Sommario

Capitolo IV    La sana dottrina sulla coscienza morale, e alcuni errori che emergono attraverso l’Amoris Laetitia.

Nota preliminare: il testo ufficiale è solo quello in lingua italiana, le varie versioni in altre lingue sono traduzioni automatiche neurali.

Chiediamo a Dio il dono della sapienza:

“«Dio dei padri e Signore della misericordia,

… dammi la sapienza, che siede accanto a te in trono,

e non mi escludere dal numero dei tuoi figli,

perché io sono tuo schiavo e figlio della tua schiava,

…  incapace di comprendere la giustizia e le leggi.

..  Inviala dai cieli santi,

mandala dal tuo trono glorioso,

perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica

e io sappia ciò che ti è gradito.” (Sap. 9)

Il compianto Card. Caffarra ebbe a scrivere proprio al Papa Francesco : “è trascorso ormai un anno dalla pubblicazione di “Amoris Laetitia”. In questo periodo sono state pubblicamente date interpretazioni di alcuni passi obiettivamente ambigui dell’Esortazione post-sinodale, non divergenti dal, ma contrarie al permanente Magistero della Chiesa. Nonostante che il Prefetto della Dottrina della Fede abbia più volte dichiarato che la dottrina della Chiesa non è cambiata, sono apparse numerose dichiarazioni di singoli Vescovi, di cardinali, e perfino di Conferenze Episcopali, che approvano ciò che il Magistero della Chiesa non ha mai approvato. Non solo l’accesso alla Santa Eucarestia di coloro che oggettivamente e pubblicamente vivono in una situazione di peccato grave, ed intendono rimanervi, ma anche una concezione della coscienza morale contraria alla Tradizione della Chiesa. E così sta accadendo – oh quanto è doloroso constatarlo! – che ciò che è peccato in Polonia è bene in Germania, ciò che è proibito nell’Arcidiocesi di Filadelfia è lecito a Malta. E così via. Viene alla mente l’amara constatazione di B. Pascal: “Giustizia al di qua dei Pirenei, ingiustizia al di là; giustizia sulla riva sinistra del fiume, ingiustizia sulla riva destra””[1]

Mi sembra perciò importante soffermarsi brevemente sulla sana dottrina circa la coscienza morale e poi su alcune affermazioni di Papa Francesco nell’ Amoris Laetitia.

1) La coscienza morale nella luce della sana dottrina.

 

 

Dio ci illumini.

Nella Bibbia troviamo molte volte, specie nel Nuovo Testamento, il termine greco συνείδησις

Questo termine deriva, secondo F. Zorell[2] e Maurer[3] da σύνοιδα  questo verbo che significa condividere con altri una conoscenza di una determinata cosa in base ad una testimonianza oculare, nella filosofia che inizia con Socrate indica sia un giudizio negativo e una condanna che riguarda l’ignoranza propria dell’uomo,  sia un giudizio circa le azioni , in quest’ultimo caso è la coscienza morale, in questa linea  soprattutto a partire dal I sec. a. C. viene usato il termine  συνείδησις appunto per indicare la coscienza morale.

Nell’articolo di Maurer è molto interessante vedere come il concetto di coscienza si sviluppa e diffonde in Grecia e nella cultura romana (in particolare Cicerone e Seneca) e ancora più interessante vedere come questo concetto si ritrova in certo modo nell’A. T. e quindi nella LXX, negli intellettuali ebrei (Flavio Giuseppe, Filone) e quindi nel Nuovo Testamento. (Maurer 286-325)

Nell’A. T. il concetto di coscienza è sviluppato molto poco e ciò dipende in particolare dall’antropologia veterotestamentaria che vede l’uomo dinanzi al Dio della Rivelazione che parla e guida l’uomo, sicché l’uomo deve essenzialmente ascoltare Dio e farsi guidare da Lui. La conoscenza del bene e del male è dalla parola di Dio, essa approva o condanna l’uomo.  (Maurer 296-297)

Nel Nuovo Testamento è soprattutto s. Paolo che parla di coscienza e usa il termine  συνείδησις.

Secondo  F. Zorell συνείδησις  significa in alcuni casi essere conscio ma nel Nuovo Testamento significa sempre coscienza[4] in alcuni casi indica piuttosto la coscienza antecedente per la quale veniamo edotti circa il bene da fare e il male da fuggire (cfr. Rm. 13,5; 1 Cor. 8,10; 10,25.27.28; 1 Pt.2,19) in altri casi indica piuttosto la coscienza conseguente che condanna il male da noi fatto e approva il bene da noi compiuto (cfr. Gv. 8,9;Rm. 2,15; 9,1; 1 Ts. 1,5.19; 3,9; 4,2; Tt. 1,15; 1 Pt. 3,16.21; Hb. 9,14) . La coscienza in questa linea è un giudizio sulle azioni fatte o da fare.

Spicq precisa che s. Paolo, s. Pietro, Apollo, nella linea di molti loro contemporanei e di Filone, vedono la condotta umana come sottomessa alla regola della coscienza[5]. Per il cristiano la coscienza deve essere guidata dalla fede e dalla carità perché la vita cristiana è diretta da Dio attraverso queste virtù (Spicq p. 601.603) la fede offre delle indicazioni più generali circa la condotta mentre la coscienza cristiana offre indicazioni particolari, individualizzate, secondo i precetti divini, cui conformarci. (Spicq p. 603)

In questa linea della coscienza cristiana s. Paolo può dire : “Fratelli, io ho agito fino ad oggi davanti a Dio in piena rettitudine di coscienza”(Atti 23,1)

… e ancora : “Rendo grazie a Dio che io servo, come i miei antenati, con coscienza pura, ricordandomi di te nelle mie preghiere sempre, notte e giorno.”(2 Tm. 1,3)

Lo stesso s. Paolo precisa in questa linea : “Lo Spirito Santo intendeva così mostrare che non era stata ancora manifestata la via del santuario, finché restava la prima tenda. Essa infatti è figura del tempo presente e secondo essa vengono offerti doni e sacrifici che non possono rendere perfetto, nella sua coscienza, colui che offre … Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente?” (Eb. 9, 8-9 . 13-14). Cioè non si può servire Dio con una coscienza malvagia e in Cristo, e quindi nella fede e nella carità, le nostre coscienze vengono santificate, illuminate in pienezza da Dio e appunto in Cristo noi, con s. Paolo, abbiamo una buona coscienza: “Pregate per noi; crediamo infatti di avere una buona coscienza, desiderando di comportarci bene in tutto.” (Eb. 13,18)

E s. Pietro, in questa linea, può invitare ad avere una retta coscienza e ad agire in essa : “Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo.”(1 Pt. 3,16)

Tale coscienza buona e retta, illuminata dalla fede (1Tm. 1,5.19; Eb.10,22) e dalla carità, e quindi da Cristo, approva il bene, condanna il male e giudica in questa linea anche le azioni del prossimo (1 Cor. 10, 28s; II Cor. 4,2); va precisato però che occorre essere veramente prudenti e farsi guidare davvero da Cristo per giudicare gli altri altrimenti possiamo peccare per mancanza di informazioni (1 Cor. 8,3) (per tutto questo vedi Spicq p. 602 nota 3)

La coscienza cristiana testimonia insieme con lo Spirito Santo (Rom. 9,1; 1 Ts. 5,19) ed è davanti a Dio (2 Cor. 4,2; 2 Tm. 1,3) Gli eterodossi hanno una coscienza cieca e sono incapaci di ogni bene (Tit. 1,15) infatti non si può servire Dio con una coscienza malvagia (Eb. 9, 9.14); ma i credenti in Cristo hanno una coscienza retta e appunto in Lui tale coscienza deve essere anche circospetta e deve cercare appunto in Cristo la verità per chiarirsi nei suoi dubbi (1 Cor. 10, 25-27) (per tutto questo vedi Spicq p. 603 nota 2)

La coscienza cristiana retta , indicata da s. Pietro con le parole : “συνείδησιν θεοῦ” (coscienza di Dio) è quindi una coscienza impiantata in noi da Dio , è la Parola di Dio che scende nell’anima e la guida, è la coscienza teonoma. (per tutto questo vedi Spicq p. 603 nota 3)

Esaminando Romani 2,14-15 in cui leggiamo: “Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono”, la Veritatis Splendor nota al n. 57 che: “Secondo le parole di san Paolo, la coscienza, in un certo senso, pone l’uomo di fronte alla legge, diventando essa stessa «testimone» per l’uomo: testimone della sua fedeltà o infedeltà nei riguardi della legge, ossia della sua essenziale rettitudine o malvagità morale.” (VS, n. 57)

Dio ci doni di vivere sempre nella fedeltà alla sua Legge.

S. Tommaso nella linea della S. Scrittura parla in vari testi della coscienza morale donandoci una dottrina abbastanza ricca sul tema[6]. Il termine coscienza per s. Tommaso ha vari significati, a volte può significare la stessa cosa insieme conosciuta, altre volte un abito per cui ci si dispone a conoscere insieme; più precisamente la coscienza secondo s. Tommaso è un atto (De veritate, q. 17 a. 1 co.) per il quale si applica la scienza ad un certo atto particolare (cfr. De veritate, q.17 a.2.); tale applicazione può avvenire in due modi: 1) secondo che si consideri se l’atto stia per essere compiuto o fu compiuto 2) secondo che si consideri se l’atto sia retto o meno, s. Tommaso infatti dice :”Applicatur autem aliqua notitia ad aliquem actum dupliciter: uno modo secundum quod consideratur an actus sit vel fuerit: alio modo secundum quod consideratur an actus sit rectus vel non rectus.”(Cfr. De veritate, q. 17 a. 1 co.) Il secondo modo di applicazione appena indicato, quello per cui si considera se l’atto sia retto o meno, si può relizzare a sua volta secondo due vie: 1) una per cui, attraverso l’abito della scienza, ci indirizziamo a fare o non fare qualcosa, ed è come la via dell’invenzione, 2) e un’ altra per cui, sempre attraverso l’abito della scienza, giudichiamo se sia retto o meno quanto abbiamo già fatto, ed è come la via del giudizio (cfr. De veritate, q. 17 a. 1 co.). In senso più strettamente inerente  alla  morale la coscienza è, quindi, un atto di giudizio o di invenzione della ragione pratica per il quale si applica la scienza dell’uomo ad un atto concreto  per vedere se sia retto o meno (cfr. De veritate, q. 17 a. 1 co.) ; l’atto al quale viene applicata tale scienza  può essere passato o presente o futuro. La coscienza è come dire “scienza con un altro” perché applica la scienza universale ad un atto particolare e anche perché per essa la persona è conscia di ciò che ha fatto o che intende fare; la coscienza è detta anche sentenza o dettame della ragione (cfr. Super Sent., lib. 2 d. 24 q. 2 a. 4 co.). La coscienza è una considerazione della ragione per cui l’uomo stabilisce quello che deve fare e quello che deve fuggire (cfr. Super Sent II d. 24 q.2 a.4.). Il giudizio di coscienza morale si distingue dal giudizio del libero arbitrio perche` il giudizio di coscienza consiste nella sola conoscenza mentre il giudizio del libero arbitrio consiste nell’applicazione della conoscenza all’affetto ed è un giudizio di elezione, ossia di scelta (De veritate, q. 17 a. 1 ad 4. ).  Precisiamo che riguardo alle cose da scegliere o da fuggire la ragione usa dei sillogismi; nel sillogismo vi è una triplice considerazione secondo tre proposizioni: dalle prime due proposizioni si conclude con la terza; nei sillogismi circa le cose da scegliere o fuggire la maggiore di queste tre proposizioni è offerta dalla sinderesi, la minore è offerta dalla ragione superiore o dalla ragione inferiore, la conclusione è l’atto della ragione pratica che è detto coscienza (cfr. De veritate,q.17 a.2. ; Super Sent., lib. 2 d. 24 q. 2 a. 4 co.). L’esempio che s. Tommaso riporta è il seguente: la sinderesi propone questo principio: non si deve fare ciò che è proibito dalla legge di Dio; la ragione superiore porta questo principio: l’unione carnale con questa donna è contro la legge di Dio; la conclusione che è propria della coscienza è la seguente: questa unione carnale va evitata (cfr. Super Sent., lib. 2 d. 24 q. 2 a. 4 co.). La “sentenza” della coscienza, continua s. Tommaso è applicazione degli abiti operativi della ragione che sono la synderesi, la scienza e la sapienza (cfr. De veritate, q.17 a. 1 in c.)

Nella linea della Bibbia e di s. Tommaso nonché della Tradizione e in particolare del Concilio Vaticano II ( Cost. past. Gaudium et spes, nn. 16.19.26.27.41.43.50.52 etc.; Dich. Dignitatis humanae, nn. 1.2. 3. 11.13.14.15) il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 1778 presenta la coscienza morale come un giudizio di riconoscimento della:“… qualità morale di un atto concreto che sta per porre, sta compiendo o ha compiuto.”

Questo giudizio della coscienza morale approva il bene , condanna il male e chiama a compiere il bene (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica n. 1777).

Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma in questa linea ancora al n. 1777 che: “Quando ascolta la coscienza morale, l’uomo prudente può sentire Dio che parla.”

Attraverso la coscienza morale l’uomo può ascoltare Dio, Legge eterna e Autore della Legge, Fine ultimo dell’uomo, che, parlandogli, lo attira a vivere in tale Legge. In questa linea la coscienza, secondo san Bonaventura, è come l’annunciatore della verità di Dio sicché ciò che la coscienza comanda non lo impone da sé stessa ma come proveniente da Dio; per questo la coscienza ha la forza di obbligare [7]

Spiega s. Giovanni Paolo II  : «La coscienza morale non chiude l’uomo dentro una invalicabile e impenetrabile solitudine, ma lo apre alla chiamata, alla voce di Dio. In questo, non in altro, sta tutto il mistero e la dignità della coscienza morale: nell’essere cioè il luogo, lo spazio santo nel quale Dio parla all’uomo».[8]

La coscienza è in particolare un giudizio morale sull’uomo e sui suoi atti: è un giudizio sul da farsi o un giudizio su quanto è stato già fatto e in quest’ultimo caso è un giudizio di assoluzione o di condanna  secondo che gli atti umani sono conformi o difformi dalla legge di Dio scritta nel cuore (cfr. VS, n. 59).

Precisa s. Giovanni Paolo II, nella linea di s. Tommaso che la legge naturale mette in luce le esigenze oggettive e universali del bene morale, la coscienza è l’applicazione della legge naturale, della Legge divina, al caso particolare.  La coscienza stabilisce l’obbligo morale sulla base della Legge naturale (cfr. VS, n. 59,).

Il Dottore Angelico distingue la legge naturale, che è l’insieme dei principi di diritto, la sinderesi che è l’abito, o la potenza con abito, di tali principi, e la coscienza che, invece, è l’applicazione della legge naturale, per modo di conclusione, ad un qualcosa che deve essere fatto o che già è stato fatto (cfr. Super Sent., lib. 2 d. 24 q. 2 a. 4 co).

Il giudizio della coscienza afferma la conformità di un certo comportamento concreto rispetto alla legge naturale.

Il Papa riporta (cfr. VS, n. 59) poi una citazione di un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1956 contro l’etica di situazione. In tale documento si afferma tra l’altro che: “Auctores qui hoc systema sequuntur decisivam et ultimam agendi normam statuunt non esse ordinem obiectivum rectum, naturae lege determinatum et ex hac lege certo cognitum, sed intimum aliquod mentis uniuscuiusque individui iudicium ac lumen, quo ei in concreta situatione posito innotescit quid sibi agendum sit.”[9] Per gli autori di tale corrente dottrinale la norma ultima e decisiva non è l’ordine oggettivo, retto, fissato dalla legge della natura e da essa conosciuto ma un giudizio particolare del soggetto che gli fa conoscere ciò che egli debba fare.

Giovanni Paolo II riprende un passo di tale documento facendo notare che il giudizio della coscienza fissa la norma prossima della moralità di un atto, realizzando «l’applicazione della legge oggettiva a un caso particolare».[10] Attraverso la coscienza la legge naturale diventa così per l’uomo una regola  interiore per compiere, nella concretezza della situazione, il bene (cfr. VS, n. 59,).

La coscienza quindi accoglie la legge, non è fonte autonoma di decisione riguardo alla bontà morale di un atto ma è una fonte relata alla norma oggettiva della legge naturale : “La coscienza non è una fonte autonoma ed esclusiva per decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo; invece, in essa è inscritto profondamente un principio di obbedienza nei riguardi della norma oggettiva, che fonda e condiziona la corrispondenza delle sue decisioni con i comandi e i divieti che sono alla base del comportamento umano”.[11]

Dio ci doni di vivere sempre più a fondo sotto la guida della coscienza cristiana, nella fede e nella carità.

 

 

2) La coscienza morale non è infallibile; il caso della coscienza morale erronea.

La coscienza morale non è infallibile, essa può sbagliare; un tale errore non è dovuto alla sinderesi ma alla ragione, spiega s. Tommaso. Ricordiamo che  riguardo alle cose da scegliere o da fuggire la ragione usa dei sillogismi; nel sillogismo vi è una triplice considerazione secondo tre proposizioni: dalle prime due proposizioni si conclude con la terza; nei sillogismi circa le cose da scegliere o fuggire la maggiore di queste tre proposizioni è offerta dalla sinderesi, la minore è offerta dalla ragione superiore o dalla ragione inferiore, la considerazione della conclusione scelta è l’atto della ragione pratica che è detto coscienza (cfr. De veritate ,q.17 a.2.; Super Sent., lib. 2 d. 24 q. 2 a. 4 co.) L’esempio che s. Tommaso riporta, per evidenziare come opera la coscienza morale, è il seguente: la sinderesi propone questo principio: non si deve fare ciò che è proibito dalla legge di Dio; la ragione superiore porta questo principio: l’unione carnale con questa donna è contro la legge di Dio; la conclusione che è propria della coscienza è la seguente: questa unione carnale va evitata (cfr. Super Sent., lib. 2 d. 24 q. 2 a. 4 co).

Nei vari passaggi appena visti l’errore può entrare a causa della ragione; la ragione superiore perversa dell’eretico, per es., lo porta a credere che mai egli possa giurare e perciò egli stabilisce in coscienza che egli mai faccia giuramento anche a costo di morire (notiamo che per la dottrina cattolica in alcuni casi è possibile giurare, mentre per gli eretici di cui parla s. Tommaso mai è possibile realizzare lecitamente un giuramento) (cfr. Super Sent., lib. 2 d. 24 q. 2 a. 4 co.).

Se la ragione può sbagliare, la synderesi è infallibile, secondo s. Tommaso:

“[…] in anima est aliquid quod est perpetuae rectitudinis, scilicet synderesis: quae quidem non est ratio superior, sed se habet ad rationem superiorem sicut intellectus principiorum ad ratiocinationem de conclusionibus”(Super Sent.,II d. 24 q.3 a.3 ad 5m; d.39 q.3 a.1) . La sinderesi è abito innato nelle nostre menti e scaturente dal lume dell’intelletto agente, è abito dei principi per sé noti come: non si deve fare il male, si deve obbedire ai comandi di Dio etc.; per tali principi, attraverso la synderesi, la ragione pratica è guidata nella sua azione; la ragione pratica, si distingue quindi dalla synderesi in quanto quest’ultima è un’abito mentre la ragione pratica è una potenza; la synderesi è appunto abito della ragion pratica (cfr. Super Sent.,II d.24 q.2 a. 3; Super Sent.,II d. 39 q.3 a.1ad 3m).

La Veritatis Splendor afferma riguardo alla coscienza erronea: “ La coscienza, come giudizio di un atto, non è esente dalla possibilità di errore.” (VS, n. 62)

Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n. 1790 : ”  … accade che la coscienza morale sia nell’ignoranza e dia giudizi erronei su azioni da compiere o già compiute.”

Occorre vigilare anche sui nostri giudizi di coscienza come spiega la Veritatis Splendor : ““Il monito di Paolo ci sollecita alla vigilanza, avvertendoci che nei giudizi della nostra coscienza si annida sempre la possibilità dell’errore. Essa non è un giudice infallibile: può errare. ” (VS n. 62)

La Veritatis Splendor precisa al n. 63: “ È comunque sempre dalla verità che deriva la dignità della coscienza: nel caso della coscienza retta si tratta della verità oggettiva accolta dall’uomo; in quello della coscienza erronea si tratta di ciò che l’uomo sbagliando ritiene soggettivamente vero.”(VS, n. 63 ,)

Il Catechismo afferma ai nn. 1791-1793 che tale ignoranza in cui versa la coscienza  può essere imputabile, o non imputabile . Riguardo all’ignoranza imputabile occorre dire che essa si presenta in particolare  « quando l’uomo non si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all’abitudine del peccato ».(Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 16: AAS 58 (1966) 1037.); in questo caso l’ignoranza è colpevole e quindi  la coscienza è colpevolmente erronea e compromette la sua dignità (cfr. VS, n. 63)

Più precisamente , spiega s. Alfonso riprendendo s. Tommaso: ” … alcuni mali benché attualmente non si avvertano, ben nondimeno s’imputano a colpa, secondo insegna s. Tommaso, se l’ignoranza in qualche modo è volontaria, o per negligenza, o per passione, o per mal abito, o per volontaria inconsiderazione nell’operare. “[12]  In tali casi in cui l’ ignoranza è volontaria, la persona è colpevole del male che commette anche se lo compie guidato dalla coscienza; l’ignoranza della coscienza, infatti, in questi casi è imputabile.

La Veritatis Splendor precisa che: “Ci sono colpe che non riusciamo a vedere e che nondimeno rimangono colpe, perché ci siamo rifiutati di andare verso la luce (cf Gv 9,39-41).”(VS n. 63)

Riguardo all’ignoranza non imputabile va detto che  il giudizio erroneo che si compie in questo caso è senza responsabilità da parte del soggetto morale, quindi il male commesso dalla persona non può esserle imputato. L’ignoranza è invincibile quando il soggetto non è consapevole e da tale ignoranza non può uscire da solo (cfr. VS n. 62) in tale caso: “… la coscienza non perde la sua dignità, perché essa, pur orientandoci di fatto in modo difforme dall’ordine morale oggettivo, non cessa di parlare in nome di quella verità sul bene che il soggetto è chiamato a ricercare sinceramente.” (VS, n. 62)

Ma attenzione:  tale male commesso a causa di ignoranza invincibile e di errore non colpevole non diventa un bene ma resta un male, una privazione, un disordine.

