephinum Journal of Theology Vol. 12, No. 2 (Summer Fall, 2005) p.192-213; io seguirò questo articolo ma in quanto presente online [438]; nel 2017 troviamo un altro articolo di questo autore[439] ; il 18 febbraio 2019 abbiamo un altro articolo dello stesso autore che tocca il nostro tema[440]
Per rispondere al prof. Fastiggi partiamo da alcuni dati precisi.
f,1) Le affermazioni del prof. Fastiggi sulla pena di morte nella Bibbia sono infondate.
Il prof. Fastiggi afferma sostanzialmente: preso nella sua interezza, il Nuovo Testamento fornisce principi ed esempi che argomentano contro l’applicazione della pena capitale; egli rimanda al testo di Christopher D. Marshall, “Beyond Retribution: A New Testament Vision for Justice, Crime, and Punishment” [Eerdmans, 2001], p. 241 . L’esempio più notevole, aggiunge Fastiggi, ovviamente, è l’intervento di Gesù stesso per prevenire la lapidazione della donna sorpresa in adulterio (Gv 8: 1–11).
Purtroppo per Fastiggi non ci pare che, per un cattolico, siano probanti le affermazioni di Marshall, che nella sua interpretazione mette totalmente da parte il magistero cattolico e i Padri, i Dottori etc. e più generalmente la Tradizione … la Bibbia si interpreta in modo retto facendosi guidare dalla Tradizione … la nostra Tradizione, come mostrato sopra parla da sempre della liceità della pena di morte e la nostra Tradizione conosce bene il Nuovo Testamento ed è stata realizzata dallo Spirito Santo attraverso persone che avevano veramente lo Spirito Santo … come s. Innocenzo I, s. Tommaso, s. Agostino, s. Girolamo, s. Ottato … etc. fino a s. Giovanni Paolo II …
Lo Spirito Santo che ha parlato attraverso la Tradizione è lo stesso Spirito che ha scritto la Bibbia …perciò la Bibbia stessa invita a seguire le sante Tradizioni e più a fondo la Tradizione.
S. Paolo afferma: “Perciò, fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera.”(2Tessalonicesi 2,15)
La Dei Verbum afferma al n. 9: “ … la sacra Scrittura è parola di Dio in quanto consegnata per iscritto per ispirazione dello Spirito divino; quanto alla sacra Tradizione, essa trasmette integralmente la parola di Dio – affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli – ai loro successori, affinché, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano; ne risulta così che la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura e che di conseguenza l’una e l’altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e riverenza [ Cf. Conc. Di Trento, Decr. De canonicis Scripturis: Dz 783 (1501) [Collantes 2.006].)”[441]
Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma riguardo alla Sacra Scrittura e alla S. Tradizione: “ L’una e l’altra rendono presente e fecondo nella Chiesa il mistero di Cristo, il quale ha promesso di rimanere con i suoi « tutti i giorni, fino alla fine del mondo » (Mt 28,20).” (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 80)
Afferma ancora la “Dei Verbum” al n. 10: “ La sacra tradizione e la sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa; nell’adesione ad esso tutto il popolo santo, unito ai suoi Pastori, persevera assiduamente nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle orazioni (cfr. At 2,42 gr.), in modo che, nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa, si stabilisca tra pastori e fedeli una singolare unità di spirito [Cf. Pio XII, Cost. Apost. Munificentissimus Deus, 1° nov. 1950: AAS 42 (1950), p. 756, che riporta le parole di S. Cipriano, Epist. 66, 8: CSEL 3, 2, 733: “La Chiesa è un popolo raccolto intorno al Sacerdote e un gregge unito al suo Pastore”.].
In un importante discorso ai membri della Pontificia Commissione Biblica, Benedetto XVI affermò che tre sono i criteri validi per una interpretazione della Scrittura conforme allo Spirito Santo che è il principale Autore di essa: “ Anzitutto occorre prestare grande attenzione al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura … In secondo luogo occorre leggere la Scrittura nel contesto della tradizione vivente di tutta la Chiesa. … Come terzo criterio è necessario prestare attenzione all’analogia della fede … Per rispettare la coerenza della fede della Chiesa l’esegeta cattolico deve essere attento a percepire la Parola di Dio in questi testi, all’interno della stessa fede della Chiesa. … Inoltre, l’interpretazione delle Sacre Scritture … deve essere sempre confrontata, inserita e autenticata dalla tradizione vivente della Chiesa. Questa norma è decisiva per precisare il corretto e reciproco rapporto tra l’esegesi e il Magistero della Chiesa. … esiste una inscindibile unità tra Sacra Scrittura e Tradizione … : «… Perciò l’una e l’altra devono esser accettate e venerate con pari sentimento di pietà e di riverenza» (Dei Verbum, 9). Come sappiamo, questa parola “pari pietatis affectu ac reverentia” è stata creata da San Basilio … Essa esprime proprio questa inter-penetrazione tra Scrittura e Tradizione. Soltanto il contesto ecclesiale permette alla Sacra Scrittura di essere compresa come autentica Parola di Dio … ”[442]
Soltanto il contesto ecclesiale permette alla Sacra Scrittura di essere compresa come autentica Parola di Dio … lo ricordi il prof. Fastiggi quando cita Marshall …
Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n. 84: “ Il deposito (Cf 1 Tm 6,20; 2 Tm 1,12-14) della fede (« depositum fidei »), contenuto nella sacra Tradizione e nella Sacra Scrittura, è stato affidato dagli Apostoli alla totalità della Chiesa.”
La Tradizione, come è evidente da quanto abbiamo detto più sopra parlando delle affermazioni dei Padri, dei Dottori e dei Papi, è molto chiara nell’affermare, sulla base delle Scritture, la liceità della pena di morte …
E la Tradizione fa tali affermazioni anche perché la Bibbia, rettamente interpretata, è molto chiara, , contrariamente a ciò che dice Marshall, nell’affermare la legittimità della pena di morte; l’A. Testamento, come vedemmo, afferma chiaramente la liceità della pena di morte e la comanda per vari delitti, Giosuè mise a morte Acan reo di una grave disobbedienza durante la guerra, Elia uccise i 400 profeti di Baal etc.; il N. Testamento, accetta tale liceità; lo studioso E. Christian Brugger, pur favorevole all’inammissibilità della pena di morte, afferma giustamente: “The New Testament has little to say directly about the death penalty, but there can be hardly any doubt that the practice was considered legitimate by New Testament authors.”[443] Il Nuovo Testamento ha poco da dire direttamente sulla pena di morte, ma non ci può essere alcun dubbio che la pratica sia stata considerata legittima dagli autori del Nuovo Testamento … e soprattutto dall’ Autore del Nuovo Testamento, che è lo stesso Autore del Vecchio Testamento!
L’immagine che invariabilmente riceviamo quando il Nuovo Testamento racconta gli incontri con le autorità civili in cui è in gioco la morte è quella di una normale pratica giudiziaria, che viene messa in discussione solo quando si pensa che sia esercitata ingiustamente.[444]
Il Card. Dulles afferma :“Nessun passo del Nuovo Testamento disapprova la pena di morte.”[445]
Il Nuovo Testamento non condanna la pena di morte ma piuttosto la dà per scontata e anzi in certi suoi passi la legittima; il Nuovo Testamento quindi accetta pienamente ciò che, fondamentalmente, afferma l’A. T. a riguardo e cioè che pena di morte è pienamente legittima.
Il Card. Journet ha potuto affermare significativamente, in questa linea: “ Si l’Évangile interdit aux États d’appliquer jamais la peine de mort, saint Paul lui-même alors a trahi l’Évangile” [446] la cui traduzione italiana è: “Se il Vangelo vieta agli Stati di applicare la pena di morte, allora S. Paolo stesso ha tradito il Vangelo” … S. Paolo, che conosce bene il Vangelo e Cristo, scrive, in questa linea, con un evidente riferimento alla pena di morte, che l’autorità “… non invano … porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male” (Rm. 13, 4). Nel suo articolo sulla pena di morte H. Lio[447] esamina bene questo testo di s. Paolo (Rm. 13,4) e prima afferma che questo testo non si può spiegare altrimenti se non nel senso che i magistrati possono punire gli uomini con la spada e che questo insigne diritto di vita e di morte i magistrati lo ricevettero e lo esercitano non temerariamente ma affinché con esso puniscano coloro che agiscono per il male , quindi cita di questo passo di s. Paolo il commento del famoso esegeta F. Prat per cui i magistrati non portano in vano la spada, simbolo del diritto di vita e di morte: diritto formidabile che non può venire che dal Maestro della vita ; perciò le loro punizioni sono le punizioni di Dio (cfr. F. Prat , “La Theologie de saint Paul”, II, Beauchesne, Paris 1949 p. 392), il commento di F. Prat è praticamente uguale a quello di altri esegeti cattolici riguardo a questo passo, in questo stesso senso intesero questo passo s. Agostino, s. Innocenzo I, s. Tommaso e praticamente tutti i teologi cattolici[448].
Il famoso esegeta Ricciotti nel suo testo “Le lettere di s. Paolo tradotte e commentate” ed. Coletti, Roma, 1949 , alla pag. 353, spiega che l’affermazione di s. Paolo (Romani 13,4) per cui l’autorità porta “la spada” è una metonimia per il diritto di punire, che cominciava dalla pena di morte, il ius gladii, e scendeva alle pene minori” Ovviamente in s. Paolo parla Dio, parla Cristo e s. Paolo diffonde il Vangelo.
Come visto più sopra il cap. 8 del vangelo di s. Giovanni non offre nessuna indicazione di opposizione di Cristo alla pena di morte in generale, anzi esso mostra piuttosto, specie se visto nel quadro dell’intero Nuovo Testamento, che Cristo è favorevole alla pena di morte quando è irrogata secondo giustizia.
Tutto questo e molto altro che possiamo leggere in grandi esegeti e Dottori e Papi in questa linea ci fa capire che è destituita da ogni fondamento l’affermazione di Fastiggi per cui, preso nella sua interezza, il Nuovo Testamento fornisce principi ed esempi che argomentano contro l’applicazione della pena capitale ed è altresì destituita di fondamento l’affermazione di Papa Francesco per cui: la pena di morte è una pena contraria al Vangelo, perché significa sopprimere una vita che è sempre sacra agli occhi del Creatore e della quale solo Dio è vero giudice e garante.[449]
Dio liberi la sua Chiesa da questi errori!
f,2) Il prof. Fastiggi ha evidentemente una idea imprecisa delle affermazioni dei Padri della Chiesa circa la pena di morte
Il prof. Fastiggi ha evidentemente una idea imprecisa delle affermazioni dei Padri della Chiesa circa la pena di morte[450] perché segue le affermazioni errate di Thomas Williams [451] che Fastiggi cita[452] Gli errori di Fastiggi circa i Padri si evidenziano anche in un altro suo articolo in cui parla della pena di morte.[453]
A differenza di Williams, il testo di Brugger sul tema chiarifica bene la questione , in esso l’autore svolge un approfondito studio patristico (il migliore, per quanto mi consta, su questo tema) anche se non del tutto completo e afferma che i Padri erano sostanzialmente concordi nell’affermare la liceità della pena di morte … scrive Brugger :“For the Fathers of the early Church, the authority of the state to kill malefactors is taken for granted. Opinions differed on whether Christians should hold offices whose responsibilities include the judging and carrying out of capital punishments—pre-Constantinian authors said they should not, those writing after ad 313 said they should—but the principled legitimacy of the punishment itself is never questioned.”[454]
Per i Padri della Chiesa primitiva, l’autorità dello stato di uccidere i malfattori è data per scontata. Le opinioni divergevano sul fatto se i cristiani dovessero ricoprire cariche le cui responsabilità includessero il giudizio e lo svolgimento del capitale punizioni — gli autori pre-costantiniani dicevano che non avrebbero dovuto, quelli che scrivevano dopo l’editto del 313 hanno detto che avrebbero dovuto – ma la legittimità di principio della punizione stesso non viene mai messa in discussione.
Sottolineo che il testo di Brugger presenta un profondo studio patristico … a differenza di altri autori … In questo mio libro ho aggiunto, rispetto al testo di Brugger, qualche ulteriore citazione tratta dai Padri e presentata da qualche altro studioso, p. es. ho aggiunto alcune citazioni tratte dalle opere di s. Ottato di Milevi e dalle opere di s. Girolamo.
Tra i Padri si può riconoscere un consenso praticamente unanime circa la liceità della pena di morte.
Faccio notare che il consenso unanime dei padri su una questione non richiede che tutti dicano precisamente la stessa cosa sul punto … il Cardinale Dulles prosegue infatti dicendo:“Ritornando alla Tradizione cristiana, possiamo notare che i Padri e i Dottori della Chiesa sono pressoché unanimi nel sostenere la pena capitale … .”[455]
Brugger dopo uno studio approfondito dei Padri afferma più precisamente:“Throughout the Patristic period, as we have seen, texts that question the prerogative of civil authority to exercise the death penalty are notably absent. In those accounts that address the question directly we find a virtually unanimous acceptance of such authority. Where reasons are elaborated, this acceptance is invariably grounded in an appeal to Scripture, in particular, Romans 13.”[456] Per tutto il periodo patristico sono assenti i testi che mettono in discussione la prerogativa dell’autorità civile di esercitare la pena di morte. In quei resoconti che affrontano direttamente la questione troviamo un’accettazione pressoché unanime di tale autorità. Laddove vengono elaborate le ragioni, questa accettazione è invariabilmente fondata su un appello alla Scrittura, in particolare a Romani 13.
In un bell’ articolo su questo tema p. A. Bellon, dopo aver precisato chi sono i Santi Padri, riporta le affermazioni di p. Congar secondo cui: “L’unanimis consensus Patrum (l’unanime consenso dei Padri) è una norma sicura. Esprime il senso della Chiesa, e l’unanimità è sempre il contrassegno dello Spirito Santo.
Si tratta di un consenso morale, che non esclude l’esistenza di qualche voce divergente.” [457].
Al momento non pare ci siano voci di Padri che avversano radicalmente la liceità della pena di morte ma seppure si trovasse qualche rara voce veramente divergente dal consenso unanime dei Padri, tale consenso sarebbe ugualmente unanime.
Riguardo al consenso unanime dei Padri occorre ricordare quello che afferma il Concilio Vaticano I “… a nessuno deve essere lecito interpretare tale Scrittura …. contro l’unanime consenso dei Padri.”[458]
f,3) Il prof. Fastiggi si basa su una documentazione largamente insufficiente riguardo alle affermazioni magisteriali in tema di pena di morte
Il prof. Fastiggi infatti afferma: “What then has been the teaching of the Magisterium on capital punishment prior to Evangelium Vitae? Usually, three texts are mentioned: 1) the profession of faith required by Pope Innocent III for the Waldensians seeking reconciliation with the Church in 1210; 2) the recognition of the lawful execution of criminals by the Catechism of the Council of Trent (known as the Roman Catechism) in 1566; and 3) a reference made by Pope Pius XII on the subject in his Sept. 13, 1952 address to the First International Congress on Histopathology of the Nervous System.1 Each of these magisterial statements needs to be considered individually.”[459]
Fastiggi riduce le affermazioni magisteriali sul tema a tre passi … ma le affermazioni sul tema sono moltissime di più … basta andare al paragrafo più sopra che ho dedicato alle affermazioni dei Papi su questo tema … per scoprire che ce ne sono moltissime … e riguardano un argomento gravissimo, come quello della irrogazione della pena di morte ad un uomo! Quindi certamente questi Papi che ne hanno parlato lo hanno fatto con grandissima cognizione di causa, e come vedemmo i Papi a volte hanno chiesto e hanno fatto applicare la pena capitale attraverso il braccio secolare …
Proprio in uno dei testi papali non citati da Fastiggi, nel suo articolo del 2005[460] un testo di Innocenzo I nella lettera ad Exsuperius, dell’anno 405, leggiamo “ Si pone la domanda su coloro che dopo il Battesimo furono pubblici amministratori e usarono i soli strumenti di tortura o anche emisero la sentenza di condanna a morte. Di costoro non leggiamo alcunché come definito dagli antichi. Va ricordato infatti che tali poteri furono concessi da Dio e che, per punire i malvagi, la spada è stata permessa, inoltre è stato indicato che il ministro di Dio punisca in questo modo (Rm 13, 1. 4) Come potevano condannare un comportamento che vedevano essere stato concesso per autorità di Dio? Riguardo a costoro dunque, continuiamo a regolarci come come ci si è regolati finora, perché non paia che sovvertiamo la disciplina o che andiamo contro l’autorità del Signore. Sia riservato ad essi stessi di rendere ragione di tutte le loro azioni.” [461]
Fastiggi cita il testo di Innocenzo I in un altro articolo[462] per sottolineare l’affermazione per cui: “ “Di costoro non leggiamo alcunché come definito dagli antichi.” e quindi per notare che tale affermazione sarebbe significativa perché dimostra che nulla è stato tramandato nel deposito della fede sulle questioni della tortura giudiziaria o della pena capitale. Il giudizio di Innocenzo I, quindi, secondo Fastiggi, non era definitivo.
Fastiggi però non esamina tutto quello che sta intorno a quella affermazioni di s. Innocenzo I … e non esamina a fondo ciò che dice s. Innocenzo …
Il testo di s. Innocenzo I va ben analizzato, esso afferma anzitutto che Innocenzo segue la Tradizione e segue la Scrittura (Rm 13); tali poteri, spiega lo stesso Papa, furono concessi da Dio e, per punire i malvagi, la spada è stata permessa, inoltre è stato indicato che il ministro di Dio punisca in questo modo (Rm 13, 1. 4). Spiega ancora lo stesso Papa che i suoi predecessori non potevano condannare un comportamento che vedevano essere stato concesso per autorità di Dio.
Ovviamente qui il Papa sta dicendo che è divinamente rivelata la liceità della pena di morte infatti afferma: “ … tali poteri furono concessi da Dio e … per punire i malvagi, la spada è stata permessa, inoltre è stato indicato che il ministro di Dio punisca in questo modo (Rm 13, 1. 4)” … Innocenzo I sta dicendo anche che lui segue la Tradizione e la Bibbia: “ … continuiamo a regolarci come come ci si è regolati finora, perché non paia che sovvertiamo la disciplina o che andiamo contro l’autorità del Signore. Sia riservato ad essi stessi di rendere ragione di tutte le loro azioni.”
Evidentemente la disciplina allora vigente era quella e Innocenzo si conformava ad essa che evidentemente era legata alla Bibbia … Ma come interpretare l’affermazione per cui: “Di costoro non leggiamo alcunché come definito dagli antichi.”? Semplicemente ritenendo che era evidente che Dio stesso aveva definito la questione attraverso s. Paolo (Rm 13, 1. 4) “Come potevano condannare un comportamento che vedevano essere stato concesso per autorità di Dio?”
Non c’era bisogno di altro, Dio aveva definito la questione! L’espressione per cui nulla era stato definito va intesa nel senso che per gli antichi era chiarissimo che per s. Paolo e quindi per Dio era lecita la pena di morte sicché non c’era stato bisogno di definire nulla a riguardo ma era stato semplicemente necessario realizzare una disciplina corrispondente alle affermazioni di Dio e di s. Paolo.
S. Innocenzo segue, quindi, la Tradizione e tale disciplina, e segue la Scrittura (Rm 13); tali poteri, precisa lo stesso Papa, furono concessi da Dio e, per punire i malvagi, la spada è stata permessa, inoltre è stato indicato che il ministro di Dio punisca in questo modo (Rm 13, 1. 4). Come potevano condannare, i predecessori di Innocenzo, un comportamento che vedevano essere stato concesso per autorità di Dio in modo così netto e preciso? Perciò stante la liceità della pena di morte s. Innocenzo ribadisce la linea della Tradizione per cui doveva essere lo stesso magistrato a vedere se aveva commesso peccato nell’irrogare la pena capitale o se si era comportato rettamente.
Inoltre Fastiggi riporta nello stesso articolo, subito dopo la citazione del testo di Innocenzo I una citazione dagli scritti di Papa s. Nicola I che, secondo Fastiggi, indicherebbe che questo Papa si appella ai principi cristiani, non a quelli prudenziali, per discutere contro la pena di morte. Anche qui le affermazioni di Fastiggi sono infondate: s. Nicola I, come ho mostrato più sopra e come vedremo anche più avanti, non parla semplicemente contro la pena di morte, Egli accetta tale pena ma semplicemente vuole mettere un freno cristiano alle barbare pene che i bulgari infliggevano ai condannati … infatti , tra l’altro, non condanna la pratica della pena di morte che era comune allora in Europa e nel mondo … Sottolineo che non solo era santo Nicola I … ma anche Innocenzo I … e Fastiggi dovrebbe rilevarlo … ed entrambi questi santi erano favorevoli alla pena di morte …
Fastiggi riporta la sua sintesi di un documento che nel 1976 la Commissione Pontificia Iustitia et Pax pubblicò riguardo alla pena di morte: ““1) The Church has never directly addressed the question of the State’s right to exercise the death penalty; 2) The Church has never condemned its use by the State; 3) The Church has condemned the denial of that right; 4) Recent popes have stressed the rights of the person and the medicinal role of punishment.” [463]. Dalla sintesi di Fastiggi emergono 4 punti per cui: la Chiesa 1) non ha mai affrontato direttamente la questione del diritto dello Stato di esercitare la pena di morte; 2) non ha mai condannato il suo uso da parte dello Stato; 3) ha condannato la negazione di tale diritto; 4) i Papi recenti hanno sottolineato i diritti della persona e il ruolo medicinale della punizione.
Che la Chiesa non abbia mai affrontato direttamente la questione dello Stato del diritto di esercitare la pena di morte del diritto dello Stato di esercitare la pena di morte mi sembra un’affermazione imprecisa: la Bibbia è molto chiara a riguardo e da 2000 anni vediamo che Padri, Papi e Dottori hanno affermato in modo nettissimo, in generale, la liceità della pena di morte ed hanno anche condannato nettamente coloro che negavano tale liceità, i Papi hanno chiesto direttamente l’applicazione di tale pena per i criminali e l’hanno fatta applicare nello Stato Pontificio. Ovviamente ciò si è realizzato non in base a qualche supposizione o ad una dottrina insicura ma sulla base di grande chiarezza dottrinale. Era chiaro per tali Papi che tale pena era legittima sulla base della Bibbia e della Tradizione. I grandi Dottori e i grandi teologi, inoltre, hanno esaminato molto a fondo nelle loro opere questo argomento così importante. Ovviamente in tutto ciò dobbiamo vedere la Chiesa che tratta con ampiezza e profondità e che definisce tale questione attraverso i suoi uomini di spicco. Se si esaminano bene le varie affermazioni e i vari pronunciamenti, si nota come la questione sia stata risolta a livello radicale. Occorre sottolineare che tale questione è di fondamentale importanza perché riguarda la vita di una persona e la definizione di una decisiva applicazione del quinto comandamento quindi se tanti santi, compresi tanti Dottori, e tanti Papi hanno affermato la liceità della pena di morte lo hanno fatto ovviamente dopo essersi accertati della volontà di Dio a riguardo.
Più profondamente possiamo dire che Cristo, Capo della Chiesa, conosce molto bene la sua Legge e in 2000 anni ha guidato molto chiaramente i suoi santi e i suoi Pastori, unanimemente, ad affermare, sulla base della sua Parola, la liceità della pena di morte … la Chiesa ha conosciuto molto a fondo, in Cristo, la questione prima di affermare unanimemente per bocca di tanti uomini santi e sapienti la liceità della pena di morte.
In questa linea la Chiesa, come dice il documento citato da Fastiggi, ha condannato la negazione del diritto dello Stato a usare la pena di morte e non ha mai condannato, in generale, il suo uso da parte dello Stato.