È quindi necessario adoperarsi perché la pienezza della Luce di Cristo entri nella coscienza morale degli uomini sicché essa sia corretta dai suoi errori. All’origine delle deviazioni del giudizio della coscienza possono esserci varie cause: l’incredulità alla Parola di Dio,  la non conoscenza di Cristo e del suo Vangelo, la chiusura alla grazia e alla luce divine, i cattivi esempi dati dagli altri, la schiavitù delle passioni, la pretesa di una malintesa autonomia della coscienza, la negligenza nell’imparare ciò che dobbiamo sapere riguardo alla nostra vita morale, il rifiuto dell’autorità della Chiesa e del suo insegnamento, la mancanza di conversione e di carità (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica 1792)

Il tema della coscienza erronea porta con sé una importante questione riguardo al dovere che abbiamo di obbedire alla coscienza e al conseguente “legame” che crea in noi il giudizio di coscienza. Il giudizio di coscienza è imperativo e l’uomo deve agire secondo tale giudizio, spiega la VS  al n. 60: “ Se l’uomo agisce contro tale giudizio, oppure, anche in mancanza di certezza circa la correttezza e la bontà di un determinato atto, lo compie, egli è condannato dalla sua stessa coscienza, norma prossima della moralità personale.” (VS, n. 60) Spiega s. Tommaso che  la sentenza della ragione pratica, cioè la sentenza della coscienza morale, lega, cioè obbliga ad attuare tale sentenza, chi la emette: questo, si noti bene, significa che pecca chi non si conforma a tale sentenza da lui stesso emessa, ma non significa che chi segue tale sentenza non pecca (cfr. De veritate, q. 17 a. 4 in c.); la sentenza di coscienza, inoltre, secondo s.Tommaso, lega anche se il precetto del prelato sia contrario ad essa (cfr. De veritate, q. 17 a. 5 in c.), lega puramente e semplicemente se la coscienza è retta, lega “secundum quid” se la coscienza e` erronea (cfr. De veritate, q.17 a. 4 in c.) e lega anche riguardo a materia per sé indifferente (cfr. De veritate, q. 17 a. 4 ad 7).  Se a qualcuno la coscienza comanda di fare ciò che è contro la Legge di Dio, continua s. Tommaso, ed egli non agisce secondo tale coscienza, pecca, ma pecca anche se agisce secondo tale coscienza, perché l’ignoranza del diritto non scusa dal peccato a meno che tale ignoranza sia invincibile come nel caso di persone malate di certe patologie psichiche, la persona può comunque deporre la sua coscienza e agire secondo la Legge di Dio e così facendo non pecca.(Quodlibet III, q. 12 a. 2 ad 2) In un altro testo s. Tommaso precisa che chi agisce secondo coscienza erronea a volte è scusato da peccato grave se tale errore procede da ignoranza di ciò che non può sapere e non è tenuto a sapere; se invece tale errore è esso stesso peccato perché procede dall’ignoranza di ciò che la persona può ed è tenuta a sapere, in questo caso l’errore di coscienza non ha forza di assolvere o scusare e se l’atto che si compie è grave , chi lo compie realizza un peccato grave, come è il caso di colui che ritenesse che la fornicazione è peccato veniale e con tale coscienza fornicasse: il suo peccato sarebbe mortale e non veniale (cfr. Quodlibet VIII, q. 6 a. 5 co.). Come dicemmo più sopra: “Così, prima di sentirci facilmente giustificati in nome della nostra coscienza, dovremmo meditare sulla parola del Salmo: «Le inavvertenze chi le discerne? Assolvimi dalle colpe che non vedo» (Sal 181,13). Ci sono colpe che non riusciamo a vedere e che nondimeno rimangono colpe, perché ci siamo rifiutati di andare verso la luce (cf Gv 9,39-41).”(VS, n. 63)

3) La buona coscienza morale cristiana e la coscienza infallibile dei santi.

 

 

Dio ci illumini.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica aggiunge al n. 1794: ” La coscienza buona e pura è illuminata dalla fede sincera.”

In VS n. 62 leggiamo: “Come dice l’apostolo Paolo, la coscienza deve essere illuminata dallo Spirito Santo (cf Rm 9,1), deve essere «pura» (2 Tm 1,3), non deve con astuzia falsare la parola di Dio ma manifestare chiaramente la verità (cf 2 Cor 4,2).”

La regola corrotta, dice s. Tommaso, non è regola, la ragione falsa non è ragione , perciò la regola delle azioni umane non è semplicemente la ragione ma la ragione retta (cfr. Super Sent., II d.24 q.3 a.3 ad 3m.)

S. Tommaso precisa che la coscienza morale per essere retta, deve essere guidata e regolata da Dio: Prima Regola, Legge eterna (cfr. II-IIae q.23 a. 3 in c. e a.6 in c.).

La coscienza morale in quanto atto della ragione (pratica) porta in sé evidentemente le conseguenze della ferita arrecata alla nostra ragione dal peccato (originale e attuale), ferita che e` l’ignoranza per la quale la ragione è destituita dal suo ordine verso la verità (“ratio destituitur suo ordine ad verum”) (cfr.  I-IIae q.85 a.3).

La coscienza morale umana, in quanto privata della grazia a causa del peccato originale, da sé stessa non è capace di conoscere le cose della fede e non è capace di opporsi a ciò che va contro la fede (cfr. Super Sent.,II d. 39 q.3 a.1ad 3m)

Attraverso la sua Incarnazione per la nostra salvezza, spiega il s. Dottore Angelico, il Signore ha purificato la nostra coscienza con il suo Sangue (Super Heb., cap. 9 l. 3)  Accogliendo il dono di Dio in Cristo la nostra  coscienza è purificata dalla grazia e dalla fede, è una coscienza illuminata dalla salvezza portata da Cristo, è una coscienza morale cristiana, cioè una coscienza rettificata sotto la guida dello Spirito Santo; s. Tommaso dice a riguardo :”Testis infallibilis sanctorum est eorum conscientia, unde (Apostolus n.d. r.) subdit “testimonium mihi perhibente conscientia mea”II Cor.1,12 “Gloria nostra haec est, testimonium conscientiae nostrae”. Et quia interdum  conscientia errat nisi per Spiritum Sanctum rectificetur, subdit “in Spiritu Sancto”. Supra 8,16 “Ipse Spiritus testimonium reddit spiritui nostro.” (Cfr. Super Rom. c.9 lec.1.)  Si noti: per i santi il testimone infallibile è la coscienza morale; e perché è infallibile? Perché è un testimone rettificato, attraverso la grazia, dallo Spirito Santo che è Dio;  è, quindi, un testimone pienamente guidato e regolato da Dio: Prima Regola, Legge eterna (cfr. II-IIae q.23 a. 3 in c. e a.6 in c.). Attraverso la fede e la grazia, Dio Verità rettifica la coscienza morale del fedele, facendola partecipare alla sapienza di Cristo, come confermato da s. Tommaso in questo testo che segue:“…“nos autem”, scilicet spirituales viri, “sensum Christi habemus” idest recipimus in nobis sapientiam Christi ad iudicandum. Eccli 17,6: Creavit illis scientiam spiritus, sensu adimplevit corda illorum”.(Super  I Cor. c.2 lec.3.). Noi , cioè gli uomini spirituali abbiamo il pensiero di Cristo cioè abbiamo ricevuto la sapienza di Cristo per giudicare. La coscienza morale in quanto illuminata dalla fede, specialmente dalla fede viva  è quello che alcuni chiamano la coscienza morale soprannaturale[13], cioè possiamo dire la coscienza cristiana, la coscienza che riceviamo in Cristo. In Lui riceviamo dunque il dono della coscienza veramente retta e santa che comprende la percezione dei principi della moralità secondo la Verità rivelata, la loro applicazione nelle circostanze di fatto mediante un discernimento pratico delle ragioni e dei beni e, soprattutto, il giudizio retto e santo riguardante gli atti concreti che si devono compiere o che sono già stati compiuti. La verità piena sul bene morale è praticamente e rettamente riconosciuta attraverso il giudizio prudente della coscienza illuminata dalla fede .   Le virtù infuse ci dispongono al compimento dell’atto che è la coscienza morale soprannaturale. La coscienza morale cristiana è un atto, invece le virtù infuse sono disposizioni a tale atto, dunque le virtù infuse predispongono anche al compimento dell’atto che è la coscienza morale cristiana. La fede, predispone l’uomo al compimento dell’atto soprannaturale che è la coscienza morale cristiana:  “ Id enim quod universaliter fide tenemus, puta usum ciborum esse licitum vel illicitum, conscientia applicat ad opus quod est factum vel faciendum”(Super  Rom., cap. 14 l. 3. ) Ciò che crediamo per fede  la coscienza morale lo applica ad un’opera che è stata fatta o deve essere fatta per giudicare ciò che è stato fatto e per stabilire cosa si deve fare.

La Croce Sacra sia la nostra luce.

4) La fede, la carità e la coscienza morale cristiana.

Dice s. Tommaso, come visto, che noi abbiamo ricevuto, per grazia la sapienza di Cristo per giudicare (cfr. Super I Cor. c.2 lec.3.); la coscienza morale cristiana è atto illuminato dalla sapienza che viene in noi attraverso la grazia, cioè in ultima analisi dalla sapienza di Cristo. Cristo, Regola somma conforme a noi e Capo del suo Corpo Mistico ci dona sapienza soprannaturale nella fede e nella carità (Super Sent., III d. 13 q. 2 a. 1 in c.); da Cristo Capo, perciò, noi riceviamo, l’intelligenza, la sapienza e la carità per poter realizzare l’atto perfetto di coscienza morale soprannaturale. In tale atto soprannaturale, la fede precisa il giudizio universale della sinderesi (cfr. Super Sent., lib. 2 d. 39 q. 3 a. 2 in c.) . Quindi, come detto, nella coscienza morale soprannaturale, resta la synderesi ma coadiuvata dalla fede, in questa linea dobbiamo intendere quello che dice s. Tommaso  nel seguente testo :

“Deinde cum dicit “Beatus qui non iudicat” […] Id enim quod universaliter fide tenemus, puta usum ciborum esse licitum vel illicitum, conscientia applicat ad opus quod est factum vel faciendum […]”(Super Rom., cap. 14 l. 3.)

Per noi questo significa che la coscienza soprannaturale, sempre guidata dalla synderesi ma appunto coadiuvata dalla fede, applica al caso concreto ciò che universalmente teniamo per fede. La fede è dunque la luce sulla base della quale si compie la coscienza morale soprannaturale, per la fede partecipiamo in Cristo alla conoscenza di Dio:

“ … per potentiam intellectivam homo participat cognitionem Dei per virtutem fidei …”(Cfr.  I-IIae q. 110 a.4 in c.)

Per la fede, quindi, partecipiamo alla conoscenza divina, in Cristo, sicché possiamo giudicare in modo veramente retto le nostre azioni. Dio ci doni una fede sempre più forte.

Per fede vengono fissati in noi i principi dell’operare sulla base dei quali giudichiamo il nostro comportamento.

A questo riguardo dice s. Tommaso che

la fede illumina l’intelletto donando ad esso la conoscenza di verità soprannaturali che sono principi per l’azione soprannaturale (cfr. De virtutibus, q. 1 a. 10 in co.); ma va notato che la fede di cui qui si parla è, soprattutto, la fede perfetta, e affinché l’atto della fede sia perfetto e meritorio occorre che l’abito della virtù sia nell’intelletto, per la fede stessa, e nella volontà(cfr. II-II a. 2 ad 2m), per la carità (cfr II-II a. 3).

Anche la fede informe illumina la ragione e ci permette di realizzare un atto di coscienza morale cristiana ma non con la perfezione della fede viva che è perfezionata dalla carità e dai doni dello Spirito Santo.

Per la fede perfezionata dalla carità, nella maniera più piena si attua in noi il giudizio di Cristo su una determinata azione, è per questa fede che la sapienza di Cristo per giudicare viene a noi partecipata in modo molto alto, è per questa fede unita alla carità che la vita divina, attraverso Cristo viene in noi e con essa vengono i doni dello Spirito Santo che radicano più pienamente in noi l’abito della fede e perfezionano la nostra coscienza.

La Commissione Teologica ha affermato in questa linea: “La fede, in quanto virtù teologale, rende il credente capace di partecipare alla conoscenza che Dio ha di se stesso e di tutte le cose. … Mediante la grazia e le virtù teologali i credenti divengono «partecipi della natura divina» (2Pt 1,4) e sono in qualche modo resi connaturali a Dio. … ”[14]

Spiega ancora la Commissione Teologica Internazionale “La carità permette il dispiegarsi dei doni dello Spirito Santo nei credenti, conducendoli a una comprensione superiore delle cose della fede «con ogni sapienza e intelligenza spirituale» (Col 1,9).[Cf. Commissione teologica internazionale, La teologia oggi, nn. 91-92.] In effetti le virtù teologali si esprimono pienamente nella vita del credente solo se egli si lascia guidare dallo Spirito Santo (cf. Rm 8,14).” [15]

A riguardo occorre considerare che, come detto, la coscienza, a livello naturale, è applicazione degli abiti operativi della ragione che sono la synderesi, la scienza e la sapienza; a livello soprannaturale la coscienza morale è partecipazione, alla perfezione di Cristo, partecipazione che si attua in noi attraverso la fede, soprattutto attraverso la fede viva con la carità, le virtù infuse e i doni dello Spirito Santo: la carità difatti informa e perfeziona la fede e porta nell’anima umana tutte le virtù e i doni dello Spirito Santo; per tale partecipazione alle perfezioni di Cristo noi possiamo realizzare nella maniera più alta e divina i 2 atti in cui consiste la coscienza morale: l’esame e il consiglio o deliberazione (cfr. De veritate,q.17 a.1 in c.) per tale partecipazione possiamo giudicare nella maniera più perfetta i nostri atti. Per tale partecipazione alle perfezioni di Cristo, ulteriormente, la nostra volontà, che è il fulcro della vita morale cristiana, può orientarsi verso  la beatitudine del cielo e quindi verso tutti gli atti santi e meritori che ad essa veramente conducono.

Anche la fede informe, che è priva della carità, ci fa partecipare, in certo modo, alla sapienza di Cristo ma in modo meno perfetto rispetto alla fede viva, e illumina la coscienza morale cristiana.

La Croce Sacra sia la nostra luce.

5) L’educazione e formazione della coscienza.

 

 

Dio ci illumini sempre meglio.

La coscienza deve essere educata nella fede e il giudizio morale illuminato dalla fede e dalla grazia. Una coscienza ben formata, illuminata da Cristo attraverso la fede e la grazia, è veramente retta e veritiera. Essa formula i suoi giudizi seguendo, in Cristo, la fede, in conformità al vero bene voluto dalla sapienza del Creatore. L’educazione della coscienza, nella fede e nella grazia, è indispensabile perché essa giudichi rettamente; gli uomini sono esposti a influenze negative e tentati dalle potenze delle tenebre e quindi dai nemici spirituali a preferire il loro proprio giudizio e a rifiutare gli insegnamenti certi (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1783).

La Trinità ci doni una coscienza veramente ben formata.

Perché si possa realizzare questa formazione nella fede e nella grazia la coscienza morale cristiana  va educata attraverso la meditazione della Parola di Dio e quindi attraverso gli insegnamenti della Tradizione, attraverso gli insegnamenti certi della Chiesa; in questa linea occorre rendersi conto che seguire la coscienza morale cristiana è molto impegnativo e ci fa percorrere la via della Croce , perciò come insegnano i santi la meditazione della Passione di Cristo è una straordinaria luce per la nostra vita sia per renderci forti e pazienti nella prova e sia perché possiamo scegliere ciò che ci aiuta a seguire veramente il nostro Salvatore sulla via della Croce (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1785). La Croce sacra sia la nostra luce.

Il Catechismo afferma al n. 1787: “ L’uomo talvolta si trova ad affrontare situazioni che rendono incerto il giudizio morale e difficile la decisione. Egli deve sempre ricercare ciò che è giusto e buono e discernere la volontà di Dio espressa nella Legge divina.” Nella luce della fede l’uomo deve  discernere la volontà di Dio nella sua vita, tale volontà va nel senso della sequela di Cristo sulla via della Croce: chi vuole andare dietro Cristo , rinneghi sé stesso, prenda la sua Croce e Lo segua (cfr. Luca 9, 22ss). Appunto per realizzare tale discernimento nella fede  sono importanti oltre alla meditazione della Parola di Dio, specie della Passione, la preghiera incessante e alla vita liturgica, i consigli di persone avvedute. Il Catechismo della Chiesa cattolica offre alcune norme fondamentali per tale discernimento  al n.1789 “ …

— Non è mai consentito fare il male perché ne derivi un bene.

— … « Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro » (Mt 7,12).76

— La carità passa sempre attraverso il rispetto del prossimo e della sua coscienza. …. ”

La VS afferma qualcosa di particolarmente importante, in questa linea, al n. 64 : “ …  «per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2) è sì necessaria la conoscenza della legge di Dio in generale, ma questa non è sufficiente: è indispensabile una sorta di «connaturalità» tra l’uomo e il vero bene.(Cf S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 45, a. 2.)  … In tal senso Gesù ha detto: «Chi opera la verità viene alla luce» (Gv 3,21).” (VS, n. 64)

Le parole della Veritatis Splendor richiamano quello che dicemmo prima riguardo alla coscienza morale soprannaturale e alla sua infallibilità; è sotto l’azione di Dio e della sua grazia santificante infatti che si realizza la connaturalità di cui si parla qui sopra e si compiono giudizi di coscienza veri nella Luce della volontà di Dio. La grazia ci fa partecipare alla natura divina, ci rende connaturali a Dio.

La Commissione Teologica Internazionale ha affermato  “ Mediante la grazia e le virtù teologali i credenti divengono «partecipi della natura divina» (2Pt 1,4) e sono in qualche modo resi connaturali a Dio. …

[16] Vivendo in Dio e di Dio si partecipa alla sapienza di Dio e si discerne bene la sua volontà; vivendo nella grazia e nella carità e quindi nella fede viva e guidati dai doni dello Spirito Santo si partecipa alla sapienza di Dio nel modo più alto e si discerne bene la sua volontà.

La Trinità ci conceda di partecipare in pienezza, per grazia, alla sua divina sapienza.

a) La coscienza morale cristiana dinanzi  al Magistero e agli errori  del “Magistero”.

Dio ci illumini sempre più.

La fede ci insegna ad ascoltare e a vivere la dottrina sacra e certa che Cristo attraverso il Magistero ci presenta; quindi una coscienza morale cristiana si lascia guidare da Cristo attraverso il Magistero della Chiesa e non si pone dinanzi ad esso in una sorta di autonomia. Il cristiano è passato dall’auto-nomia alla “Cristo-nomia” … cioè il cristiano  accoglie Cristo e la sua parola come Legge; ciò si compie nella Chiesa di Cristo, Corpo Mistico di Cristo: “I cristiani, però, nella formazione della loro coscienza, devono considerare diligentemente la dottrina sacra e certa della Chiesa (Cf. Pio XII, “Messaggio radiofonico”, 23 marzo 1952: AAS 44 (1952), pp. 270-278.). Infatti per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità e sua missione è di annunziare e di insegnare autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare autoritativamente i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana.” [17]

I cristiani devono formare la loro coscienza con la dottrina sacra e certa della Chiesa, in questo ambito ovviamente ha una fondamentale importanza il Magistero.

Come spiega la Veritatis Splendor: “ … il Magistero non porta alla coscienza cristiana verità ad essa estranee, bensì manifesta le verità che dovrebbe già possedere sviluppandole a partire dall’atto originario della fede.”  (VS, n. 64)

La Chiesa aiuta la coscienza a giudicare nella luce della Verità e a non essere ingannata dai nemici spirituali.

Occorre però notare, come vedemmo, che: “Non sono mancati nella storia del Papato errori umani e mancanze anche gravi: Pietro stesso, infatti, riconosceva di essere peccatore(Cf. Lc 5,8.).  Pietro, uomo debole, fu eletto come roccia, proprio perché fosse palese che la vittoria è soltanto di Cristo e non risultato delle forze umane. Il Signore volle portare in vasi fragili (Cf. 2 Cor 4,7.) il proprio tesoro attraverso i tempi: così la fragilità umana è diventata segno della verità delle promesse divine e della misericordia di Dio. (Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. “Ut Unum Sint”, del 25.5.1995, nn. 91-94.) “[18].

Quando il “Magistero” devia dalla sana dottrina e quindi dalla Tradizione per affermare errori, come accadde in alcuni casi in passato o come purtroppo stiamo vedendo ai nostri giorni e come sto dicendo in questo libro, è ovvio che tali errori e deviazioni, anche se diffusi dal Papa, sono inaccettabili e inaccoglibili, in questo caso è proprio la coscienza cristiana e lo Spirito Santo che opera in essa a rigettare ciò che di errato il “Magistero” presenta.