Appunto riprendendo tale documento Fastiggi afferma: “Judging from this report of the Pontifical Commission, the only unchanging aspect of the Catholic tradition might be under #3, which would uphold a theoretical recognition of the state’s right to use the death penalty. This is probably a reference to the 1210 profession of faith prescribed for the Waldensians. Yet even in this regard, the Commission did not specify whether this teaching was definitive or irreformable.” [464]
A giudicare da questo rapporto della Pontificia Commissione, dice Fastiggi, l’unico aspetto immutabile della tradizione cattolica potrebbe essere il numero 3, che sosterrebbe un riconoscimento teorico del diritto dello Stato di usare la pena di morte. Si tratta probabilmente di un riferimento alla professione di fede del 1210 prescritta per i valdesi. Eppure, anche a questo proposito, la Commissione non ha specificato se questo insegnamento fosse definitivo o irreformabile.
Faccio notare che dopo tale documento del 1976 di tale Commissione ci sono stati vari pronunciamenti Papali di alto livello che hanno ribadito la liceità in alcuni casi della pena di morte: il Catechsimo della Chiesa Cattolica al n. 2267 e l’ enciclica Evangelium Vitae al n. 56; inoltre è stato pubblicato nel 2004 il “Compendio della dottrina sociale della Chiesa” proprio dall’organismo della Santa Sede che un tempo era la Commissione Pontificia per la Giustizia e la Pace e in tale Compendio, ai nn. 405 si afferma la liceità della pena di morte in alcuni casi pur considerando ovviamente preferibili i metodi non così cruenti.
Faccio notare inoltre al prof. Fastiggi, riguardo alla professione di fede imposta a Durando[465] che essa era appunto una professione di fede , che tale professione riguardava anche la liceità della pena di morte, che questa professione fu imposta ai valdesi, e che se non la accoglievano non potevano far parte della Chiesa Cattolica … ripeto: se non la accoglievano non potevano far parte della Chiesa Cattolica! Mi sembra che questo dato sia da tenere particolarmente in conto: per far parte della Chiesa occorreva affermare la liceità della pena di morte.
Brugger nel suo testo sulla pena di morte riporta anche una lettera di Innocenzo III a Durando scritta nel luglio 1209 in cui il Pontefice afferma che è un errore affermare che il potere secolare non può, senza peccato mortale, condannare qualcuno a morte ; la citazione di Brugger è la seguente : Letter of Innocent III, “to Durand of Huesca and his brethren,” 5 July 1209; Regesta XV, XII.69; translated in HHM, 226–28 [466]
Tutto questo significa che era ben chiaro allora che tali affermazioni circa la liceità della pena di morte facevano parte della fede della Chiesa … la liceità della pena di morte era ritenuta parte fondamentale della fede cattolica, tanto da venire inclusa, a differenza di altre affermazioni cattoliche, in una professione di fede ! Molto significativamente, per secoli tutti hanno accettato pienamente e nessuno ha mai condannato il fatto che la legittimità della pena di morte fosse stata inclusa in una professione di fede della Chiesa in tali testi di Innocenzo III; ovviamente per tutti era chiaro che tale legittimità fosse parte della sana dottrina cattolica.
Nel 1215, come vedemmo, durante il Concilio Lateranense IV (XII Ecumenico), fu adottato il canone Excommunicamus che ordinò l’abbandono degli eretici, condannati, “ai poteri secolari” (cost. 3) … con conseguente irrogazione della pena capitale (COD p. 233 ss.) questo testo passerà nelle Decretali di Gregorio IX, raccolta ufficiale delle leggi della Chiesa [467]; uguale soluzione sarà adottata dal Concilio di Costanza (XVI ecumenico) contro i wyclifiti (cfr. COD pp. 414ss) e gli hussiti (cfr. COD p. 429, condanna a rogo di Hus) , il Concilio di Costanza appunto nel testo appena citato decreta la condanna al rogo dell’eretico Hus.
Tra le sentenze condannate dal Concilio di Costanza nella dottrina di Wicleff vi è quella per la quale questo eretico mostra di opporsi alla consegna degli eretici al braccio secolare infatti afferma che Dio non può approvare che uno venga giudicato civilmente o condannato civilmente (cfr. COD p. 425, n.44).
Tra le sentenze di Hus condannate dal Concilio di Costanza vi è quella per la quale questo eretico mostra di opporsi alla consegna degli eretici al braccio secolare (cfr. COD p. 430, n.14)
Ricordo che: “Martino V, eletto Papa a Costanza nel 1417, nella bolla Inter cunctas del 22 febbraio 1418, riconobbe l’ecumenicità del Concilio di Costanza e tutto ciò che esso aveva deciso, sia pure con la formula genericamente restrittiva: «in favorem fidei et salutem animarum».”[468]
Papa Martino V, nel 1418, redasse un questionario per esaminare la dottrina professata da persone sospette di wyclifismo e hussismo, in esso si chiedeva esplicitamente alla persona se credesse nella possibilità per i prelati di fare appello al braccio secolare[469] … e quindi di far infliggere la pena di morte. Una tale domanda è estremamente significativa della importanza di tale questione all’interno della dottrina cattolica; se non fosse importante, e molto importante, certamente non sarebbe stata posta a queste persone per riconoscerne la cattolicità … anche qui possiamo vedere come la liceità della pena di morte è ritenuta parte fondamentale della fede cattolica!
Leone X, come vedemmo, nel 1520, tra gli errori di Lutero inserì anche questo: “Che gli eretici siano bruciati è contro la volontà dello Spirito”.[470] Questa affermazione indica chiaramente che per la dottrina cattolica è lecito infliggere la pena di morte in alcuni casi. L’errore per cui Lutero nega che possa essere inflitta la pena di morte per eresia, rientra tra gli errori indicati da Leone X in questo modo:
abbiamo visto che questi medesimi errori o articoli non sono cattolici, e non vanno creduti tali, ma che sono contrari alla dottrina della Chiesa Cattolica ed alla Tradizione, soprattutto alla vera e comune interpretazione delle divine Scritture … infatti dai medesimi errori o da alcuni deriva chiaramente che la stessa Chiesa, che è retta dallo Spirito Santo, erri o e abbia sempre errato. [471]
Papa Leone XIII scrisse nella “Pastoralis Officii”, lettera enciclica del 1881 : “È assodato infatti che entrambe le leggi divine, sia quella che è stata proposta con il lume della ragione, sia quella che è stata promulgata con gli scritti divinamente ispirati, vietano a chiunque, nel modo più assoluto, di uccidere o di ferire un uomo in assenza di un giusto motivo pubblico, a meno che non vi sia costretto dalla necessità di difendere la propria vita.”[472] … in questo ultimo testo si indica chiaramente che è divinamente rivelata la verità per cui è vietato a chiunque, nel modo più assoluto, di uccidere o di ferire un uomo in assenza di un giusto motivo pubblico, a meno che non vi sia costretto dalla necessità di difendere la propria vita. Il che significa che la Legge di Dio, divinamente rivelata, considera lecita in alcuni casi la pena di morte.
Fino al 1870 lo Stato Pontificio ha irrogato la pena di morte tranquillamente, senza alcun dubbio a riguardo. Questa è solo una giustificazione indiretta, ma è ovvio che se tale pratica fosse contraria al Vangelo, non avrebbe avuto diritto di cittadinanza per tanti secoli nello Stato Pontificio che in tale periodo è stato guidato anche da molti santi. Più precisamente: la pena di morte fu prevista e amche applicata praticamente da tutti i Pontefici fino all’abolizione dello Stato Pontificio nel 1870. I Papi hanno fatto applicare la pena capitale nello Stato Pontificio e il Codice penale della Santa Sede ha previsto fino al 1962 la pena di morte per chi tentava di uccidere il Papa.[473]
Ovviamente tutto questo è stato fatto nell’assoluta certezza, tratta dalla Bibbia e dalla Tradizione, che tale pena fosse legittima secondo la Legge di Dio.
Ritorneremo più avanti con più precisione su questo punto dell’ irreformabilità della dottrina che afferma la liceità della pena di morte, allorché esamineremo le affermazioni di Brugger, ma già ora mi pare di dover notare che questa dottrina, è riconosciuta come:
1) chiaramente insegnata dalla Legge naturale e dalla Bibbia;
2) affermata unanimemente dai Padri e da grandissimi Dottori quali s. Tommaso, s. Bonaventura, s. Roberto Bellarmino, s. Alfonso de’ Liguori;
3) proposta come necessaria per la fede cattolica;
4) ribadita continuamente dal Magistero con assoluta sicurezza;
5) attuata con assoluta sicurezza praticamente per 2000 anni sicché sulla base di essa sono state comminate migliaia di condanne a morte.
Tutto questo mi pare che ci porti ad affermare che siamo nel campo dell’infallibilità … e che ciò indichi, come ricaviamo da Leone XIII che “entrambe le leggi divine, sia quella che è stata proposta con il lume della ragione, sia quella che è stata promulgata con gli scritti divinamente ispirati” ritengano lecita la pena di morte.
E. Lio, come vedemmo, scriveva, molto acutamente, che tutti i teologi sogliono portare come argomento per dimostrare la liceità intrinseca della pena di morte il consenso generale di tutte le nazioni nell’irrogare tale pena; chi vuole negare la liceità di tale pena per la legge naturale dovrebbe respingere anche l’argomento tratto dal consenso di tutti i popoli [474]. La liceità della pena di morte è, quindi, una verità proclamata dalla legge naturale e dalla Legge divina positiva … e ribadita dalla Chiesa!
Va notato che ritenere che sia inammissibile la pena di morte significa affermare che tutti gli autori biblici,e quindi la Bibbia, e inoltre i santi, i Papi, i Dottori e quindi lo Spirito Santo che li ha guidati, hanno sbagliato e non si sono resi conto che la pena di morte è un peccato grave ed è intrinsecamente malvagia … il che è semplicemente assurdo! Si noti che la liceità della pena di morte non è una questione di fede nascosta, difficile, dominio solo di pochi , è invece una questione che è davanti a tutti da sempre, che è apertamente insegnata da tutti i popoli, è affermata nell’Antico Testamento, accettata dal Nuovo e accettata semplicemente e pienamente praticamente da tutta la Tradizione, da tutti i Papi, fino a Benedetto XVI, e da tutti i Dottori e praticamente da tutti i Santi Padri.
Non può, perciò, essere riformata tale sentenza per giungere ad affermare l’inammissibilità della pena di morte, e in particolare, non può esserlo sulla base delle inconsistenti motivazioni, presentate dal Papa e dai suoi collaboratori.
g) Riflessioni sulle affermazioni di E. Christian Brugger in “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” sulla pena di morte.
Dio ci illumini sempre meglio.
Esaminiamo ora il lavoro di E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014.
g,1) Riflessioni sulle affermazioni di E. Christian Brugger riguardo alla pena di morte nella S. Scrittura.
La documentazione biblica del testo di Brugger, per alcuni aspetti appare molto precisa ed esaminata con imparzialità.
Brugger esamina a fondo l’A. Testamento e afferma giustamente: “Death is prescribed more than forty times and for over twenty offenses throughout the various law codes of the books of the Pentateuch.1 Serious crimes against religion, the order of the family and community, and human life were all punished with death.” (p. 60) La pena di morte era prescritta nell’ A. Testamento più di 40 volte e per circa 20 reati contro la religione, la comunità, la famiglia e la vita delle persone.
Israele, in particolare dopo l’esilio, era un’entità politica, una nazione teocratica.
La Legge, spiega ancora Brugger, era il codice legale di Israele e Dio era il sovrano politico e legale di Israele, l’obbedienza alla Legge era allo stesso tempo obbedienza a Dio e fedeltà alla comunità di cui ha plasmato l’identità, mentre la sua violazione era un atto di ribellione contro Dio così come di ostilità contro la comunità; la Legge era stata data alla nazione nel suo insieme quindi l’intera comunità era vincolata alle sue ordinanze (cfr. Lev. 20:22) perciò le violazioni coinvolgevano l’intera comunità nella colpa. La pena di morte, continua Brugger, aveva non solo la funzione retributiva di espiare la colpa ma anche quella di eliminare una influenza dannosa per Israele, ulteriormente tale pena aveva il ruolo pedagogico di stimolare all’interno della comunità un timore della disobbedienza (Deut. 13:11, 17:13, 19:20, 21:21) e di ricordare a Israele la fedeltà e il potere di Dio (Deut. 3: 21-22); la pena di morte contro i nemici serviva da avvertimento perché capissero che il Dio d’Israele (Deut. 2:25) doveva essere grandemente temuto.[475]
Brugger, pur favorevole all’inammissibilità della pena di morte, passando quindi ad esaminare il Nuovo Testamento afferma : “The New Testament has little to say directly about the death penalty, but there can be hardly any doubt that the practice was considered legitimate by New Testament authors.”[476] Il Nuovo Testamento ha poco da dire direttamente sulla pena di morte, ma non ci può essere alcun dubbio che la pratica sia stata considerata legittima dagli autori del Nuovo Testamento e soprattutto dall’ Autore del Nuovo Testamento.
L’immagine che invariabilmente riceviamo quando il Nuovo Testamento racconta gli incontri con le autorità civili in cui è in gioco la pena di morte è quella di una normale pratica giudiziaria, che viene messa in discussione solo quando si pensa che sia esercitata ingiustamente.[477] Più a fondo possiamo dire che il Nuovo Testamento conferma l’affermazione fondamentale dell’ A. Testamento per cui la pena di morte è lecita e questo mi pare che spieghi molto bene perché i Padri, come dice Brugger, affermano in modo assolutamente unanime la liceità della pena di morte [478].
g,1,1) Devianti affermazioni di E. Christian Brugger riguardo alla pena di morte nella S. Scrittura.
g,1,1,1) Devianti affermazioni di E. Christian Brugger circa Gen. 9,5-6
La documentazione biblica di Brugger, che, come detto per alcuni aspetti è buona e approfondita, lascia a desiderare per altri aspetti e altre conclusioni … la Scrittura va interpretata nella Tradizione, come insegna il Vaticano II e come Benedetto XVI ha ribadito … e non pare che Brugger abbia realizzato questo tipo di lavoro esegetico.
Brugger parla del testo di Gen. 9,5-6 e afferma che la rigorosa conformità a tale la prescrizione richiederebbe alla giustizia che tutti gli assassini siano uccisi, questo a sua volta
implicherebbe che la concessione della clemenza è sbagliata, poiché se fosse concessa,
la giustizia non sarebbe effettuata, il che non è mai stato insegnato dalla Chiesa. Inoltre, continua Brugger, anche ammettendo che prima di Cristo lo spargimento di sangue umano fosse richiesto come correttivo per alcuni peccati, cosa che Gen. 9,5-6 e Levitico 17,11 affermano direttamente, la morte e la risurrezione di Cristo hanno operato un cambiamento nell’ordine morale che elimina la necessità di spargimento di sangue; la ri-presentazione nell’Eucaristia di quel sacrificio di Cristo senza tempo, offerto sulla Croce, è un augusto promemoria del fatto che il sangue non deve più essere versato per l’espiazione dei peccati.[479]
Il testo biblico in questione afferma: “Del sangue vostro, ossia della vostra vita, io domanderò conto; ne domanderò conto a ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello. Chi sparge il sangue dell’uomo, dall’uomo il suo sangue sarà sparso,
perché a immagine di Dio è stato fatto l’uomo.” (Gen. 9,5-6)
Nelle sue considerazioni su questo testo Brugger lascia da parte la Tradizione e quindi la retta interpretazione della S. Scrittura: secondo la Tradizione, che ritiene lecita la pena di morte, come visto, e che conosce bene questo testo, esso ovviamente indica che la pena di morte è lecita, come dice il testo stesso molto chiaramente, dopo questo testo in molti passi della Bibbia, come vedemmo, Dio comanda positivamente di irrogare la pena di morte appunto perché essa è lecita e pienamente coerente con la volontà di Dio per l’umanità; il testo in questione, rettamente interpretato, non afferma che si debba applicare la pena di morte sempre e per qualsiasi uccisione, infatti già l’A. T. prevede casi in cui non si deve irrogare la pena di morte per l’uccisione di un’altra persona: Elia non viene ucciso per aver massacrato i profeti di Baal (1 Re 18), Finees non viene ucciso per avere trafitto l’uomo ebreo e la donna madianita che stavano unendosi sessualmente (Nm. 25) etc..
Il passo di Gn. 9,6 va interpretato e attuato con la dovuta sapienza e sotto la guida dello Spirito Santo che afferma, come insegna tutta la Bibbia e la Tradizione, che la pena di morte è lecita in alcuni casi.
Il testo di Gn. 9,6 va interpretato nel contesto più immediato del capitolo 9 e nel contesto più ampio dell’intera Scrittura ed è evidentemente un precetto che mira a difendere l’innocente e ad estirpare la malvagità che conduce all’omicidio al di fuori dei casi in cui Dio rende lecita tale uccisione. Il testo di Gn. 9,6 si rivolge più direttamente all’umanità da poco punita con il diluvio a causa appunto della sua malvagità ma mira più generalmente a evitare che in ogni tempo la malvagità si diffonda nuovamente; esso d’altra parte, riconoscendo che l’uomo è immagine di Dio e dunque è prezioso, limita implicitamente la vendetta sicché la pena della morte possa essere decretata per un atto di particolare gravità come l’assassinio e non per atti di minore peso. Tutti gli uomini sono immagine di Dio, dice implicitamente Gen. 9,6, quindi solo per gravi loro reati possono essere puniti con gravi pene e specialmente con la morte. Dinanzi alla tentazione di far valere la regola di Lamech per cui : “ … per una ferita ricevuta io ho ucciso un uomo e per una scalfittura un ragazzo. Se Caino dev’essere vendicato sette volte Lamech lo sarà settantasette volte.” (Gen. 4,23s) e quindi dinanzi alla tentazione che spinge ad irrogare una pena sproporzionata rispetto ad un’azione cattiva, Gen. 9,6 afferma che l’uomo deve farsi guidare da Dio nel fare giustizia e deve applicare pene giuste e proporzionate ai delitti.
L’uomo è infatti immagine di Dio … quindi chi giudica e condanna l’uomo fuori del precetto divino e gli applica pene sproporzionate va contro il comando divino e sarà giustamente condannato da Dio. Come Dio minacciò di punire chi si arrogava il diritto di uccidere Caino, senza che Dio avesse allora fissato tale pena (Gen. 4,15), così Dio minaccia di punire ogni uomo che vuole fare giustizia in modo ingiusto irrogando pene sproporzionate rispetto ai delitti.
Inteso in maniera retta il comando fissato in Gen. 9, 6 ha un valore universale e, come emerge dalla Tradizione, non è stato cancellato dal Sacrificio di Cristo e dalla sua Risurrezione.
Brugger afferma che, anche ammettendo che prima di Cristo lo spargimento di sangue umano fosse richiesto come correttivo per alcuni peccati, cosa che Gen. 9,6 e Levitico 17,11 affermano direttamente, la morte e la risurrezione di Cristo hanno operato un cambiamento nell’ordine morale che elimina la necessità di spargimento di sangue.[480] ma la Tradizione che certamente conosce bene il Sacrificio di Cristo e il passo di Gen. 9,6 non ha mai detto che dopo la risurrezione di Cristo la pena di morte non ha più senso e che perciò il precetto di Gen. 9,6 non si applica più.
La pena di morte con il suo potere deterrente e con l’eliminazione fisica dei criminali serve infatti in particolare per proteggere la comunità dai malvagi; per tale protezione non basta, ovviamente, il Sacrificio di Cristo ma occorre la reale attuazione della pena; in questa linea la Tradizione ha sempre confermato la liceità, in alcuni casi, della pena di morte includendo tale liceità nella più generale liceità della legittima difesa, le affermazioni di vari Padri, di s. Tommaso, di vari Papi e in particolare il n. 56 dell’ enciclica Evangelium Vitae sono molto significative in questo senso.
La pena capitale è dunque pienamente coerente con la volontà di Dio per l’umanità, le S. Scritture, come stiamo vedendo e come vedremo, lo indicano con estrema chiarezza se esaminate sotto la guida dello Spirito Santo che è l’autore della Bibbia ed è anche Colui che ha guidato i Padri , Dottori e Papi che appunto, concordemente, da 2000 anni affermano la legittimità di tale pena.
g,1,1,2) Devianti affermazioni di E. Christian Brugger riguardo a Rom. 13,1-7
Brugger svolge una estesa esegesi di Rom. 13,1-7[481]
Contrariamente a ciò che afferma Brugger, riguardo a Rm 13,4 e in particolare sulla questione del valore del termine μάχαιραν occorre dire, sulla base delle affermazioni di grandi biblisti e sulla base degli stessi dati biblici, che l’affermazione di s. Paolo (Rm 13,4) per cui l’autorità porta “la spada” è, una metonimia per il diritto di punire, che cominciava dalla pena di morte, il ius gladii, e scendeva alle pene minori.[482]
Riguardo a ciò rimando a quanto detto più ampiamente più sopra nel paragrafo in cui parlo degli insegnamenti del Nuovo Testamento in relazione con la liceità della pena di morte; qui molto sinteticamente ribadisco che F. Zorell nel suo “Lexicon Graecum Novi Testamenti”, Pontificio Istituto Biblico, Roma 1990 col. 805 precisa che il termine machaira ha vari significati: coltello maggiore, in particolare spada piccola ma è generalmente usato nel significato di spada e indica per metonimia la morte (Rm 8,35) e indica diritto di punire (Rm 13,4) … e giustamente Ricciotti, come appena visto, mette in evidenza che l’affermazione di s. Paolo (Romani 13,4) per cui l’autorità porta “la spada” è una metonimia per il diritto di punire, che cominciava dalla pena di morte, il ius gladii, e scendeva alle pene minori”. Quindi il testo di Rm 13, 4 afferma chiaramente e fortemente la pena di morte … infatti il termine spada è usato anche in Rm 8,35 e Ricciotti precisa anche là che è una metonimia che indica morte violenta (G. Ricciotti “Le lettere di s. Paolo tradotte e commentate” ed. Coletti, Roma, 1949 p. 323) Nella lettera agli Ebrei 11,37 si usa il termine μάχαιρα machaira per indicare la morte data con la spada. In conclusione l’affermazione di s. Paolo (Romani 13,4) per cui l’autorità porta “la spada” è, come spiegava Ricciotti, una metonimia per il diritto di punire, che cominciava dalla pena di morte, il ius gladii, e scendeva alle pene minori”. Con ciò che dice il Rm. 13,, come affermava già s. Innocenzo I, s. Paolo mette in particolare evidenza il fatto che la legittima autorità ha da Dio il potere di punire, secondo giustizia, i malfattori e anche di infliggere loro la morte.
Inoltre il passo di Pio XII citato da Brugger non vuole escludere, contrariamente a ciò che lo stesso Brugger afferma, che s. Paolo parli di pena capitale, il Pontefice dice infatti: “ … Facevamo anche notare che la Chiesa in teoria e in pratica ha mantenuto la doppia specie di pene (medicinali e vendicative) e che ciò è più conforme a quanto le fonti della rivelazione e la dottrina tradizionale insegnano intorno al potere coercitivo della legittima autorità umana. Non si dà a questa asserzione una risposta sufficiente, osservando che le fonti anzidette contengono soltanto pensieri corrispondenti alle circostanze storiche e alla coltura del tempo, e che quindi non si può attribuire loro un valore generale e sempre durevole. Poichè le parole delle fonti e del magistero vivente non si riferiscono al contenuto concreto di singole prescrizioni giuridiche o regole di azione (cfr. specialmente Rm 13, 4), ma al fondamento stesso essenziale della potestà penale e della sua immanente finalità. Questa poi è tanto poco determinata dalle condizioni del tempo e della coltura, come la natura dell’uomo e la società umana voluta dalla natura medesima.”[483]
Papa Pio XII sta rispondendo a coloro che affermano che: (1) le fonti della rivelazione, cioè i testi biblici e specialmente Rm 13, 4, contengono soltanto pensieri corrispondenti alle circostanze storiche e alla cultura del tempo, e (2) quindi non si può attribuire a tali testi un valore generale e sempre durevole.
Pio XII sta quindi rispondendo a coloro che vogliono presentare il messaggio di alcuni testi biblici e soprattutto di Rm. 13,4 come qualcosa appartenente alla cultura passata, che vale solo per il passato e che quindi è inadatto per altri tempi.
Per questo Pio XII afferma: le parole delle fonti e del magistero vivente non si riferiscono al contenuto concreto di singole prescrizioni giuridiche o regole di azione (cfr. specialmente Rm 13, 4), cioè a norme valide solo allora e non oggi, ma si riferiscono al fondamento stesso essenziale della potestà penale e della sua immanente finalità, questa poi, come la natura dell’uomo e la società umana voluta dalla natura medesima, è poco determinata dalle condizioni del tempo e della cultura. Se noi esaminiamo le fonti della Rivelazione, cioè i testi biblici (in particolare Rm. 13,4), e i testi del Magistero vivente, cui Pio XII si riferisce, capiamo appunto che non contengono soltanto affermazioni corrispondenti alle circostanze storico-culturali di allora e valide solo per quei tempi ma contengono un insegnamento che attiene al fondamento stesso essenziale della potestà penale e della sua immanente finalità, infatti s. Paolo afferma (Rm 13,3s): “I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver paura dell’autorità? Fa’ il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora devi temere, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi fa il male.” Questi testi quindi contengono un insegnamento che vale sempre.
Pio XII non vuole escludere ciò che afferma s. Paolo riguardo alla liceità della pena di morte, ma vuole appunto mettere in chiaro che le affermazioni di s. Paolo valgono sempre!
Pio XII non vuole cancellare ciò che è chiaramente intrinseco al testo di s. Paolo, come abbiamo visto più sopra, cioè la liceità della pena di morte, vuole dire piuttosto che s. Paolo non sta facendo un discorso che riguarda solo i tempi e la cultura dell’Apostolo stesso ma sta facendo un discorso più generale.
g,1,1,3) Altre devianti affermazioni di E. Christian Brugger circa la Bibbia e la pena di morte.
Brugger conclude il suo esame sulla Scrittura chiedendosi se alla luce delle sue considerazioni, la Scrittura afferma che la pena capitale è pienamente coerente con la volontà di Dio per l’umanità; tali sue considerazioni, come visto, sono imprecise e le sue conclusioni finali, realizzate alla luce di tali considerazioni, sono errate.
A proposito di tali considerazioni finali occorre dire che Brugger in esse mette essenzialmente da parte il fatto che tutta la Tradizione afferma che la pena di morte è lecita.
Brugger cita la distinzione patristica e tomista tra precetti morali e precetti cerimoniali dell’ A. T. e mette la pena di morte tra i secondi, cioè tra i precetti che sono cancellati nel N. T., ma dimentica che i Padri e s. Tommaso considerano la pena di morte come lecita in alcuni casi quindi non abolita dalla venuta di Cristo e non rientrante a livello fondamentale tra i precetti cerimoniali [484].
Brugger poi afferma che il comando divino rende leciti anche comportamenti che altrimenti non sarebbero giustificabili; lo studioso americano cita s. Tommaso per cui la presenza di un comando divino rende giusti certi tipi di comportamenti che altrimenti sarebbero vietati, perciò erano giusti gli atti degli ebrei nel saccheggiare gli egiziani e non furono atti di furto appunto perché comandati da Dio ed era un atto giusto il consenso di Abramo ad uccidere Isacco appunto perché comandato da Dio etc.
Brugger quindi afferma che tutti i precetti di uccidere nell’Antico Testamento, sia nella forma di punizioni, herem, o guerre di aggressione, erano dati in forma di comandi divini; gli stessi tipi di comportamento deliberato sarebbero illegittimi in assenza di un particolare comando divino … quindi solo se vi è un comando espresso di Dio è lecito irrogare la pena di morte. [485]
Anche qui Brugger mette da parte la Tradizione che, sotto la guida dello Spirito Santo, afferma la liceità della pena di morte sulla base della Legge naturale e della Legge rivelata; è lecito e giusto secondo la Legge naturale e la Legge rivelata, dice la Tradizione, che in alcuni casi il potere civile uccida persone malvagie, quindi non si richiede un espresso comando di Dio per rendere lecita caso per caso la pena di morte. Sarebbe invece necessario un espresso comando di Dio per compiere qualcosa che appare contrario alla Legge naturale o rivelata.
Inoltre, prosegue Brugger si potrebbe sostenere che le condizioni sociali in cui si esercitavano i precetti di uccidere, cioè nel contesto di un nazione teocratica indipendente, sono sufficientemente incommensurabili con le condizioni in base alle quali la pena capitale è stata praticata nell’era cristiana perciò quei precetti sono inapplicabili al di fuori della comunità teocratica nella quale sono stati ricevuti.[486]
Come abbiamo visto, però, è lecito e giusto secondo la Legge naturale e la Legge rivelata, dice la Tradizione, che in alcuni casi il potere civile uccida persone malvagie, e ciò vale, precisa la Tradizione, generalmente e per tutti e non solo per la nazione teocratica di Israele.
Riguardo alle affermazioni circa la tradizione ebraica occorre dire che Brugger afferma che : “Scholars generally agree that by the end of the Second Temple period there was a widespread reluctance in Israel to impose the death penalty.” (p. 62), ma, come vedemmo più sopra, i passi rabbinici cui Brugger si appoggia e che riportano le opinioni dei rabbini Tarfon e Akiva riferivano una opinione di minoranza che suscitava l’ironia di altri rabbini, perciò i tribunali ebraici hanno continuato a comminare condanne di morte durante tutto il medioevo.
g,2) Riflessioni sulla documentazione patristica offerta da Brugger.
Brugger ha realizzato davvero un lavoro notevole per alcuni aspetti della documentazione patristica ma il suo non è un lavoro del tutto completo, come temo non sia nessun lavoro finora, p.es. non cita s. Ottato di Milevi che dice varie cose a sostegno della legittimità della pena di morte. Non mi consta che nessun patrologo o gruppo di patrologi abbia affrontato la questione della pena di morte nei Padri in maniera completa ed esaustiva. Ma le linee fondamentali ormai sono emerse e in realtà erano emerse già nell’antichità … per questo il Magistero aveva affermato chiaramente che la pena di morte è lecita in alcuni casi. Brugger ha svolto comunque un lavoro molto approfondito riguardo a vari Padri e la sua conclusione è appunto che :“For the Fathers of the early Church, the authority of the state to kill malefactors is taken for granted. Opinions differed on whether Christians should hold offices whose responsibilities include the judging and carrying out of capital punishments—pre-Constantinian authors said they should not, those writing after ad 313 said they should—but the principled legitimacy of the punishment itself is never questioned.”[487]
Per i Padri della Chiesa primitiva, guidati dallo Spirito Santo e dalla Parola di Dio, l’autorità dello stato di uccidere i malfattori è data per scontata. Le opinioni divergevano sul fatto se i cristiani dovessero ricoprire cariche le cui responsabilità includessero il giudizio e l’esecuzione della pena capitale — gli autori pre-costantiniani dicevano che non avrebbero dovuto, quelli che scrivevano dopo l’editto del 313 hanno detto che avrebbero dovuto – ma la legittimità di principio della punizione stesso non viene mai messa in discussione.
Brugger mostra chiaramente nel suo libro le varie affermazioni dei Padri sulla questione della pena di morte e fa vedere appunto come essi affermano in modo assolutamente unanime la liceità della pena di morte [488] “Among those Patristic writers … we find unanimous agreement that civil authority, as guardian of the public good, has the right to inflict punishments on evildoers, including the punishment of death.”[489] Tra gli scrittori patristici troviamo un accordo unanime su questo: l’autorità civile, in quanto custode del bene pubblico, ha il diritto di infliggere pene sui malfattori, compresa la pena di morte.
Da notare: Padri e i Dottori della Chiesa hanno sostenuto in modo assolutamente unanime la pena capitale! Riguardo a tale consenso unanime occorre ricordare quello che afferma il Concilio Vaticano I “… a nessuno deve essere lecito interpretare tale Scrittura …. contro l’unanime consenso dei Padri.”[490] .
g,3) Riflessioni sulle affermazioni di s. Teodoro Studita sulla pena di morte.
Brugger parla anche di s. Teodoro Studita classificandolo tra coloro che erano contrari alla pena di morte. Brugger infatti scrive che ci sono alcune eccezioni allo sviluppo del consenso sulla pena di morte; gli insegnamenti di due chierici del IX secolo, s. Teodoro Studita e s. Nicola I, esprimono, l’opposizione patristica alla partecipazione cristiana allo spargimento di sangue.[491] Abbiamo già esaminato le affermazioni di s. Nicola I e ritorneremo a parlare di esse più avanti.
Riguardo alle affermazioni di s. Teodoro occorre avere ben presente che, mentre questo santo negava che si potesse usare la forza e la spada contro gli eretici, s. Teofane affermava che non solo occorreva usare la spada ma anche che: coloro che si oppongono all’uso della forza contro “uomini che sono assolutamente impuri nello spirito e nel corpo e adorano i demoni” sono nemici degli Apostoli, e quindi della Chiesa![492]
S. Teofane spiegava che l’Imperatore Michele decretò la pena di morte contro i Pauliciani “per volere del santo patriarca Nikeforos e di altri uomini pii”[493]
Teofane afferma che coloro che negavano che il clero avesse il diritto di ricorrere a tali misure quali la pena di morte per sopprimere l’eresia erano contrari alla Sacra Scrittura a tutti gli effetti, ma cita solo l’esempio di Anania e Saffira per sostenere questa affermazione. A causa della scarsità di fonti non sappiamo quali altri passaggi siano stati usati per giustificare la pena di morte in questo caso.[494]
San Teodoro precisa la sua posizione (Ep . 455 , PG 99:1485B) affermando che come san Simeone della Montagna Meravigliosa aveva raccomandato a un monarca di prendere misure punitive contro una nazione che stava massacrando il popolo cristiano, anche lui stesso stava allora esortando l’Imperatore a fare lo stesso cioè a fare guerra agli Sciti e agli Arabi, che stavano uccidendo il popolo di Dio. In quest’ultimo caso la guerra era contro i nemici, ma nel caso dei Pauliciani la lotta era contro gli eretici che erano sudditi dell’Impero.[495]
Per quanto riguarda il caso di San Giovanni il Digiunatore, Patriarca di Costantinopoli, Teodoro nega che questo santo abbia ordinato che i maghi venissero impalati, essendo dell’opinione piuttosto che lo permise perché erano assassini, e contro di essi non dovrebbe essere impedito alle autorità civili di mettere in pratica il diritto romano e quindi la pena di morte; s. Teodoro cita qui il testo di s. Paolo (Rm 13,4) : le autorità non portano la spada invano … sono vendicatori di colui che fa il male (Ep . 455 , PG 99:1485s)
Quindi s. Teodoro dice che i reati che hanno a che fare semplicemente con lo Stato, come l’assassinio vanno puniti con pene statali, compresa la pena capitale, invece i reati riguardanti la vita della Chiesa vanno puniti con le pene ecclesiastiche (Ep . 455 , PG 99:1485s). S. Teodoro quindi non è contro la pena di morte, né lo erano i santi appena citati … [496]
S. Teodoro, quindi, era favorevole alla pena di morte; egli negava semplicemente che gli eretici, in particolare nel caso dei Pauliciani, andassero puniti con la morte. Ricordo che s. Teodoro era profondamente radicato nella Tradizione; per s. Teodoro non è lecito per un Arcivescovo insieme ai suoi associati fare ciò che vuole, sicché sia per la durata del suo arcivescovado un nuovo evangelista, un nuovo apostolo, un legislatore che afferma cose diverse dalla Tradizione! Abbiamo infatti, dice il s. Teodoro, s. Paolo Apostolo che afferma: se qualcuno predica una dottrina, o ti esorta a fare qualcosa contro ciò che hai ricevuto, contro ciò che è prescritto dai canoni dei sinodi cattolici e locali tenuti in diversi momenti, non deve essere ricevuto, o essere annoverato nel numero dei fedeli e si avvia verso un terribile giudizio indicato dall’Apostolo (cfr. Galati 1). (San Teodoro lo Studita, Epistola 24, PG 99, col. 987) La fedeltà alla Tradizione di s. Teodoro, messa in rapporto con le affermazioni di s. Simeone della Montagna Meravigliosa, di s. Giovanni il Digiunatore, di Teofane e degli altri che con quest’ultimo propugnavano la pena di morte, è molto importante per affermare che evidentemente anche in Oriente era ben chiaro che la Tradizione affermava, basandosi anche su Romani 13,4, che la pena di morte era lecita.
La posizione di s. Teodoro sul caso concreto dei Pauliciani si distaccava invece da quella di s. Teofane, s. Niceforo e di altri uomini pii che affermavano la necessità di irrogare la pena di morte agli eretici[497], evidentemente su questo punto la Tradizione non era stata ancora fissata con precisione e s. Teodoro si sentiva libero di poter dire il suo pensiero fondato sulla Scrittura; la Tradizione si fissò nei secoli successivi.
g,4) Riflessioni sulla documentazione papale e magisteriale offerta da Brugger.
La documentazione papale e magisteriale appare limitata e incompleta, nel testo di Brugger; egli non cita alcuni documenti papali che chiariscono ulteriormente la totale accoglienza della legittimità della pena di morte da parte di essi.
Brugger non cita p. es. Papa Simplicio che, nel 478, raccomanda all’imperatore Zenone di mettere a morte gli assassini dei vescovi; questi sacrileghi uccisori, secondo il Pontefice, sono degni di perire per mezzo di questi tormenti, con tali pene la Chiesa e l’Impero troveranno riposo, con esse si attireranno i favori divini sull’ Impero. (Epistola XII cfr. Bull. , Appendix al t. 1, p. 221)
Brugger non cita Papa Pelagio I che , in una lettera al duca d’Italia, afferma che non bisogna pensare che sia peccato punire vescovi refrattari, infatti è stabilito dalle leggi divine e umane che i disordini della pace e dell’unità della Chiesa devono essere repressi dal potere civile, e questo è il più grande servizio che si può rendere alla religione.[498]
Brugger non cita Onorio I che riconosce ai capi della comunità questo potere di irrogare la pena capitale e chiede che l’autore di uno stupro riceva la pena di morte, che tale punizione non sia ritardata, e che sia notificata al maggior numero di persone.[499]
Brugger non presenta le varie affermazioni con cui san Gregorio Magno, Papa, insegna la legittimità della pena capitale in diverse sue lettere, riconoscendo che gravi crimini meritano tale pena. In un caso, parlando della violenza inflitta al vescovo Janvier de Malaga egli dice che: la legge punisce l’autore di un simile insulto con la pena di morte[500], in una lettera ad una regina[501], la esorta a riparare le offese fatte a Dio punendo con la pena di morte gli adulteri, i ladri e i responsabili di altre azioni depravate per cui è prevista tale pena[502] Brugger non cita Urbano II che, in un decreto indirizzato al vescovo di Lucca, legittimò una condanna a morte non ancora giudiziariamente pronunciata; egli non chiama omicidio quello di coloro che, nell’ardore del loro zelo per la loro madre, la santa Chiesa, hanno messo a morte degli scomunicati, ma chiede che costoro ricevano una penitenza adeguata.[503]
Brugger cita le affermazioni di Nicola I e s. Teodoro Studita che affermano che la Chiesa non ha la spada … e Brugger precisa: “There are a few early exceptions to the developing consensus on capital punishment, and these deserve mention here. The teachings of two ninth-century clerics
still express the Patristic opposition to Christian participation in bloodshed.”[504] Ci sono dunque alcune eccezioni, secondo Brugger, allo sviluppo del consenso sulla pena di morte, gli insegnamenti di due chierici del IX secolo, s. Teodoro Studita e s. Nicola I, esprimono, secondo Brugger, l’opposizione patristica alla partecipazione cristiana allo spargimento di sangue.
Sottolineo che le affermazioni di questi due santi non sono reale negazione della liceità della pena di morte, infatti: (1) s. Nicola I, come visto, non nega la liceità della pena di morte e neppure afferma che i cristiani non la possono irrogare ma vuole semplicemente temperare la brutalità del diritto bulgaro di allora, (2) s. Teodoro, come visto, ugualmente non nega assolutamente la liceità della pena di morte, né alla sua irrogazione da parte dei cristiani, ma si oppone all’uso della violenza contro gli eretici.
La lettera di san Nicola I di risposta ai bulgari (“Responsa ad consulta Bulgarorum”, PL 119, 978-1016) dell’anno 866 che affronta un gran numero di domande dogmatiche e canoniche e ribadisce la legittimità della pena di morte è presentata da Brugger in modo impreciso in alcune pagine della sua opera[505], cioè come se escludesse la pena di morte assolutamente, il che non è vero, infatti tra le altre cose il Pontefice afferma che : quanto a coloro che hanno trucidato il loro consanguineo è bene che le rispettabili leggi trovino la loro applicazione ma se i colpevoli si sono rifugiati nella chiesa, siano strappati dalla morte promessa dalle leggi. [506] Ovviamente ciò significa che le leggi rispettabili prevedevano la pena di morte per coloro che uccidevano i loro consanguinei e Papa Nicola accettava che esse si applicassero, solo chiedeva che ai colpevoli fosse risparmiata la morte se si rifugiavano in chiesa. S. Nicola non era radicalmente contrario, quindi, alla pena di morte! … e non parlava radicalmente contro la pena di morte … come poteva farlo, d’altronde, se Rm 13, 4, come visto, è chiarissima nel concedere ai governanti il diritto di uccidere i malvagi, come afferma chiaramente s. Innocenzo I? S. Nicola, come vedemmo, sapeva ovviamente molto bene che a quei tempi in tutti gli stati cristiani veniva irrogata la pena capitale e non ha prodotto documenti per bandirla ovunque … quindi è evidente che egli accettava tale pena.
Papa Innocenzo III nel 1199, con la Decretale Vergentis[507] sviluppò un parallelo tra eretici e colpevoli di lesa maestà, e scrisse che secondo le sanzioni legittime i colpevoli di lesa maestà sono puniti con la morte, ancora di più gli eretici che offendono Gesù Cristo devono essere separati dalla nostra testa che è Cristo … quindi colpiti da pena capitale. Brugger non parla di questa Decretale Vergentis.
Lo stesso Pontefice, ribadirà ulteriormente la legittimità di tale pena capitale ordinando ai discepoli di Pietro Valdo, che cercavano la riconciliazione con la Chiesa, di accettare esplicitamente la dottrina cattolica sulla liceità della pena di morte : “De potestate saeculari asserimus, quod sine peccato mortali potest iudicium sanguinis exercere, dummodo ad inferendam vindictam non odio, sed iudicio, non incaute, sed consulte procedat”[508]. Che significa essenzialmente quanto segue: il potere secolare può, senza peccato mortale, esercitare il giudizio del sangue, cioè irrogare la pena di morte, purché nell’ infliggere la pena proceda non per odio, ma a ragion veduta, con prudenza, senza avventatezza. Il fatto che Innocenzo III abbia inserito la liceità della pena di morte tra le verità che i valdesi dovevano credere espressamente per entrare nella comunione della Chiesa Cattolica mostra che tale verità era evidentemente ritenuta come parte importante della dottrina della Chiesa.
Brugger non riferisce che i Papi Lucio III [509] Innocenzo III[510], Gregorio IX [511] e Bonifacio VIII[512] adottarono decretali, passate nella legislazione universale, che prevedevano che l’eretico fosse messo in potere del braccio secolare per la punizione ; la punizione che essi indicavano per tale delitto era la pena capitale per cremazione[513]. Brugger non cita Bonifacio VIII che arrivò a minacciare di sanzionare le autorità temporali che non procedevano senza indugio (indilando) all’esecuzione degli eretici. Lo stesso Pontefice stabilì di abbandonare al braccio secolare gli assassini dei Cardinali perché tali assassini fossero puniti con la morte [514].
La decretale Furatur[515], parafrasando l’Esodo (21, 16), afferma che chiunque sia stato riconosciuto colpevole di un rapimento e abbia venduto la persona rapita sia messo a morte.[516]
Brugger non dice che nel 1215, durante il Concilio Lateranense IV , fu adottato il canone Excommunicamus, che ordinò l’abbandono degli eretici, già condannati, “ai poteri secolari” (cost. 3) … con conseguente irrogazione della pena capitale (COD p. 233 ss.) e Brugger non dice che questo testo del Concilio passerà nelle Decretali di Gregorio IX, raccolta ufficiale delle leggi della Chiesa[517]
Brugger non dice che una risoluzione uguale a quella del Concilio Lateranense IV sarà adottata dal Concilio di Costanza (XVI ecumenico) contro i wyclifiti (cfr. COD pp. 414ss) e gli hussiti (cfr. COD p. 429, condanna a rogo di Hus) , il Concilio di Costanza appunto nel testo appena citato decreta la condanna al rogo dell’eretico Hus.
Brugger non dice che tra le sentenze condannate dal Concilio di Costanza nella dottrina di Wyclif vi è quella per la quale questo eretico mostra di opporsi alla consegna degli eretici al braccio secolare infatti afferma che Dio non può approvare che uno venga giudicato civilmente o condannato civilmente (cfr. COD p. 425, n.44)
Brugger non dice che tra le sentenze di Hus condannate dal Concilio di Costanza vi è quella per la quale questo eretico mostra di opporsi alla consegna degli eretici al braccio secolare (cfr. COD p. 430, n.14)
Ricordo che: “Martino V, eletto Papa a Costanza nel 1417, nella bolla Inter cunctas del 22 febbraio 1418, riconobbe l’ecumenicità del Concilio di Costanza e tutto ciò che esso aveva deciso, sia pure con la formula genericamente restrittiva: «in favorem fidei et salutem animarum».”[518]
Brugger non dice che Papa Martino V, nel 1418, redasse un questionario per esaminare la dottrina professata da persone sospette di wyclifismo e hussismo, in esso si chiedeva esplicitamente alla persona se credesse nella possibilità per i prelati di fare appello al braccio secolare[519] … e quindi di far infliggere la pena di morte. Una tale domanda è estremamente significativa della importanza di tale questione all’interno della dottrina cattolica; se non fosse importante, e molto importante, certamente non sarebbe stata posta a queste persone per riconoscerne la cattolicità.
Brugger non dice che Leone X diede al governatore della città il potere di agire contro i criminali e anche quello di irrogare loro la pena di morte. (“Etsi pro”, 1514, Bull., t. 5, p. 615) … Brugger non dice che Giulio III prevedeva la pena di morte per i detentori delle copie del Talmud non purgate delle loro bestemmie contro Cristo (“Cum sicut”, 1554, Bull., t. 6, p. 482) … Brugger non dice che Paolo IV la prevedeva per i prosseneti (“Volens sceleribus”, 1558, Bull., t. 6, p. 538.) etc. ; Cyrille Dounot nel suo articolo[520] cita vari altri reati che, sulla base di statuizioni papali, prevedevano la pena di morte.