A questo riguardo è interessante notare quello che dice la Commissione Teologia Internazionale in un documento sul “sensus fidei”: la virtù e quindi anche la fede muove anzitutto il soggetto verso un certo oggetto, verso un certo atto, ma d’altra parte lo allontana anche da ciò che è contrario a tale oggetto, in questa linea il sensus fidei è  un istinto per la verità del Vangelo, che permette ai cristiani di riconoscere la dottrina e la prassi cristiane autentiche e di aderirvi. Questo istinto è soprannaturale, ed ha un legame intrinseco con il dono della fede ricevuto nella comunione ecclesiale, e permette ai cristiani di rispondere alla propria vocazione profetica.[19]

S. Tommaso afferma: “ … per habitum fidei inclinatur mens hominis ad assentiendum his quae conveniunt rectae fidei et non aliis.” (II-II q. 1, a. 4, ad 3) Attraverso la fede lo spirito dell’uomo è inclinato a dare il proprio assenso a ciò che conviene alla retta fede, e non ad altro. La fede fa che il credente partecipi alla conoscenza che Dio ha di sé stesso e di tutte le cose. Mediante la grazia e le virtù teologali i credenti divengono «partecipi della natura e della vita trinitaria (cfr. 2Pt 1,4) .” [20]

Al n. 58 dello stesso documento possiamo leggere : “ Per mezzo di tali doni dello Spirito, specialmente quelli dell’intelligenza e della scienza, i credenti sono resi capaci di comprendere intimamente «l’esperienza delle cose spirituali»[DV 8 … ] e di rifiutare qualsiasi interpretazione contraria alla fede.”[21]

Secondo s. Tommaso è in particolare il dono della scienza che porta il fedele ad avere un giudizio preciso su ciò che deve essere creduto e che, perciò, porta il fedele a discerne ciò che deve essere creduto e ciò che non deve esserlo (cfr. II-II, q. 9, a. 1, c. et ad 2)

Ai nn. 61 ss dello stesso documento leggiamo ancora: “ Il sensus fidei fidelis consente anche a ogni credente di percepire una disarmonia, un’incoerenza o una contraddizione fra un insegnamento o una prassi e la fede cristiana autentica di cui vive.” [22]

Come dice s. Tommaso per la fede il credente è trattenuto dal dare il proprio assenso a ciò che è contrario alla fede : “Fidei etiam habitus hanc efficaciam habet, ut per ipsum intellectus fidelis detineatur ne contrariis fidei assentiat.”(De veritate, q. 14, a. 10, ad 10)

Dice ancora s. Tommaso: “ …  sicut habitus temperantiae inclinat ad resistendum luxuriae, ita habitus fidei inclinat ad resistendum omnibus quae sunt contra fidem. Unde in tempore quando emergit necessitas explicite cognoscendi vel propter doctrinam contrariam quae imminet, vel propter motum dubium qui insurgit, tunc homo fidelis ex inclinatione fidei non consentit his quae sunt contra fidem, sed differt assensum, quousque plenius instruatur.(Super. Sent., III d. 25, q. 2, a. 1, sol. 2, ad 3.)

La temperanza porta a resistere alla lussuria e la fede porta a resistere a tutto ciò che è contro la fede. Perciò l’uomo di fede anche in tempo di confusione dottrinale non consente a ciò che va contro la fede.

Sotto la guida della grazia e dello Spirito Santo i fedeli rigettano tutto ciò che va contro la sana dottrina anche se è un Vescovo o un Papa ad affermarlo.

Dio ci renda sempre più docili alla sua voce e sempre più sapienti per rigettare ciò che va contro la sana dottrina anche se è un Vescovo o un Papa ad affermare tali errori.

6) Questioni inerenti la situazione dei divorziati risposati nella Chiesa e la dottrina cattolica circa la coscienza morale cristiana.

Dio ci illumini sempre meglio

Scriveva la Congregazione per la Dottrina della Fede in un famoso documento sulla situazione dei divorziati risposati: “ L’errata convinzione di poter accedere alla Comunione eucaristica da parte di un divorziato risposato, presuppone normalmente che alla coscienza personale si attribuisca il potere di decidere in ultima analisi, sulla base della propria convinzione (Cf. Lett. enc. Veritatis splendor, n. 55: AAS 85 (1993) 1178.), dell’esistenza o meno del precedente matrimonio e del valore della nuova unione. Ma una tale attribuzione è inammissibile(Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 1085 § 2.). Il matrimonio infatti … è essenzialmente una realtà pubblica.

…  il consenso, col quale è costituito il matrimonio, non è una semplice decisione privata, poiché crea per ciascuno dei coniugi e per la coppia una situazione specificamente ecclesiale e sociale. Pertanto il giudizio della coscienza sulla propria situazione matrimoniale non riguarda solo un rapporto immediato tra l’uomo e Dio, come se si potesse fare a meno di quella mediazione ecclesiale, che include anche le leggi canoniche obbliganti in coscienza. “

[23]

Sottolineo che: l’errata convinzione di poter accedere alla Comunione eucaristica da parte di un divorziato risposato, presuppone normalmente che alla coscienza personale si attribuisca il potere di decidere in ultima analisi, sulla base della propria convinzione, dell’esistenza o meno del precedente matrimonio e del valore della nuova unione. Una tale attribuzione è inammissibile perché il matrimonio è una realtà pubblica e sono solo gli organi ecclesiali a ciò preposti che possono dichiarare la nullità di un precedente matrimonio. Quindi per accostarsi all’Eucaristia non basta la decisione della coscienza morale personale circa la validità ed esistenza del matrimonio contratto ma occorre stare alle leggi canoniche obbliganti in coscienza.

Dio ci illumini sempre meglio.

Come abbiamo visto sopra occorre distinguere una coscienza cristiana da una coscienza semplicemente umana, la coscienza cristiana è illuminata dalla fede , ma per tale fede la persona non può giudicare da sola della validità del proprio matrimonio, la fede ci insegna che solo la Chiesa ha potere di dichiarare nullo un matrimonio celebrato. Quindi coloro che vogliono accostarsi all’Eucaristia solo in base al loro giudizio, non si lasciano guidare dalla fede e quindi dalla coscienza morale cristiana. Come visto sopra, la Chiesa ci aiuta a formarci rettamente la nostra coscienza morale , meglio ancora potremmo dire che Cristo e la Trinità ci aiutano a formare la nostra coscienza morale cristiana attraverso le indicazioni che la Trinità stessa ci dona per mezzo della Chiesa; la coscienza morale cristiana, illuminata dalla fede accoglie l’insegnamento di Dio attraverso la Chiesa e guida la persona a vivere secondo esso.

La Trinità ci doni di seguire sempre meglio la sua Verità attraverso l’insegnamento della Chiesa.

Il Card. Ratzinger, nel 1998, nella sua “Introduzione” al numero 17 della Collana “Documenti e Studi”, diretta dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, intitolato “Sulla pastorale dei divorziati risposati”, scrisse qualcosa di molto importante in questa linea, riprendendo le affermazione della suddetta lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede:

“ Altri hanno proposto di distinguere fra l’ammissione ufficiale alla sacra comunione, che non sarebbe possibile, e l’accesso di questi fedeli alla mensa del Signore, che in taluni casi sarebbe permesso, se essi si ritenessero autorizzati a questo nella loro coscienza. Di contro a questo la lettera della Congregazione sottolinea: “Il fedele che convive abitualmente more uxorio con una persona che non è la legittima moglie o il legittimo marito, non può accedere alla Comunione eucaristica. Qualora egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori, date la gravità della materia e le esigenze del bene spirituale della persona e del bene comune della chiesa, hanno il grave dovere di ammonirlo che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della chiesa. Devono anche ricordare questa dottrina nell’insegnamento a tutti i fedeli loro affidati” [24].  …  Si tratta “soltanto di fedeltà assoluta alla volontà di Cristo che ci ha ridato e nuovamente affidato l’indissolubilità del matrimonio come dono del Creatore” [25][26]

Dio ci renda sempre più fedeli alla volontà di Cristo, Dio -uomo.

Scriveva nel 2013 il Card. Müller, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, nella linea appena vista :“ Sempre più spesso viene suggerito che la decisione di accostarsi o meno alla comunione eucaristica dovrebbe essere lasciata alla coscienza personale dei divorziati risposati. Questo argomento, che si basa su un concetto problematico di “coscienza”, è già stato respinto nella lettera della Congregazione del 1994. …

Se i divorziati risposati sono soggettivamente nella convinzione di coscienza che il precedente matrimonio non era valido, ciò deve essere oggettivamente dimostrato dalla competente autorità giudiziaria in materia matrimoniale. Il matrimonio non riguarda solo il rapporto tra due persone e Dio, ma è anche una realtà della Chiesa, un sacramento, sulla cui validità non solamente il singolo per se stesso, ma la Chiesa, in cui egli mediante la fede e il Battesimo è incorporato, è tenuta a decidere.”[27]

Nel 2011 l’Osservatore Romano ripropose, uno scritto del Card. Ratzinger, poi diventato Papa, in cui leggiamo: «Se il matrimonio precedente di fedeli divorziati risposati era valido, la loro nuova unione non può essere considerata lecita in alcun caso, per il fatto che la recezione dei Sacramenti non si può basare su ragioni interiori. La coscienza del singolo è vincolata senza eccezioni a questa norma[28]» [29]

La coscienza cristiana è vincolata senza eccezioni alla Verità per cui se il matrimonio precedente di fedeli divorziati risposati era valido la loro nuova unione non può essere considerata lecita in alcun caso, e la recezione dei Sacramenti non si basa su ragioni interiori[30]

Dio vincoli sempre meglio le nostre coscienze alla sua Verità.

7) Precisazioni su alcune affermazioni di Papa Francesco sulla coscienza morale in Amoris Laetitia n. 37.

Al n. 37 dell’Amoris Laetitia leggiamo “…. Abbiamo difficoltà a presentare il matrimonio più come un cammino dinamico di crescita e realizzazione che come un peso da sopportare per tutta la vita. Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle.”

Anzitutto faccio notare che siamo chiamati certo a formare le coscienze ma non solo quelle degli altri  ….  siamo anzitutto chiamati a formare rettamente la nostra coscienza con la sana dottrina e la retta e vera fede, perché anzitutto i nostri giudizi siano illuminati e con essi possiamo illuminare le altre coscienze! Gli errori circa la sana dottrina non servono a formare le nostre coscienze e non servono a formare le coscienze degli altri.

Come dicevamo sopra, poi,  il cristiano deve avere una coscienza morale cristiana, illuminata dalla fede, e sulla base di tale fede e di tale coscienza non basta, per salvarsi, fare “il meglio possibile” in mezzo a limiti etc., come dice Amoris Laetitia, … occorre vivere in grazia di Dio e quindi vivere i comandamenti, con l’aiuto di Dio. Il Catechismo Tridentino afferma: “ Che se l’uomo può essere giustificato, e da malvagio divenire buono, anche prima di praticare nelle azioni esterne le singole prescrizioni della Legge; non può pero, chi abbia già l’uso della ragione, trasformarsi da peccatore in giusto, se non sia disposto a osservare tutti i comandamenti di Dio.”[31] … Il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda al n.2068 che il Concilio di Trento afferma che: “ … i dieci comandamenti obbligano i cristiani e che l’uomo giustificato è ancora tenuto ad osservarli (cfr. Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, canoni 19-20: DS 1569-1570).”

Ulteriormente, il Catechismo precisa al n. 2072 che nessuno può dispensare dai 10 comandamenti.

Siamo chiamati a non dispensare alcuno dall’osservanza dei divini comandamenti e quindi siamo chiamati a considerare i comandamenti divini come vera Legge di Dio, i cui precetti negativi obbligano sempre e in ogni circostanza, e non semplicemente come un ideale … e perciò siamo chiamati a contrastare in dottrina e in pratica la cosiddetta “gradualità della Legge” …

Non è impossibile vivere osservando i 10 comandamenti … ma è difficile e sappiamo che: “Le verità che riguardano Dio e le relazioni tra gli uomini e Dio trascendono del tutto l’ordine delle cose sensibili; quando poi si fanno entrare nella pratica della vita e la informano, allora richiedono sacrificio e abnegazione. Nel raggiungere tali verità, l’intelletto umano incontra ostacoli della fantasia, sia per le cattive passioni provenienti dal peccato originale. Avviene che gli uomini in queste cose volentieri si persuadono che sia falso, o almeno dubbio, ciò che essi “non vogliono che sia vero”. Per questi motivi si deve dire che la Rivelazione divina è moralmente necessaria affinché quelle verità che in materia religiosa e morale non sono per sé irraggiungibili, si possano da tutti conoscere con facilità, con ferma certezza e senza alcun errore. (Conc. Vat. D. B. 1876, Cost. “De fide Cath.”, cap. II, De revelatione).”[32]

Siamo chiamati, dunque, anche a correggere coloro che sono persuasi che è falso ciò che è vero, ma che essi non vorrebbero che fosse vero,  siamo chiamati anche a correggere chi ritiene di camminare sulla via retta, e invece è in una via di peccato grave e siamo chiamati a prendere anche seri provvedimenti per far valere la verità. Siamo chiamati, di certo, in questa linea, ad allontanare con carità ma anche con fermezza i peccatori notori dai Sacramenti che essi vogliono ricevere senza essere veramente convertiti, nonostante in coscienza essi “sentano” di poterli ricevere, come dice il can 915 : “Non siano ammessi alla sacra Comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l’irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto” (can. 915) Siamo chiamati ad allontanare gli scandali dalla Chiesa anche se in coscienza coloro che li compiono si sentono a posto.

Siamo chiamati a dire tutta la Verità … anche se è scomoda …

Dio ci liberi sempre più da errori e peccati .

8) Precisazioni su alcune affermazioni di Papa Francesco sulla coscienza morale in Amoris Laetitia n. 303.

a) Le affermazioni di Amoris Laetitia e il loro significato.

Al n. 303 dell’Amoris Laetitia leggiamo: “Ma questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo.”

Il passo di Amoris Laetitia appena visto va esaminato considerando anzitutto quello che dicemmo all’inizio di questo libro: il “cambio di paradigma” che il Papa sta attuando si realizza con discrezione e usando anche un certo “cifrario” che fa passare anche attraverso una voluta ambiguità e in modo poco visibile il tradimento della sana dottrina.

Nel passo suddetto si afferma, dunque, stando al testo, che “questa coscienza” cioè evidentemente la coscienza di cui aveva parlato nella frase precedente e cioè la coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo.

Esaminando tale affermazione nella luce del “cifrario” e della discrezione suddetti, considerando le parole usate nel testo, considerando l’interpretazione “autentica” realizzata da mons. Fernández che vedremmo qualche paragrafo più avanti, nonché quelle realizzate dai Vescovi tedeschi e maltesi e approvate dalla Santa Sede e che vedremo più avanti capiamo che per tale testo e quindi per Papa Francesco la coscienza può riconoscere con sincerità e onestà e con una certa sicurezza morale che Dio chiede di rimanere in situazione di opposizione ai comandamenti, chiede di rimanere a compiere atti oggettivamente gravi, o, per meglio dire, chiede di continuare a compiere ciò che la sana dottrina indica come peccato mortale.

La volontà di Dio è, dunque, per alcuni, in certi casi, secondo Papa Francesco, che essi praticamente vadano contro la Legge che Dio stesso ha fissato e continuino a restare in evidente situazione di peccato grave; inoltre, sempre secondo il Papa argentino, la coscienza retta, la coscienza cristiana, può riconoscere con sincerità e onestà e con una certa sicurezza morale che appunto Dio voglia che queste persone rimangano in tale situazione di peccato grave.

Chiediamo a Dio speciale luce per esaminare nelle pagine che seguono e nella luce della sana dottrina, l’insegnamento che, come appena detto, emerge dal passo in oggetto di Amoris Laetitia 303.

Diciamo subito che il Papa non appoggia a nessuna citazione questa sua affermazione. Evidentemente la Tradizione e la Bibbia non supportano, con i loro testi, secondo il Papa, tale affermazione.

b) Una coscienza morale cristiana può ritenere con sincerità e onestà e scoprire con una certa sicurezza morale che Dio le conceda di compiere ciò che Lui stesso vieta assolutamente, sempre e senza eccezioni? Ordinariamente no!

La Croce di Cristo sia la nostra luce.

Come dicemmo sopra, la nostra coscienza morale di cristiani deve essere illuminata dalla vera fede che implica anche totale accoglienza delle affermazioni che il Magistero, secondo la santa dottrina,  soprattutto  a livello dogmatico o definitivo, ha presentato.

Tali affermazioni Magisteriali di livello sommo sono, tra l’altro, fissate dal Concilio di Trento e sono riportate dal Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2068

Più precisamente il Concilio di Trento afferma: “ Nessuno poi, per quanto giustificato, deve considerarsi libero dall’osservanza dei comandamenti, nessuno deve far propria quell’espressione temeraria e proibita dai padri sotto pena di anatema (cfr. tra gli altri il Conc. Arausicano II (529) dopo il c. 25 (Msi 8. 717).), che cioè è impossibile per l’uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio. Dio, infatti, non comanda le cose impossibili; ma quando comanda ti ammonisce di fare quello che puoi (cfr. Agostino, De natura et gratia, 43 (50) (CSEL 60, 270).) e di chiedere quello che non puoi, ed aiuta perché tu possa: i suoi comandamenti non sono gravosi (cfr. I Gv 5, 3.), il suo giogo è soave e il peso leggero (cfr. Mt 11, 30.). Quelli infatti che sono figli di Dio, amano Cristo e quelli che lo amano (come dice lui stesso cfr. Gv 14, 23.) osservano le sue parole, cosa che con l’aiuto di Dio certamente possono fare.”[33] Lo stesso Concilio di Trento afferma inoltre. “ 18. Se qualcuno dice che anche per l’uomo giustificato e costituito in grazia i comandamenti di Dio sono impossibili ad osservarsi, sia anatema. 19. Chi afferma che nel Vangelo non si comanda altro, fuorché la fede, che le altre cose sono indifferenti, né comandate, né proibite, ma libere; o che i dieci comandamenti non hanno nulla a che vedere coi cristiani: sia anatema. 20. Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato e perfetto quanto si voglia non è tenuto ad osservare i comandamenti di Dio e della chiesa, ma solo a credere, come se il Vangelo non fosse altro che una semplice e assoluta promessa della vita eterna, non condizionata all’osservanza dei comandamenti: sia anatema. ”[34] Quindi la sana dottrina proclamata da un Concilio Ecumenico a livello dogmatico afferma che  nessuno , per quanto giustificato, deve considerarsi libero dall’osservanza dei comandamenti … Dio ci comanda di osservare i comandamenti e ci dà di poterli osservare.

Il Concilio Vaticano II afferma: “I vescovi, quali successori degli apostoli, ricevono dal Signore, cui è data ogni potestà in cielo e in terra, la missione d’insegnare a tutte le genti e di predicare il Vangelo ad ogni creatura, affinché tutti gli uomini, per mezzo della fede, del battesimo e dell’osservanza dei comandamenti, ottengano la salvezza (cfr. Mt 28,18-20; Mc 16,15-16; At 26,17 ss).”[35] Una coscienza morale cristiana giudica secondo questa verità. Dio ci aiuti ad avere una coscienza morale retta e ci aiuti a vivere sempre secondo la Legge divina.

Ulteriormente, il Catechismo precisa al n. 2072 che: “ Poiché enunciano i doveri fondamentali dell’uomo verso Dio e verso il prossimo, i dieci comandamenti rivelano, nel loro contenuto essenziale, obbligazioni gravi. Sono sostanzialmente immutabili e obbligano sempre e dappertutto. Nessuno potrebbe dispensare da essi. I dieci comandamenti sono incisi da Dio nel cuore dell’essere umano.”

Una coscienza morale veramente cristiana vive illuminata da questa verità di fede: i dieci comandamenti sono indispensabili sostanzialmente immutabili e obbligano sempre e dappertutto … I comandamenti non sono semplicemente un ideale ma appunto sono comandi che obbligano sempre e dappertutto, qui e ora!

Nella VS  leggiamo:“ I precetti negativi della legge naturale sono universalmente validi: essi obbligano tutti e ciascuno, sempre e in ogni circostanza.  … È proibito ad ognuno e sempre di infrangere precetti che vincolano, tutti e a qualunque costo, a non offendere in alcuno e, prima di tutto, in se stessi la dignità personale e comune a tutti. … La Chiesa ha sempre insegnato che non si devono mai scegliere comportamenti proibiti dai comandamenti morali, espressi in forma negativa nell’Antico e nel Nuovo Testamento”. (VS, n. 52)

Gesù, vero Dio e vero uomo, proclama solennemente l’inderogabilità di queste proibizioni: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti. ..: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso” (Mt 19,17-18).”    Mai una coscienza cristiana può ritenere che Dio le conceda di compiere ciò che Lui stesso vieta assolutamente, sempre e senza eccezioni. ; mai una coscienza morale cristiana può giudicare che Dio le conceda di compiere adulterio … o degli atti omosessuali etc.

In un importante articolo pubblicato sull’Osservatore Romano leggiamo “La tradizione morale cristiana ha …  costantemente e chiaramente affermato che, tra quelle negative, le norme che proibiscono atti intrinsecamente disordinati non ammettono eccezioni: tali atti, infatti, sono «disordinati» sotto il profilo morale per la loro stessa intima struttura, quindi in se stessi e per se stessi, ossia contraddicono la persona nella sua specifica dignità di persona. Proprio per questa precisa ragione, tali atti non possono essere resi «ordinati» sotto il profilo morale da nessuna intenzione e da nessuna circostanza soggettive, che non valgono a mutare la loro struttura.” (Esortazione apostolica Familiaris consortio, n. 32).”[36].

Nella VS leggiamo, al n. 81: “ Insegnando l’esistenza di atti intrinsecamente cattivi, la Chiesa accoglie la dottrina della Sacra Scrittura. …  Se gli atti sono intrinsecamente cattivi, un’intenzione buona o circostanze particolari possono attenuarne la malizia, ma non possono sopprimerla: sono atti «irrimediabilmente» cattivi, per se stessi e in se stessi non sono ordinabili a Dio e al bene della persona … ” (VS, n. 81)

Gli atti intrinsecamente cattivi sono irrimediabilmente cattivi e non ordinabili al bene della persona.

L’adulterio, come altri atti intrinsecamente cattivi, è vietato semper et pro semper, senza eccezioni, perché la scelta di un tale comportamento non è in nessun caso compatibile con la bontà della volontà della persona che agisce, con la sua vocazione alla vita con Dio e alla comunione col prossimo. È proibito ad ognuno e sempre di infrangere precetti che vincolano, tutti e a qualunque costo, a non offendere in alcuno e, prima di tutto, in se stessi la dignità personale e comune a tutti.

Si noti bene: sempre e in ogni circostanza, senza eccezioni, è vietato l’adulterio, dunque, l’adulterio è vietato  anche nel caso in cui “ … se llega a reconocer que, en un caso concreto, hay limitaciones que atenúan la responsabilidad y la culpabilidad (cf. 301-302), particularmente cuando una persona considere que caería en una ulterior falta dañando a los hijos de la nueva unión….”[37] cioè, contrariamente a ciò che dice la lettera dei Vescovi argentini, è radicalmente vietato commettere adulterio anche se la persona pensa che non cedendo a tale peccato cadrebbe in un ulteriore peccato danneggiando i figli della nuova unione.

Non ci sono eccezioni, secondo queste affermazioni, che giustifichino il compimento di atti contrari ai precetti negativi della Legge naturale.