Brugger dice che Leone X, nel 1520, tra gli errori di Lutero inserì anche questo: “Che gli eretici siano bruciati è contro la volontà dello Spirito”.[521] ma mi pare significativo sottolineare che l’errore per cui Lutero nega che possa essere inflitta la pena di morte per eresia, rientra tra gli errori indicati da Leone X in questo modo:
abbiamo visto che questi medesimi errori o articoli non sono cattolici, e non vanno creduti tali, ma che sono contrari alla dottrina della Chiesa Cattolica ed alla Tradizione, soprattutto alla vera e comune interpretazione delle divine Scritture … infatti dai medesimi errori o da alcuni deriva chiaramente che la stessa Chiesa, che è retta dallo Spirito Santo, erri o e abbia sempre errato.[522]
Il Catechismo Romano, come dice anche Brugger, insegnò la liceità della pena di morte [523] … ma penso che sia importante notare che praticamente nessuno fece questioni su questo punto di dottrina tra i cattolici … era assodato che la dottrina cattolica contenesse la liceità della pena di morte. I santi Dottori accettarono pacificamente queste affermazioni e le svilupparono, per loro era evidente che la Tradizione basata sulla Bibbia affermava chiaramente che la pena di morte era lecita in alcuni casi.
Ugualmente il Catechismo Maggiore di san Pio X (parte terza, n. 413) insegnò la liceità di tale pena: “413 D. Vi sono dei casi nei quali sia lecito uccidere il prossimo? R. È lecito uccidere il prossimo quando si combatte in una guerra giusta, quando si eseguisce per ordine dell’autorità suprema la condanna di morte in pena di qualche delitto; e finalmente quando trattasi di necessaria e legittima difesa della vita contro un ingiusto aggressore.”… e nessuno, praticamente, fece questioni su questo punto di dottrina tra i cattolici … era assodato che la dottrina cattolica contenesse la liceità della pena di morte, era evidente che la Tradizione basata sulla Bibbia affermava chiaramente che la pena di morte era lecita in alcuni casi.
Papa Leone XIII, come dice anche Brugger, scrisse nella “Pastoralis Officii”, lettera enciclica del 1881 : “È assodato infatti che entrambe le leggi divine, sia quella che è stata proposta con il lume della ragione, sia quella che è stata promulgata con gli scritti divinamente ispirati, vietano a chiunque, nel modo più assoluto, di uccidere o di ferire un uomo in assenza di un giusto motivo pubblico, a meno che non vi sia costretto dalla necessità di difendere la propria vita.”[524] … e praticamente nessuno fece questioni su questo punto di dottrina tra i cattolici … era assodato che la dottrina cattolica contenesse la liceità della pena di morte … era evidente che la Tradizione basata sulla Bibbia affermava chiaramente che la pena di morte era lecita in alcuni casi.
Faccio notare inoltre che che fino al 1870 furono eseguite pene capitali nello Stato Pontificio, il che indica ovviamente che la dottrina della liceità della pena di morte era perfettamente accettata dai Sommi Pontefici e nessuno fece questioni su questo punto di dottrina tra i cattolici … era assodato che la dottrina cattolica contenesse la liceità della pena di morte … era evidente che la Tradizione basata sulla Bibbia affermava chiaramente che la pena di morte era lecita in alcuni casi. Scrive Dunot che la pena capitale era normalmente applicata nello Stato Pontificio e il Codice penale della Santa Sede ha previsto fino al 1962 la pena di morte per chi tentava di uccidere il Papa.[525]
Ovviamente tutto questo è stato fatto nell’assoluta certezza che tale pena fosse legittima secondo la Legge di Dio… era evidente che la Tradizione basata sulla Bibbia affermava chiaramente che la pena di morte era lecita in alcuni casi; questa evidenza permaneva per s. Giovanni Paolo II e per Benedetto XVI … questa evidenza permane nonostante gli errori di Papa Francesco …
g,5) Riflessioni sulla critica di Brugger alle affermazioni di s. Tommaso d’ Aquino.
Brugger sviluppa una critica di s. Tommaso un po’ nella linea di Blazquez, che vedemmo più sopra. La sua critica ha lo scopo di superare la visione tradizionale che s. Tommaso presenta bene per giungere ad una nuova dottrina per cui la pena di morte è un qualcosa di intrinsecamente malvagio.
Tuttavia Brugger cerca di “smontare” le affermazioni tomiste in modo errato, infatti, Brugger non si rende bene conto che s. Tommaso è anzitutto un credente, un teologo ed è anche un grande filosofo.
S. Tommaso basa le sue affermazioni sulla pena di morte, a livello teologico, su Tradizione e Scrittura.
Nella Somma contra Gentiles s. Tommaso sviluppa un discorso apologetico di tipo filosofico e anche a questo livello, all’interno di un’ampia visione di Dio e del creato, è presentata, su basi filosofiche e razionali, la legittimità della pena di morte.
Per confutare veramente s. Tommaso, Brugger avrebbe dovuto farlo, quindi su un doppio livello, quello teologico e quello filosofico e avrebbe dovuto farlo lavorando a grande profondità perché s. Tommaso è un autore molto profondo, che segue la sapienza biblica, soprannaturale, e la unisce meravigliosamente alla sapienza naturale, filosofica, riprendendo grandi filosofi.
Non pare che Brugger abbia fatto questo tipo di doppia confutazione.
Non mi consta che siano stata confutate in modo netto da Brugger, a livello di Tradizione e di S. Scrittura, le affermazioni di s. Tommaso che giustificano la liceità della pena di morte; neppure mi consta che siano state confutate dallo studioso americano le affermazioni filosofiche di s. Tommaso che giustificano la liceità di tale pena.
Brugger svolge una contestazione delle affermazioni di s. Tommaso senza inserirle bene nel quadro di riferimento del s. Dottore.
Brugger non pare che si renda conto, per esempio, che quando s. Tommaso parla dell’uomo che perde la dignità quando pecca sta sviluppando un discorso radicato nella Bibbia, come dice lo stesso santo (cfr. II-II q. 64 a. 2 ad 3) riportando due passi biblici, uno dal Salmo 48 v. 21 e l’altro da Proverbi, cap. 11 v. 29 …
Va inoltre precisato che vi è una dignità essenziale che non si perde con peccato, perché l’essenza resta, ma vi è una dignità effettiva, attuale che con il peccato si perde: l’ immagine divina rimane sempre nell’uomo, anche all’inferno, ma la somiglianza divina, e la dignità ad essa connessa, si perde con il peccato grave … il peccato grave rende indegni del Cielo … e di ricevere l’Eucaristia come dice s. Tommaso: “ Ad quartam quaestionem dicendum, quod in indigne manducante est duo peccata considerare; scilicet peccatum quo indignus redditur ad manducandum, et peccatum quo indigne manducat.”(Super Sent., lib. 4 d. 9 q. 1 a. 3 qc. 4 co.) … in questa linea certi peccati rendono indegni di vivere in relazione con la comunità di cui si fa parte e quindi tali peccati rendono lecita la pena di morte da parte della comunità. Una uomo che è un reale pericolo per una comunità a causa della violenza omicida di lui, è indegno, in questa linea, di vivere.
Più generalmente le affermazioni di s. Tommaso secondo cui la vita umana, considerata in sé stessa, è assolutamente inviolabile (II-II q. 64 a. 6) vanno intese rifacendosi alla dottrina tomista e più particolarmente a quanto s. Tommaso dice nell’ a.1 e 2 della stessa questione 64 laddove afferma: “ Nessuno pecca per il fatto che si serve di un essere per lo scopo per cui è stato creato. … nella gerarchia degli esseri quelli meno perfetti son fatti per quelli più perfetti” [526]“… le cose meno perfette sono ordinate a quelle perfette. Ora, qualsiasi parte è ordinata al tutto come ciò che è meno perfetto è ordinato a un essere perfetto. Perciò la parte è per natura subordinata al tutto. ”[527] … come una parte sta al tutto così ogni uomo sta a tutta la comunità; quindi l’uomo è ordinato alla comunità e subordinato ad essa come la parte è ordinata e subordinata al tutto, quindi se un uomo è pericoloso con i suoi peccati per la collettività, è bene sopprimerlo, per il bene vero del tutto di cui l’uomo è parte.[528]
Una vita umana, considerata in sé stessa, è assolutamente inviolabile ma può essere soppressa per i suoi peccati che arrecano danno alla comunità (cfr. II-II q. 64 a.2 e a. 6).
L’uomo è dunque ordinato alla comunità ma anzitutto, dice s. Tommaso in I, q. 1 a. 1 l’uomo è ordinato a Dio; l’uomo è ordinato anzitutto a Dio e poi alla comunità!
La comunità può sopprimerlo solo se è nocivo ad essa per i peccati di lui; la comunità non può uccidere l’uomo per sé stesso, la vita umana, considerata in sé stessa, è assolutamente inviolabile.
Dinanzi all’ affermazione di chi dice: “ … uccidere un uomo è in se stesso un male … Perciò in nessun modo è lecito uccidere un peccatore.”[529] s. Tommaso, seguendo la Bibbia risponde : “Col peccato l’uomo abbandona l’ordine della ragione … degenerando in qualche modo nell’asservimento delle bestie, che implica la subordinazione all’altrui vantaggio. Così infatti si legge nella Scrittura: “L’uomo non avendo compreso la sua dignità, è disceso al livello dei giumenti privi di senno, e si è fatto simile ad essi” … Perciò … uccidere un uomo che pecca può essere un bene, come uccidere una bestia: infatti un uomo cattivo … è … più nocivo di una bestia.”[530]
La comunità può sopprimere l’uomo solo se è nocivo ad essa per i suoi peccati; la comunità non può uccidere l’uomo per sé stesso ma solo in quanto con i suoi peccati egli la danneggia!
S. Tommaso stesso dunque, nell’art. 2 , appena visto, pone in chiaro in anticipo quello che vuole dire nell’art. 6 della stessa questione laddove afferma:“ Considerato in sé stesso nessun uomo può essere ucciso lecitamente: perché in ciascuno, anche se peccatore, dobbiamo amare la natura, che è stata creata da Dio, e che viene distrutta dall’uccisione.”[531]
Tenuto conto che l’uomo è ordinato a Dio e alla comunità, e nella luce della verità divina, la comunità non può uccidere l’uomo per sé stesso ma solo può ucciderlo in quanto con i suoi peccati egli la danneggia!
In questa linea s. Tommaso afferma: “… l’uccisione del colpevole diviene lecita … in vista del bene comune, che il peccato compromette” [532]
Voglio qui sottolineare alcune affermazioni di s. Tommaso appena viste :
-“ … nella gerarchia degli esseri quelli meno perfetti son fatti per quelli più perfetti” [533]
-“… qualsiasi parte è ordinata al tutto come ciò che è meno perfetto è ordinato a un essere perfetto. Perciò la parte è per natura subordinata al tutto. … E quindi se un uomo con i suoi peccati è pericoloso e disgregativo per la collettività, è cosa lodevole e salutare sopprimerlo, per la conservazione del bene comune; infatti, come dice S. Paolo: “Un po’ di fermento può corrompere tutta la massa”.” [534]
L’uomo, quindi, è in certo modo, nella luce della divina sapienza, per la comunità come gli esseri meno perfetti sono per i più perfetti (cfr. II-II q. 64 a.1), ogni uomo è parte della sua comunità come una parte sta al tutto così ogni uomo sta a tutta la comunità; quindi l’uomo è, nella luce della divina sapienza, ordinato alla comunità e subordinato ad essa come la parte è ordinata e subordinata al tutto (cfr. IIª-IIae q. 64 a. 2 co.) perciò se un uomo è pericoloso con i suoi peccati per la collettività è bene sopprimerlo, per il bene vero del tutto di cui l’uomo è parte. Non per sé stesso può essere ucciso l’uomo ma per i suoi peccati che arrecano danno alla comunità (cfr. II-II q. 64 a. 6; II-II q. 64 a.2 ad. 3m).
In questa linea s. Tommaso afferma chiaramente che solo i legittimi capi della comunità hanno da Dio il potere di infliggere punizioni e quindi di infliggere la pena di morte … per questo nessun altro può intenzionalmente uccidere legittimamente qualcuno. Ognuno può certamente difendersi e appunto perciò può, secondo s. Tommaso, compiere atti che portano alla morte dell’ingiusto aggressore, tali atti però sono leciti nella misura in cui sono lecite le azioni dal duplice effetto che appunto causano la morte di qualcuno (cfr. II-II q. 64 a.7).
Ricordo che, secondo la sana dottrina, è lecito realizzare un’ azione dal duplice effetto che ha anche effetti cattivi quando si verificano, più precisamente, tutte insieme le seguenti condizioni:
a) “L’atto realizzato deve essere in se stesso buono, o quanto meno indifferente .”[535]
b) L’effetto buono si deve raggiungere immediatamente e non attraverso quello cattivo. L’effetto diretto dell’intervento deve essere quello positivo e quello negativo deve essere indiretto (cfr. H. B. Merkelbach in “Summa Theologiae Moralis” Brugis 1959, t.1, p. 166).
c) La persona deve avere un’intenzione retta e quindi tale intenzione deve essere orientata all’effetto buono e non a quello cattivo, altrimenti il male sarebbe in se volontario o almeno sarebbe voluto, perciò si richiede anche che non vi sia pericolo prossimo di consentire al male o di approvarlo (cfr. B. Merkelbach in “Summa Theologiae Moralis” Brugis 1959, t.1, p. 167).
d) Deve esistere una ragione di porre in essere la causa che produce il duplice effetto e occorre che tale ragione sia proporzionatamente grave, cioè deve esistere proporzionalità tra il bene che si intende e il male che si tollera: p. es. non è moralmente giustificato porre in essere un procedura che ha per effetto anche l’aborto al fine di evitare disturbi leggeri (cfr. B. Merkelbach in “Summa Theologiae Moralis” Brugis 1959, t.1, p. 166).
Quindi, secondo s. Tommaso, ognuno può certamente difendersi e appunto perciò può compiere atti che portano alla morte dell’ingiusto aggressore, tali atti però sono leciti nella misura in cui sono lecite le azioni dal duplice effetto, secondo qualche “probatus auctor” come De Lugo e Waffelaert, invece, è lecita anche l’uccisione diretta di un ingiusto aggressore purché sia scelta come mezzo e non come fine[536]; la pena di morte, però, per tutti questi autori può essere irrogata solo dalla legittima autorità che è a capo della comunità.
g,6) Riflessioni sulla irreformabilità della dottrina cattolica che afferma la liceità della pena di morte.
Brugger sviluppa una lunga e interessante discussione sulla irreformabilità di una dottrina all’interno dell’insegnamento cattolico e in particolare sulla irreformabilità della dottrina che afferma la liceità della pena di morte.
Ovviamente la documentazione limitata e ampiamente incompleta che Brugger ha presentato, seppure gli dà di poter fare alcune affermazioni importanti, gli impedisce di rendersi pienamente conto della profonda radicazione della dottrina della liceità della pena di morte nella Tradizione.
Come emerge da quanto detto e visto sopra:
-la pena di morte è indicata come lecita nell’A. T. ed è chiaramente stabilita per punire alcuni crimini, come attesta anche la tradizione giudiziaria ebraica;
-la pratica della pena di morte è stata considerata legittima dagli autori del Nuovo Testamento come ha detto lo stesso Brugger “The New Testament has little to say directly about the death penalty, but there can be hardly any doubt that the practice was considered legitimate by New Testament authors.”[537], particolare importanza, in questa linea riveste, particolare importanza in questa linea ha il capitolo 13 della lettera ai Romani;
-per i Padri della Chiesa primitiva, guidati dallo Spirito Santo e dalla Parola di Dio, l’autorità dello stato di uccidere i malfattori è data per scontata, come dice lo stesso Brugger[538] ;
-le parole di s. Innocenzo I che vedemmo più sopra interpretano con assoluta sicurezza Rm 13,4 nel senso della liceità della pena di morte e indicano una chiara Tradizione in tale senso;
-esiste una chiara Tradizione, favorevole alla pena di morte, in Occidente e anche in Oriente che si può vedere nettamente anche al tempo di s. Teodoro Studita e del Patriarca Niceforo e che non è revocata ma confermata anche da s. Nicola I e da altri Papi, a Lui precedenti e successivi;
-la professione di fede richiesta da Innocenzo III ai valdesi contiene un chiaro riferimento alla liceità della pena di morte … e appunto è una professione di fede cattolica[539];
-il Concilio Lateranense IV (XII Ecumenico), con il canone Excommunicamus, che ordinò l’abbandono degli eretici condannati “ai poteri secolari” (cost. 3) con conseguente irrogazione della pena capitale (COD p. 233 ss.) contiene un chiaro riferimento alla liceità della pena di morte;
-il Concilio di Costanza (XVI ecumenico) contiene ugualmente un chiaro riferimento alla liceità della pena di morte nelle risoluzioni contro i wyclifiti (cfr. COD pp. 414ss) e gli hussiti (cfr. COD p. 429, condanna a rogo di Hus);
-tra le sentenze condannate dal Concilio di Costanza nella dottrina di Wicleff vi è quella per la quale questo eretico mostra di opporsi alla consegna degli eretici al braccio secolare infatti afferma che Dio non può approvare che uno venga giudicato civilmente o condannato civilmente (cfr. COD p. 425, n.44)
-tra le sentenze condannate nella dottrina di Hus dal Concilio di Costanza vi è quella per la quale questo eretico mostra di opporsi alla consegna degli eretici al braccio secolare (cfr. COD p. 430, n.14);
-il questionario che Papa Martino V nel 1418 redasse per esaminare la dottrina professata da persone sospette di wyclifismo e hussismo, nel quale si chiedeva esplicitamente alla persona se credesse nella possibilità per i prelati di fare appello al braccio secolare[540] e quindi di far infliggere la pena capitale, implica ovviamente la liceità di tale pena;
-le affermazioni di Leone X, che, come vedemmo, nel 1520, tra gli errori di Lutero inserì anche questo: “Che gli eretici siano bruciati è contro la volontà dello Spirito”.[541] … implicano ovviamente la liceità della pena di morte;
-le affermazioni luminose e chiarissime dei Dottori della Chiesa quali s. Tommaso, s. Bonaventura, s. Gregorio Magno, s. Roberto Bellarmino, s. Pietro Canisio, s. Alfonso de’ Liguori etc. sono chiara indicazione della legittimità della pena di morte e della giustizia che essa racchiude quando usata secondo la volontà di Dio;
-nella luce di quanto visto finora appare indicata chiaramente come divinamente rivelata, nella lettera enciclica del Papa Leone XIII “Pastoralis Officii”, la verità per cui è vietato a chiunque, nel modo più assoluto, di uccidere o di ferire un uomo in assenza di un giusto motivo pubblico, a meno che non vi sia costretto dalla necessità di difendere la propria vita: “È assodato infatti che entrambe le leggi divine, sia quella che è stata proposta con il lume della ragione, sia quella che è stata promulgata con gli scritti divinamente ispirati, vietano a chiunque, nel modo più assoluto, di uccidere o di ferire un uomo in assenza di un giusto motivo pubblico, a meno che non vi sia costretto dalla necessità di difendere la propria vita.”[542] il che significa che la Legge di Dio, divinamente rivelata, considera lecita in alcuni casi la pena di morte e che la liceità di tale pena è una verità nettamente scritta anche nella Legge naturale;
-H. Lio, come vedemmo, scrisse, molto acutamente, che tutti i teologi per dimostrare la liceità della pena di morte sulla base della Legge naturale sogliono portare come argomento il consenso generale di tutte le nazioni nel ritenere giusta e quindi nell’irrogare tale pena[543]; la liceità della pena di morte è, quindi, una verità proclamata dalla Legge naturale e dalla Legge divina positiva … e ribadita dalla Chiesa!
-nella linea di quanto detto finora va notato che fino al 1870 lo Stato Pontificio ha irrogato la pena di morte nell’assoluta certezza dottrinale che è lecito irrogare in alcuni casi la pena di morte;
– nella linea di quanto detto finora Pio XII ha più volte ribadito la liceità di tale pena e ugualmente Giovanni Paolo II ha ribadito questa dottrina;
-la dottrina che afferma la liceità della pena di morte è, dunque, dichiarata dalla Chiesa come parte della Legge naturale, e più precisamente come parte della legittima difesa;
-tale dottrina è inestricabilmente legata alla S. Scrittura e alla s. Tradizione ed è chiaramente approvata da esse, infatti è stata universalmente accettata da tutti praticamente senza opposizioni dall’inizio della Chiesa come chiara volontà di Dio emergente dalla sua Parola, è stata più volte proposta, perciò, come parte della dottrina cattolica necessaria da accogliere per essere membri della Chiesa Cattolica.
In modo abbastanza evidente mi pare che si debba collocare, dunque, la liceità della pena di morte tra le dottrine irreformabili.
Più precisamente tale irreformabilità emerge dal diritto naturale e quindi da un retto esercizio della ragione, come mostra s. Tommaso nella “Somma contro i Gentili”[544] e in questa linea tale liceità è stata riconosciuta sempre e in tutti i popoli. Dio attraverso la Legge divina positiva ha confermato, ripreso e precisato ciò che il retto esercizio della ragione aveva già affermato. Le affermazioni bibliche e poi quelle dei Padri, dei Dottori e del Magistero appunto precisano bene questa verità già radicata nella mentalità umana e nel loro insieme indicano appunto che tale verità è incancellabile dalla sana dottrina.
Le motivazioni portate dal Papa attuale contro tale verità appaiono perciò, come pure abbiamo visto, incapaci per dichiarare sempre inammissibile tale pena.
Il Papa non è superiore alla Parola di Dio e alla Tradizione … e non può cambiare la Legge naturale … come spiega s. Giovanni Paolo II “8. Il Romano Pontefice … ha la “sacra potestas” di insegnare la verità del Vangelo, amministrare i sacramenti e governare pastoralmente la Chiesa in nome e con l’autorità di Cristo, ma tale potestà non include in sé alcun potere sulla Legge divina naturale o positiva.”[545] Il Papa non ha nessun potere sulla Legge divina naturale o positiva, e in particolare non può cancellare ciò che appare chiaramente incancellabile.
Concludo ricordando che s. Paolo afferma : “Non abbiamo infatti alcun potere contro la verità, ma per la verità.”(2 Cor. 13,8) I ministri di Dio, Papa compreso, non hanno potere contro la Verità il loro potere è solo per sostenere la Verità!
Dio intervenga perché la Verità riguardo alla lecità della pena di morte sia chiaramente riaffermata dal Papa e da tutti i prelati cattolici !
7) Precisazioni conclusive del cap. VI: il Papa sta pervertendo e non sviluppando la sana dottrina .
Riprendendo quanto appena detto e quello che vedemmo, più sopra, nelle precisazioni conclusive del III capitolo e nei primi due capitoli ed evitando di riproporvi tutti i testi dottrinali della Tradizione che fondano il mio giudizio e che potrete vedere in tali precisazioni devo affermare che le affermazioni del Papa, in ambito morale, esaminate in questo capitolo non appaiono uno sviluppo della sana dottrina ma un cambiamento della stessa, infatti, esse non si presentano nel senso della continuità dei principi, non si sviluppano come conseguenza logica e non realizzano un influsso preservatore del passato, sono semplicemente un tradimento della sana dottrina … tradiscono dottrine fondamentali, specie in ambito morale, dottrine chiaramente collegate alla S. Scrittura e ribadite da sempre dalla Tradizione e dalla Legge naturale …
Tale tradimento, si noti bene, non è una evoluzione ma un cambiamento, infatti è stato definito dagli stessi collaboratori di Bergoglio: “cambio di paradigma”. Nonostante il Papa e alcuni suoi collaboratori cerchino di far passare la sua opera come evoluzione della sana dottrina e come pura dottrina tomista, essa è un radicale cambiamento, una vera perversione della sana dottrina ed è in chiara opposizione anche alla dottrina del s. Dottore di Aquino, gli stessi Prelati vicini al Papa ne parlano indicandola come “cambio di paradigma”.
Con tale “cambio di paradigma”, il Papa Francesco:
1) da un lato , come visto nei precedenti capitoli, fa scomparire, su un punto essenziale della morale, la Legge rivelata e mette da parte la dottrina secondo cui le norme negative della legge divina sono obbligatorie sempre e in ogni circostanza, afferma che una coscienza morale cristiana può ritenere con sincerità e onestà e scoprire con una certa sicurezza morale che Dio le conceda di compiere ciò che Lui stesso vieta assolutamente, sempre e senza eccezioni inoltre apre praticamente le porte all’ adulterio, alla contraccezione e all’ omosessualità praticata;
2) dall’altro lato erige, come visto in questo capitolo, a dottrina della Chiesa l’inammissibilità della pena di morte, nella linea di un falso ordine della carità … contrariamente a ciò che dice la Bibbia, il Magistero bimillenario e praticamente tutta la Tradizione nonchè s. Tommaso d’ Aquino.
Cioè il Papa attuale inventa, contro la Tradizione e la Bibbia, nuove leggi morali assolute e dall’altro praticamente cancella leggi che la Tradizione e la Bibbia affermano chiaramente
Il prof. Echeverria sviluppando una riflessione sulle affermazioni del Papa circa la pena di morte, riflessione basata sulle affermazioni di s. Vincenzo di Lerino circa il progresso e la perversione della dottrina conclude giustamente “… Clearly, Francis’s position involves change and not progress.”(E. Echeverria “Pope Francis, the Lérinian legacy of Vatican II, and capital punishment” Catholic World Report, 15.10.2017 https://www.catholicworldreport.com/2017/10/15/pope-francis-the-lerinian-legacy-of-vatican-ii-and-capital-punishment/ ) La posizione di Papa Francesco sulla pena di morte è un cambiamento, cioè una perversione della sana dottrina. Giustamente perciò G. W. Rutler (George William Rutler, “Pope Francis’ new comments on the death penalty are incoherent and dangerous” Catholic World Report 18.12.2018 https://www.catholicworldreport.com/2018/12/18/pope-francis-new-comments-on-the-death-penalty-are-incoherent-and-dangerous/) ha detto che l’ insegnamento di Papa Francesco circa la pena di morte è in contraddizione con la Tradizione della Chiesa; si tratta di cambiamento, cioè di perversione, della sana dottrina, come emerge chiaramente studiando i criteri classici per lo sviluppo autentico della sana dottrina, fissati da s. John Henry Newman; inoltre, poiché la liceità della pena capitale è parte della legge naturale, una volta respinta come intrinsecamente sbagliata tale liceità si aprono le porte perché lo stesso potrebbe accada per qualsiasi aspetto della legge naturale. Il Vaticano, conclude Rutler, è diventato una Chernobyl teologica …
Dio intervenga presto per ristabilire la santa Verità a tutti i livelli nella sua Chiesa e tra i suoi Prelati.
Sorga Dio che è Luce e siano disperse le tenebre dell’errore.
Interceda per noi la gloriosa Madre di Dio, che annienta le dottrine eretiche, schiaccia la potenza dell’errore e smaschera l’insidia degli idoli(Cfr Inno Akathistos, vv. 111-112; ed. G.G. Meersseman, Der Hymnos Akathistos im Abendland, voi. I, Universitatsverlag, Freiburg Schw. 1958, p. 114 ), e che già sin dai tempi antichi e stata invocata dal popolo cristiano “in «difesa» della fede ”. (Cfr. “Messe della Beata Vergine Maria” , s. Messa “Maria Vergine sostegno e difesa della nostra fede”. https://www.maranatha.it/MessaleBVM/bvm35page.htm)
Note.
[1]“Relatio Finalis del Sinodo dei Vescovi al Santo Padre Francesco” (24 ottobre 2015), 24.10.2015, www.vatican.va , https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2015/10/24/0816/01825.html
[2]Papa Francesco, “Discorso alla Delegazione dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale” 23.10.2014 http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2014/october/documents/papa-francesco_20141023_associazione-internazionale-diritto-penale.html
[3]Papa Francesco, “Videomessaggio al VI Congresso contro la pena di morte”, 21.6.2016, www.vatican.va ,
https://w2.vatican.va/content/francesco/it/messages/pont-messages/2016/documents/papa-francesco_20160621_videomessaggio-vi-congresso-contro-pena-di-morte.html
[4]Francesco, “Angelus” del 21.2.2016, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/francesco/it/angelus/2016/documents/papa-francesco_angelus_20160221.html
[5]Francesco “Discorso del s. Padre Francesco ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione”, Mercoledì, 11 ottobre 2017, www.vatican.va , https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/october/documents/papa-francesco_20171011_convegno-nuova-evangelizzazione.html
[6]Francesco “Lettera al Presidente della Commissione Internazionale contro la pena di morte”, 20 marzo 2015 www.vatican.va, https://www.vatican.va/content/francesco/it/letters/2015/documents/papa-francesco_20150320_lettera-pena-morte.html
[7]Francesco “Discorso del s. Padre Francesco ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione,” Mercoledì, 11 ottobre 2017, www.vatican.va , https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/october/documents/papa-francesco_20171011_convegno-nuova-evangelizzazione.html
[8]Congregazione per la Dottrina della Fede, “Nuova redazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica sulla pena di morte” – Rescriptum “ex Audentia SS.mi”, 02.08.2018 , www.vatican.va , http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/08/02/0556/01209.html#it
[9]Congregazione per la Dottrina della Fede : “Lettera ai Vescovi circa la nuova redazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica sulla pena di morte”, 02.08.2018, www.vatican.va , http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/08/02/0556/01210.html
[10]Congregazione per la Dottrina della Fede : “Lettera ai Vescovi circa la nuova redazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica sulla pena di morte”, 02.08.2018, www.vatican.va , http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/08/02/0556/01210.html
[11]Francesco “Discorso alla Delegazione della Commissione internazionale contro la pena di morte”, del 17.12.2018 , www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/december/documents/papa-francesco_20181217_commissione-contropena-dimorte.html
[12]Francesco “Discorso alla Delegazione della Commissione internazionale contro la pena di morte”, del 17.12.2018, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/december/documents/papa-francesco_20181217_commissione-contropena-dimorte.html
[13]Francesco “Discorso alla Delegazione della Commissione Internazionale contro la pena di morte”, del 17.12.2018, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/december/documents/papa-francesco_20181217_commissione-contropena-dimorte.html
[14]Card. A. Dulles “Catholicism and capital punishment” First Things April , 2001 https://www.firstthings.com/article/2001/04/catholicism-capital-punishment) la traduzione italiana di tale articolo si può trovare in vari siti cattolici (“Cattolicesimo e pena capitale”, alleanzacattolica.org, 27.4.2007 , https://alleanzacattolica.org/cattolicesimo-e-pena-capitale/
[15]Card. A. Dulles “Cattolicesimo e pena capitale”, alleanzacattolica.org, 27.4.2007 https://alleanzacattolica.org/cattolicesimo-e-pena-capitale/
[16]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 60
[17]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 62
[18]Giovanni Paolo II Lettera Enciclica “Evangelium Vitae”, 25.3.1995, n. 9, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25031995_evangelium-vitae.html
[19]S. Ambrogio “De Cain et Abel” citato in Giovanni Paolo II “Evangelium Vitae” n. 9
[20]Card. A. Dulles “Cattolicesimo e pena capitale” , alleanzacattolica.org, 27.4.2007, https://alleanzacattolica.org/cattolicesimo-e-pena-capitale/
[21]Cfr. “Discorso alla Delegazione della Commissione Internazionale contro la pena di morte”, del 17.12.2018, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/december/documents/papa-francesco_20181217_commissione-contropena-dimorte.html
[22]Cfr. “La Bibbia commentata dai Padri. Nuovo Testamento”Città Nuova, Roma 2017, 4/1, pag. 375; G. Ricciotti “Vita di Cristo”, Mondadori, 2011, III ristampa pp. 463s
[23]Cfr. “Lettera 153”, 9 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/lettere/index2.htm
[24]Cfr. s. Agostino, “Omelia 33”, n. 4, www.augustinus.it , https://www.augustinus.it/italiano/commento_vsg/omelia_033.htm
[25]Cfr. s. Agostino, Omelia 33, n. 4 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/commento_vsg/omelia_033.htm
[26]H. Lio “Poena mortis” in “Dictionarium morale et canonicum”, Officuum Libri Catholici , Catholic Book Agency, Romae, 1966 , III p. 678
[27]“Metonimia” in Vocabolario on line, www.treccani.it, http://www.treccani.it/vocabolario/metonimia/
[28]“ μάχαιρα” in Thayer’s Greek Lexicon, Electronic Database, biblehub.com ,
https://biblehub.com/greek/3162.htm
[29]Heinrich August Wilhelm Meyer’s NT Commentary , “Romans” 13,4 in biblehub.com , https://biblehub.com/commentaries/meyer/romans/13.htm
[30]Innocenzo I, “Lettera ad Exsuperius” del 20.2.405; PL 20 , 498-502; per la traduzione precisa si veda A. di Berardino, a cura di, “I canoni dei concili della chiesa antica”. vol. II. “I concili latini. Decretali. Concili Romani. Canoni di Serdica”, Institutum Patristicum Augustinianum, Roma 2008, p. 117
[31]Cfr. “Discorso alla Delegazione della Commissione internazionale contro la pena di morte”, del 17.12.2018, www.vatican.va , https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/december/documents/papa-francesco_20181217_commissione-contropena-dimorte.html
[32]Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018
[33]M. Sales “Il Nuovo Testamento commentato dal p. Marco Sales” Edd. LICET e Marietti , Torino, 1914 , v. II p. 540s
[34]Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace “Compendio della Dottrina sociale della Chiesa”, 2.4.2004, n. 380 www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html#a)%20La%20signoria%20di%20Dio
[35]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 63
[36]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 63
[37]Cfr. “Discorso alla Delegazione della Commissione internazionale contro la pena di morte”, del 17.12.2018, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/december/documents/papa-francesco_20181217_commissione-contropena-dimorte.html
[38]Card. A. Dulles “Cattolicesimo e pena capitale” , alleanzacattolica.org, 27.4.2007 https://alleanzacattolica.org/cattolicesimo-e-pena-capitale/
[39]Cfr. E. Feser, J. Bessette, “By Man Shall His Blood be Shed. A Catholic Defense of Capital Punishment” Ignatius, San Francisco, 2017, cap. 2, paragrafo intitolato “Capital punishment in Scripture”
[40]Ch. Journet, “L’Église du Verbe incarné”, t. 1, La hiérarchie apostolique, Saint-Maurice, éditions Saint-Augustin, 1998, p. 575; citato in Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[41]Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace “Compendio della Dottrina sociale della Chiesa”, 2.4.2004,, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html#a)%20La%20signoria%20di%20Dio
[42]S. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. “Evangelium Vitae” 25.5.1995 n. 40s , www.vatican.va ,
http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25031995_evangelium-vitae.html
[43]S. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. “Evangelium Vitae” 25.5.1995 n. 56 , www.vatican.va ,
http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25031995_evangelium-vitae.html
[44]Cf Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2263-2269; cf Catechismo del Concilio di Trento III, 327-332.)”(S. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. “Evangelium Vitae” 25.5.1995 n. 55 , www.vatican.va ,
http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25031995_evangelium-vitae.html
[45]S. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. “Evangelium Vitae” 25.5.1995 n. 55 , www.vatican.va ,
http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25031995_evangelium-vitae.html
[46]Cf S. Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 64, a. 7; S. Alphonsi Mariae de Ligorio, Theologia moralis, l. III, tr. 4, c. 1, dub. 3; S. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. “Evangelium Vitae” 25.5.1995 n. 55 , www.vatican.va ,
http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25031995_evangelium-vitae.html
[47]Cfr. “Discorso alla Delegazione della Commissione internazionale contro la pena di morte”, del 17.12.2018, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/december/documents/papa-francesco_20181217_commissione-contropena-dimorte.html
[48]Card. A. Dulles “Cattolicesimo e pena capitale” , alleanzacattolica.org, 27.4.2007 https://alleanzacattolica.org/cattolicesimo-e-pena-capitale/
[49]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 74
[50]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 74-95
[51]Concilio Vaticano I, Cost. Dogm. “Dei Filius”, c. 2: Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 3007
[52]Hernán Giudice “Argumentos racionales y bíblicos sobre la pena de muerte en la patrística” in Teología y Vida, Vol. LII (2011), 307-322 https://scielo.conicyt.cl/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S0049-34492011000100017
[53]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition”, University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 84
[54]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 75
[55]In “Fathers of the Church”, Translated by Thomas Falls. New York: Christian Heritage, 1948.vol. 6; PG. 6, col. 330s, 342, 431
[56]In “Ante-Nicene Fathers”, ed. Alexander Roberts and James Donaldson, vol. 2 , New York: Christian Literature Publishing Co., 1885
[57]In “Ante-Nicene Fathers”, ed. Alexander Roberts and James Donaldson, vol. 1, New York: Christian Literature Publishing Co., 1885 p. 517. 552; PG 7, 1095ss; 1187
[58]In “Fathers of the Church”, vol. 85. Translated by John Ferguson. Washington, D.C.: The Catholic University of America Press, 1991, pp. 149–50 ; PG. 8, 918-922
[59]In “Ante-Nicene Fathers”, ed. Alexander Roberts and James Donaldson, New York: Christian Literature Publishing Co., 1885, vol. 2, p. 438; PG. 8, 1322ss
[60]In “Fathers of the Church”, vol. 23. Translated by Simon P. Wood. New York: Fathers of the Church, 1954 pp. 58, 63; 233-237; PG. 8, 326-340; 612-618
[61]In “Ante-Nicene Fathers”, ed. Alexander Roberts and James Donaldson, vol. 3, p. 72; PL 1,686
[62]In “Ante-Nicene Fathers”, ed. Alexander Roberts and James Donaldson, vol. 3,New York: Christian Literature Publishing Co., 1885, p. 73; PL 1,689s
[63]In “Fathers of the Church”, vol. 40.Translated by Edwin A. Quain, S.J. New York: Fathers of the Church, 1959; PL 1,91ss)
[64]In “Fathers of the Church”, vol. 40. Translated by Rudolph Arbesmann, O.S.A. New York: “Fathers of the Church”, 1959, p. 90; PL 1,651s
[65]“Ante-Nicene Fathers”, ed. Alexander Roberts and James Donaldson, vol. 3, New York: Christian Literature Publishing Co., 1885 p. 647; PL. 2,150
[66]In “Fathers of the Church” vol. 10. Translated by Edwin A. Quain, S.J. Washington, D.C.: The Catholic University of America Press, 1950, p. 302; PL. 2,745ss
[67]In “Fathers of the Church”, vol. 10. Translated by Emily J. Daly, C.S.J. Washington, D.C.: The Catholic University of America Press, 1950, p. 19; PL 1, 284ss
[68]In “Fathers of the Church”, vol. 51. Translated by Rose B. Donna. Washington, D.C.: The Catholic University of America Press, 1964, p. 194; Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, Vindobonae 1868 v. III. pars I p. 691ss https://archive.org/details/corpusscriptoru16wissgoog/page/n889/mode/2up?view=theater); “Ad Demetrianum”, ch. 13 (In “Fathers of the Church”, vol. 36. Translated by Roy J. Deferrari. New York: “Fathers of the Church”, 1958, p. 179; PL 4, 554
[69]In “Fathers of the Church”, vol. 10. Translated by R. Arbesmann. Washington, D.C.: The Catholic University of America Press, 1950, p. 387; PL 3,333-335
[70]“Ante-Nicene Fathers”, ed. Alexander Roberts and James Donaldson, vol. 7, New York: Christian Literature Publishing Co., 1886, p. 187, PL 6, 705-713; cf. “Epitome Divinarum Institutionum” 59 (64)
[71]“Ante-Nicene Fathers”, ed. Alexander Roberts and James Donaldson, vol. 7, New York: Christian Literature Publishing Co., 1886, no. 64, par. 2, p. 249; PL 6, 1067ss
[72]“Ante-Nicene Fathers”, ed. Alexander Roberts and James Donaldson, vol. 7, New York: Christian Literature Publishing Co., 1886, p. 273; PL 7, 126ss
[73]S. Ireneo di Lione, “Adversus Haereses” 5, 24, 1 citato in Hernán Giudice “Argumentos racionales y bíblicos sobre la pena de muerte en la patrística” in Teología y Vida, Vol. LII (2011), 307-322 https://scielo.conicyt.cl/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S0049-34492011000100017 ; cfr. anche s. Ireneo di Lione, Adversus Haereses 4, 36
[74]“Contra Celsum”, trans. Henry Chadwick , Cambridge: Cambridge University Press, 1953, bk. 8, ch. 65, p. 501; PG 11,1614
[75]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 81
[76]Clemente Alessandrino, Stromateis, bk. 1, ch. 27, par. 171 (FOC, vol. 85, p. 149), PG 8, 918-921
[77]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 79
[78]Cfr. “De duodecim abusionibus saeculi”, PL 4 col. 877-878 , IX https://play.google.com/books/reader?id=M0rUVSsdr5IC&hl=it&pg=GBS.PA877
[79]Cfr. “Epistola ad Fortunatum de Exhortatione Martyrii” , PL 4, col. 658ss , V, https://books.google.it/books?id=M0rUVSsdr5IC&redir_esc=y
[80]Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018
[81]Cfr. “Lactance, Epitome des Institutions Divines, trans. Michel Perrin (Paris: Les Editions du Cerf, 1987
[82]Salvatore Sciortino, “Gli indices nel processo criminale extra ordinem” in “Iuris Antiqui Historia. An international Journal on ancient law” 3. 2011 cfr. F. M. Cappello, p. 60; cfr. A. Levi “Enciclopedia Italiana (1931)”www.treccani.it , https://www.treccani.it/enciclopedia/delazione_%28Enciclopedia-Italiana%29/
[83]F. M. Cappello, A. Levi “Enciclopedia Italiana (1931)”www.treccani.it , https://www.treccani.it/enciclopedia/delazione_%28Enciclopedia-Italiana%29/
[84]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 75
[85]Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[86]Cfr. “Epist. Ad Studium” P. L. t. XVI, col. 1040 A, cit. in H. Lio “Poena mortis” in “Dictionarium morale et canonicum”, Officium Libri Catholici, Catholic Book Agency, Romae, 1966 , III p. 678
[87]Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[88]Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[89]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 pp. 85s
[90]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 86
[91]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 87
[92]Hernán Giudice “Argumentos racionales y bíblicos sobre la pena de muerte en la patrística” in Teología y Vida, Vol. LII (2011), 307-322 https://scielo.conicyt.cl/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S0049-34492011000100017
[93]Parsons, ed., “Saint Augustine Letters”, vol. 3, Letter 133, 3–6; Letter 134, 6–12; Letter 139(2),
53–57; vol. 4, Letter 185, 166, 167; Nicene and Post-Nicene Fathers, ed. Schaff, vol. 1, Letter 88
(7), 369–373.
[94]“Lettera a Marcellino”, Lettera 133, 1.2: PL 33, 509; traduzione tratta dal sito www.augustinus.it che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/lettere/index2.htm
[95]“Augustine, The City of God, 32; The Sermons of Saint Augustine, ed. Rotelle, Sermon 32, 357, 358; The Letters of Saint Augustine in The Nicene and Post-Nicene Fathers, ed. Schaff, vol. 1, Letter 47 (5), 292, 294; Saint Augustine Letters, ed. Parsons, vol. 3, Letter 153 (17), 281–303; vol. 4, Letter 204 (5), 3–8; Augustine, De Ordine in The “Fathers of the Church” (New York: CIMA Publishing, 1948) vol. 1, 287, 288.”(Thompson “Augustine and the Death Penalty”Augustinian Studies 40(2) p. 197 nota 58)
[96]S. Agostino “L’ordine” l. 2 n.4 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/ordine/index2.htm
[97]Sant’Agostino, “La città di Dio”, l. I, n. 21, traduzione tratta dal sito www.augustinus.it che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/cdd/index2.htm
[98]Cfr. “Lettera 47”, 5 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/lettere/index2.htm
[99]“Lettera 153”, 8 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/lettere/index2.ht
[100]Cfr.”Lettera 153″, 9 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/lettere/index2.htm
[101]“Lettera 153”, 19 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/lettere/index2.htm
[102]S. Agostino “Il discorso del Signore sulla montagna” l. I n. 20,64 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/montagna/index2.htm
[103]Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018, https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[104]“In Isaiam”, V, XIII; PL 24, 157 https://books.google.it/books?id=QqEOAAAAQAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false
[105]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 213 nota 87
[106]Cfr. Anonyme “Les Constitutions apostoliques”, tome III Livres VII-VIII Éd. et trad. M. Metzger, Cerf, 1987 (Sources chrétiennes n. 336) , p. 29, VII, 2, 8; testo citato in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/)
[107]Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[108]Gratiani, “Concordia discordantium canonum” PL 187 https://books.google.it/books?id=JsMGxm8mJeEC&redir_esc=y; https://geschichte.digitale-sammlungen.de//decretum-gratiani/online/angebot ; http://gratian.org/
[109]Cfr f. J. Gaudemet, « Non occides (Ex 20, 13) », in A. Melloni et alii (dir.), “Cristianesimo nella storia. Saggi in onore di Giuseppe Alberigo”, Bologna, 1996, pp. 89-99.
[110]Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[111]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 84
[112]Card. A. Dulles “Cattolicesimo e pena capitale” , alleanzacattolica.org, 27.4.2007 https://alleanzacattolica.org/cattolicesimo-e-pena-capitale/
[113]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 94
[114]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 142s
[115]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 142s
[116]Y. Congar “La fede e la teologia”, pp. 163-164 citato in A. Bellon “Le scrivo da San Pietroburgo (Russia) e le chiedo come la Chiesa Cattolica spiega il concetto del “consenso dei padri”, Amici Domenicani 14.8.2017 https://www.amicidomenicani.it/le-scrivo-da-san-pietroburgo-russia-e-le-chiedo-come-la-chiesa-cattolica-spiega-il-concetto-del-consenso-dei-padri/
[117]Cfr. E. Feser, J. Bessette, “By Man Shall His Blood be Shed. A Catholic Defense of Capital Punishment” Ignatius, San Francisco, 2017,, p. 119., cit. in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[118]Cfr. Card. A. Dulles “Cattolicesimo e pena capitale” , alleanzacattolica.org, 27.4.2007 https://alleanzacattolica.org/cattolicesimo-e-pena-capitale/
[119]Cfr. S. Bonaventura, Opera omnia, Vivès, 1868, t. 12, p. 250. “Sermo VI”))(Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[120]“Commentaria in IV libros Sententiarum Petri Lombardi. ” l. III , q. XXXVII dub. V in S. Bonaventurae “Opera Omnia” ed. Quaracchi 1887 , t. III, p. 834
[121]S. Tommaso d’ Aquino”Somma contro i gentili”, lib. 3 cap. 146 n. 7 e 8 Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, Prima edizione eBook: Marzo 2013
[122]Cfr. II-II q. 25 a. 6 mia traduzione riprendendo la traduzione fatta dalle Edizioni Studio Domenicano https://www.edizionistudiodomenicano.it/Docs/Sfogliabili/La_Somma_Teologica_Seconda_Parte_2/index.html#273/z
[123]I-II q. 105 a. 2 ad. 9 traduzione tratta dalla “Somma Teologica” pubblicata online dall’editrice ESD https://www.edizionistudiodomenicano.it/Docs/Sfogliabili/La_Somma_Teologica_Seconda_Parte/index.html#1100/z
[124]Cfr. citazione tratta da da J.-Y. Pertin, J.-Y. Pertin, “Justice et gouvernement dans l’Église d’après les Lettres de saint Grégoire le Grand”, L’Harmattan, 2015, p. 309. I riferimenti delle lettere sono realizzati sull’edizione di D. Norberg, Gregorii Magni “Registrum epistularum”, CCSL 140-140A, (l. XII, epistula 11) Tournai, 1982
[125]Cfr. citazione tratta da J.-Y. Pertin, J.-Y. Pertin, Justice et gouvernement dans l’Église d’après les Lettres de saint Grégoire le Grand, L’Harmattan, 2015 p. 286 I riferimenti delle lettere sono realizzati sull’edizione di D. Norberg, Gregorii Magni “Registrum epistularum”, CCSL 140-140A, (l. VIII, epistula19) Tournai, 1982 , Tournai, 1982, cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[126]Cfr. citazione tratta da J.-Y. Pertin, J.-Y. Pertin, Justice et gouvernement dans l’Église d’après les Lettres de saint Grégoire le Grand, L’Harmattan, 2015 p. 291. I riferimenti delle lettere sono realizzati sull’edizione di D. Norberg, Gregorii Magni “Registrum epistularum”, CCSL 140-140A (l. IX, epistula 86)
[127]S. Antonino “Summa Theologica” Veronae, MDCCXL, Ex Typographia Seminarii, p. 708, p. I, t. XIV , c. IV § IX https://play.google.com/store/books/details?id=BMNiAAAAcAAJ&rdid=book-BMNiAAAAcAAJ&rdot=1
[128]“De controversiis christianae fidei, adversus hujus temporis haereticos”, II, 3, 13, éd. Ingolstadt, 1591, t. 2, col. 653.