È proibito ad ognuno e sempre di infrangere precetti divini che vincolano, tutti e a qualunque costo … dunque anche al costo di far crollare la famiglia!  …  Il fine non giustifica i mezzi …  Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che alcuni atti sono per sé stessi, cioè in particolare per il loro oggetto, sempre gravemente contrari alla Legge divina tra essi vi sono la bestemmia e lo spergiuro, l’omicidio, l’adulterio ma anche i rapporti omosessuali etc.. “Non è lecito compiere il male perché ne derivi un bene.” (Catechismo della Chiesa Cattolica n.1753) Non è lecito compiere un male perché ne venga un bene : non è lecito commettere adulterio per salvare i figli o la famiglia …

Per salvare la famiglia non siamo autorizzati a metterci sotto i piedi i 10 comandamenti!!

Le affermazioni appena viste vanno evidentemente nella linea, che appare la più semplice e precisa, per cui Dio vuole che  i precetti negativi della legge naturale siano universalmente validi: essi obbligano tutti e ciascuno, sempre e in ogni circostanza.

La coscienza morale cristiana segue appunto la luce i verità che emerge da tali testi e ritiene che i precetti negativi della legge naturale siano universalmente validi: essi obbligano tutti e ciascuno, sempre e in ogni circostanza.

b,1) Casi assolutamente straordinari, forse possibili, che “confermano la regola”.

S. Tommaso afferma che esistono atti intrinsecamente malvagi che sono sempre e per sempre vietati e che i comandamenti sono indispensabili sicchè nessuno può dispensare dall’osservanza dei precetti divini (cfr. Iª-IIae q. 100 a. 8 co.) ma d’altra parte lo stesso Dottore presenta alcuni casi assolutamente eccezionali per cui Dio può dispensare qualcuno in qualche caso particolare sicché costui possa compiere atti che , senza la dispensa divina sono oggettivamente peccato grave, sono vere e proprie eccezioni che confermano la regola, come preciseremo.

Anzitutto s. Tommaso ribadisce che la dispensa implica una distribuzione commisurata delle cose comuni alle realtà che fanno parte di tale comunità, in questo modo si dispensa il cibo alla famiglia (cfr. II-II q. 88 a. 10)

La dispensa di un voto, precisa s. Tommaso, va intesa come le dispense che si concedono nell’osservanza di una legge umana. Ora, la dispensa nella legge umana va data nel caso in cui una certa legge, data in considerazione di ciò che è bene nella maggior parte dei casi, per qualcuno non è un bene, con tale dispensa appunto viene liberato dall’osservanza di tale legge colui per cui non è bene tale osservanza. (cfr. II-II q. 88 a. 10)

I precetti di Dio son precetti necessari per se stessi alla salvezza, invece le leggi ecclesiastiche non hanno per oggetto cose che per indicazione della Chiesa, e non per sé stesse, sono necessarie alla salvezza; perciò possono esserci degli impedimenti che determinano per qualcuno la dispensa dall’osservare tali leggi, ma non possono esserci dispense dall’osservare i precetti fissati da Dio come necessari per la salvezza.(cfr. IIª-IIae, q. 147 a. 4 ad 1)

S. Tommaso è molto chiaro nel negare che un uomo possa dispensare alla Legge di Dio. (cfr. Super Sent., lib. 3 d. 37 q. 1 a. 4; I-II q. 100 a. 8; Quodlibet 4, a. 8).

Nella Somma Teologica dice in particolare s. Tommaso a riguardo: “.. Praecepta autem Decalogi continent ipsam intentionem legislatoris, scilicet Dei. … Et ideo praecepta Decalogi sunt omnino indispensabilia. ”(I-II q. 100 a. 8) I precetti del Decalogo contengono la stessa intenzione del Legislatore cioè di Dio , quindi tali precetti sono del tutto indispensabili!

Nell’articolo il s. Dottore spiega in particolare che: Dio stesso si rinnegherebbe se togliesse l’ordine della sua giustizia, essendo egli la stessa giustizia; per questo Dio non può dispensare in modo che all’uomo sia lecito di rapportarsi disordinatamente con Dio stesso, o di non sottomettersi all’ordine della sua giustizia, anche in quelle cose per le quali gli uomini sono ordinati tra loro (cfr. I-II q. 100 a. 8 ad 2).

I precetti del decalogo sono immutabili quanto alla regola di giustizia che contengono. Rispetto, invece, ad una certa determinazione per l’ applicazione ai singoli atti, sicché questo o quello sia omicidio o furto o adulterio, ci possono essere cambiamenti:  in quelle cose che il Signore ha istituito si richiede solo l’autorità di Dio stesso; basta invece l’autorità  degli uomini in quelle cose che sono affidate alla giurisdizione degli uomini.[38]

Più precisamente, esaminando vari passi delle sue opere, s. Tommaso afferma quanto segue: Dio non può cambiare le regole di giustizia che contengono i precetti del decalogo: “… praecepta ipsa Decalogi, quantum ad rationem iustitiae quam continent, immutabilia sunt.   Sed quantum ad aliquam determinationem per applicationem ad singulares actus, ut scilicet hoc vel illud sit homicidium, furtum vel adulterium, aut non, hoc quidem est mutabile, quandoque sola auctoritate divina, in his scilicet quae a solo Deo sunt instituta, sicut in matrimonio, et in aliis huiusmodi; quandoque etiam auctoritate humana, sicut in his quae sunt commissa hominum iurisdictioni. Quantum enim ad hoc, homines gerunt vicem Dei, non autem quantum ad omnia.”(I-II q. 100 a. 8 ad 3m)

Dio però può realizzare una determinazione per l’ applicazione ai singoli atti, stabilendo, con la sua autorità, che questo o quello sia o non sia omicidio o furto o adulterio; in questo modo gli Israeliti che si fecero dare cose dagli egiziani alla loro partenza dall’ Egitto non rubarono perché Dio stabilì che erano loro dovute; in modo simile Abramo non consentì ad un omicidio quando Dio gli comandò di uccidere Isacco perché Dio è padrone della vita e della morte e aveva deciso che egli fosse ucciso. In modo simile Osea, unendosi con la moglie fornicatrice o con la donna adultera non peccò perché quella donna era di lui, gli apparteneva secondo il mandato di Dio che è l’autore del matrimonio. Nel modo appena detto, però, Dio può in certo modo dispensare dai precetti della II tavola del Decalogo, come dice anche s. Bernardo, non da quelli della I tavola.[39]

Il Caietano nel suo commento annesso all’edizione Leonina della Somma Teologica di s. Tommaso ribadisce le parole di s. Tommaso: i precetti del decalogo sono immutabili quanto alla regola di giustizia che contengono, rispetto, invece, ad una certa determinazione per l’ applicazione ai singoli atti, sicché questo o quello sia omicidio o furto o adulterio, ci possono essere cambiamenti:  in quelle cose che il Signore ha istituito si richiede solo l’autorità di Dio stesso. Quando Dio comanda di compiere qualcosa che senza il suo comando sarebbe peccato grave come omicidio, adulterio o furto, il suo comando non è contro il precetto o al di fuori del precetto ma è contro il precetto.

Inoltre, come dice s. Tommaso “ … contra praecepta primae tabulae, quae ordinant immediate in Deum, Deus dispensare non potest; sed contra praecepta secundae tabulae, quae ordinant immediate ad proximum, Deus potest dispensare; non autem homines in his dispensare possunt.” (Super Sent., lib. 1 d. 47 q. 1 a. 4) Dio non può dispensare dai precetti della I tavola del Decalogo, può dispensare invece, come visto, dai precetti della II tavola, ma gli uomini non possono.

Nel De Malo in particolare s. Tommaso  (De malo, q. 3 a. 1 ad 17 ) afferma che Dio non può dispensare dai precetti della I tavola del Decalogo, può dispensare invece, come visto, dai precetti della II tavola, facendo che non sia peccato ciò altrimenti sarebbe peccato; infatti con i precetti della I tavola gli uomini sono ordinati a Dio, bene universale, e Dio non può negare sé stesso allontanando da sé gli uomini.  S. Tommaso cita il caso di Osea ma fa capire che la cosa non è sicura perché fa notare come alcuni dicono che quelle cose che si affermano di Osea accaddero non nella realtà ma in visione profetica.

Secondo s. Tommaso, dunque, i precetti negativi del Decalogo obbligano semper et pro semper ma se Dio ci comanda di compiere un atto che di per sé sarebbe intrinsecamente malvagio, tale comando lo libera da tale malvagità e lo rende lecito; concretamente, ciò che accade nel caso particolare è che il precetto rimane perfettamente valido ma il caso particolare non ricade più sotto quel precetto perché è intervenuto Dio ed ha fatto passare quel caso particolare sopra al precetto.

Suarez, in particolare, segue molto direttamente s. Tommaso e afferma che neppure Dio può dispensare dai precetti del Decalogo; l’uomo, e in particolare il Papa, può precisare, nella Verità, circa la materia del precetto, la quale è soggetta a mutazione e precisazione, p. es. ciò che prima era di una persona può diventare di un altra e quindi ciò che era furto non lo è più … (cfr. F. Suarez “Tractatus de legibus et de Deo Legislatore” l. II c. XV n. 16) ma non può dispensare dai precetti del Decalogo.

Il famoso testo di teologia morale secondo la dottrina alfonsiana realizzato da Aertnys e Damen  afferma che solo Dio può dispensare dal diritto divino positivo sia dalle norme della legge naturale, la Chiesa non ha la potestà di concedere dispensa propriamente detta circa il diritto divino positivo; la Chiesa può interpretare la Legge divina positiva e, per la potestà vicaria, può impropriamente dispensare nel diritto divino positivo in quanto si appoggia su un fatto umano; in questa linea la Chiesa dispensa nel vincolo matrimoniale rato ma non consumato (cfr. Aertnys e Damen “Theologia Moralis .” Marietti, 1956, vol. I p. 145s)

Va detto però che in realtà le dispense date da Dio alla sua legge non sono troppo chiare, e non paiono essere  vere dispense. I casi che s. Tommaso cita sono 3: il sacrificio di Isacco(Gn 22,1-18), lo spogliamento dell’ Egitto da parte degli Israeliti (Es. 12, 35s) , il caso di Osea (Os. 1,2) che è invitato a prendere per moglie una prostituta.

Il caso di Abramo che da Dio è invitato a uccidere il figlio Isacco (Gn 22,1-18) è più una prova che un vero comando a uccidere un innocente, peraltro il significato profondo del passo è che Abramo deve “uccidere spiritualmente” in sé stesso il legame ovviamente fortissimo per l’unico figlio Isacco per essere lui stesso libero di fare in tutto la volontà di Dio e per tenere il figlio libero perché anche lui potesse fare in tutto la volontà di Dio, quindi in realtà Abramo ha realmente “ucciso” ma spiritualmente e in sé stesso, cioè si è distaccato profondamente dal figlio riconoscendolo pienamente come dono di Dio e non come qualcosa appartenente ad Abramo stesso. Dio interviene quando si è compiuto il pieno distacco interiore di Abramo dal suo figlio perchè quello era ciò che Dio voleva realizzare. Peraltro va tenuto conto del fatto che nel Medio Oriente era costume di vari popoli il sacrificio umano del figlio, la storia del sacrificio di Isacco va intesa infatti come il superamento e anche la condanna dei sacrifici umani che viene realizzata da Dio e dalla vera religione, Abramo si distacca dal paganesimo e se ne distacca non solo per il riconoscimento di Dio ma per la pratica della vera religione e quindi della vera morale che Dio gli insegna. Tale morale e tale vera religione non prevedono la pratica del sacrificio umano.

Per quanto riguarda il caso degli ebrei che escono dall’Egitto (Es. 12, 35-36) e in particolare il fatto che essi spogliarono l’Egitto, non pare che in questo caso gli ebrei abbiano rubato, semplicemente furono gli stessi egiziani a fare loro dei doni su loro richiesta.

Infine riguardo all’episodio di Osea (Os. 1,2) lo stesso s. Tommaso fa capire che non c’è sicurezza circa il fatto che Dio abbia veramente comandato ad Osea qualcosa che è normalmente peccato, alcuni interpretano il passo come una visione profetica. Il testo potrebbe peraltro significare che il profeta deve prendere in moglie una donna che fa parte del popolo che pratica la prostituzione , cioè tradisce il suo Dio con falsi dei, non una vera prostituta.

Peraltro sposare una prostituta non è per sé peccato.

Quindi non si vedono chiaramente queste dispense.

Peraltro i casi suddetti sono tutti episodi dell’ A. Testamento, con la venuta di Cristo tali dispense non paiono più ammissibili visto che Cristo ci ha donato la sua grazia in pinezza e siamo chiamati a imitare Cristo e a vivere da persone deificate e a dare buon esempio ai nostri fratelli. Le dispense in oggetto, ai precetti del Decalogo, creerebbero o potrebbero creare situazioni in cui diffonderemmo un cattivo esempio, quindi mi pare conveniente che la perfezione portata da Cristo metta completamente da parte tali dispense.

Inoltre tali dispense, seppure fossero vere, verrebbero comunicate  a veri mistici, a uomini santi (come Abramo, Osea, Mosè) cui Dio parla e che sono veramente guidati da Dio, non a uomini immersi nel peccato, sarebbero casi assolutamente straordinari … sarebbero eccezioni così straordinarie che “confermerebbero la regola”.

Il Magistero, come visto, non pare seguire s. Tommaso per questa linea della dispensa di Dio alla sua Legge e in particolare al Decalogo.

Dio ci ha donato la sua Legge e ci dona la forza di praticarla, i comandi negativi della legge sono assolutamente invalicabili.

L’assoluta indispensabilità dei comandi del decalogo si salda perfettamente con la verità per cui i precetti negativi del decalogo valgono sempre e per sempre … sempre e in ogni circostanza[40] tali precetti negativi sono sempre e assolutamente obbligatori a tal punto da essere assolutamente indispensabili.

Dio non vuole che le persone attuino cose contrarie alla sua Legge, e l’uomo non può dispensare sé o altri dal Decalogo, e ciò vale anche per il Confessore e per il penitente … e ciò vale anche dopo Amoris Laetitia e dopo la lettera dei Vescovi argentini …

La coscienza morale cristiana nella sua prudenza resta salda nella sicura verità che il Magistero insegna e per cui i precetti negativi del Decalogo obbligano semper et pro semper, pur restando aperta a casi possibili, eccezionali, super straordinari e mistici.

b,2) Le affermazioni di Amoris Laetitia 303 non hanno nulla a che fare con  casi straordinari, forse possibili, … sono semplicemente colossali errori!

Le affermazioni di Amoris Laetitia 303, che peraltro qui non citano s. Tommaso né la Bibbia né la Tradizione, evidentemente non hanno nulla a che fare con i casi straordinari  e mistici forse possibili appena citati,  contengono quindi semplicemente dei colossali errori che dovrebbero servire per aprire le porte al “cambio di paradigma”, errori che non hanno nulla di mistico e di straordinario, come visto in tali presunti episodi di dispense indicati dal s. dottore, e che hanno tutto di peccaminoso e di perverso, purtroppo!  La conferma di questo la abbiamo negli scritti, che vedremo nel prossimo paragrafo, dei Vescovi che hanno applicato l’ Amoris Laetitia nella linea del “cambio di paradigma” nessuno di loro quando tratta del n. 303 dell’ esortazione papale  parla di casi straordinari di mistica …

Dio non vuole mantenere nessuno in situazione di evidente opposizione, specie se grave, ai suoi comandamenti, i comandi negativi della Legge divina sono obbligatori sempre e in ogni circostanza, i comandi negativi della Legge divina sono assolutamente indispensabili e la coscienza retta, la coscienza cristiana, non può mai  riconoscere con sincerità e onestà che Dio le sta chiedendo di continuare a compiere atti oggettivamente gravi e di rimanere in situazione di peccato grave. I casi super straordinari, mistici, sono straordinarie eccezioni che se possibili “confermano la regola”.

Chi farnetica imprudentemente circa la possibilità di dispensa dai precetti del Decalogo, si renda conto che, peraltro, sta aprendo la porta perché anche i criminali, i mafiosi, i pedofili, i massacratori, gli stupratori, gli abortisti etc. possano ritenere che i loro crimini non sono veramente tali perché Dio li ha dispensati dall’osservare i precetti del Decalogo che condannano tali reati.

Le affermazioni di Amoris Laetitia 303, inoltre, aprono evidentemente la strada ad altri errori … perché ovviamente se Dio vuole che una persona si dispensi dalla Legge divina e in particolare dai suoi precetti che vincolano tutti e ad ogni costo, questa persona, pur compiendo atti oggettivamente gravi o veri peccati gravi, e volendo rimanere in tale situazione, sta realizzando la “volontà di Dio” perciò può ricevere i Sacramenti e nessuno può impedirglielo, come, in certo modo, hanno detto i Vescovi maltesi e i Vescovi tedeschi, le cui affermazioni vedremo più specificamente nel prossimo paragrafo.

Dio ci illumini sempre meglio.

Concludendo, su questo numero 303 di Amoris Laetitia è interessante notare qualche significativo commento.

Anzitutto segnalo il commento fatto dal prof. Seifert.

Il 5 agosto 2017, sulla rivista teologica tedesca AEMAET, il professore Josef Seifert ha pubblicato un articolo con il titolo posto in forma di domanda: “La logica pura minaccia di distruggere l’intera dottrina morale della Chiesa?”. In esso affermava che il citato n° 303 di Amoris Laetitia è “una bomba atomica teologica che minaccia di abbattere l’intero edificio morale dei 10 comandamenti e dell’insegnamento morale cattolico”. E giustificava la drammaticità dell’affermazione domandandosi:

““Se solo un caso di atto intrinsecamente immorale può essere permesso e persino voluto da Dio, ciò non si deve applicare a tutti gli atti considerati ‘intrinsecamente errati’?  …  Non dovranno pertanto cadere anche gli altri 9 comandamenti, Humanae Vitae, Evangelium Vitae e tutti i documenti passati, presenti o futuri della Chiesa, i dogmi o i concili, che insegnano l’esistenza di atti intrinsecamente errati? … Non dovrebbero allora, per pura logica, essere buoni e lodevoli a causa della complessità di una situazione concreta, l’eutanasia, il suicidio o assistenza ad esso,

bugie, furti, spergiuri, negazioni o tradimenti di Cristo, come quello di San Pietro o

l’omicidio, in alcune circostanze e dopo un adeguato “discernimento”?

….  Tuttavia, se la domanda contenuta nel titolo di questo documento deve avere una

risposta affermativa, come credo personalmente sia il caso, la conseguenza puramente

logica dell’affermazione di Amoris Laetitia sembra distruggere l’intero insegnamento

morale della Chiesa.”[41].

Vi segnalo, poi il commento del prof. Meiattini “ …  l’asserzione che in certi casi Dio possa perfino “chiedere” di compiere un male oggettivo, perché, in un dato momento, è l’unica cosa che si può offrire generosamente a Lui (n. 303). Qui ha ragione Seifert: se il senso di quell’espressione presente in AL è questo, e non vedo quale altro potrebbe essere, allora crolla l’intera morale cristiana. In fondo questa affermazione contiene i presupposti di un pensiero neognostico che altre volte il Papa (e più recentemente la Congregazione per Dottrina della Fede) dice giustamente di voler respingere. Perché se Dio chiede positivamente il male, si pone in Dio stesso la dimensione dell’“ombra”, del negativo. Se può essere Dio a chiedere ciò che è male, in certe condizioni concrete, perché è quello che in quel momento la persona può fare, allora sarebbe proprio AL a creare uno spiraglio a una certa forma di neognosticismo, ben presente in certe correnti culturali.”[42]

c) Alcune significative affermazioni di Vescovi nella linea di Amoris Laetitia 303.

Sulla scia dell’ Amoris Laetitia i Vescovi Maltesi hanno potuto affermare: “Nel processo di discernimento, esaminiamo anche la possibilità della continenza coniugale. Nonostante che sia un ideale non facile, ci possono essere coppie che con l’aiuto della grazia pratichino questa virtù senza mettere a rischio altri aspetti della loro vita insieme. D’altronde, ci sono delle situazioni complesse quando la scelta di vivere «come fratello e sorella» risulta umanamente impossibile o reca maggior danno (cfr. Amoris laetitia, nota 329).  Qualora come esito del processo di discernimento, compiuto con «umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere ad una risposta più perfetta ad essa» (Amoris laetitia, 300), una persona separata o divorziata che vive una nuova unione arriva — con una coscienza formata e illuminata — a riconoscere e credere di essere in pace con Dio, non le potrà essere impedito di accostarsi ai sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia (cfr. Amoris laetitia, nota 336 e 351).” [43]

Anzitutto notiamo l’assurda affermazione per cui: la Legge di Dio, quindi, risulta impossibile … o reca maggior danno! Osservare la Legge di Dio reca danno … anzi maggior danno … mentre, evidentemente, il peccato oggettivamente grave fa minor danno!  Inoltre, come  mons. Melina ha potuto scrivere riguardo alle linee guida per l’applicazione del cap. VIII dell’ Amoris Laetitia emanate da parte dei Vescovi maltesi e tedeschi : “Un secondo tema da considerare attentamente riguarda la sacramentalità in relazione con la coscienza. Alcuni interventi di conferenze episcopali (in maniera esplicita quello dei vescovi di Malta e, più implicitamente anche quello del comitato dei vescovi tedeschi), hanno affermato che l’accesso al sacramento dell’Eucaristia dovrebbe essere lasciato al giudizio della coscienza di ciascuno. Non si tratta qui ovviamente dell’interiore verifica della propria situazione di fronte a Dio, su cui “ciascuno deve esaminare se stesso” (I Cor 11, 28). Non è in questione infatti la valutazione della colpevolezza soggettiva rispetto a peccati del passato. Piuttosto è in gioco il giudizio o sulla sussistenza del vincolo coniugale sacramentale pubblico o sul fatto che relazioni sessuali non coniugali, che si configurano come adulterio o almeno come fornicazione, da cui non si intende recedere, siano compatibili o meno con la vita cristiana. Una simile visione introduce una ferita all’economia sacramentale della Chiesa e una soggettivizzazione radicale, cosicché una verità che la Chiesa insegna come fondata sulla rivelazione divina dovrebbe essere ultimamente sottoposta al giudizio della coscienza. La Chiesa mai ha confuso il foro sacramentale con il foro della coscienza; se così fosse, non avrebbero senso le parole del sacerdote che a nome della Chiesa dice: «Io ti assolvo». Egli dovrebbe piuttosto dire: «Prendo atto che la tua coscienza ti assolve» e così il sacramento della confessione perderebbe ogni significato ecclesiale obiettivo, come è tra i luterani.”[44]

D’altra parte la coscienza, come vedemmo sopra, secondo la dottrina di Amoris Laetitia, può giudicare sinceramente e con una certa sicurezza morale che Dio voglia che una persona resti in peccato … e quindi pur stando e volendo rimanere in situazione di peccato tale persona sta facendo la volontà di Dio e può ricevere i Sacramenti e nessuno può impedirglielo!