[129]“Relectiones theologiae”, De homicidio X, 16-18, éd. Lyon, 1557, t. 1er, p. 129. cit. in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[130]“Opus de triplici virtute theologica fide, spe & charitate”, XXIII, 1, 2, éd. Lyon, 1621, p. 374 cit. in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[131]Cfr. “Le grand catéchisme de Canisius”, trad. A. C. Peltier, Vivès, 1857, t. 4, p. 69- 70, II, 1, 3, 9 cit. in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[132]Cfr. Roberti Bellarmini “De controversiis christianae fidei, adversus hujus temporis haereticos” Apud Societatem Minimam, Venetiis , 1599, t. 2, col. 475s, II, 3, 13,; cit. in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[133]S. Alfonso M. de Liguori “Istruzione e pratica pei confessori”, in “Opere di S. Alfonso Maria de Liguori”, Pier Giacinto Marietti, Torino 1880 Vol. IX, pp. 162s
[134]Sant’Alfonso Maria de Liguori “Confessore diretto per le confessioni della gente di campagna”, in «Opere di S. Alfonso Maria de Liguori», Pier Giacinto Marietti, Vol. IX, Torino 1880, p. 672
[135]S. Alfonso Maria de Liguori
“Istruzione al popolo” in “Opere di S. Alfonso Maria de Liguori”, Pier Giacinto Marietti, Vol. VIII, Torino 1880 p. 936
[136]Innocenzo I, “Lettera ad Exsuperius” del 20.2.405; PL 20 , 498-502; per la traduzione precisa si veda A. di Berardino, a cura di, “I canoni dei concili della chiesa antica. vol. II. I concili latini. 1 Decretali. Concili Romani. Canoni di Serdica”, Institutum Patristicum Augustinianum, Roma 2008, p. 117
[137]PL 54, 680; Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n.283.
[138]Cfr. Bull. t. 1, p. 221 (da ora in poi B), Ep. XII, citato in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale /
[139]PL 69, 394. ep. I; citato in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[140]PL 80, 481, Epistola XIII ; JE 2025 ; Mansi X, 585, [34] (citato in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale /
[141]Cfr. J.-Y. Pertin in “Justice et gouvernement dans l’Église d’après les Lettres de saint Grégoire le Grand, L’Harmattan, 2015, p. 293. I riferimenti delle lettere sono realizzati sull’edizione di D. Norberg, Gregorii Magni “Registrum epistularum”, CCSL 140-140A, Tournai, 1982, citazione tratta da Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[142]Cfr. citazione fatta in J.-Y. Pertin, “Justice et gouvernement dans l’Église d’après les Lettres de saint Grégoire le Grand”, L’Harmattan, 2015, p. 286; cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[143]Cfr. citazione fatta in J.-Y. Pertin, “Justice et gouvernement dans l’Église d’après les Lettres de saint Grégoire le Grand”, L’Harmattan, 2015, p. 291. Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[144]“Responsa ad consulta Bulgarorum”, PL 119, 978-1016) dell’anno 866 affronta un gran numero di domande dogmatiche e canoniche e ribadisce la legittimità della pena di morte. (Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[145]Cfr. ““Responsa ad consulta Bulgarorum””, PL 119, 978-1016, cap. 26 citato in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[146]Cfr. Gratiani, “Concordia discordantium canonum” PL 187, 1234, P. II C. 23, q. 5, c. 47 https://books.google.it/books?id=JsMGxm8mJeEC&redir_esc=y citazione in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[147]Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881 p. 782, l.V, tit. 7, 10
[148]Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[149] Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 795
[150]Cfr. “Letter of Innocent III to Durand of Huesca and his brethren,” 5 July 1209 in Regesta XV, XII.69; translated in HHM, 226–28 cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 104
[151]Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881 p. 780, l. V, tit. 7, 9
[152]Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881 p. 787ss, l. V, tit. 7, 13
[153]Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881 p. 789, l. V, tit. 7, 15
[154]Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881 p. 1091ss , l. VI, tit. 5, 9 ,5
[155]Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[156]Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881 p. 1091ss , l. VI, tit. 5, 9 ,5, citato in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/)
[157]Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881 p. 810, l. V, tit.18, 1
[158]Su questi testi e sui loro commentatori, cf. H. Gilles, « Peine de mort et droit canonique », La mort et l’au-delà en France méridionale (XIIe-XVe siècles), Privat [Cahiers de Fanjeaux, 33], Toulouse, 1998, pp. 393-416.] Citato in: Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[159]Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881, p.789 l. 5, 7, 15
[160]Antonia Fiori “Eresie” in “Federiciana” (2005), testo pubblicato online sul sito www.treccani.it http://www.treccani.it/enciclopedia/eresie_(Federiciana)/
[161]Concetta Bianca “Martino V” in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 71 (2008) http://www.treccani.it , http://www.treccani.it/enciclopedia/papa-martino-v_%28Dizionario-Biografico%29/
[162]Joseph Von Hefele, “Histoire des Conciles d’après les documents originaux”, Letouzey et Ané, Parigi 1907, vol. I, pp. 53, 68-74 e vol. VII-1, p. 571).”(R. De Mattei “Fake news? No, verità storica” http://www.robertodemattei.it/2020/08/24/fake-news-no-verita-storica/
[163]C. J. Hefele “Histoire des Conciles d’après les documents originaux”, Librairie Le Clere , Paris 1876, T. 11 p. 83 https://play.google.com/books/reader?id=7qvS0vQT8HcC&hl=it&pg=GBS.PA78
[164]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003 n. 1272
[165]Const. “Quum secundum statuta”, in Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881, p. 1190s ; l. 5, tit. 9, 1
[166]Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[167]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003 n. 1483
[168]Cfr. Radio Spada “Traduzione italiana della bolla “Exsurge Domine” di Leone X contro Lutero” Radio Spada 15.6. 2019 https://www.radiospada.org/2019/06/traduzione-della-bolla-exsurge-domine-di-leone-x-contro-lutero/
[169]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003 n. 1492
[170]Cfr. Radio Spada “Traduzione italiana della bolla “Exsurge Domine” di Leone X contro Lutero” Radio Spada 15.6. 2019 https://www.radiospada.org/2019/06/traduzione-della-bolla-exsurge-domine-di-leone-x-contro-lutero/
[171]“Catechismo Tridentino”, ed Cantagalli 1992, n. 328 https://www.maranatha.it/catrident/30page.htm
[172]Leone XIII, “Pastoralis Officii”, www.vatican.va , https://w2.vatican.va/content/leo-xiii/it/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_12091891_pastoralis-officii.html , cfr. Heinrich Denzinger
“Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n.3272
[173]Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[174]https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[175]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 3720
[176]Pio XII “Discorso ai Parroci e ai quaresimalisti” del 23.2.1944 www.vatican.va , https://www.vatican.va/content/pius-xii/it/speeches/1944/documents/hf_p-xii_spe_19440223_inscrutabile-consiglio.html
[177]Pio XII , “Discorso all’unione medico-biologica s. Luca”, Domenica, 12 novembre 1944, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/pius-xii/it/speeches/1944/documents/hf_p-xii_spe_19441112_unione-medico-biologica.html
[178]“Address to members of army medical corps” , 13 febbraio 1945, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/pius-xii/en/speeches/1945/documents/hf_p-xii_spe_19450213_medici-chirurghi.html
[179]Cfr. Pio XII, “Discorso ai partecipanti al I Congresso Internazionale di “Istopatologia del Sistema Nervoso””, del 14-9-1952, www.vatican.va , https://w2.vatican.va/content/pius-xii/es/speeches/1952/documents/hf_p-xii_spe_19520914_istopatologia.html
[180]“Discorso ai partecipanti del VI Convegno Nazionale di studio della Unione dei Giuristi Cattolici Italiani” de l5.12.1954 www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/pius-xii/it/speeches/1954/documents/hf_p-xii_spe_19541205_giuristi-cattolici.html
[181]Benedetto XVI, Esort. Ap. postsinodale “Africae munus” (19 novembre 2011), n. 83 www.vatican.va https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/apost_exhortations/documents/hf_ben-xvi_exh_20111119_africae-munus.html
[182]Id., “Udienza generale” 30 novembre 2011 www.vatican.va https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2011/documents/hf_ben-xvi_aud_20111130.html
[183]Giovanni Paolo II “Evangelium Vitae”, 25.3.1995 , n. 56, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25031995_evangelium-vitae.html
[184]Mimmo Muolo “Dalla mela di Adamo alla pena di morte.” in “Avvenire” del 10.12.1992 p. 17
[185]Cfr. P. G. Accornero, “Parla il vescovo Maggiolini, uno dei redattori.” in “Il nostro tempo” 6.12.1992 , 6
[186]Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 56: AAS 87 (1995) 464; cfr. anche Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2001, 19: AAS 93 (2001) 244, dove il ricorso alla pena di morte è definito « tutt’altro che necessario ».
[187]Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace “Compendio della Dottrina sociale della Chiesa” n. 405, 2.4.2004, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html#a)%20La%20legittima%20difesa
[188]Dulles “Cattolicesimo e pena capitale” , alleanzacattolica.org, 27.4.2007 https://alleanzacattolica.org/cattolicesimo-e-pena-capitale/ ; articolo originale in inglese: Dulles “Catholicism and capital punishment” First Things April , 2001 https://www.firstthings.com/article/2001/04/catholicism-capital-punishment
[189]Dulles “Cattolicesimo e pena capitale” , alleanzacattolica.org, 27.4.2007 https://alleanzacattolica.org/cattolicesimo-e-pena-capitale/ ; articolo originale in inglese: Dulles “Catholicism and capital punishment” First Things April , 2001 https://www.firstthings.com/article/2001/04/catholicism-capital-punishment
[190]Sabino Paciolla “Card. Müller: l’abuso sessuale del clero implica una cattiva condotta sessuale, non solo il clericalismo”, www.sabinopaciolla.com 24.1.2019 https://www.sabinopaciolla.com/card-muller-labuso-sessuale-del-clero-implica-una-cattiva-condotta-sessuale-non-solo-il-clericalismo/
[191]Cfr. Gen 9,6; Gv 19,11; Rom 13, 1-7; Innocenzo III, Professio fidei Waldensibus praescripta; Catechismo Romano del Concilio di Trento, p. III, 5, n. 4; Pio XII, Discorso ai partecipanti al Convegno nazionale di studio dell’Unione dei giuristi cattolici italiani, 5 dicembre, 1954
[192]“La Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità” (1 Tim 3, 15) Dichiarazione sulle verità riguardanti alcuni degli errori più comuni nella vita della Chiesa nel nostro tempo.” in Corrispondenza Romana, 10 giugno 2019 https://www.corrispondenzaromana.it/nota-esplicativa-alla-dichiarazione-sulle-verita-riguardanti-alcuni-degli-errori-piu-comuni-nella-vita-della-chiesa-nel-nostro-tempo-nel-nostro-tempo-la-chiesa-sta-vivendo-una-del/
[193]Bernard Wuellner, Dictionary of Scholastic Philosophy (Milwaukee: Bruce, 1956), pp. 68-69
[194]Bessette and Feser “By Man Shall His Blood Be Shed. A Catholic Defense of Capital Punishment” Ignatius Press, San Francisco, 2017, capitolo “”Natural Law and Capital Punishment”
[195]Cfr. H. Lio“Poena mortis” in “Dictionarium morale et canonicum”, Officuum Libri Catholici , Catholic Book Agency, Romae, 1966 , III p. 678
[196]Sabino Paciolla “Card. Müller: l’abuso sessuale del clero implica una cattiva condotta sessuale, non solo il clericalismo”, www.sabinopaciolla.com 24.1.2019 https://www.sabinopaciolla.com/card-Müller-labuso-sessuale-del-clero-implica-una-cattiva-condotta-sessuale-non-solo-il-clericalismo/
[197]Cfr. Francesco Cardinal Roberti and Pietro Palazzini, eds., “Dictionary of Moral Theology” (London: Burns and Oates, 1962), p. 697
[198]Cfr. Bessette and Feser “By Man Shall His Blood Be Shed. A Catholic Defense of Capital Punishment” Ignatius Press, San Francisco, 2017, capitolo “”Natural Law and Capital Punishment”
[199]Vocabolario Online, voce :“Ordinazione” in Vocabolario Online, Treccani (testo consultato il 6.7.2020)
http://www.treccani.it/vocabolario/ordinazione/
[200]Leo XIII, Lettera Enciclica “Libertas Praestantissimum” del 20 giugno 1888, n. 8, , www.vatican.va, http://w2.vatican.va/content/leo-xiii/it/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_20061888_libertas.html
[201]Paolo VI, Lettera Enciclica “Humanae Vitae” del 1968,, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_25071968_humanae-vitae.html
[202]Cfr. Bessette and Feser “By Man Shall His Blood Be Shed. A Catholic Defense of Capital Punishment” Ignatius Press, San Francisco, 2017, paragrafo “Capital Punishment
[203]Hernán Giudice “Argumentos racionales y bíblicos sobre la pena de muerte en la patrística” in Teología y Vida, Vol. LII (2011), 307-322 https://scielo.conicyt.cl/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S0049-34492011000100017
[204]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 84
[205]Leone XIII Lett. Enc. “Immortale Dei”, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/leo-xiii/it/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_01111885_immortale-dei.html
[206]Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace “Compendio della Dottrina sociale della Chiesa”, 2.4.2004 www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html#a)%20La%20signoria%20di%20Dio
[207]Cfr. I-II, q. 93, a. 3, ad 2: Ed. Leon. 7, 164 testo citato in Catechismo della Chiesa Cattolica n.1902
[208]Leone XIII Lettera Enciclica “Immortale Dei”, 1.11.1985, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/leo-xiii/it/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_01111885_immortale-dei.htm
[209]Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace “Compendio della dottrina sociale della Chiesa”, 2.4.2004, n. 402, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html#e)%20Infliggere%20le%20pene
[210]Cfr. citazione tratta da da J.-Y. Pertin, J.-Y. Pertin, Justice et gouvernement dans l’Église d’après les Lettres de saint Grégoire le Grand, L’Harmattan, 2015, p. 309 . I riferimenti delle lettere sono realizzati sull’edizione di D. Norberg, “Gregorii Magni “Registrum epistularum”, CCSL 140-140A, (l. XII, epistula 11) Tournai, 1982
[211]Cfr. citazione tratta da J.-Y. Pertin, J.-Y. Pertin, Justice et gouvernement dans l’Église d’après les Lettres de saint Grégoire le Grand, L’Harmattan, 2015 p. 286 I riferimenti delle lettere sono realizzati sull’edizione di D. Norberg, Gregorii Magni “Registrum epistularum”, CCSL 140-140A, (VIII, 19) Tournai, 1982
[212]Cfr. citazione tratta da J.-Y. Pertin, J.-Y. Pertin, Justice et gouvernement dans l’Église d’après les Lettres de saint Grégoire le Grand, L’Harmattan, 2015 p. 291 . I riferimenti delle lettere sono realizzati sull’edizione di D. Norberg, Gregorii Magni “Registrum epistularum”, CCSL 140-140A, (l. IX, epistula 86) Tournai, 1982
[213]Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[214]Cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace “Compendio della dottrina sociale della Chiesa”, 2.4.2004, n. 402, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html#e)%20Infliggere%20le%20pene
[215]Voce “Poena”, P. Palazzini, Dictionarium morale et canonicum, Officium Libri Catholici, Rome, 1962, t. 3, p. 673-675, cité par M. Hendrickx, « Le magistère et la peine de mort. Réflexions sur le Catéchisme et “Evangelium vitæ” », Nouvelle Revue Théologique, t. 118/1, 1996, p. 12.
[216]Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[217]“Discorso alla Delegazione dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale” (23 ottobre 2014), www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2014/october/documents/papa-francesco_20141023_associazione-internazionale-diritto-penale.html
[218]Cfr. Discorso a una delegazione dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale, 23 ottobre 2014
[219]Francesco “Discorso alla Delegazione della Commissione internazionale contro la pena di morte”, del 17.12.2018, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/december/documents/papa-francesco_20181217_commissione-contropena-dimorte.html
[220]Francesco “Discorso alla Polizia Penitenziaria, al Personale dell’ Amministrazione Penitenziaria e della Giustizia Minorile e di Comunità”, Sabato, 14 settembre 2019, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/september/documents/papa-francesco_20190914_polizia-penitenziaria.html
[221]Francesco “Discorso ai partecipanti al XX Congresso mondiale dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale”, Venerdì, 15 novembre 2019, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/november/documents/papa-francesco_20191115_diritto-penale.html
[222]“Discorso ai Partecipanti all’Incontro internazionale per i Responsabili regionali e nazionali della Pastorale Carceraria”, 8 novembre 2019, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/november/documents/papa-francesco_20191108_pastorale-carceraria.html
[223]Giovanni Paolo II, Lett. Enc. “Evangelium Vitae” 25.5.1995 n. 55 , www.vatican.va ,
http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25031995_evangelium-vitae.html
[224]Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace “Compendio della dottrina sociale della Chiesa”, 2.4.2004, n. 500, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html#e)%20Infliggere%20le%20pene
[225]S. Alphonsi Mariae de Ligorio: “Theologia moralis” t. III Romae, Typis Polyglottis Vaticanis MCCCCIX, Editio photomechanica. Sumptibus CssR. 1953, p. 663 https://www.santalfonsoedintorni.it/theologia-moralis_1.html
[226]Giovanni Paolo II, Lett. Enc. “Evangelium Vitae” 25.5.1995 n. 56 , www.vatican.va ,
http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25031995_evangelium-vitae.html
[227]IIª-IIae q. 49 a. 8 ad 3 traduzione tratta dalla edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, curata da ESD cioè Editrice Studio Domenicano
[228]Somma contro i gentili, lib. 3 cap. 146 n. 7 e 8 Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, Prima edizione eBook: Marzo 2013
[229] https://www.jewishvirtuallibrary.org/capital-punishment (articolo visto il 6.7.2020)
[230]http://www.jewishencyclopedia.com/articles/4005-capital-punishment (articolo visto il 6.7.2020)
[231]Cfr. Haim Hermann Cohn, Louis Isaac Rabinowitz , Menachem Elon “Capital punishment” in “Encyclopedia Judaica”, The Gale Group 2008,(articolo visto il 6.7.2020) https://www.jewishvirtuallibrary.org/capital-punishment
[232]Cfr. Haim Hermann Cohn, Louis Isaac Rabinowitz , Menachem Elon “Capital punishment” in “Encyclopedia Judaica”, The Gale Group 2008,(articolo visto il 6.7.2020) https://www.jewishvirtuallibrary.org/capital-punishment
[233]Cfr. Haim Hermann Cohn, Louis Isaac Rabinowitz , Menachem Elon “Capital punishment” in “Encyclopedia Judaica”, The Gale Group 2008,(articolo visto il 6.7.2020) https://www.jewishvirtuallibrary.org/capital-punishment
[234]Cfr. Haim Hermann Cohn, Louis Isaac Rabinowitz , Menachem Elon “Capital punishment” in “Encyclopedia Judaica”, The Gale Group 2008,(articolo visto il 6.7.2020) https://www.jewishvirtuallibrary.org/capital-punishment
[235]Jacob Neusner “Crucifixion in Rabbinic Context: Juridical or Theological?” in Shofar , An Interdisciplinary Journal of Jewish Studies Vol. 23, No. 3 • 2005 pp. 84s
[236]Cfr. Jacob Neusner “Crucifixion in Rabbinic Context: Juridical or Theological?” in Shofar , An Interdisciplinary Journal of Jewish Studies Vol. 23, No. 3 • 2005 p. 81
[237]Cfr. Jacob Neusner “Crucifixion in Rabbinic Context: Juridical or Theological?” in Shofar , An Interdisciplinary Journal of Jewish Studies Vol. 23, No. 3 • 2005 p. 81s
[238]Cfr. Jacob Neusner “Crucifixion in Rabbinic Context: Juridical or Theological?” in Shofar , An Interdisciplinary Journal of Jewish Studies Vol. 23, No. 3 • 2005 p. 83
[239]Cfr. Jacob Neusner “Crucifixion in Rabbinic Context: Juridical or Theological?” in Shofar , An Interdisciplinary Journal of Jewish Studies Vol. 23, No. 3 • 2005 p. 83s
[240]La Civiltà Cattolica, “Un incontro privato del Papa con alcuni gesuiti colombiani” anno 2017, quaderno 4015,volume IV pag. 3 – 10, 7 ottobre 2017 https://it.aleteia.org/2017/09/29/amoris-laetitia-papa-francesco-risponde-dubia-morale-tomista/2/
[241]Papa Francesco “Discorso” per “Apertura del Convegno Ecclesiale della Diocesi di Roma con Papa Francesco nella Basilica di San Giovanni in Laterano”, 16.06.2016, www.vatican.va , https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2016/06/16/0447/01021.html
[242]Giovanni XXIII, Encicl. “Mater et Magistra”, III: AAS 53 (1961) 447: cf. Giovanni Paolo II, “Discorso ai sacerdoti partecipanti a un seminario di studio su “La procreazione responsabile””, 17 settembre 1983
[243]Cf. Pio XII, Discorso all’Unione Medico-Biologica “S. Luca”. 12 novembre 1944: Discorsi e Radiomessaggi, VI (1944-1945) 191-192.)
[244]Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. “Donum vitae”, 5, www.vatican.va ,
https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19870222_respect-for%20human-life_it.html
[245]Giovanni Paolo II, “Evangelium Vitae”, 25.3.1995, n. 56, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25031995_evangelium-vitae.html
[246]Giovanni Paolo II “Omelia” 27.1.1999, www.vatican.va , https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/homilies/1999/documents/hf_jp-ii_hom_19990127_stlouis.html
[247]Papa Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale “Ecclesia in America” 63 Ecclesia in America,
[248]Papa Giovanni Paolo II, “Messaggio per la giornata del malato” 11.2.2003, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/messages/sick/documents/hf_jp-ii_mes_20030207_world-day-of-the-sick-2003.html
[249]Cfr. l’articolo di H. Lio in “Dictionarium morale et canonicum”, Romae, 1966, III pag. 677 ss.
[250]Cfr. anche J. Leclerq “Leçons de Droit Naturel.” Wesmael-Charlier , Namur 1946, IV 89
[251]S. Agostino “Confessioni” 2,4,9, traduzione tratta dal sito www.augustinus.it che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/confessioni/index2.htm
[252]“Discorso agli Officiali e Avvocati del Tribunale della Rota Romana per l’inaugurazione dell’anno giudiziario” del 21.1.2000, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/2000/jan-mar/documents/hf_jp-ii_spe_20000121_rota-romana.html
[253]Congregazione per la Dottrina della Fede : “Lettera ai Vescovi circa la nuova redazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica sulla pena di morte a cura della Congregazione per la Dottrina della Fede, 02.08.2018, www.vatican.va , http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/08/02/0556/01210.html
[254]Cost. “Fidei Depositum” del 11-10-1992, www.vatican.va , http://www.vatican.va/archive/catechism_it/aposcons_it.htm
[255]Francesco “Discorso del s. Padre Francesco ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione,” Mercoledì, 11 ottobre 2017, www.vatican.va , https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/october/documents/papa-francesco_20171011_convegno-nuova-evangelizzazione.html
[256]Papa Francesco, Lettera Enciclica “Fratelli tutti” del 3.10.2020 n. 265 , www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20201003_enciclica-fratelli-tutti.html#_ftnref253
[257]Cfr. Lactance, “Epitome des Institutions Divines, trans. Michel Perrin (Paris: Les Editions du Cerf, 1987), chap. VI, 20; Lactantius, “A Treatise on the Anger of God, in “Fathers of the Third and Fourth Centuries”, ed. A. Cleveland Coxe (Edinburgh: T&T Clark, 1989), vol. 7, 273, 274, il testo in questione si trova anche in PL 6, 705-713
[258]Papa Francesco, Lettera Enciclica “Fratelli tutti” del 3.10.2020 n. 265, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20201003_enciclica-fratelli-tutti.html#_ftnref253
[259]“Responsa ad consulta Bulgarorum”, PL 119, 978-1016 https://books.google.it/books?id=3iPuOWKAb0YC&redir_esc=y
[260]Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[261]Cfr. ““Responsa ad consulta Bulgarorum””, PL 119, 978-1016, cap. 26 https://books.google.it/books?id=3iPuOWKAb0YC&redir_esc=y citato in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[262]Papa Francesco, Lettera Enciclica “Fratelli tutti” del 3.10.2020 n. 265 http://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20201003_enciclica-fratelli-tutti.html#_ftnref253
[263]Epistula ad Marcellinum, 133, 1.2: PL 33, 509 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova Sant’Agostino – Lettere (augustinus.it)
[264]Pio X, Motu proprio “Sacrorum antistitum”, giuramento antimodernista, cfr. Heinrich Denzinger
“Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 3541, www.vatican.va https://www.vatican.va/content/pius-x/la/motu_proprio/documents/hf_p-x_motu-proprio_19100901_sacrorum-antistitum.html
[265]Costituzione dogmatica “Dei Filius”, capitolo 4. La fede e la ragione, cfr. Heinrich Denzinger
“Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 3020
[266]George William Rutler, “Pope Francis’ new comments on the death penalty are incoherent and dangerous” Catholic World Report 18.12.2018 https://www.catholicworldreport.com/2018/12/18/pope-francis-new-comments-on-the-death-penalty-are-incoherent-and-dangerous/
[267]E. Echeverria “Pope Francis, the Lérinian legacy of Vatican II, and capital punishment” Catholic World Report, 15.10.2017 https://www.catholicworldreport.com/2017/10/15/pope-francis-the-lerinian-legacy-of-vatican-ii-and-capital-punishment/
[268]Cfr. “L’esortazione apostolica Amoris laetitia: una critica teologica” , Corrispondenza Romana del 17-8-2016 https://www.corrispondenzaromana.it/lesortazione-apostolica-amoris-laetitia-una-critica-teologica/
[269]Cfr. “Discorso di Giovanni Paolo II agli Officiali e Avvocati del Tribunale della Rota Romana per l’inaugurazione dell’anno giudiziario” del 21.1.2000, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/2000/jan-mar/documents/hf_jp-ii_spe_20000121_rota-romana.html
[270]“An Appeal to the Cardinals of the Catholic Church” First Things, 15 August 2018 https://www.firstthings.com/web-exclusives/2018/08/an-appeal-to-the-cardinals-of-the-catholic-church ; D. Montagna “75 clergy, scholars appeal to Cardinals: Urge Francis to ‘withdraw’ death penalty teaching” Lifesite news 15.8.2018 https://www.lifesitenews.com/news/open-appeal-to-cardinals-urge-pope-to-restore-catechism-to-truth-on-death-p
[271]Papa Francesco, “Angelus” del 21-2-2016, , www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/francesco/it/angelus/2016/documents/papa-francesco_angelus_20160221.html
[272]“Videomessaggio al VI Congresso contro la pena di morte”, 21-23.6.2016 , www.vatican.va ,
https://w2.vatican.va/content/francesco/it/messages/pont-messages/2016/documents/papa-francesco_20160621_videomessaggio-vi-congresso-contro-pena-di-morte.html
[273]Giovanni XXIII, Encicl. “Mater et Magistra”, III: AAS 53 (1961) 447: cf. Giovanni Paolo II, “Discorso ai sacerdoti partecipanti a un seminario di studio su “La procreazione responsabile””, 17 settembre 1983 …
[274]Cf. Pio XII, Discorso all’Unione Medico-Biologica “S. Luca”. 12 novembre 1944: Discorsi e Radiomessaggi, VI (1944-1945) 191-192.
[275]Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. “Donum vitae”, 5, www.vatican.va , https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19870222_respect-for%20human-life_it.html
[276]S. Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla 35a Assemblea Generale dell’Associazione Medica Mondiale, 29 ottobre 1983: AAS 76 (1984) 390.
[277]Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. “Donum vitae”, Introduzione n. 4, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19870222_respect-for%20human-life_it.html
[278]Parte 1 n. 1, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19870222_respect-for%20human-life_it.html
[279]Parte III, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19870222_respect-for%20human-life_it.html
[280]Giovanni Paolo II, “Evangelium Vitae”, 25.3.1995, n. 57, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25031995_evangelium-vitae.html
[281]Pio XII , “Discorso all’unione medico-biologica “San Luca””, Domenica, 12 novembre 1944, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/pius-xii/it/speeches/1944/documents/hf_p-xii_spe_19441112_unione-medico-biologica.html
[282]Francesco “Discorso alla Delegazione della Commissione Internazionale contro la pena di morte”, del 17.12.2018, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/december/documents/papa-francesco_20181217_commissione-contropena-dimorte.html
[283]Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 7.12.1965, n. 79: AAS 58 (1966) 1103, www.vatican.va , http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19651207_gaudium-et-spes_it.html
[284]Giovanni Paolo II, “Evangelium Vitae”, 25.3.1995, n. 55, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25031995_evangelium-vitae.html
[285]Cfr., Concetti, Gino, “La peine de mort peut-elle encore etre consideré come légitime?” La Documentation Catholique No. 1750, 1977, pp. 187- 188
[286]Cfr., “Les eveques canadiens et la
peine de mort”, La Documentation Catholique No. 1627, 1973, 246
[287]Cfr., “Commission Sociale de l´Episcopat francais. Eléments
de réflexion sur la peine de mort”, La Documentation Catholique No. 1735, 1978, pp.
108-115
[288]La pena de muerte. Declaración de la Conferencia Episcopal de los Estados Unidos, Eclessia, 1992, pp. 858-862
[289]Carlos Novoa M. S.I.“Castigo de Dios y pena de muerte” Theologica Xaveriana 141 (2002) p. 93 nota 28
[290]Cfr. Concetti “Pena di morte” ed. Piemme , Casale Monferrato 1993 pp. 50s; Blazquez “La pena de muerte segun santo Tomas y l’abolicionismo odierno”, Revista chilena de derecho Vol. 10, no. 2 (ago. 1983), p. 306
[291]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 60
[292]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 61
[293]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 61
[294]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 63
[295]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 63
[296]Innocenzo I, “Lettera ad Exsuperius” del 20.2.405; PL 20 , 498-502; per la traduzione precisa si veda A. di Berardino, a cura di, “I canoni dei concili della chiesa antica. vol. II. I concili latini. 1 Decretali. Concili Romani. Canoni di Serdica”, Institutum Patristicum Augustinianum, Roma 2008, p. 117
[297]Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881, p.789 l. 5, 7, 15
[298]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003 n. 1483
[299]Cfr. Radio Spada “Traduzione italiana della bolla “Exsurge Domine” di Leone X contro Lutero” Radio Spada 15.6. 2019 https://www.radiospada.org/2019/06/traduzione-della-bolla-exsurge-domine-di-leone-x-contro-lutero/
[300]cfr “Catechismo Tridentino”, ed Cantagalli 1992, n. 328 https://www.maranatha.it/catrident/30page.htm
[301]Leone XIII “Pastoralis Officii” , www.vatican.va , https://w2.vatican.va/content/leo-xiii/it/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_12091891_pastoralis-officii.html , cfr. Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n.3272
[302]Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église”, Revue Catholica 16.10.2018 , https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[303]Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. “Donum vitae”, 22.2.1987, n. 5, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19870222_respect-for%20human-life_it.html
[304]“Riflessioni sulla pena di morte” in La Civiltà Cattolica , anno 1981 vol. I p. 417ss https://books.google.it/books?id=29xNAAAAMAAJ&pg=PA416-IA5&lpg=PA416-IA5&dq=la+civilt%C3%A0+cattolica+1981+pena+di+morte&source=bl&ots=PnRe_MWsUe&sig=ACfU3U3a5bQAMDi307ZOA9_KDMCbDXv1zw&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjqt8v2nLHqAhURw8QBHRCYAWoQ6AEwAnoECAoQAQ#v=onepage&q=la%20civilt%C3%A0%20cattolica%201981%20pena%20di%20morte&f=false)
[305]Innocenzo I, “Lettera ad Exsuperius” del 20.2.405; PL 20 , 498-502; per la traduzione precisa si veda A. di Berardino, a cura di, “I canoni dei concili della chiesa antica. vol. II. I concili latini. 1 Decretali. Concili Romani. Canoni di Serdica”, Institutum Patristicum Augustinianum, Roma 2008, p. 117
[306]Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[307]Cfr. “Responsa ad consulta Bulgarorum”, PL 119, 978-1016, cap. 26 citato in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[308]Card. A. Dulles “Cattolicesimo e pena capitale” , alleanzacattolica.org, 27.4.2007 https://alleanzacattolica.org/cattolicesimo-e-pena-capitale/
[309]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 74
[310]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 74-95
[311]Cfr. E. Feser, J. Bessette, “By Man Shall His Blood be Shed. A Catholic Defense of Capital Punishment” Ignatius, San Francisco, 2017, cap. 2, paragrafo intitolato “Capital punishment in Scripture”
[312]Ch. Journet, “L’Église du Verbe incarné”, t. 1, “La hiérarchie apostolique”, Saint-Maurice, éditions Saint-Augustin, 1998, p. 575; citato in Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 (https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[313]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 74-95
[314]Clement of Alexandria, Stromata in The “Ante-Nicene Fathers”, vol. 1, 299–340.
[315]Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881, p.789 l. 5, 7, 15
[316]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003 n. 1272
[317]https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[318]cfr “Catechismo Tridentino”, ed Cantagalli 1992, n. 328 https://www.maranatha.it/catrident/30page.htm
[319]Congregazione per la Dottrina della Fede “Donum Vitae” del 1987 Parte III, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19870222_respect-for%20human-life_it.html
[320]N. Blazquez “La pena de muerte y biotanasia de estado” Vision Libros 2012 pp. 26s
[321]Card. A. Dulles “Cattolicesimo e pena capitale”, alleanzacattolica.org, 27.4.2007 https://alleanzacattolica.org/cattolicesimo-e-pena-capitale/
[322]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 60
[323]Blazquez, “La pena de muerte segun santo Tomas y l’abolicionismo odierno”, Revista chilena de derecho Vol. 10, no. 2 (ago. 1983) p. 287s
[324]Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[325]Card. A. Dulles “Cattolicesimo e pena capitale” , alleanzacattolica.org, 27.4.2007 https://alleanzacattolica.org/cattolicesimo-e-pena-capitale/
[326]Card. A. Dulles “Cattolicesimo e pena capitale” , alleanzacattolica.org, 27.4.2007 https://alleanzacattolica.org/cattolicesimo-e-pena-capitale/
[327]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 63
[328]Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace “Compendio della Dottrina sociale della Chiesa”, 2.4.2004, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html#a)%20La%20signoria%20di%20Dio
[329]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 84
[330]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 74
[331]Cfr. E. Feser, J. Bessette, “By Man Shall His Blood be Shed. A Catholic Defense of Capital Punishment” Ignatius, San Francisco, 2017, p. 119., cit. in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[332]Cfr. Card. A. Dulles “Cattolicesimo e pena capitale” , alleanzacattolica.org, 27.4.2007 https://alleanzacattolica.org/cattolicesimo-e-pena-capitale/
[333]Cfr. S. Bonaventura, Opera omnia, Vivès, 1868, t. 12, p. 250. “Sermo VI”)(Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[334]In III Sententiarum, q. XXXVII dub. V in S. Bonaventurae “Opera Omnia” ed. Quaracchi 1887 , t. III, p. 834
[335]Blazquez, “La pena de muerte segun santo Tomas y l’abolicionismo odierno”, Revista chilena de derecho Vol. 10, no. 2 (ago. 1983), p. 277-316)
[336]N. Blazquez, “La pena de muerte segun santo Tomas y l’abolicionismo odierno”, Revista chilena de derecho Vol. 10, no. 2 (ago. 1983), p. 289
[337]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 75
[338]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 84
[339]Cfr. “Somma contro i gentili” III c. 63) e nel far questo si serve delle cause seconde (cfr. “Somma contro i gentili” III c. 77
[340]II-II q. 64 a.1 traduzione tratta dalla edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, ESD
[341]II-II q. 64 a.2 traduzione tratta dalla edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, ESD
[342]II-II q. 64 a.2 arg. 3m traduzione tratta dalla edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, ESD
[343]II-II q. 64 a.6, traduzione tratta dall’ edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, ESD
[344]II-II q. 64 a.2 ad. 3m traduzione tratta dalla edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, ESD
[345]II-II q. 64 a.1 traduzione tratta dalla edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, ESD
[346]IIª-IIae q. 64 a. 2 co. traduzione tratta dall’ edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, ESD
[347]N. Blazquez, “La pena de muerte segun santo Tomas y l’abolicionismo odierno”, Revista chilena de derecho Vol. 10, no. 2 (ago. 1983), p. 285
[348]Cfr. Clemente Alessandrino, Stromata, l. 1, ch. 27, PG 8, 918-921; Clement of Alexandria “Stromateis”, The Fathers of the Church (series), The Catholic University of America Press, 1991, vol. 85, p. 149
[349]Pio XII , “Discorso all’unione medico-biologica “San Luca”, Domenica, 12 novembre 1944, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/pius-xii/it/speeches/1944/documents/hf_p-xii_spe_19441112_unione-medico-biologica.html
[350]N. Blazquez, “La pena de muerte segun santo Tomas y l’abolicionismo odierno”, Revista chilena de derecho Vol. 10, no. 2 (ago. 1983), p. 277-316 ; N. Blazquez, “La pena de muerte y biotanasia de estado” Vision Libros 2012
[351]I-II, q.109, a.1, ad 1; su questo passo e sui passi ad esso paralleli si veda A. Strumia “Omne Verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est” www.albertostrumia.it , http://www.albertostrumia.it/%C2%ABomne-verum-quocumque-dicatur-spiritu-sancto-est%C2%BB consultato il 6.12.2021
[352]M. Roncalli “Eusebi: La Chiesa e la pena di morte, tra teologia e diritto” Settimana News 9.8.2018 http://www.settimananews.it/societa/eusebi-la-chiesa-la-pena-morte-teologia-diritto/
[353]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 63
[354]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 63
[355]Card. A. Dulles “Cattolicesimo e pena capitale” , alleanzacattolica.org, 27.4.2007 https://alleanzacattolica.org/cattolicesimo-e-pena-capitale/
[356]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 74
[357]Serge-Thomas Bonino, o.p. “Amore, giustizia e onnipotenza di Dio secondo san Tommaso”, Facoltà di Teologia. Pontificia Università di s. Tommaso in Urbe, Dispensa ad usum studentium (1° semestre 2019-2020) p. 33; da ora in poi citerò questo libro come S. T. Bonino “Amore …”
[358]Cfr. Sal 1, 1-6; 112, 1-10; Sal 44; Gb 10, 1-7; 13, 3-28; 23-24; Sal 37; Gb 38-42; Is 53; Sap 3-5; Mt. 25,31 ss; Lc 26, 3-33; Fil. 4,3; Ap. 3,5; 17,8; 20,12; 20,15; 21,8; 21, 27; 22,15 etc.; su questo punto si veda anche : J. Riviere “Jugement” in Emile Amann; Eugene Mangenot; Alfred Vacant “Dictionnaire de théologie catholique : contenant l’exposé des doctrines de la théologie catholique, leurs preuves et leur histoire” Paris, Letouzey et Ané 1908-1950 vol. VIII col. 1721-1828; Pierre Adnès “Jugement” in Dictionnaire de Spiritualité, ed. Beauchesne, 1932-1995, t. VIII colonne 1571ss
[359]Cfr. 1 Gv. 1,9; Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, nn. 228,621,628
[360]per un’ampia panoramica sui testi e sugli autori più rilevanti che affermano tale retribuzione si possono consultare utilmente i due articoli già indicati: J. Riviere “Jugement” in Emile Amann; Eugene Mangenot; Alfred Vacant “Dictionnaire de théologie catholique : contenant l’exposé des doctrines de la théologie catholique, leurs preuves et leur histoire” Paris, Letouzey et Ané 1908-1950 vol. VIII col. 1721-1828; Pierre Adnès “Jugement” in Dictionnaire de Spiritualité, ed. Beauchesne, 1932-1995, t. VIII colonne 1571ss
[361]Contro Celso VIII, 48; citato in Pierre Adnès “Jugement” in Dictionnaire de Spiritualité, ed. Beauchesne, 1932-1995, t. VIII colonne 1571ss
[362]Cfr. S. Joannis Chrysostomi “Homiliae in Genesim” PG 53, 145. hom. XVII n. 9; De diabolo tentatore 1, 8, PG 49, 258 ; citato in Pierre Adnès “Jugement” in Dictionnaire de Spiritualité, ed. Beauchesne, 1932-1995, t. VIII colonne 1571ss
[363]De civitate Dei XX, 1-3, PL 41, 657-661; citato in Pierre Adnès “Jugement” in Dictionnaire de Spiritualité, ed. Beauchesne, 1932-1995, t. VIII colonne 1571ss
[364]L’anima e la sua origine” 2,4,8 traduzione italiana tratta dal sito www.augustinus.it , https://www.augustinus.it/italiano/anima_origine/index2.htm
[365]Cfr. Pierre Adnès “Jugement” in Dictionnaire de Spiritualité, ed. Beauchesne, 1932-1995, t. VIII colonne 1578; S. Gregio di Nazienzo “Orationes 16, 8, PG 35, 944d-945a ; s. Agostino “La città di Dio” XX,14 traduzione italiana tratta dal sito www.augustinus.it , https://www.augustinus.it/italiano/cdd/index2.htm
[366]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 857s
[367]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n.1001s
[368]Paolo VI Costituzione Apostolica “Indulgentiarum Doctrina” del 1.1.1967 n. 2, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/paul-vi/it/apost_constitutions/documents/hf_p-vi_apc_01011967_indulgentiarum-doctrina.html
[369]Cfr. Paolo VI, “Omelia” Domenica, 14 febbraio 1965, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/paul-vi/it/homilies/1965/documents/hf_p-vi_hom_19650214.html
[370]II-II, q. 7 a. 1 ad 2; “Catena in Lucam”, cap. 14 l. 3; “Super Mattheum”. [rep. Leodegarii Bissuntini], cap. 20 l. 1;
[371]S. Tommaso d’ Aquino, “Compendio di teologia e altri scritti”,UTET, Torino, Prima edizione eBook: Marzo 2013 p. I c. 172 n. 340
[372]Cfr. “La Chiesa e il problema della pena. Sulla risposta al negativo come sfida giuridica e teologica.”, Ed. La Scuola, 2014 pp. 7ss . 22s. 25-52. 71
[373]“Catechismo Tridentino”, ed. Cantagalli 1992, n. 89 https://www.maranatha.it/catrident/11page.htm
[374]III, 59, a.1, “Somma Teologica” , traduzione tratta dall’ edizione online, Edizioni Studio Domenicano, https://www.edizionistudiodomenicano.it/Docs/Sfogliabili/La_Somma_Teologica_Terza_Parte/index.html#699/z
[375]III, 59, aa.2 e 4 “Somma Teologica” , traduzione tratta dall’ edizione online, Edizioni Studio Domenicano, https://www.edizionistudiodomenicano.it/Docs/Sfogliabili/La_Somma_Teologica_Terza_Parte/index.html#703/z
[376]“Catechismo Tridentino”, ed. Cantagalli 1992, n. 94 https://www.maranatha.it/catrident/11page.htm
[377]s. Alfonso M. de’ Liguori “Via della salute”, in”Opere Ascetiche” Vol. X, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1968 p. 68
[378]S. Alfonso Maria de Liguori, “Apparecchio alla morte”, in “Opere Ascetiche” Vol. IX, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1965 pp. 232-233
[379]P. Angelo Bellon “Ho difficoltà a capire certe pagine della Bibbia soprattutto dove Dio incita alla guerra e allo sterminio” Amici Domenicani 10.7.2012 https://www.amicidomenicani.it/ho-difficolta-a-capire-certe-pagine-della-bibbia-soprattutto-dove-dio-incita-alla-guerra-e-allo-sterminio/
[380]Cfr. “La Chiesa e il problema della pena. Sulla risposta al negativo come sfida giuridica e teologica.”, Ed. La Scuola, 2014 p. 19 ss
[381]Cf Concilio di Trento, Sess. 5a, Decretum de peccato originali, canone 3: DS 1513; Pio XII, Lett. enc. Humani generis: DS 3897; Paolo VI, Discorso ai partecipanti al Simposio di alcuni teologi e scienziati sul mistero del peccato originale (11 luglio 1966): AAS 58 (1966) 649-655.
[382]Benedetto XVI, “Udienza generale” 10.12.2008 , www.vatican.va , https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2008/documents/hf_ben-xvi_aud_20081210.html ; si veda in questa linea anche “Udienza generale” 3.12.2008 , www.vatican.va , https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2008/documents/hf_ben-xvi_aud_20081203.html ; “Angelus” 8.12.2008 , www.vatican.va , https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/angelus/2008/documents/hf_ben-xvi_ang_20081208.html; “Omelia” 8.12.2005 , www.vatican.va, https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/homilies/2005/documents/hf_ben-xvi_hom_20051208_anniv-vat-council.html
[383]Benedetto XVI “Angelus” 8.8.2008 , www.vatican.va , https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/angelus/2008/documents/hf_ben-xvi_ang_20081208.html
[384]Benedetto XVI, “Udienza generale” 3.12.2008 , www.vatican.va , https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2008/documents/hf_ben-xvi_aud_20081203.html
[385]“Morte” in Spadafora (diretto da) “Dizionario Biblico” Studium 1963 2 voll. (A-M; M-Z)
[386]M. Sales “La Sacra Bibbia commentata dal p. M. Sales” Torino 1914, v. II, p. 41
[387]R. E. Brown, J. A. Fitzmeyer , R. E. Murphy (a cura di) “Nuovo Grande Commentario Biblico” Queriniana 2014
[388]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, nn. 371-372.385
[389]Aa. Vv.. Decisioni dei Concili Ecumenici (Classici della religione) (Italian Edition) (posizioni nel Kindle 8200-8204). De Agostini Libri, Novara 2013 Edizione del Kindle.