Questo è un colossale errore, ovviamente, del tutto contrario alla sana dottrina.

I Vescovi maltesi hanno seguito “bene” il grave errore che il Papa diffonde attraverso Amoris Laetitia.

I Vescovi dell’Emilia Romagna hanno affermato in questa linea: “La possibilità di vivere da “fratello e sorella” per potere accedere alla confessione e alla comunione eucaristica è contemplata dall’AL alla nota 329. Questo insegnamento, che la Chiesa da sempre ha indicato e che è stato confermato nel magistero da Familiaris Consortio 84, deve essere presentata con prudenza, nel contesto di un cammino educativo finalizzato al riconoscimento della vocazione del corpo e del valore della castità nei diversi stati di vita. Questa scelta non è considerata l’unica possibile, in quanto la nuova unione e quindi anche il bene dei figli potrebbero essere messi a rischio in mancanza degli atti coniugali. È delicata materia di quel discernimento in “foro interno” di cui AL tratta al n. 300.”[45]

Se la persona in coscienza, come vedemmo sopra, secondo la dottrina di Amoris Laetitia, può giudicare sinceramente e con una certa sicurezza morale che Dio voglia che lei resti in peccato grave, come adulterio etc., cioè se Dio vuole che tale persona continui a peccare, tale persona sta facendo “il bene” pur peccando gravemente e quindi può ricevere i Sacramenti e nessuno può impedirglielo; in questa linea ovviamente, se Dio vuole che gli uomini pecchino gravemente non è necessario che i divorziati risposati vivano come “fratello e sorella” per potere accedere alla confessione e alla comunione eucaristica … L’impegno alla castità dei divorziati risposati non è dunque più necessario per ricevere i Sacramenti ma è solo una possibilità …

Ovviamente qui siamo del tutto fuori dalla Legge di Dio e dalla dottrina cattolica e infatti lo stesso testo dei Vescovi emiliani precisa che la necessità del proposito di castità e quindi di vivere come   “fratello e sorella” per i divorziati è un: “… insegnamento, che la Chiesa da sempre ha indicato e che è stato confermato nel magistero da Familiaris Consortio ” …

I Vescovi tedeschi  hanno realizzato un documento molto significativo nella linea che stiamo indicando, in esso sottolineano che secondo Amoris Laetitia nessuno può essere condannato per sempre (cfr. Amoris Laetitia n. 297), sottolineano che  la  Chiesa possiede un solido corpo di riflessione sui fattori e situazioni attenuanti, quindi non si può più semplicemente dire che tutti coloro che si trovano in una situazione “irregolare”vivono in uno stato di peccato mortale e sono privati ​​della grazia santificante  (cfr. Amoris Laetitia n. 301), fanno notare che Amoris Laetitia  non si ferma a una categorica esclusione irreversibile dai sacramenti, citano la nota  336 (in Amoris Laetitia n. 300) e la nota 351 (in Amoris Laetitia n. 305) di Amoris Laetitia e fanno altresì notare che, in una situazione oggettiva di peccato (che potrebbe non essere soggettivamente colpevole, o non pienamente tale) una persona può vivere nella grazia di Dio, può amare e può crescere anche nella vita di grazia e di carità (cfr. Amoris Laetitia 305), ricevendo l’aiuto della Chiesa e in alcuni casi anche l’aiuto dei sacramenti, quindi affermano che non tutti i fedeli il cui matrimonio è fallito e sono divorziati e risposati civilmente possono ricevere i sacramenti senza discernimento e che Papa Francesco sottolinea il significato delle decisioni determinanti basate sulla coscienza quando dice che troviamo anche difficile fare spazio per le coscienze dei fedeli, che molto spesso rispondono come meglio possono al Vangelo in mezzo ai loro limiti, e sono in grado di svolgere il proprio discernimento in situazioni complesse; infatti siamo stati chiamati a formare coscienze, non a sostituirle  (cfr. AL n. 37).  Le decisioni individuali dei divorziati risposati per cui essi ritengono di  non poter ancora ricevere i sacramenti meritano rispetto e riconoscimento, ma va ugualmente rispettata la decisione di costoro a favore della ricezione dei sacramenti rispettata.[46]

Quindi secondo i Vescovi tedeschi chi ritiene in coscienza di poter ricevere i Sacramenti può riceverli senza proposito di non peccare gravemente e anche continuando praticamente a peccare gravemente,  se lo ritiene giusto in coscienza …

Ovviamente se, come dice Amoris Laetitia,  la coscienza può riconoscere con sincerità e onestà e con una certa sicurezza morale che Dio chiede di rimanere in situazione di opposizione ai comandamenti, la persona fa la volontà di Dio restando in tale situazione e in essa può ricevere anche i Sacramenti senza proporsi di uscirne …

Tutte le suddette affermazioni di questi gruppi di Vescovi sono state ovviamente accettate dal Papa che non ha avuto nulla da ridire … anzi sono state pubblicate e diffuse nella Chiesa universale con notevole scandalo …

Dio intervenga e liberi la sua Chiesa da questi gravi errori.

9) Analisi del significativo commento di mons. Fernández, presunto autore nascosto di Amoris Laetitia, alle affermazioni dell’esortazione circa la coscienza morale.

a) Il significativo commento di mons. Fernández alle affermazioni dell’ Amoris Laetitia  circa la coscienza morale.

Dopo l’apparizione dei suddetti testi dei Vescovi maltesi e dei Vescovi tedeschi per l’applicazione dell’  Amoris Laetitia, mons. Fernández, presunto autore nascosto di Amoris Laetitia, ha pubblicato   un articolo su tale esortazione [47], in esso parla in vari punti della coscienza morale. L’esame del testo di mons. Fernández va fatto, anzitutto su ciò che lui afferma e quindi considerando chi lui sta  appoggiando e chi sta  attaccando.

Fernández dice che la grande novità di Papa Francesco  è il fatto di affermare che un discernimento pastorale nel campo del foro interno  compiuto in particolare nella Confessione, può avere conseguenze pratiche nell’ applicazione della disciplina sacramentale (p. 459).

Viene mantenuta, secondo Fernández, la norma canonica generale, per cui cui i divorziati risposati che non si propongono di vivere come fratello e sorella non possono ricevere l’Eucaristia, anche se in alcuni casi potrebbe non essere applicata come conseguenza di un percorso di discernimento in cui ha una parte centrale la coscienza della persona concreta con la sua reale situazione davanti a Dio, le sue reali possibilità e i suoi limiti. (p. 459)

Mons. V. M. Fernández, afferma in particolare che sebbene la norma sia universale, tuttavia, come dice Amoris Laetitia: “ … poiché il grado di responsabilità non è lo stesso in tutti i casi (Relatio finalis 2015, 51), le conseguenze o gli effetti di una norma non dovrebbero necessariamente essere sempre gli stessi (Nemmeno per quanto riguarda la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave. Qui si applica quanto ho affermato in un altro documento: cfr Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 44.47: AAS 105 (2013), 1038-1040.)”  (Amoris Laetitia n. 300).  Cioè l’ Amoris Laetitia invita a fare un discernimento per vedere se la persona è in grazia pur trovandosi in situazione di evidente peccato grave oggettivo. Ciò implica che si possa esprimere un giudizio sul proprio stato di grazia. Si può dare un giudizio su questo punto dello stato di grazia della persona nel dialogo pastorale?  Francesco ritiene che sia possibile  e ciò apre la strada ad un cambio di disciplina.[48]

Fernández riprendendo s. Giovanni Paolo II e la dottrina cattolica afferma che tale giudizio deve essere fatto dalla persona stessa, dalla sua coscienza, e che non è un giudizio assolutamente sicuro, si tratta solo di una certa sicurezza morale. (p. 459-460)

Parliamo dunque di una certa sicurezza morale che la persona può conseguire dopo

un processo di discernimento personale e pastorale. Questo discernimento va fatto tenendo in particolare conto il limiti della persona, la quale non deve presentare atti oggettivamente disordinati come retti e santi ma afferma che sono difficili da evitare nelle sue circostanze specifiche, anche se  è sinceramente disposta a crescere in questo punto (p. 463). Le circostanze possono attenuare la colpevolezza (p. 463) e quindi possono mitigare o annullare la responsabilità e la colpa di fronte a qualsiasi norma, anche di fronte ai precetti morali negativi e assoluti, questo rende possibile che non sempre si perda la vita della grazia santificante in una convivenza “more uxorio” (p. 456) Il discernimento che la persona con il ministro di Dio e attraverso la coscienza deve compiere va in questa linea: deve vedere se per lei stessa gli atti oggettivamente malvagi (in particolare adulterini) sono difficili da evitare nelle sue circostanze specifiche e quindi lei si trova in situazione di colpevolezza attenuata; se vi è tale colpevolezza attenuata lei rimane, secondo quello che Fernández dice, in grazia pur compiendo tali atti (cfr. p. 462s) e quindi può ricevere i Sacramenti senza avere il proposito di non ricadere in atti oggettivamente gravi (in particolare atti adulterini)

Francesco, secondo mons. Fernández,  non afferma che questi atti oggettivamente malvagi siano giustificabili come scelta personale (p. 463), l’atto è e rimane oggettivamente disonesto e non perde la sua gravità oggettiva, quindi non è possibile che possa essere scelto, come se facesse parte dell’ideale cristiano, né diventa soggettivamente onesto. Papa Francesco, inoltre, in tale contesto di colpa attenuata, invita queste persone cerchino di rispondere alla volontà di Dio con la maggiore dedizione possibile in quella situazione con vari atti come: maggiore generosità verso i figli, la decisione di assumere in coppia un impegno più intenso per il bene comune,  lo sviluppo di gesti reciproci di beneficenza più frequente e intensa, ecc. Questi atti possono essere oggetto di una scelta personale, e  sono un esempio del “bene possibile ”che può essere fatto nei limiti della propria situazione. (p. 464)

In questo modo, la coscienza è chiamata a riconoscere quello che è il bene possibile da parte del soggetto e quindi ciò che, per ora, è la risposta generosa che può essere offerta dal soggetto a Dio, tale risposta è ciò che Dio chiede in mezzo alla complessità concreta dei limiti (cfr. Amoris Laetitia n. 303).

Fernández cita e apprezza anche alcune affermazioni con cui il prof. Buttiglione difende Amoris Laetitia e per cui  Papa Francesco non si mette nella giustificazione dell’atto, ma delle circostanze soggettive e dei fattori attenuanti che riducono la responsabilità dell’agente. La regola per cui le persone nella grazia di Dio sono escluse dalla comunione come pena canonica per l’anti testimonianza che hanno dato, può essere soggetta a eccezioni, e questo è ciò che dice Amoris Laetitia. (p. 462s)

Nelle discussioni intorno ad Amoris Laetitia, continua Fernández, alcuni sostengono che il Papa intende concedere alla coscienza della persona un potere di creare verità e regole a piacimento ma Francesco parla di un processo di discernimento accompagnato da un pastore, quindi è un discernimento “personale e pastorale” (Amoris Laetitia n. 300), che richiede anche prendere molto seriamente “l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo “(Amoris Laetitia n. 300)  e suppone la coscienza rettamente formata (Amoris Laetitia n. 302) non è una coscienza che finge di creare la verità come le piaccia o la adatti ai suoi desideri. (p. 466)

b) Analisi del significativo commento di mons. Fernández alle affermazioni dell’esortazione circa la coscienza morale.

b,1) Mons. Fernández non precisa cose fondamentali riguardo al giudizio che la persona deve fare in coscienza circa il suo stato di grazia.

Diciamo anzitutto che il giudizio di coscienza di cui parla mons. Fernández è duplice: uno riguarda il passato e uno il futuro.

Il giudizio che riguarda il passato e il presente attiene allo stato di grazia attuale, il giudizio che riguarda il futuro riguarda la volontà di Dio per vivere in grazia.

b,1,1) Su quali segni basare il giudizio della coscienza morale sul passato per verificare lo stato attuale di grazia santificante dell’anima.

Dio ci illumini sempre meglio.

Come notammo più sopra, e come dice mons. Fernández, s. Giovanni Paolo II affermò: “Il giudizio sullo stato di grazia, ovviamente, spetta soltanto all’interessato, trattandosi di una valutazione di coscienza.”[49] Queste parole del s. Pontefice vanno intese rettamente perché  la grazia non si vede … e la coscienza non è infallibile … per intenderle rettamente ascoltiamo s.  Tommaso secondo cui non si può sapere in modo certo ma ci sono dei segni che indicano che probabilmente nell’anima c’è la carità e quindi la grazia: “Hoc autem nullo modo cadit in cognitionem nostram nisi per revelationem. Et ideo nullus certitudinaliter potest scire se habere caritatem; sed potest ex aliquibus signis probabilibus  conjicere.” (Super Sent., lib. 1 d. 17 q. 1 a. 4 co. ) I segni che indicano la presenza della carità sono indicati da s. Tommaso già in questo testo:“ Dicendum, quod aliquis habens caritatem potest ex aliquibus probabilibus  signis  coniicere se caritatem habere; utpote cum se ad spiritualia opera paratum videt, et mala efficaciter detestari, et per alia huiusmodi quae caritas in homine facit.” (De veritate, q. 10 a. 10 co.) Sono dunque segni di carità nell’anima il fatto che la persona sia preparata alle opere spirituali e detesti efficacemente il male e altri simili segni.  Spiega ancora s. Tommaso che segni che indicano la presenza della contrizione in un’anima sono il dolore per i peccati passati e il proposito di non peccare in futuro : “Et in tali casu non peccat sumendo corpus Christi, quia homo per certitudinem scire non potest utrum sit vere contritus. Sufficit tamen si in se signa contritionis inveniat, puta ut doleat de praeteritis et proponat cavere de futuris.” (III, q. 80 a. 4 ad 5) Facciamo notare che per s. Tommaso la contrizione implica la grazia santificante, quindi questi appena indicati sono segni di grazia nella persona e della carità, sono dunque segni che vanno uniti a quelli precedenti per avere un quadro ancora più preciso dello stato di un’anima, per capire se in essa vi sia veramente  la grazia e la carità e la contrizione. In un altro testo s. Tommaso, parlando dell’esame che l’uomo è chiamato a fare per vedere se ha la grazia e la carità e quindi può ricevere l’Eucaristia,  offre la trattazione più completa di questi segni che indicano che la carità e la vita di grazia sono nell’anima: “Probet seipsum homo. Apostolus hic adhibet salutare consilium, ubi tria facit: primo dat consilium, secundo consilii rationem assignat: qui enim manducat, tertio probat rationem ipsam: ideo inter vos. Dicit ergo primo: ex quo periculum imminet si indigne accipiatur corpus Christi, quod est faciendum? Quid? Probet seipsum homo, idest examinet conscientiam suam, Gal. VI: opus suum etc., II Cor. XIII: vosmetipsos probate et cetera. Et nota quod sunt quattuor signa per quae potest homo seipsum probare utrum dignus sit sumere corpus Christi, licet non possit esse certus utrum odio vel amore dignus sit: primum est si libenter audit verba Dei, Io. VIII: qui est ex Deo verba Dei audit; secundum est si inveniatur promptus ad opera caritatis, Io. XIV: si diligitis me, sermo etc.; tertium si detestetur peccata praeterita, Ier.: peccata praeterita non nocent si non placent, Ps.: peccatum meum contra me est semper; quarto si vadit cum proposito non peccandi, Eccli. XXI: fili peccasti et cetera. Et tunc, si haec quattuor signa invenit in se, accedat et de pane illo edat et de calice bibat, Cant. V: comedite amici et cetera.” (Super I Cor., Reportatio Reginaldi de Piperno  cap. 11 v. 28) S. Tommaso nel testo appena presentato ci sta dunque dicendo che l’Apostolo ci offre qui un importante consiglio: occorre esaminare la propria coscienza prima di ricevere l’Eucaristia e il s. Dottore precisa che quattro sono i segni attraverso i quali l’uomo può capire se è degno di ricevere l’Eucaristia: se ascolta volentieri la Parola di Dio perché, secondo il Vangelo, “Chi è da Dio ascolta le parole di Dio.”(Gv. 8,47) ; se si trova pronto alle opere di carità, perché il Vangelo dice :“Se uno mi ama, osserverà la mia parola”(Gv. 14,23) e “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”(Gv. 14, 15); se detesta i peccati passati perché, secondo il Salmo 50, 5,: “peccatum meum contra me est semper”; se procede con il proposito di non peccare perché è scritto nel libro del Siracide: “Figlio, hai peccato? Non farlo più e chiedi perdono per le tue colpe passate. 2 Come davanti a un serpente, fuggi il peccato: se ti avvicini, ti morderà.”(Sir. 21,1-2)

Sottolineo che s. Tommaso dice che è segno di carità il fatto che il fedele si trova pronto alle opere di carità, perché il Vangelo dice :“Se uno mi ama, osserverà la mia parola”(Gv. 14,23) e “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”(Gv. 14, 15), i testi che s. Tommaso riporta indicano ovviamente che le opere di carità di cui lui parla sono anzitutto le azioni secondo i coamdnamenti, chi ha la carità è disposto a osservare la Parola di Cristo e i suoi comandamenti e non ad iniziare o proseguire una vita da adultero, o da omicida etc.  Nella Somma Teologica s. Tommaso dirà (I-II q. 112 a.5) che: il fatto che una persona sia in grazia può essere conosciuto per rivelazione o attraverso certi segni; in questo passo della Somma Teologica s. Tommaso  aggiunge ai segni già visti il fatto che la persona non sia conscio di aver commesso peccati mortali, infatti dice che  i segni che indicano che un’anima ha la carità sono: percezione di trovare piacere in Dio e di disprezzare le cose del mondo, non avere coscienza di avere commesso alcun peccato mortale.

Quanto s. Tommaso ha detto riguardo ai segni indicatori della carità si collega con quanto lui stesso dice in un altro articolo (cfr. II-IIae q. 24 a. 11)  Lo  Spirito Santo, precisa il s. Dottore, muove l’anima ad amare Dio e a non peccare, il Paraclito col suo influsso preserva immuni dal peccato coloro che egli muove come vuole. La carità non può fare altro che quanto appartiene all’essenza di essa quindi non può peccare in nessun modo, la carità che nella sua stessa natura di carità potesse mancare, non sarebbe vera carità, s. Gregorio ha detto a questo riguardo che “l’amore di Dio, se c’è, compie cose grandi: se cessa di compierle, la carità non c’è”(“Quadraginta Hom. in Evangel.” , l. II, h. XXX, PL. 76, 1221). La carità ha un intrinseco proposito di compiere grandi cose. La carità, stando alla natura del suo atto, esclude tutti i moventi del peccato.
È proprio di un abito, precisa s. Tommaso, spingere la potenza ad agire, in quanto l’abito fa sembrare buono ciò che gli si addice, e cattivo quanto ad esso si oppone  …  [50]

L’articolo in questione ci offre una precisazione riguardo all’affermazione secondo cui: “…”l’amore di Dio, se c’è, compie cose grandi: se cessa di compierle, la carità non c’è”.” [51]

Qui s. Tommaso precisa che questa affermazione di s. Gregorio significa che finché l’anima ha la carità, quest’ultima fa compiere alla persona grandi cose, quando invece l’anima perde la carità non compie più cose grandi.

Quello che abbiamo detto va integrato con quanto s. Tommaso afferma nella Somma Teologica laddove si domanda specificamente: l’uomo può conoscere di avere la grazia? Spiega s. Tommaso in questo articolo (cfr. I-II q. 112 a.5) che le realtà che si trovano nell’anima per la loro essenza son conosciute con una conoscenza sperimentale, in quanto l’uomo attraverso gli atti sperimenta i principi interiori di tali operazioni. È così che noi conosciamo la volontà attraverso l’atto di volere, e conosciamo la vita attraverso gli atti della vita, quindi dagli atti conosciamo i principi di tali atti, dagli effetti risaliamo alle cause (cfr. I-II q. 112 a.5ad 1m), perciò dall’atto per cui la persona ascolta volentieri la Parola di Dio, dall’atto per cui la persona si trova pronta alle opere di carità, dall’atto per cui la persona detesta i peccati passati, dall’atto per cui tale persona procede con il proposito di non peccare e dall’atto per cui una persona non è conscia di avere commesso peccati gravi, la persona stessa può capire che in lei vi è la carità (cfr. Super I Cor., Reportatio Reginaldi de Piperno  cap. 11 v. 28; I-II q. 112 a.5ad 1m)

Sottolineo che, come vedemmo più sopra allorché trattammo della contrizione e del proposito di non peccare, questo proposito include, anche secondo s. Tommaso, il proposito di fuggire le occasioni di peccato, quindi in chi ha vera carità si manifesta anche questo santo proposito.

L’insegnamento di s. Tommaso è quindi che se  nell’anima c’è la carità e lo Spirito Santo con essa, questa presenza si manifesta negli atti della persona; quando non c’è più tale presenza, essa non si può manifestare; se c’è l carità si manifesta attraverso i segni che abbiamo visto più sopra.

Sottolineo che chi ha veramente la carità è disposto a vivere nella Legge di Dio ed ha un vero odio, una vera detestazione per il peccato specie se grave e quindi per gli atti oggettivamente gravi , cioè gravemente opposti alla Legge divina .

Afferma il Catechismo Tridentino al n. 249 :“Poiché la perfetta contrizione è un atto di carità che procede dal timore filiale, ne segue che la misura della contrizione dev’essere la carità. Siccome la carità con cui amiamo Dio è la più grande, ne segue che la contrizione deve portar con sé un veementissimo dolore di animo. Se dobbiamo amare Dio sopra ogni cosa, dobbiamo anche detestare sopra ogni cosa ciò che da lui ci allontana.

Giova qui notare che la Scrittura adopera i medesimi termini per esprimere l’estensione della carità e della contrizione. Dice infatti della carità: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore” (Dt 6,5; Mt 22,37; Mc 12,30; Lc 10,27); della seconda il Signore dice per bocca del profeta: “Convertitevi con tutto il vostro cuore” (Gl 2,12).

In secondo luogo, come Dio è il primo dei beni da amare, così il peccato è il primo e il maggiore dei mali da odiare. Quindi, la stessa ragione che ci obbliga a riconoscere che Dio deve essere sommamente amato, ci obbliga anche a portare sommo odio al peccato. Ora, che l’amore di Dio si debba anteporre a ogni altra cosa, sicché non sia lecito peccare neppure per conservare la vita, lo mostrano apertamente queste parole del Signore: “Chi ama suo padre o sua madre più di me, non è degno di me” (Mt 10,37); “Chi vorrà salvare la sua vita, la perderà” (Mt 16,25; Mc 8,35).”  (Dal Catechismo di Trento n.249) La carità ci fa amare sommamente Dio e ci fa opporre radicalmente agli atti oggettivamente contrari alla sua Legge. La carità ci fa amare sommamente Dio e ci fa odiare sommamente il peccato quindi ci fa proporre di mai peccare.

La carità vera porta in particolare il divorziato risposato ad amare sommamente Dio, ad osservare la sua Legge e quindi ad opporsi radicalmente agli atti oggettivamente contrari alla sua Legge quali adulterio etc..  Dio va amato al di sopra di tutto e quindi l’attuazione della sua Legge deve stare al di sopra di tutto, d’altra parte occorre al di sopra di tutto opporsi agli atti che vanno contro la sua Legge, specie se tali atti sono gravi.

Il Catechismo di s. Pio X afferma in questa linea: “720. Perché il dolore deve essere sommo?

Il dolore deve essere sommo, perché dobbiamo riguardare e odiare il peccato come sommo di tutti i mali, essendo offesa di Dio sommo Bene.”

S. Alfonso afferma :“Egli l’Eterno Verbo quanto amava il suo Padre, tanto odiava il peccato, di cui ben conoscea la malizia: onde per togliere il peccato dal mondo e per non vedere più offeso il suo amato Padre, egli era venuto in terra e s’era fatt’uomo, ed aveva intrapreso a soffrire una Passione ed una morte così dolorosa.”[52]

Anche questo attua in noi la vera carità: un odio sommo verso gli atti che vanno contro la Legge di Dio, un odio sommo che porta la persona a voler perdere tutto piuttosto che peccare!

Ricordo che in questa linea s. Paolo nella lettera ai Galati cap. 5 parla dei frutti dello Spirito e dice chiaramente che il frutto dello Spirito Santo: è carità, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé … Lo Spirito Santo produce in noi buoni e santi frutti, la vita di grazia produce buoni e santi frutti e tra questi frutti non può mancare, con la carità, l’impegno radicale a seguire la Legge divina, l’opposizione agli atti che vanno contro la Legge di Dio, il santo odio per peccato, e quindi il proposito di seguire la volontà di Dio e di non peccare più.

S. Tommaso in questa linea afferma che i frutti dello Spirito Santo sono gli atti santi che lo stesso Spirito Santo, quando è in noi, ci porta a fare, quindi atti di carità e di tutte le virtù sante con essa e non atti di adulterio o di omosessualità (cfr. I-II q. 70 a. 1); atti di impegno radicale a seguire la Legge divina, atti di opposizione agli atti che vanno contro la Legge di Dio, atti di santo odio per peccato, e quindi atti di proposito di seguire la volontà di Dio, di non peccare più e di fuggire le occasioni prossime di peccato.

Dai frutti si riconosce la bontà dell’albero, dice il Vangelo (Matteo 7, Luca 6) e appunto dai frutti, cioè dagli atti e dai segni che ho finora indicato si capisce se nell’anima di una persona è la grazia e la carità, s. Tommaso precisa che sulla base dei segni di carità, di contrizione o di attrizione di cui abbiamo parlato più sopra il sacerdote può assolvere il peccatore “ Constat enim quod dominus Lazarum suscitatum discipulis solvendum mandavit; ergo discipuli absolvunt. Per hoc ergo non ostenditur quod sacerdos dicere non debeat: ego te absolvo, sed quod eum non debeat absolvere in quo signa contritionis non videt, per quam homo vivificatur interius a Deo culpa remissa.” (“De forma absolutionis”, cap. 2 co.). E aggiunge s. Tommaso che a coloro in cui non vede segni di contrizione, che sono dolore per i peccati commessi e proposito di non peccare, il sacerdote non deve dare l’assoluzione “Ex quo etiam patet quod non est periculosum sacerdotibus dicere: ego te absolvo,illis in quibus signa contritionis vident, quae sunt dolor de praeteritis et propositum de cetero non peccandi; alias absolvere non debet.” (“De forma absolutionis”, cap. 3 co.)

Sottolineo che, secondo s. Tommas,  a coloro in cui non vede segni di contrizione, che sono dolore per i peccati commessi e proposito di non peccare, il sacerdote non deve dare l’assoluzione sacramentale.

Concludendo, la coscienza morale cristiana può giudicare rettamente circa il suo stato di grazia attuale attraverso segni e questi segni possono essere conosciuti, in certo modo, anche dal confessore, e il confessore non deve assolvere se non vede certi segni nell’anima (cfr. “De forma absolutionis”, cap. 2 co.) quindi perché una persona, sulla base delle parole di s. Giovanni Paolo II, possa possa dire con retta coscienza, illuminata dalla fede, e con una certa sicurezza, anche se non assoluta, che è in grazia di Dio, occorre che la persona stessa esamini guidata dalla fede e dalla retta dottrina vari segni che emergono dalla sua anima e che indicano in essa la presenza appunto della grazia, ugualmente da segni che emergono dall’anima, e seguendo la sana dottrina sulla Confessione, il Confessore può vedere se l’anima è contrita o attrita per i peccati e quindi può validamente e sacramentalmente assolverla. Tra questi segni che indicano che vi è la carità in un’anima ho sottolineato in particolare la radicale detestazione per il peccato e quindi il proposito serio efficace e soprannaturale di non peccare più e quindi di non compiere atti oggettivamente gravi; lo Spirito Santo, se guida un’anima attraverso la carità, fa che tale anima si opponga radicalmente a ciò che va contro la Legge di Dio e quindi si opponga radicalmente al peccato e soprattutto al peccato grave. Aggiungo che anche nel caso che un’ anima sia attrita per i peccati lo Spirito Santo suscita in essa a radicale detestazione per il peccato e quindi il proposito serio ed efficace  di non peccare più e quindi di non compiere atti oggettivamente gravi. Mons. Fernández non parla di questi segni molto importanti e indicativi, la sua trattazione è gravemente lacunosa. Mons. Fernández che in altri passi riporta le affermazioni di s. Tommaso, qui non lo cita,  eppure il Dottore Angelico è illuminante su questo punto di dottrina e il Concilio di Trento e s. Giovanni Paolo II, che mons. Fernández cita, non intendevano certo negare ma piuttosto confermare la validità di queste affermazioni di s. Tommaso, fatte sulla base della dottrina della Bibbia, per le quali la presenza in noi della grazia può essere conosciuta attraverso dei segni tra i quali il proposito di non peccare … Citare s. Tommaso, però, significa rimandare alla sua dottrina, e più generalmente alla sana dottrina,  per cui tra i segni attraverso i quali l’uomo può capire se è degno di essere in grazia vi sono l’amore di Dio e della sua Legge, la detestazione degli atti contrari alla Legge di Dio (e quindi dei peccati), il proposito di vivere secondo la Legge di Dio, il proposito di non peccare in avvenire e di fuggire le occasioni prossime di peccato. Citare s. Tommaso significa rimandare anche alla sua dottrina per cui se il sacerdote non vede nel penitente il proposito di non peccare e di fuggire l’occasione di peccato e quindi la disposizione a seguire i comandamenti, non deve assolvere il penitente (cfr. “De forma absolutionis”, cap. 2 co.)  Citare s. Tommaso rimanda alla dottrina per cui mai è lecito compiere adulterio.

Tutto questo che abbiamo appena detto dà un colpo mortale al  “cambio di paradigma” che Papa Francesco sta attuando … coscientemente o incoscientemente mons. Fernández evitando di citare s. Tommaso ha evitato di mostrare ciò che evidenzia in modo netto alcuni errori che Papa Francesco diffonde attraverso Amoris Laetitia e che mons. Fernanedez appoggia.

Dio ci illumini sempre meglio.

b,1,2) Il giudizio della coscienza morale sul futuro e la disposizione morale  di coloro che accettano di commettere atti gravi, contrari alla Legge di Dio.

Riguardo al giudizio della coscienza morale cristiana sul futuro è evidente, da quello che abbiamo detto qualche paragrafo più indietro, che essa non può giudicare che le sia concesso di compiere atti oggettivamente gravi, come adulterio, omicidio etc.

A nessuno Dio concede di fare ciò che va contro le sue Leggi.

I comandi negativi della Legge divina, come abbiamo visto, sono obbligatori semper et pro semper quindi nessuno è esentato dal proporsi di osservarli semper et pro semper.

Inoltre il fatto che per il passato uno abbia peccato venialmente pur commettendo atti oggettivamente gravi non gli consente di evitare di proporsi di non commettere tali atti in futuro e quindi di sentirsi praticamente esentato dal proporsi di vivere i  comandamenti che vietano tali atti.

Lo Spirito Santo e quindi la fede, la grazia e la carità non tollerano che la coscienza morale cristiana giudichi che Dio la lascia a compiere atti oggettivamente gravi.

Lo Spirito Santo e quindi la fede, la grazia e la carità non tollerano che la coscienza morale giudichi che la persona può continuare a compiere atti oggettivamente gravi.

Lo Spirito Santo e quindi la fede, la grazia e la carità non tollerano che la persona non si proponga seriamente e soprannaturalmente di non compiere atti oggettivamente gravi.

La coscienza morale cristiana in quanto regolata dalla vera fede e dallo Spirito Santo sa che Dio  chiama la persona a vivere secondo i comandamenti e quindi tale coscienza giudica sinceramente che non può continuare a compiere atti oggettivamente gravi perciò essa guida la persona a proporsi seriamente e radicalmente di non commettere atti oggettivamente gravi.

Quanto appena detto è chiaramente e radicalmente contrario a ciò che afferma Amoris Laetitia e mons. Fernández; anche in questo, quindi, la loro dottrina è radicalmente opposta alla sana dottrina.

Dio intervenga.

In questa linea occorre sottolineare che le persone di cui mons. Fernández parla e di cui dice che non possono proporsi di compiere tali atti oggettivamente malvagi con “convinzione”, sono persone che rimangono in una convivenza more uxorio scegliendo di compierli, fanno in certo modo questa “scelta di vita” (p. 464), cioè scelgono di continuare a compiere atti oggettivamente gravi; tale loro scelta rientra in ciò che in buona morale viene definito come volontario positivo o negativo: la persona o vuole positivamente fare un certo atto o omette di fare ciò che deve per evitarlo … Le persone di cui parla mons. Fernández, sono persone evidentemente capaci di agire, di volere, esse possono infatti attuare una maggiore generosità verso i figli, o  decidere di assumere in coppia un impegno più intenso per il bene comune, o impegnarsi ad una maturazione nel dialogo familiare, o sviluppare  gesti reciproci di beneficenza più frequente e intensa, ecc. (p. 464) ora tali persone  in quanto o vogliono positivamente fare in futuro un certo atto oggettivamente grave o omettono volontariamente e coscientemente di fare ciò che devono per evitarlo, compiono atti volontari in ordine ad un atto oggettivamente grave. Si veda anche cosa dice la sana morale circa la volontarietà degli effetti dell’atto: l’effetto di un atto è voluto se si poteva o doveva prevedere, se poteva essere evitato, se doveva essere evitato.

Riguardo a tutto questo occorre precisare che coscienza morale cristiana in quanto guidata dalla fede condanna radicalmente il fatto che la persona compia atti volontari in ordine al compimento di atti oggettivamente gravi.

Lo Spirito Santo attraverso la grazia, la carità e la coscienza morale cristiana guida le anime a mai compiere atti oggettivamente gravi e contrari alla Legge divina, e in particolare guida la volontà ad opporsi radicalmente al compimento di atti oggettivamente gravi; chi ha la carità e grazia è pronto a perdere tutto e morire piuttosto che compiere atti oggettivamente gravi quali adulterio, omicidio, etc. !

Significativo appare in questa linea il fatto che nella situazione di peccato grave oggettivo in cui si trovano le persone divorziate di cui parla mons. Fernández, la loro coscienza morale non è indirizzata da Amoris Laetitia e da mons. Fernández nel senso di scegliere di opporsi radicalmente a tali atti oggettivamente gravi e di pregare per questo …  ma è orientata a fare atti di bontà di altro genere: con maggiore generosità verso i figli, o con la decisione di assumere in coppia a impegno più intenso per il bene comune, o con una maturazione nel dialogo familiare, o con lo sviluppo di gesti reciproci di beneficenza più frequente e intensa, ecc. ; questo sarebbe il bene possibile che Dio vuole, in base ad Amoris Laetitia n. 303 … Quindi praticamente non è possibile proporsi di non peccare in modo oggettivamente grave, ma è possibile proporsi di fare altro … e nella linea di questa praticamente impossibile attuazione della legge di Dio la persona, sulla base di Amoris Laetitia, può capire sinceramente e con una certa sicurezza che Dio vuole  che lei continui a compiere atti oggettivamente gravi, unendo ciò, però, a qualche buona azione possibile.

Quindi praticamente non è possibile proporsi di non peccare in modo oggettivamente grave, ma è possibile proporsi di fare altro … eppure la sana dottrina insegna, come visto,  che :“L’osservanza della legge di Dio, in determinate situazioni, può essere difficile, difficilissima: non è mai però impossibile. È questo un insegnamento costante della tradizione della Chiesa” (VS, n. 102)…Il Concilio di Trento afferma che nessuno, poi, per quanto giustificato, deve ritenersi libero dall’osservanza dei comandamenti (can. 20),

nessuno deve far propria quell’espressione temeraria e proibita dai Padri sotto pena di scomunica esser cioè impossibile per l’uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio (can. 18 e 22)[53] il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n. 2072: “ Poiché enunciano i doveri fondamentali dell’uomo verso Dio e verso il prossimo, i dieci comandamenti rivelano, nel loro contenuto essenziale, obbligazioni gravi. Sono sostanzialmente immutabili e obbligano sempre e dappertutto. Nessuno potrebbe dispensare da essi. I dieci comandamenti sono incisi da Dio nel cuore dell’essere umano.”

Le affermazioni di mons. Fernández e dell’ Amoris Laetitia sono chiaramente una colossale perversione della dottrina cattolica.

Ovviamente, visto che il Papa e i suoi seguaci devono far passare tale perversione come sviluppo della dottrina, mons. Fernández afferma che quello che indica Papa Francesco è un discernimento “personale e pastorale” (Amoris Laetitia n. 300), che richiede anche prendere molto seriamente “l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo “(Amoris Laetitia n. 300)  e suppone la coscienza” rettamente formata “(Amoris Laetitia n. 302) che non finge di creare la verità come le piaccia, o la adatti ai suoi desideri.

In realtà quello che afferma Papa Francesco e che  Fernández sostiene non ha nulla a che fare con l’ insegnamento che la vera Chiesa diffonde, non ha nulla a che fare con la vera pastorale cattolica e con la coscienza cristiana rettamente formata perché è un tradimento di Cristo, della Chiesa e della vera coscienza cristiana!

Riguardo poi alle citazioni di Buttiglione, che Fernández realizza nel suo articolo su Amoris Laetitia (p. 462s), faccio notare che Familiaris Consortio 84[54] dice che i divorziati risposati possono ricevere l’Eucaristia se escono dalla situazione di peccato grave in cui si trovano e si propongono di vivere secondo il Vangelo;  la situazione di peccato grave in cui si trovano li rende peccatori notori, è contraria al Vangelo e scandalosa, perciò non possono ricevere l’Eucaristia; chi è in peccato grave non può ricevere l’Eucaristia e i peccatori notori non possono essere ammessi all’Eucaristia come dice chiaramente il Codice di Diritto Canonico (can. 915) e come precisa anche un documento del Pontificio Consiglio per l’ Interpretazione dei Testi Legislativi.[55] Ho l’impressione che Buttiglione non abbia presente bene cosa dice davvero Familiaris Consorto 84 e che presenti solo parzialmente, nel testo citato da mons. Fernández, ciò che veramente tale esortazione di Giovanni Paolo II afferma in tale passo …

Dio intervenga.

b,2) Mons. Fernández appoggia gli errori di Amoris Laetitia e critica coloro che si oppongono ad essi …

Proseguiamo la nostra analisi del testo di mons. Fernández considerando chi lui sta  appoggiando e chi sta  attaccando.

Mons. Fernández, presunto autore di Amoris Laetitia, “ovviamente” appoggia le affermazioni di tale esortazione che, come potete vedere in questo mio libro si oppongono alla sana dottrina, alla Tradizione, specie alla Veritatis Splendor, e a s. Tommaso in particolare riguardo alla assoluta obbligatorietà dei precetti negativi del decalogo e riguardo alla dottrina circa la coscienza morale, come stiamo vedendo in questo capitolo. Il suo articolo di commento ad Amoris Laetitia è un totale assenso a tutto quello che Amoris Laetitia afferma, non trovo in esso nessun rilievo critico ad essa. Il monsignore, dinanzi alle affermazioni del Papa non sente la necessità di ribadire il fatto che la coscienza morale retta, la coscienza morale cristiana, mai potrà accettare che si possa andare contro i precetti negativi del decalogo, infatti per la coscienza cristiana tali precetti negativi sono assolutamente obbligatori. Mons. Fernández dinanzi al n. 303 di Amoris Laetitia non sente l’obbligo di ergersi contro l’affermazione per cui “questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo. ” … mons. Fernández con Amoris Laetitia ribadisce che “questo discernimento è dinamico e deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno.” … ovviamente mons. Fernández accetta pienamente che la coscienza possa davvero riconoscere con sincerità e possa scoprire con una certa sicurezza morale che Dio le chiede di rimanere nel compimento di atti oggettivamente gravi . Lo stesso Fernández non parla significativamente di norme assolute obbligatorie sempre e in ogni circostanza … che quindi vanno obbligatoriamente obbedite e attuate sempre …

Spesso mons. Fernández parla di ideale … come in questo caso: “De parte del pastor, “nunca implica ocultar la luz del ideal más pleno …  Cada Iglesia local irá encontrando

el adecuado equilibrio a través de la experiencia, el diálogo y la guía del Obispo.” (p. 466) L’ideale rimane … e in ordine ad esso ogni Chiesa locale deve trovare l’equilibrio tra rigorismo e lassismo. Non si parla qui di norme assolute, che vietino l’adulterio sempre e in ogni circostanza … ma si afferma che occorre trovare l’equilibrio, in ordine all’ideale … equilibrio che implica discernimento e quindi possibilità di continuare a vivere in adulterio e ricevere anche i Sacramenti ovviamente senza proporsi di non peccare … in questa linea non è più strano che in Polonia i Sacramenti siano negati ai peccatori notori e in Germania siano pubblicamente concessi …   Secondo monsignor Fernández la linea seguita dal Papa è molto esigente; secondo il prelato argentino sarebbe più facile o comodo applicare le regole in modo rigido e universale e trarre conclusioni senza tener conto del complessità della vita concreta delle persone. Si noti bene: il Vescovo argentino non precisa che ci sono norme assolute invalicabili sempre e in ogni circostanza, afferma che Dio può chiedere a qualcuno di continuare a compiere atti oggettivamente contrari alla sua Legge, afferma che la coscienza cristiana può riconoscere con sincerità e onestà e con una certa verità che Dio le chiede di rimanere a compiere atti oggettivamente gravi, per non dire veri peccati gravi (secondo la sana dottrina, come vedremo meglio più avanti) … e “ovviamente” tutto questo, per mons. Fernández, è molto esigente, infatti esige che una persona si metta contro la Legge di Dio e cammini praticamente verso la dannazione.

Seguendo la sua linea di chiara contrapposizione alla sana dottrina tradizionale possiamo capire meglio contro chi il monsignore argentino scaglia i suoi attacchi …

Anzitutto egli mette in rilievo che il Papa respinge la pretesa di coloro che “ sueñan con una doctrina monolítica defendida por todos sin matices” (EG 40), cioè sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature. Poi mons. Fernández attacca gli oppositori di Papa Francesco che, a suo parere, cercano di forzare gli altri ad assumere una certa logica, all’interno della quale non c’è uscita e quindi sottopongono il Vangelo a una sorta di matematica teologica e morale, sicché non esiste altra scelta che accettare tutta la logica e le conseguenze di questo modo di usare la ragione; costoro canonizzerebbero  un certo tipo di ragionamento, una filosofia a cui il Vangelo e l’intera Chiesa dovrebbe sottomettersi; per essi una certa ragione occupa il posto del Vangelo e dell’azione dello Spirito nella sua Chiesa e le Scritture servirebbero solo a illustrare la logica di “quella” ragione, amministrata da un gruppo oligarchico di filosofi della morale, cioè di  eticisti.

Il Vangelo, però, continua il monsignore  non è racchiuso in una filosofia, ma è al di sopra di essa, e se un certo modo di usare la ragione è assolutizzato, solo coloro che possiedono quella struttura mentale saranno in grado di interpretare la Rivelazione, e costoro si pongono anche al di sopra del Papa ma in questo modo si perde la visione soprannaturale della Chiesa e del ministero petrino.

Occorre domandarsi : chi sarebbero questi razionalisti e traditori del Vangelo di cui parla mons. Fernández?