[390]Paolo VI “Professione di fede” Domenica, 30 giugno 1968, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/paul-vi/it/motu_proprio/documents/hf_p-vi_motu-proprio_19680630_credo.html
[391]Giovanni Paolo II, “Udienza generale”, Mercoledì, 8 ottobre 1986, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1986/documents/hf_jp-ii_aud_19861008.html ; , Udienza generale, Mercoledì, 25 giugno 1997, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1997/documents/hf_jp-ii_aud_25061997.html
[392]Origene, “In Exodum homilia”, 8, 1: SC 321, 242 (PG 12, 350) citato in Catechismo della Chiesa Cattolica n. 206
[393]Benedetto XVI “Angelus” 8.8.2008 , www.vatican.va , https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/angelus/2008/documents/hf_ben-xvi_ang_20081208.html
[394]Cfr. S. Tommaso d’ Aquino “Compendio di teologia e altri scritti” Unione Tipografico-Editrice Torinese, Prima edizione eBook: Marzo 2013, p. I c. 195, n.372
[395]“La Chiesa e il problema della pena. Sulla risposta al negativo come sfida giuridica e teologica.”, Ed. La Scuola, 2014 p. 20 nota 23
[396]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 372
[397]Cfr. Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 1511
[398]Paolo VI “Professione di fede” Domenica, 30 giugno 1968, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/paul-vi/it/motu_proprio/documents/hf_p-vi_motu-proprio_19680630_credo.html
[399]Cfr. Giovanni Paolo II, Udienza generale, Mercoledì, 25 giugno 1997, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1997/documents/hf_jp-ii_aud_25061997.html ; Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1473
[400]Cfr. “Creazione” in Enciclopedia Italiana Treccani 1931, www.treccani http://www.treccani.it/enciclopedia/creazione_%28Enciclopedia-Italiana%29/
[401]“La Chiesa e il problema della pena. Sulla risposta al negativo come sfida giuridica e teologica.”, Ed. La Scuola, 2014 p. 27ss
[402]Leone XIII, Lett. Enciclica “Libertas Praestantissimum” 20.6.1988 , www.vatican.va, https://www.vatican.va/content/leo-xiii/it/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_20061888_libertas.html
[403]Commissione Teologica Internazionale “Dio Trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza” 17.1.2014 n. 27, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140117_monoteismo-cristiano_it.html#2._Monoteismo_e_violenza:_un_legame_necessario
[404]Cfr. Gn 3,15; Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, 3, citato in Catechismo della Chiesa Cattolica n. 56
[405]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 485
[406]Cfr. Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 492 ; 1523; 1740
[407]Leone XIII Lettera Enciclica “Caritatis Studium” (Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 3339
[408]Pio XII, Lettera Enciclica “Mediator Dei” 20.11.1947, p. II www.vatican.va https://www.vatican.va/content/pius-xii/it/encyclicals/documents/hf_p-xii_enc_20111947_mediator-dei.html)
[409]Pio XII , Lettera Enciclica “Haurietis Aquas” del 15.5.1956 https://www.vatican.va/content/pius-xii/it/encyclicals/documents/hf_p-xii_enc_15051956_haurietis-aquas.html
[410]Commissione Teologica Internazionale “La Riconciliazione e la Penitenza” 1982, B, II, 2 , www.vatican.va ,
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_1982_riconciliazione-penitenza_it.html
[411]III, q. 48 a. 4 traduzione tratta dalla edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, curata da Edizioni Studio Domenicano
[412]Cfr. III q. 46 a. 4 traduzione realizzata da me sulla base dell’ edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, curata da ESD cioè Editrice Studio Domenicano
[413]Cfr. III q. 46 a. 5 traduzione realizzata da me sulla base dell’ edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, curata da ESD cioè Editrice Studio Domenicano
[414]Cfr. III q. 46 a. 6 traduzione realizzata da me sulla base dell’ edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, curata da ESD cioè Editrice Studio Domenicano
[415]Pio XI, Lettera Enciclica “Miserentissimus Redemptor” 8.5.1920 , www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19280508_miserentissimus-redemptor.html
[416]Pio XII, Lettera Enciclica “Mediator Dei” 20.11.1947, p. II www.vatican.va https://www.vatican.va/content/pius-xii/it/encyclicals/documents/hf_p-xii_enc_20111947_mediator-dei.html
[417]Pio XI, Lettera Enciclica “Miserentissimus Redemptor” 8.5.1920 , www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19280508_miserentissimus-redemptor.html
[418]Cfr. S. Paolo VI Costituzione Apostolica “Indulgentiarum Doctrina” del 1.1.1967 n. 3 www.vatican.va, https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/apost_constitutions/documents/hf_p-vi_apc_01011967_indulgentiarum-doctrina.html ; “Udienza generale” 24.7.1968 https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/audiences/1968/documents/hf_p-vi_aud_19680724.html
[419]Commissione Teologica Internazionale “La Riconciliazione e la Penitenza” 1982, B, II, 2 , www.vatican.va ,
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_1982_riconciliazione-penitenza_it.html
[420]III, q. 49 a.3 ad 1m; traduzione tratta dalla edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, curata da Edizioni Studio Domenicano
[421]Cfr. s. Giovanni della Croce “Cantico spirituale” strofe 36-37, Lettera a p. Giovanni di s. Anna n.23 ; santa Rosa da Lima, “Scritti”, Al medico Castillo; ed. L. Getino, La Patrona de América, Madrid 1928, pp. 54-55; s. Caterina da Siena “Dialogo della divina Provvidenza” Cantagalli 1994 p. 32. s. Luigi Grignion de Montfort “Lettera circolare agli amici della Croce”; si vedano anche gli scritti di s. Paolo della Croce , di s. Veronica Giuliani etc.
[422]“Memorie di Suor Lucia”, p. 166s (IV Memoria) www.fatima.pt , https://www.fatima.pt/it/pages/narrativa-delle-apparizioni-
[423]“Memorie di Suor Lucia”, pp. 169-170 (IV Memoria), www.fatima.pt , https://www.fatima.pt/it/pages/narrativa-delle-apparizioni-
[424]“Memorie di Suor Lucia”, pp. 171-172 (IV Memoria) , www.fatima.pt , https://www.fatima.pt/it/pages/narrativa-delle-apparizioni-
[425]S. Alfonso M. de Liguori “L’amore delle anime” in “Opere Ascetiche” Vol. V, CSSR, Roma 1934 , p. 34
[426]Cfr Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, nn. 801, 858, 1002,1306, 1580
[427]Cfr Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 443
[428]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003 n. 492
[429]Cfr Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n.574
[430]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003 n. 596
[431]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003 n. 797
[432]Cfr Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n.1002
[433]Cfr Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, nn. 76; 409; 411; 801; 858; 1002; 1351; 1575; Paolo VI, “Credo del popolo di Dio”, 12: AAS 60 (1968) 438, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/paul-vi/it/motu_proprio/documents/hf_p-vi_motu-proprio_19680630_credo.html ; Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1035
[434]Discorso 90, 4 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/discorsi/index2.htm
[435]Discorso 111, traduzione mia; si veda il sermone sul sito www.augustinus.it che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/discorsi/index2.htm
[436]S. Leone Magno Papa e Dottore della Chiesa, Sermo XLIX (XI De Quadragesima) PL 54, 302
[437]Cfr. Eusebi, “La Chiesa e il problema della pena. Sulla risposta al negativo come sfida giuridica e teologica.”, Ed. La Scuola, 2014 p. 51
[438]Fastiggi “Capital Punishment, the Magisterium and Religious Assent,.doc” p. 1-21 https://www.academia.edu/34285853/Capital_Punishment_the_Magisterium_and_Religious_Assent.doc www.academia.edu
[439] R. Fastiggi “Is there really a definitive teaching of the Church on capital punishment?” Catholic World Report 10.11.2017
[440] R. Fastiggi “Pope Francis and Papal Authority under Attack” La Stampa 18.2.2019 https://www.lastampa.it/vatican-insider/en/2019/02/18/news/pope-francis-and-papal-authority-under-attack-1.33681809
[441]Concilio Vaticano II, Cost. dogm. “Dei Verbum” 18.11.1965 , 9, www.vatican.va , http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19651118_dei-verbum_it.html
[442]Benedetto XVI, “Discorso ai membri della Pontificia Commissione Biblica”, 23.4.2009, www.vatican.va, http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2009/april/documents/hf_ben-xvi_spe_20090423_pcb.html
[443]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 63
[444]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 63)
[445]Card. A. Dulles “Cattolicesimo e pena capitale” , alleanzacattolica.org, 27.4.2007 https://alleanzacattolica.org/cattolicesimo-e-pena-capitale/
[446]Ch. Journet, “L’Église du Verbe incarné”, t. 1, La hiérarchie apostolique, Saint-Maurice, éditions Saint-Augustin, 1998, p. 575; citato in Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[447]Cfr. H. Lio “Poena mortis” in “Dictionarium morale et canonicum”, Officuum Libri Catholici , Catholic Book Agency, Romae, 1966 , III p. 678
[448]Cfr. H. Lio “Poena mortis” in “Dictionarium morale et canonicum”, Officuum Libri Catholici , Catholic Book Agency, Romae, 1966 , III p. 678
[449]Cfr. Discorso alla Delegazione della Commissione internazionale contro la pena di morte, del 17.12.2018, www.vatican.va, http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/december/documents/papa-francesco_20181217_commissione-contropena-dimorte.html
[450]Cfr. R. Fastiggi “Capital Punishment, the Magisterium and Religious Assent,”
Josephinum Journal of Theology Vol. 12, No. 2 (Summer Fall, 2005) p.192-213; io seguirò questo articolo ma in quanto presente online “Capital Punishment, the Magisterium and Religious Assent,.doc” p. 1-21 https://www.academia.edu/34285853/Capital_Punishment_the_Magisterium_and_Religious_Assent.doc
[451]Fr. Thomas Williams, L.C., “Capital Punishment and the Just Society” in Catholic Dossier (Sept./Oct., 1998) https://www.catholiceducation.org/en/religion-and-philosophy/social-justice/capital-punishment-and-the-just-society.html
[452]“Capital Punishment, the Magisterium and Religious Assent,.doc” p. 4 https://www.academia.edu/34285853/Capital_Punishment_the_Magisterium_and_Religious_Assent.doc
[453]R. Fastiggi “Is there really a definitive teaching of the Church on capital punishment?” Catholic World Report 10.11.2017
[454]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 74
[455]Card. A. Dulles “Cattolicesimo e pena capitale” , alleanzacattolica.org, 27.4.2007 https://alleanzacattolica.org/cattolicesimo-e-pena-capitale/
[456]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 94
[457]Y. Congar “La fede e la teologia”, pp. 163-164 citato in A. Bellon “Le scrivo da San Pietroburgo (Russia) e le chiedo come la Chiesa Cattolica spiega il concetto del “consenso dei padri” Amici Domenicani 14.8.2017 https://www.amicidomenicani.it/le-scrivo-da-san-pietroburgo-russia-e-le-chiedo-come-la-chiesa-cattolica-spiega-il-concetto-del-consenso-dei-padri/
[458]Concilio Vaticano I, Cost. Dogm. “Dei Filius”, 24.4.1870, c. 2, www.vatican.va, https://www.vatican.va/content/pius-ix/it/documents/constitutio-dogmatica-dei-filius-24-aprilis-1870.html
[459]Fastiggi “Capital Punishment, the Magisterium and Religious Assent,.doc” p. 8 https://www.academia.edu/34285853/Capital_Punishment_the_Magisterium_and_Religious_Assent.doc
[460]Cfr. “Capital Punishment, the Magisterium and Religious Assent,” Josephinum Journal of Theology Vol. 12, No. 2 (Summer Fall, 2005) p.192-213; io seguirò questo articolo ma in quanto presente online “Capital Punishment, the Magisterium and Religious Assent,.doc” p. 1-21 https://www.academia.edu/34285853/Capital_Punishment_the_Magisterium_and_Religious_Assent.doc
[461]Innocenzo I, lettera ad Exsuperius del 20.2.405; PL 20 , 498-502; per la traduzione precisa si veda A. di Berardino, a cura di, “I canoni dei concili della chiesa antica. vol. II. I concili latini. 1 Decretali. Concili Romani. Canoni di Serdica”, Institutum Patristicum Augustinianum, Roma 2008, p. 117
[462]R. Fastiggi “Is there really a definitive teaching of the Church on capital punishment?” Catholic World Report 10.11.2017
[463]Origins 6 (December 9, 1976) 391, Citato in Fastiggi “Capital Punishment, the Magisterium, and Religious Assent.doc” https://www.academia.edu/34285853/Capital_Punishment_the_Magisterium_and_Religious_Assent.doc
[464]R. Fastiggi “Capital Punishment, the Magisterium, and Religious Assent.doc” p. 11 https://www.academia.edu/34285853/Capital_Punishment_the_Magisterium_and_Religious_Assent.doc
[465]Cfr. Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, p. 451 n. 795; PL 215, 1512
[466]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 104
[467]Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881, p.789 l. 5, 7, 15
[468]R. De Mattei “L’Haec Sancta (1415), un documento conciliare che fu condannato dalla Chiesa.” Corrispondenza Romana 20 Luglio 2016, https://www.corrispondenzaromana.it/lhaec-sancta-1415-un-documento-conciliare-che-fu-condannato-dalla-chiesa/
[469]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003 n. 1272
[470]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003 n. 1483
[471]Cfr. Radio Spada “Traduzione italiana della bolla “Exsurge Domine” di Leone X contro Lutero” Radio Spada 15.6. 2019 https://www.radiospada.org/2019/06/traduzione-della-bolla-exsurge-domine-di-leone-x-contro-lutero/
[472]Leone XIII, “Pastoralis Officii” , 12.9.1891 , www.vatican.va, https://w2.vatican.va/content/leo-xiii/it/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_12091891_pastoralis-officii.html , cfr. Heinrich Denzinger
“Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n.3272
[473]Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/)
[474]Cfr. H. Lio“Poena mortis” in “Dictionarium morale et canonicum”, Officuum Libri Catholici , Catholic Book Agency, Romae, 1966 , III p. 678
[475]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014, p. 62
[476]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 63
[477]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 63
[478]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 pp. 74-95
[479]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 pp. 72s
[480]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 pp. 72s
[481]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 pp. 64ss
[482]Cfr. G. Ricciotti “Le lettere di s. Paolo tradotte e commentate” ed. Coletti, Roma, 1949 p. 353
[483]Pio XII, “Discorso all’ Unione dei Giuristi Cattolici Italiani” 5.2.1955 www.vatican.va www.vatican.va https://www.vatican.va/content/pius-xii/it/speeches/1955/documents/hf_p-xii_spe_19550205_unione-giuristi-cattolici.html
[484]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 pp. 71s
[485]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 pp. 71s
[486]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 pp. 71s
[487]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 74
[488]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 74-95
[489]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 142s
[490]Concilio Vaticano I, Cost. Dogm. “Dei Filius”, c. 2: Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 3007
[491]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press
Notre Dame, Indiana, 2014 p. 98
[492]Cfr. Hieromonk Patapios “St. Theodore the Studite and the Problem of the Paulicians” The Greek Orthodox Theological Review vol. 43, n. 1-4, Brookline Massachussets 1998, p. 143- 154 http://www.apostoliki-diakonia.gr/en_main/catehism/theologia_zoi/themata.asp?cat=patr&main=EH_texts&file=11.htm
[493]Cfr. Hieromonk Patapios “St. Theodore the Studite and the Problem of the Paulicians” The Greek Orthodox Theological Review vol. 43, n. 1-4, Brookline Massachussets 1998, p. 143- 154 http://www.apostoliki-diakonia.gr/en_main/catehism/theologia_zoi/themata.asp?cat=patr&main=EH_texts&file=11.htm
[494]Cfr. Hieromonk Patapios “St. Theodore the Studite and the Problem of the Paulicians” The Greek Orthodox Theological Review vol. 43, n. 1-4, Brookline Massachussets 1998, p. 143- 154 http://www.apostoliki-diakonia.gr/en_main/catehism/theologia_zoi/themata.asp?cat=patr&main=EH_texts&file=11.htm
[495]Cfr. Hieromonk Patapios “St. Theodore the Studite and the Problem of the Paulicians” The Greek Orthodox Theological Review vol. 43, n. 1-4, Brookline Massachussets 1998, p. 143- 154 http://www.apostoliki-diakonia.gr/en_main/catehism/theologia_zoi/themata.asp?cat=patr&main=EH_texts&file=11.htm
[496]Cfr. Hieromonk Patapios “St. Theodore the Studite and the Problem of the Paulicians” The Greek Orthodox Theological Review vol. 43, n. 1-4, Brookline Massachussets 1998, p. 143- 154 http://www.apostoliki-diakonia.gr/en_main/catehism/theologia_zoi/themata.asp?cat=patr&main=EH_texts&file=11.htm
[497]Theofanes “The Chronicle of Theophanes” Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 1982, p. 174
[498]Epistola I, PL 69, 394; citato in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église”, Revue Catholica, 16.10.2018, https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[499]Ep. XIII PL 80, 481; Mansi X, 585, [34] – citato in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale /
[500]Gregorii Magni “Registrum epistularum” l. XIII, epistula 49 ed. D. Norberg, Gregorii Magni “Registrum epistularum”, CCSL 140-140A, Tournai, 1982
[501]Gregorii Magni “Registrum epistularum” l. VIII, epistula 4 ed. D. Norberg, Gregorii Magni “Registrum epistularum”, CCSL 140-140A, Tournai, 1982
[502]Cfr. Traduction de l’abbé J.-Y. Pertin, Justice et gouvernement dans l’Église d’après les Lettres de saint Grégoire le Grand, L’Harmattan, 2015, p. 293. I riferimenti alle lettere sono realizzati sulla base della ed. D. Norberg, Gregorii Magni “Registrum epistularum”, CCSL 140-140A, Tournai, 1982 citata in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[503]Cfr. Gratiani, “Concordia discordantium canonum” PL 187, 1234, P. II C. 23, q. 5, c. 47 https://books.google.it/books?id=JsMGxm8mJeEC&redir_esc=y citazione in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[504]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press
Notre Dame, Indiana, 2014 p. 98
[505]Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 98.143.215
[506]Cfr. “Responsa ad consulta Bulgarorum”, PL 119, 978-1016, cap. 26 citato in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[507]Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881 p. 782, l.V, tit. 7, 10 cit. in Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[508] Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 795
[509]Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881 p. 780, l. V, tit. 7, 9
[510]Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881 p. 787ss, l. V, tit. 7, 13
[511]Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881 p. 789, l. V, tit. 7, 15
[512]Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881 p. 1091ss , l. VI, tit. 5, 9 ,5
[513]Cfr. Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[514]Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881 p. 1091ss , l. VI, tit. 5, 9 ,5, citato in Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[515]Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881 p. 810, l. V, tit.18, 1
[516]Su questi testi e sui loro commentatori, cf. H. Gilles, « Peine de mort et droit canonique », La mort et l’au-delà en France méridionale (XIIe-XVe siècles), Privat [Cahiers de Fanjeaux, 33], Toulouse, 1998, pp. 393-416.] Citato in: Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[517]Ae. Friedberg, “Corpus iuris canonici editio lipsiensis secunda post Ae. L. Richteri curas ad librorum manu scriptorum et editionis romanae fidem recognovit et adnotatione critica instruxit”, II, Lipsiae 1881, p.789, l. 5, 7, 15
[518]R. De Mattei “L’Haec Sancta (1415), un documento conciliare che fu condannato dalla Chiesa.”Corrispondenza Romana 20 Luglio 2016 https://www.corrispondenzaromana.it/lhaec-sancta-1415-un-documento-conciliare-che-fu-condannato-dalla-chiesa/
[519]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003 n. 1272
[520]“Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018(https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[521]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003 n. 1483
[522]Cfr. Radio Spada “Traduzione italiana della bolla “Exsurge Domine” di Leone X contro Lutero” Radio Spada 15.6. 2019 https://www.radiospada.org/2019/06/traduzione-della-bolla-exsurge-domine-di-leone-x-contro-lutero/
[523]“Catechismo Tridentino”, ed Cantagalli 1992, n. 328 https://www.maranatha.it/catrident/30page.htm
[524]Leone XIII “Pastoralis Officii” , www.vatican.va, https://w2.vatican.va/content/leo-xiii/it/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_12091891_pastoralis-officii.html , Cfr. Heinrich Denzinger
“Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n.3272
[525]Cyrille Dounot “Une solution de continuité doctrinale. Peine de mort et enseignement de l’Église” Revue Catholica 16.10.2018 https://www.catholica.presse.fr/2018/10/16/une-solution-de-continuite-doctrinale/
[526]II-II q. 64 a.1 traduzione tratta dalla edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, ESD
[527]II-II q. 64 a.2 traduzione tratta dalla edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, ESD
[528]Cfr. II-II q. 64 a.2 traduzione tratta dalla edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, ESD
[529]II-II q. 64 a.2 arg. 3m traduzione tratta dalla edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, ESD
[530]II-II q. 64 a.2 ad. 3m traduzione tratta dalla edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, ESD
[531]II-II q. 64 a.6, traduzione tratta dall’ edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, ESD
[532]II-II q. 64 a.2 ad. 3m traduzione tratta dalla edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, ESD
[533]II-II q. 64 a.1 traduzione tratta dalla edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, ESD
[534]IIª-IIae q. 64 a. 2 co. traduzione tratta dall’ edizione della Somma Teologica in CD Rom del 2001, ESD
[535]E. Colom e A. Rodríguez-Luño, “Scelti in Cristo per essere santi.”, I , Ed. Edusc 2003, pag. 209
[536]Cfr. H. B. Merkelbach “Summa Theologiae Moralis”, Desclée de Brouwer , Brugis – Belgica , 1962, II, p. 362
[537]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press Notre Dame, Indiana, 2014 p. 63
[538]E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 74
[539]Cfr. Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, p. 451 n. 795; PL 215, 1512; Letter of Innocent III, “to Durand of Huesca and his brethren,” 5 July 1209; Regesta XV, XII.69; translated in HHM, 226–28 (Cfr. E. Christian Brugger “Capital punishment and Roman Catholic Moral Tradition” University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 2014 p. 104
[540]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003 n. 1272
[541]Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003 n. 1483
[542]Leone XIII “Pastoralis Officii” 12.9.1891, www.vatican.va, https://w2.vatican.va/content/leo-xiii/it/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_12091891_pastoralis-officii.html , cfr. Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n.3272
[543]Cfr. H. Lio“Poena mortis” in “Dictionarium morale et canonicum”, Officuum Libri Catholici , Catholic Book Agency, Romae, 1966 , III p. 678
[544]S. Tommaso d’ Aquino”Somma contro i gentili”, lib. 3 cap. 146 n. 7 e 8 Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, Prima edizione eBook: Marzo 2013
[545]Giovanni Paolo II “Discorso agli Officiali e Avvocati del Tribunale della Rota Romana per l’inaugurazione dell’anno giudiziario” del 21.1.2000, www.vatican.va, http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/2000/jan-mar/documents/hf_jp-ii_spe_20000121_rota-romana.html