L’attacco di mons. Fernández pare, purtroppo, abbastanza chiaramente indirizzato alla sana morale cattolica sostenuta da mons. Melina e da quelli che sono nella sua linea, quindi dai professori dell’Istituto Giovanni Paolo II che qualche anno dopo Amoris Laetitia Papa Francesco ha sostanzialmente “riformato”, cioè deformato, allontanando alcuni professori tra cui mons. Melina e p. Noriega Bastos e inserendo altri teologi che seguono la linea del Papa stesso …

Va notato che mons. Melina e altri in questa linea seguono la Tradizione e s. Tommaso il quale parla molto della coscienza  …

L’attacco di mons. Fernández appare indirizzato più generalmente contro la Veritatis Splendor (mai citata in Amoris Laetitia) e i suoi seguaci e quindi più generalmente ancora contro la Tradizione della Chiesa, soprattutto contro le affermazioni magisteriali degli ultimi decenni, e contro quelle di s. Tommaso d’ Aquino, in tema di coscienza morale e di norme morali assolute obbligatorie sempre e per tutti … abbiamo visto e sempre più vedremo come Amoris Laetitia va con discrezione ma radicalmente contro la vera dottrina tomista, contro la Tradizione e anche contro le affermazioni magisteriali degli ultimi Papi … dunque non è strano che mons. Fernández vada con discrezione contro tutto questo, visto che lui è dalla parte di Amoris Laetitia …

L’attacco di mons. Fernández appare indirizzato in particolare contro coloro che sulla base della sana dottrina hanno criticato Amoris Laetitia …

Mons. Fernández giustifica il suo attacco affermando che questi autori sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature … e praticamente sottomettono il Vangelo alla ragione, cioè sono razionalisti, e perdono la visione soprannaturale della Chiesa e del ministero petrino.

In realtà coloro che ribadiscono la sana dottrina e criticano giustamente gli errori di Amoris Laetitia si basano, ordinariamente, sulla Scrittura interpretata dalla Santa Tradizione, peraltro la stessa Scrittura rimanda alla Tradizione, come vedemmo più sopra e come mostra di affermare s. Paolo (2Ts 2,15, e soprattutto  1Cor 11,23) … invece è Amoris Laetitia che mette da parte la Tradizione, discretamente, come vedremo sempre meglio, e addirittura mette da parte anche la Legge divina rivelata con la sua chiarezza e inderogabilità per affermare la legge naturale e quindi la ragione umana … quindi è Amoris Laetitia ad allontanarsi dalla S. Scrittura e dal Vangelo. Inoltre la dottrina tradizionale è profondamente radicata nella Bibbia che appunto la Tradizione ha interpretato … e proprio per tale radicamento ha chiaramente affermato  la dottrina circa le norme morali assolute obbligatorie sempre e per tutti e la dottrina per cui la coscienza non può sinceramente riconoscere che Dio la chiama a compiere atti oggettivamente gravi contro la sua Legge. S. Tommaso appunto sulla base delle affermazioni bibliche segue la linea tradizionale e la fortifica. La scuola teologica che si collega a Melina, a Caffarra e quindi all’ Istituto Giovanni Paolo II ha seguito la Bibbia e la Tradizione, e il sostegno di Benedetto XVI a mons. Melina va inteso in questo senso come il sostegno ad un teologo che ha seguito la Tradizione e ha servito la Chiesa diffondendo la Verità. Benedetto “ … ha voluto ricevere il Prof. Mons. Livio Melina in un’udienza privata. Dopo una lunga discussione sui recenti avvenimenti del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, ha concesso la sua benedizione, esprimendo la sua personale solidarietà e assicurandogli la sua vicinanza nella preghiera” … Benedetto XVI “ha sempre seguito da vicino il lavoro di Mons. Melina nella cattedra di teologia morale fondamentale”, ha detto al CNA  p. Juan José Pérez-Soba, professore di teologia pastorale e direttore della ricerca internazionale di teologia morale presso l’Istituto. …

Joseph Ratzinger, poi eletto  Papa Benedetto XVI, scrisse nel 1998 per lodare il lavoro di Melina in teologia morale, e partecipò nel 2003 a un convegno sull’enciclica Veritatis splendor, organizzato dal dipartimento accademico di Melina presso l’Istituto Giovanni Paolo II.” [56]

In questa linea possiamo capire che in realtà le pesanti affermazioni di mons. Fernández contro coloro che si oppongono agli errori di Papa Francesco ricadono sul monsignore stesso  … infatti non sono gli oppositori a deviare dalla Parola di Dio ma Fernández e Papa Francesco, purtroppo.

Peraltro l’articolo di mons. Fernández è infarcito di chiari errori che ho messo in rilievo in vari punti di questo libro e che denotano la base dottrinale alquanto precaria e deviante di questo articolo da cui mons. Fernández  lancia i suoi boomerang, che appunto ritornano pesantemente al mittente … Una tale base deviante dalla sana dottrina appare un “degno” fondamento di Amoris Laetitia, purtroppo, quindi non è strano che mons. Fernández sia considerato come autore nascosto di tale esortazione.

Dio intervenga!

10) Errori del Card. Vallini e del Card. Müller riguardo ai divorziati risposati che sono convinti in coscienza della invalidità del loro primo matrimonio.

Chiediamo luce alla Trinità ss.ma perché ci guidi alla e nella Verità.

Presento qui ciò che ritengo importante e necessario per confutare alcune affermazioni del Card. Müller e del Card. Vallini riguardanti la possibilità di dare la Comunione Eucaristica ad alcuni divorziati risposati i quali ritengono che il loro matrimonio sia nullo ma non hanno ottenuto sentenza di nullità dalla Chiesa.

Vediamo anzitutto le affermazioni del  Card. Vallini fissate nel documento con cui dà attuazione nella Diocesi di Roma alle direttive papali emerse dalla Amoris Laetitia:“ Ma quando le circostanze concrete di una coppia lo rendono fattibile, vale a dire quando il loro cammino di fede è stato lungo, sincero e progressivo, si proponga di vivere in continenza; se poi questa scelta è difficile da praticare per la stabilità della coppia, Amoris Laetitia non esclude la possibilità di accedere alla Penitenza e all’Eucarestia (A.L. note 329 e 364). Ciò significa una qualche apertura, come nel caso in cui vi è la certezza morale che il primo matrimonio era nullo, ma non ci sono le prove per dimostrarlo in sede giudiziaria; ma non invece nel caso in cui, ad esempio, viene ostentata la propria condizione come se facesse parte dell’ideale cristiano, ecc.”[57]

Esaminiamo quindi quello quello che dice il il Card. Müller nel saggio introduttivo al testo del prof. Buttiglione “Risposte amichevoli ai critici di Amoris Laetitia” ed. Ares, alle pagg. 23ss, allorché afferma : “ In una procedura di nullità matrimoniale gioca pertanto un ruolo fondamentale la reale volontà matrimoniale. Nel caso di una conversione in età matura (di un cattolico che è tale solo sul certificato di battesimo) si può dare il caso che un cristiano sia convinto in coscienza che il suo primo legame, anche se ha avuto luogo nella forma di un matrimonio in Chiesa, non fosse valido come sacramento e che il suo attuale legame simil-matrimoniale, allietato da figli e con una convivenza maturata nel tempo con il suo partner attuale sia un autentico matrimonio davanti a Dio. Forse questo non può essere provato canonicamente a causa del contesto materiale o per la cultura propria della mentalità dominante. È possibile che la tensione che qui si verifica fra lo status pubblico-oggettivo del “secondo” matrimonio e la colpa soggettiva possa aprire, nelle condizioni descritte, la via al sacramento della penitenza ed alla Santa Comunione, passando attraverso un discernimento pastorale in foro interno .… Se il secondo legame fosse valido davanti a Dio i rapporti matrimoniali dei due partner non costituirebbero nessun peccato grave ma piuttosto una trasgressione contro l’ordine pubblico ecclesiastico per avere violato in modo irresponsabile le regole canoniche e quindi un peccato lieve.” [58]  Lo stesso Card. Müller in un recente articolo ha affermato nella stessa linea:“Un caso di natura completamente differente si presenta se, per ragioni esterne, sia impossibile chiarire canonicamente lo status di un’unione, come quando un uomo ha le prove che il proprio presunto matrimonio con una donna era invalido, sebbene per qualche ragione egli non sia in grado di addurre queste prove nel foro ecclesiastico. Questo caso è del tutto diverso da quello di una persona validamente sposata che richiede il sacramento della Penitenza senza voler abbandonare una relazione sessuale stabile con un altro, sia in situazione di concubinato che di “matrimonio” civile, che non è valido davanti a Dio e alla Chiesa. Mentre in quest’ultima situazione si ha una contraddizione con la pratica sacramentale della Chiesa (materia di legge divina), nel primo caso la discussione riguarda come determinare se il matrimonio sia nullo o meno (materia di legge ecclesiastica).” [59]

Ulteriormente il Card. Müller ha presentato praticamente le stesse le affermazioni in una intervista rilasciata al quotidiano La Stampa e più precisamente ad Andrea Tornielli, leggiamo in tale intervista queste parole del teologo tedesco:“ È possibile che il penitente sia convinto in coscienza, e con buone ragioni, della invalidità del primo matrimonio pur non potendone offrire la prova canonica. In questo caso il matrimonio valido davanti a Dio sarebbe il secondo e il pastore potrebbe concedere il sacramento, certo con le precauzioni opportune per non scandalizzare la comunità dei fedeli e non indebolire la convinzione nella indissolubilità del matrimonio».”[60]

Dio ci illumini.

Notiamo anzitutto che il famoso canonista Card. Burke ha affermato “ …  Cristo Stesso ha dichiarato di non essere venuto per distruggere «il ricchissimo retaggio della Legge e dei Profeti» ma per dargli compimento (Cf. Mt 5, 17.). Il Signore infatti ci insegna che è la disciplina che apre la via alla libertà nell’amore di Dio e del prossimo. … È evidente che la disciplina della Chiesa non può mai essere in conflitto con la dottrina che ci arriva in una linea ininterrotta dagli Apostoli. Infatti, come osservò Papa San Giovanni Paolo II, “in realtà, il Codice di diritto Canonico è estremamente necessario alla Chiesa”(“Ecclesiae omnino necessarius est.” SDL, p. xii. Versione italiana: SDLIt, p. 64.) . In ragione del rapporto stretto e inseparabile tra la dottrina e il diritto, ha poi ricordato che il servizio essenziale del diritto canonico alla vita della Chiesa necessita che le leggi siano osservate e, al tale fine, “l’espressione delle norme fosse accurata, e perché esse risultassero basate su un solido fondamento giuridico, canonico e teologico”[61]

Il Card. Herranz, in questa linea, ha affermato: “…  il Diritto appartiene, in quanto ordinatore necessario della struttura sociale del Popolo di Dio, al « Mysterium Ecclesiae », e testimonia, come sentenziò Paolo VI con una frase lapidaria, che: « Vita ecclesialis sine ordinatione iuridica nequit exsistere — La vita della Chiesa non può esistere senza un ordinamento giuridico »[62] ….  Le leggi canoniche, nonché l’attività amministrativa e giudiziaria ecclesiastica, appaiono così come strumenti indispensabili di quell’ordine giusto, le cui basi essenziali si trovano nella stessa costituzione divina della Chiesa. …  Giovanni Paolo II … disse: « la giustizia è principio fondamentale dell’esistenza e della coesistenza degli uomini, come anche della comunità umana, della società e dei popoli. Inoltre, la giustizia è principio dell’esistenza della Chiesa, quale Popolo di Dio »[63]. In questa giustizia nel Popolo di Dio, che è elevata ma non sostituita dalla carità, trova il suo perenne fondamento la « magna disciplina Ecclesiae » … [64]

La vita della Chiesa non può esistere senza un ordinamento giuridico che permetta di fare tutto con il dovuto ordine e la Scrittura dice, in questa linea: “Però tutto sia fatto con dignità e con ordine.”(1 Cor. 14,40)

Notiamo poi che  il Card. Vallini e il Card. Müller non citano alcun testo della Tradizione su cui fondano le loro affermazioni infatti, come vedremo, la Tradizione va in senso radicalmente opposto …  Per intendere bene la dottrina della Chiesa su questo punto , appare molto importante un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede che si intitola “ Lettera riguardante l’indissolubilità del matrimonio”[65] . In questo testo si afferma: “Per quanto riguarda l’ammissione ai Sacramenti, gli Ordinari del luogo vogliano, da una parte, invitare all’osservanza della disciplina vigente della Chiesa e, dall’altra, fare in modo che i pastori delle anime abbiano una particolare sollecitudine verso coloro che vivono in una unione irregolare, applicando nella soluzione di tali casi, oltre ad altri giusti mezzi, l’approvata prassi della Chiesa in foro interno.” come si vede questo testo parla di una approvata prassi … e la approvata prassi indicata dal documento è quella che è precisata  in data 21 marzo 1975 da mons. Hamer, nella «Littera circa partecipationem» consultabile in J. Ochoa “Leges Ecclesiae post Codicem iuris canonici editae”, Ediurcla, vol, VI, 1987, n. 4657, p. 7605, ecco le parole di mons. Hamer : «Questa frase [probata Ecclesiae praxis] dev’essere intesa nel contesto della tradizionale teologia morale. Queste coppie [di cattolici che vivono in unioni coniugali irregolari] possono essere autorizzate a ricevere i sacramenti a due condizioni: che cerchino di vivere secondo le esigenze dei principi morali cristiani e che ricevano i sacramenti in chiese in cui esse non sono conosciute, in modo da non creare alcuno scandalo».

Il n. 84 della Familiaris Consortio ribadisce questa probata praxis laddove afferma, come già vedemmo: “  La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. …  La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, «assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]: AAS 72 [1980] 1082).”[66]

Nella linea di quanto detto finora va anche la lettera inviata dal Card. Ratzinger a “The Tablet”[67]  in cui troviamo precise indicazioni per risolvere i casi di coloro che ritengono il loro matrimonio certamente invalido ma non possono provare tale invalidità, qui di seguito presentiamo in sintesi e con una nostra sommaria traduzione il contenuto di tale lettera. Il Cardinale dice anzitutto che della “soluzione di foro interno” (soluzione nel foro interno sacramentale, in particolare, che riguarda matrimoni che sono conosciuti come invalidi ma tale invalidità non può essere provata in tribunale) che è ritenuta un modo per risolvere la questione della validità di un precedente matrimonio, il Magistero non ha mai accettato l’uso (“the Magisterium has not sanctioned its use”) per varie ragioni tra le quali c’è la contraddizione intrinseca di voler risolvere nel foro interno qualcosa che per sua natura riguarda il foro esterno ed ha così grandi conseguenze per il foro esterno ; il matrimonio non è un atto privato ed ha profonde implicazioni per entrambe i coniugi e per i loro figli ed anche per la società civile e cristiana. Solo il foro esterno, continua il Card. Ratzinger, può dare reale assicurazione a colui che fa domanda, e che non è parte disinteressata, che egli stesso non è colpevole di “ volersi giustificare”; solo il foro esterno può dare una risposta ai diritti e alle richieste dell’altro coniuge della precedente unione e nel caso di dichiarazione di nullità può rendere possibile l’ingresso in un matrimonio canonicamente valido e sacramentale. I numerosi abusi, continua il Prefetto della Congregazione romana, commessi in molti paesi sotto il titolo della “soluzione di foro interno” mostrano che essa non funziona, per queste ragioni la Chiesa  nel Codice di Diritto Canonico ha diffuso i criteri per l’ammissibilità della testimonianza e dell’evidenza nei tribunali che si occupano di matrimoni , perché non sorga la richiesta di “soluzione di foro interno”; in alcuni casi estremi in cui in cui il ricorso al Tribunale non è possibile e un problema di coscienza sorge, si può fare ricorso alla Sacra Penitenzieria. L’Arcivescovo Hamer nella sua lettera del 1975, precisa ancora il Card. Ratzinger, parlando delle coppie divorziate risposate il cui matrimonio non era stato dichiarato nullo, allorché afferma che possono essere ammesse a ricevere i Sacramenti “ .. se cercano di vivere secondo indicazioni dei principi morali cristiani”, non vuole dire altro se non che si astengano, come dice s. Giovanni Paolo II, dagli “atti propri delle coppie sposate” … questa norma severa è una testimonianza profetica alla irreversibile fedeltà dell’amore che lega Cristo alla sua Chiesa e mostra anche che l’amore degli sposi è incorporato al vero amore di Cristo (Ef. 5, 23–32). Anche nel 1973 la Congregazione per la Dottrina della Fede in un documento visto più sopra[68] sul matrimonio fece riferimento alla «approvata prassi», tale prassi afferma il Card. Ratzinger è quella per la quale  i divorziati risposati possono essere ammessi a ricevere i Sacramenti se pentiti per i loro peccati si propongano di astenersi  dagli “atti propri delle coppie sposate”, anche se in alcuni casi non possono interrompere la coabitazione, e sia evitato ogni scandalo .  Sottolineo che in alcuni casi estremi in cui si presenta un problema di coscienza, contrariamente a ciò che pare affermare il Card. Müller, non è il singolo confessore che può risolvere il problema, ma la Sacra Penitenzieria, cui il sacerdote deve fare ricorso; e comunque della “soluzione di foro interno” il Magistero non ha mai accettato l’uso per varie ragioni tra le quali c’è la contraddizione intrinseca di voler risolvere nel foro interno qualcosa che per sua natura pertiene al foro esterno ed ha così grandi conseguenze per il foro esterno ; il matrimonio non è un atto privato ed ha profonde implicazioni per entrambe i coniugi e per i loro figli ed anche per la società civile e cristiana.

Si legga quindi il testo seguente, che è successivo rispetto alla lettera appena vista del Card. Ratzinger:

“Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione ….  Per i fedeli che permangono in tale situazione matrimoniale, l’accesso alla Comunione eucaristica è aperto unicamente dall’assoluzione sacramentale, che può essere data «solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò importa, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi — quali, ad esempio, l’educazione dei figli — non possono soddisfare l’obbligo della separazione, «assumano l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi»»(Ibid,. n. 84: AAS 74 (1982) 186; cf. Giovanni Paolo II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, n. 7: AAS 72 (1982) 1082.)”[69]

Come si vede chiaramente i divorziati-risposati che vivono more uxorio non possono ricevere l’assoluzione e fare la Comunione, evidentemente anche quelli che sono in coscienza sicuri della invalidità del primo matrimonio.

L’ accesso ai Sacramenti è aperto solo a coloro che sono pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo e sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio; ciò implica che se l’uomo e la donna, per seri motivi non possono soddisfare l’obbligo della separazione, devono proporsi seriamente ed efficacemente di non peccare e in particolare di vivere in piena continenza e quindi di non dare scandalo.

Per ricevere i Sacramenti, quindi, i divorziati risposati che per gravi ragioni sono costretti a coabitare, devono vivere come fratello e sorella e non dare scandalo. Va notato anche che : se si ammettessero queste persone, divorziate risposate e viventi more uxorio, all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione, e quindi scandalizzati circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio[70] …. Che le cose stiano così e che non ci siano possibilità per accogliere le affermazioni dei cardd. Vallini e Müller lo precisa anche questo testo tratto dallo stesso documento più sopra presentato:

: “7. L’errata convinzione di poter accedere alla Comunione eucaristica da parte di un divorziato risposato, presuppone normalmente che alla coscienza personale si attribuisca il potere di decidere in ultima analisi, sulla base della propria convinzione(Cf. Lett. enc. Veritatis splendor, n. 55: AAS 85 (1993) 1178.), dell’esistenza o meno del precedente matrimonio e del valore della nuova unione. Ma una tale attribuzione è inammissibile(Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 1085 § 2.). …

… La disciplina della Chiesa … conferma la competenza esclusiva dei tribunali ecclesiastici …”[71]

Dio ci illumini e illumini i nostri Pastori.

Il Matrimonio è una realtà pubblica la cui invalidità può essere dichiarata, in foro esterno, solo da un organo ecclesiastico a ciò competente! In caso di dubbi o di certezze circa la validità di un matrimonio fallito, questi devono essere verificati dagli organi giudiziari competenti.

Occorre peraltro considerare che, come diceva Papa Pio XII : “Quanto alle dichiarazioni di nullità dei matrimoni … chi non sa poi che i cuori umani sono, in non rari casi, pur troppo proclivi … a studiare di liberarsi dal vincolo coniugale già contratto?” [72]

Come visto più sopra il matrimonio non è un atto privato ed ha profonde implicazioni per entrambe i coniugi e per i loro figli ed anche per la società civile e cristiana. Solo il foro esterno, cioè un regolare processo, può dare reale assicurazione a colui che fa domanda, e che è parte interessata, che egli stesso non è colpevole di “volersi giustificare”; solo il foro esterno può dare una risposta ai diritti e alle richieste dell’altro coniuge della precedente unione e nel caso di dichiarazione di nullità può rendere possibile l’ingresso in un matrimonio canonicamente valido e sacramentale[73]

Solo dopo che il primo matrimonio è dichiarato invalido e solo dopo aver celebrato un “secondo” matrimonio sacramentale, il fedele, che è moralmente certo dell’invalidità del primo matrimonio, può avere leciti rapporti sessuali con la sua “nuova” moglie. Non prima!

Questo appariva chiaro, per quanto capiamo, allo stesso Card. Müller, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che in un articolo pubblicato sull’Osservatore Romano affermò riguardo al testo della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1994 :“Si chiarisce, inoltre, che i credenti interessati non devono accostarsi alla santa Comunione sulla base del loro giudizio di coscienza: «Qualora egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori (…) hanno il grave dovere di ammonirlo che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa» (n. 6). In caso di dubbi circa la validità di un matrimonio fallito, questi devono essere verificati dagli organi giudiziari competenti in materia matrimoniale (cfr. n. 9). …” [74]

Dio ci illumini e illumini i nostri Pastori.

Quello abbiamo detto si conferma ulteriormente leggendo un testo del Card. Ratzinger che è  l’introduzione di un “Sussidio per i Pastori” della Congregazione per la Dottrina della Fede, intitolato “Sulla pastorale dei divorziati risposati. Documenti, commenti e studi,” (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998, pag. 7–29 ); in esso  il Card. Ratzinger, dopo aver ribadito i principi fondamentali della dottrina cattolica sul tema, già visti più sopra affermò “ Qualora fedeli divorziati risposati ritengano che il loro precedente matrimonio non era mai stato valido, essi sono pertanto obbligati a rivolgersi al competente tribunale ecclesiastico, che dovrà esaminare il problema obiettivamente e con l’applicazione di tutte le possibilità giuridicamente disponibili.

…  Molti teologi sono dell’opinione che i fedeli debbano assolutamente attenersi anche in “foro interno” ai giudizi del tribunale a loro parere falsi. Altri ritengono che qui in “foro interno” sono pensabili delle eccezioni, perché nell’ordinamento processuale non si tratta di norme di diritto divino, ma di norme di diritto ecclesiale. Questa questione esige però ulteriori studi e chiarificazioni. Dovrebbero infatti essere chiarite in modo molto preciso le condizioni per il verificarsi di una “eccezione”, allo scopo di evitare arbitri e di proteggere il carattere pubblico — sottratto al giudizio soggettivo — del matrimonio.”

Con queste parole, evidentemente, il Cardinale, come dicemmo più sopra, chiudeva ulteriormente la porta alle eccezioni di “foro interno” perché il matrimonio ha carattere pubblico e non si vede come tali eccezioni possano evitare arbitri e proteggere appunto tale carattere del Matrimonio e infatti nella Sacramentum Caritatis lo stesso Joseph Ratzinger divenuto Papa Benedetto nella  “Sacramentum Caritatis” affermò: “Là dove sorgono legittimamente dei dubbi sulla validità del Matrimonio sacramentale contratto, si deve intraprendere quanto è necessario per verificarne la fondatezza. …  Infine, là dove non viene riconosciuta la nullità del vincolo matrimoniale e si danno condizioni oggettive che di fatto rendono la convivenza irreversibile, la Chiesa incoraggia questi fedeli a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, come amici, come fratello e sorella; così potranno riaccostarsi alla mensa eucaristica, con le attenzioni previste dalla provata prassi ecclesiale. ”[75] Come si vede, nessuna apertura all’affermazione per cui in “foro interno” sono pensabili delle eccezioni; al contrario, viene pienamente ribadita la dottrina secondo cui:  il matrimonio è realtà pubblica e solo i tribunali hanno competenza a dichiararne la nullità. Papa Benedetto poi ribadisce l’unica prassi accettata dalla Chiesa riguardo al ritorno dei divorziati risposati ai Sacramenti: che si impegnino seriamente a vivere secondo le esigenze della legge di Dio, e  quindi che si impegnino in particolare  a vivere la loro relazione come fratello e sorella, evitando, ovviamente, ogni scandalo.

Crollano su tutta la linea, mi pare, le affermazioni del Card. Muller e Vallini tendenti a permettere una vita “more uxorio” e la recezione dei Sacramenti a divorziati risposati che sono certi in coscienza dell’invalidità del loro matrimonio ma non possono provarlo …

Il Signore illumini noi e i nostri Pastori perché seguiamo decisamente la via stretta della Verità e della Croce.

Alcuni Vescovi del Kazakistan nel 2017 emisero un importante documento in cui condannavano affermazioni del tipo di quelle presentate qui dal Card. Müller e dal Card. Vallini[76]  Ecco qui di seguito alcune affermazioni tratte dal documento di questi Vescovi e che ci interessano in particolare per il nostro argomento :“ Essendo il matrimonio valido dei battezzati un sacramento della Chiesa e, per sua natura, una realtà di carattere pubblico, un giudizio soggettivo della coscienza sulla invalidità del proprio matrimonio che contrasti con la sentenza definitiva del tribunale ecclesiastico, non può comportare conseguenze per la disciplina sacramentale, poiché essa ha sempre un carattere pubblico.” Il ministro della Confessione non può dispensare il penitente, in particolare il divorziato risposato, dall’attuazione del sesto comandamento e dalla indissolubilità del matrimonio e quindi assolverlo sacramentalmente e ammetterlo all’Eucaristia; una presunta convinzione, in coscienza, da parte del penitente, della invalidità del proprio matrimonio nel foro interno non può produrre conseguenze riguardanti la disciplina sacramentale in foro esterno, sicché, pur rimanendo in essere un valido Matrimonio sacramentale, tale penitente possa vivere more uxorio con chi non è suo legittimo coniuge e possa ricevere i Sacramenti nonostante la sua intenzione di continuare a violare in futuro il Sesto Comandamento e il vincolo matrimoniale sacramentale che è ancora in essere. Dice il testo appena citato :“Una prassi che permette alle persone civilmente divorziate, cosiddette “risposate”, di ricevere i sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, nonostante la loro intenzione di continuare a violare in futuro il Sesto Comandamento e il loro vincolo matrimoniale sacramentale ” è evidentemente “contraria alla verità Divina ed estranea al perenne senso della Chiesa cattolica e alla provata consuetudine ricevuta, fedelmente custodita dai tempi degli Apostoli e ultimamente confermata in modo sicuro da san Giovanni Paolo II (cfr. Esortazione Apostolica Familiaris consortio, 84) e da Papa Benedetto XVI (cfr. Esortazione Apostolica Sacramentum caritatis, 29)”; tale prassi è contraria alla prassi perenne della Chiesa ed è una controtestimonianza , inoltre è diffusiva della “piaga del divorzio”; chi vuole davvero aiutare le persone che si trovano in uno stato oggettivo di peccato grave deve annunciare loro con carità la piena verità circa la volontà di Dio su di loro, deve quindi aiutarle a pentirsi con tutto il cuore dell’atto peccaminoso di convivere more uxorio con una persona che non è il proprio legittimo coniuge, come emerge chiaramente anche dalle affermazioni di s. Giovanni Paolo II (Esortazione Apostolica Reconciliatio et Paenitentia, 33). Costituisce un pericolo per la fede e per la salvezza delle anime l’ammissione dei divorziati cosiddetti “risposati” ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, senza un loro vero proposito di vivere come fratello e sorella e cioè senza che sia loro richiesto il compimento dell’obbligo di vivere in continenza. Tale pratica pastorale di ammissione non è mai l’espressione della “via caritatis” della Chiesa e quindi della sua misericordia verso le anime peccatrici.[77] … e in questa linea mi pare interessante notare quello che mi disse il Card. Burke , eminente canonista, nella linea di quanto affermato finora dalla sana dottrina: “Il matrimonio non è nella “mia testa”.” volendo dire che il matrimonio non è un atto privato ma un sacramento della  Chiesa e, per sua natura, una realtà di carattere pubblico.

Dio ci illumini e illumini i nostri Pastori perché sappiamo, con coraggio ribadire la Verità che salva.

Quello che abbiamo detto finora ci aiuta a realizzare una ulteriore riflessione sulle parole del Card. Müller. Egli afferma che “ … si può dare il caso che un cristiano sia convinto in coscienza che il suo primo legame, anche se ha avuto luogo nella forma di un matrimonio in Chiesa, non fosse valido come sacramento e che il suo attuale legame simil-matrimoniale, allietato da figli e con una convivenza maturata nel tempo con il suo partner attuale sia un autentico matrimonio davanti a Dio. Forse questo non può essere provato canonicamente a causa del contesto materiale o per la cultura propria della mentalità dominante. È possibile che la tensione che qui si verifica fra lo status pubblico-oggettivo del “secondo” matrimonio e la colpa soggettiva possa aprire, nelle condizioni descritte, la via al sacramento della penitenza ed alla Santa Comunione, passando attraverso un discernimento pastorale in foro interno .… Se il secondo legame fosse valido davanti a Dio i rapporti matrimoniali dei due partner non costituirebbero nessun peccato grave ma piuttosto una trasgressione contro l’ordine pubblico ecclesiastico per avere violato in modo irresponsabile le regole canoniche e quindi un peccato lieve.”[78]

Riflettiamo: se non fosse di competenza esclusiva della Chiesa, attraverso tribunali ecclesiastici e attraverso un giusto processo, dichiarare l’invalidità di un matrimonio, potrebbe facilmente verificarsi che chi un giorno afferma con certezza che un certo matrimonio è invalido il giorno dopo potrebbe dire che si è ricordato meglio e ritenere valido ciò che prima diceva invalido, oppure potrebbe ritenere invalido anche il secondo “matrimonio” e quindi passare ad un terzo … e così via. Quindi , visto che in questo secondo “matrimonio” di cui parla il Card. Müller il consenso è tutto interiore, si avrebbero persone che potrebbero ritenersi libere, pur essendo già sposate una volta in modo valido ed esterno, di sposarsi più volte in modo interiore e quindi di ritenere successivamente invalidi tali matrimoni e quindi continuare a sposarsi “interiormente” altre volte, realizzando, così “santi” e “numerosi matrimoni” … implicitamente benedetti dai confessori e quindi “dalla Chiesa”…  Mi chiedo, quindi, seguendo il ragionamento del Cardinale se , per lui, solo al primo matrimonio (celebrato alla luce del sole) è ammesso l’errore (di cui si ha certezza e che lo renderebbe invalido indipendentemente dal processo canonico), o anche al secondo “matrimonio” tutto “interiore”, che secondo il Cardinale varrebbe o potrebbe valere dinanzi a Dio … o anche al terzo …. perché possono esserci sempre persone che ritengono “in coscienza” che i matrimoni precedenti siano invalidi e magari possono portare “prove” al Confessore …

Nella linea di quanto sto dicendo occorre anche riflettere allo scandalo che si determina per il fatto che, secondo le parole del Cardinale Müller e del Card. Vallini, una persona già sposata in Chiesa, ritenendo invalido il suo primo matrimonio, senza passare per i Tribunali Ecclesiastici, e con il permesso del Confessore, ritiene di potersi unire carnalmente e convivere more uxorio con una persona che non è il suo coniuge.

Lo scandalo non è forse condannato dal diritto divino? E lo scandalo non è forse peccato grave?

Questa situazione per cui, nonostante ci sia un matrimonio valido, è “legittimato” praticamente un secondo matrimonio “interiore”  con relativi atti sessuali, è evidentemente un qualcosa che genera scandalo in sé stesso e in ciò che va a determinare: incertezza e disordine circa il matrimonio nella Chiesa.

Quello che abbiamo appena detto ci fa capire che in realtà se si accettassero le affermazioni del Card. Müller sarebbe praticamente sovvertito l’ordine all’interno della Chiesa cattolica e si aprirebbero le porte a scandali , contrasti e quindi gravissimi mali.

Ugualmente, in questa linea, le affermazioni del Card. Vallini sono scandalose perché fanno passare l’idea che chi in coscienza ritiene invalido il suo primo matrimonio può, attraverso la Confessione, essere legittimato a unirsi sessualmente e convivere more uxorio con persona diversa dal suo coniuge. Come abbiamo visto, il Matrimonio è una realtà pubblica che non ammette la “soluzione” attraverso il foro interno. [79]

Noi non viviamo come isole, siamo in mezzo ad altre persone che dobbiamo edificare con il nostro comportamento, siamo chiamati ad amare il prossimo come noi stessi e ad aiutare il prossimo a portare, con noi, la Croce …  questo spiega le affermazioni magisteriali viste in precedenza che condannano le novità che i cardd. Müller e Vallini stanno diffondendo. La prassi che il Card. Müller e Card. Vallini ritengono lecita è in realtà gravemente contraria alla dottrina della Chiesa e alla carità; chi la ponesse in essere commetterebbe un grave peccato contro la Chiesa, contro i fratelli e quindi in fondo contro Dio.

Se, come diceva s. Alfonso, un atto che oggettivamente è peccato veniale diventa peccato grave se l’azione provoca scandalo  [80] tanto più è peccato grave una prassi, come quella che sto criticando, che è del tutto contraria alla dottrina della Chiesa e crea un così grande scandalo.

Dio ci illumini sempre più.

Ciò che giova al vero bene spirituale dei fedeli non è decidere con il Confessore se il proprio matrimonio è valido o meno e, sulla base di questo, unirsi more uxorio con persona diversa dal proprio coniuge … ciò che giova al vero bene spirituale dei fedeli è vivere secondo la Verità di Cristo e della sua Chiesa per cui solo i Tribunali ecclesiastici, in un giusto processo, possono decidere della nullità di un matrimonio e quindi possono aprire la strada ad un nuovo Matrimonio valido e solo dopo un valido matrimonio sacramentale è lecito ad una coppia convivere more uxorio , realizzare atti di unione intima e quindi ricevere i Sacramenti vivendo in tale relazione con tali atti.

Dio ci illumini sempre meglio.

Concludo notando che le affermazioni del Card. Vallini sono state accettate dal Papa, che ha permesso a questo Cardinale di pubblicarle come norme per la  Diocesi di Roma. In questo modo persone chiaramente unite in Matrimonio valido possono lecitamente unirsi e convivere more uxorio con persone diverse dal loro coniuge e, rimanendo in tali rapporti peccaminosi, possono ricevere i Sacramenti, con il permesso del Papa … e con chiara sovversione della sana dottrina. Il “cambio di paradigma” procede: peccati gravi, disordini e scandali si diffondono con la “benedizione” papale.

Faccio notare altresì che le parole del Cardinale Vallini seguono il “cifrario” che è proprio del “cambio di paradigma” infatti affermano che “ … quando le circostanze concrete di una coppia lo rendono fattibile, vale a dire quando il loro cammino di fede è stato lungo, sincero e progressivo, si proponga di vivere in continenza; se poi questa scelta è difficile da praticare per la stabilità della coppia, Amoris Laetitia non esclude la possibilità di accedere alla Penitenza e all’Eucarestia (A.L. note 329 e 364). Ciò significa una qualche apertura, come nel caso in cui vi è la certezza morale che il primo matrimonio era nullo, ma non ci sono le prove per dimostrarlo in sede giudiziaria; ma non invece nel caso in cui, ad esempio, viene ostentata la propria condizione come se facesse parte dell’ideale cristiano, ecc.”[81]

Si noti bene: se è fattibile proporsi di vivere in continenza ciò sia proposto alla coppia, se questo proposito è difficile  : “ …  per la stabilità della coppia, Amoris Laetitia non esclude la possibilità di accedere alla Penitenza e all’Eucarestia (A.L. note 329 e 364). Ciò significa una qualche apertura …” Quindi Amoris Laetitia permette di ricevere i Sacramenti anche a chi non si propone di vivere in continenza e resta in una convivenza more uxorio. Vallini precisa un caso in cui tale permissione si attua: quello di coloro che ritengono invalido il loro precedente Matrimonio ma non possono provare ciò in Tribunale. Le parole di Vallini però non chiudono la porta ad altri casi in cui si attua questa permissione, ce ne sono anche altri di casi che lui non nomina ma che il Papa mostra di accettare, si pensi a quello che hanno affermato i Vescovi tedeschi o maltesi e a tanti altri errori che il Papa non corregge perché ovviamente seguono la sua linea di “cambio di paradigma” e che, quindi, valgono o possono valere anche a Roma. Vallini non precisa … ma le porte sono aperte … Con discrezione e appunto seguendo il “cifrario” proprio di questo “cambio di paradigma” attraverso le parole del Card. Vallini nella Diocesi di Roma si aprono le porte agli errori, scandali e immoralità che questo Papa e i suoi sostenitori, attraverso Amoris Laetitia, stanno diffondendo.

Dio intervenga!

Interceda per noi la gloriosa Madre di Dio, che annienta le dottrine eretiche, schiaccia la potenza dell’errore e smaschera l’insidia degli idoli[82], e che già sin dai tempi antichi e stata ” invocata dal popolo cristiano in «difesa» della fede”[83]

11) Precisazioni finali IV capitolo: : il Papa sta tradendo e non sviluppando la sana dottrina!

Dio ci illumini sempre meglio.

Riprendendo quello che vedemmo più sopra, nelle precisazioni conclusive del III capitolo e quello che vedemmo nei primi due capitoli ed evitando di riproporvi tutti i testi dottrinali della Tradizione che fondano il nostro giudizio e che potrete vedere in tali precisazioni, occorre sottolineare che alcune affermazioni del Papa, in ambito morale, esaminate in questo capitolo, non appaiono uno sviluppo della sana dottrina ma un cambiamento della stessa, infatti esse non si presentano nel senso della continuità dei principi, non si sviluppano come conseguenza logica e non realizzano un influsso preservatore del passato, sono semplicemente un tradimento della sana dottrina … tradiscono dottrine fondamentali, specie in ambito morale, dottrine chiaramente collegate alla S. Scrittura e ribadite dalla Tradizione …

Tale tradimento, si noti bene,  non è una evoluzione ma un cambiamento, infatti è stato definito dagli stessi collaboratori di Bergoglio: “cambio di paradigma”. Con tale “cambio di paradigma” viene messa da parte in modo furbo, la sana dottrina e si aprono le porte a confessioni invalide, peccati gravi, sacrilegi etc., come visto! A questo riguardo il Card. Muller ha, giustamente, detto: “Dietro il discorso pseudointellettuale del ‘mutamento di paradigma’, si trova solo l’eresia non mascherata che falsifica la parola di Dio” ( S. Paciolla, “Card. Müller: nessun Papa può proporre alla fede di tutta la Chiesa i suoi soggettivi punti di vista” Il Blog di www.sabinopaciolla.com, 30.10.2020 https://www.sabinopaciolla.com/card-Müller-nessun-papa-puo-proporre-alla-fede-di-tutta-la-chiesa-i-suoi-soggettivi-punti-di-vista/ )

Con tale “cambio di paradigma”, come visto in questo capitolo, viene alterata e tradita la dottrina sulla coscienza morale, e viene, in particolare, diffuso il grave errore per cui una coscienza morale cristiana può ritenere con sincerità e onestà e scoprire con una certa sicurezza morale che Dio le conceda di compiere ciò che Lui stesso vieta assolutamente, sempre e senza eccezioni. L’errore indicato, come visto, non ha nulla a che fare con casi assolutamente eccezionali, straordinari e mistici, forse possibili;  esso fondamentalmente si oppone ad affermazioni bibliche  e ad affermazioni della Tradizione[85] che presentano la dottrina sulla coscienza morale cristiana e sulla Verità che essa  deve seguire. Tale errore si oppone fondamentalmente anche alle affermazioni di s. Tommaso sulla coscienza morale cristiana e sull’assoluta obbligatorietà dei precetti negativi del Decalogo; esso si collega appunto più direttamente anche ad un altro errore, di cui parleremo più distesamente nel capitolo V, che si sta diffondendo attraverso Amoris Laetitia, quello dell’ emarginazione e cancellazione della dottrina per cui i precetti negativi del Decalogo sono sempre e ovunque obbligatori; inoltre si collega anche ad altri errori diffusi in vario modo da Papa Francesco, esso è un potente grimaldello per scardinare tutta la morale cristiana.

Risultano estremamente significative, riguardo a tale errore le parole del prof. Seifert che il 5 agosto 2017, sulla rivista teologica tedesca AEMAET,  ha pubblicato un articolo con il titolo posto in forma di domanda: “La logica pura minaccia di distruggere l’intera dottrina morale della Chiesa?”. In esso afferma che il citato n° 303 di Amoris Laetitia è “una bomba atomica teologica che minaccia di abbattere l’intero edificio morale dei 10 comandamenti e dell’insegnamento morale cattolico”. E giustificava la drammaticità dell’affermazione domandandosi:

“Se solo un caso di atto intrinsecamente immorale può essere permesso e persino voluto da Dio, ciò non si deve applicare a tutti gli atti considerati ‘intrinsecamente errati’?  …  se la domanda contenuta nel titolo di questo documento deve avere una risposta affermativa, come credo personalmente sia il caso, la conseguenza puramente logica dell’affermazione di Amoris Laetitia sembra distruggere l’intero insegnamento morale della Chiesa.”[86]

Ugualmente appare  come un cambiamento e non come evoluzione della dottrina, l’errore che il Papa ha chiaramente accettato e che è stato diffuso dal suo Vicario Card. Vallini, errore che, come visto, sconvolge il Matrimonio cristiano ed è fonte di scandali, i Vescovi kazakhi, come visto, appunto condannando tale prassi erronea  hanno significativamente affermato che essa è evidentemente “contraria alla verità Divina ed estranea al perenne senso della Chiesa cattolica e alla provata consuetudine ricevuta, fedelmente custodita dai tempi degli Apostoli e ultimamente confermata in modo sicuro da san Giovanni Paolo II (cfr. Esortazione Apostolica Familiaris consortio, 84) e da Papa Benedetto XVI (cfr. Esortazione Apostolica Sacramentum caritatis, 29)”; tale prassi è contraria alla prassi perenne della Chiesa ed è una controtestimonianza.

Appaiono nella linea della sovversione della sana dottrina anche altre strane affermazioni bergogliane circa la “fedeltà” delle unioni concubinarie e la correzione degli erranti .

Interceda per noi la gloriosa Madre di Dio, che annienta le dottrine eretiche, schiaccia la potenza dell’errore e smaschera l’insidia degli idoli[87]

Note

[1]Caffarra“Dubia, i 4 cardinali: “Santità, ci riceva” Ma dal Papa solo silenzio” la Nuova Bussola Quotidiana 20.6.2017 http://www.lanuovabq.it/it/dubia-i-4-cardinali-santita-ci-riceva-ma-dal-papa-solo-silenzio

[2]F. Zorell “Lexicon Graecum Novi Testamenti”, Pontificio Istituto Biblico, Roma, 1990, col. 1269s

[3]C. Maurer “σύνοιδα, συνείδησις” in “Grande Lessico del Nuovo Testamento”  Paideia , Brescia 1970  vol. XIII p. 269ss

[4]F. Zorell “Lexicon Graecum Novi Testamenti” Pontificio Istituto Biblico Roma 1990 col. 1269s

[5]C. Spicq “Theologie morale du Noveau Testament.” Librairie Lecoffre J. Gabalda et. Cie., Paris, 1970 tome II p. 602

[6]Si vedano Super Sent., II d.24 q.2 a.4, q.3 a.3, d.39 q.3; De Veritate ,q.17; Summa Theologiae I q.79 a.13;  I-IIae q. 19; Quodlibet VIII q.6 a 3; IX q 7 a 2;  III q.12 a 2; vi sono inoltre importanti indicazioni su questo tema nei commenti di s. Tommaso alle lettere di s. Paolo quali Super Rom. c.9 lec.1; Super I Cor. c.2 lec.3; Super Gal. c.5 l.1.

[7]Cfr. s. Bonaventura “In II librum Sententiarum”, dist. 39, a. 1, q. 3, concl.: Ed. Ad Claras Aquas, II, 907 b.

[8]“Discorso” (Udienza generale, 17 agosto 1985), 2: Insegnamenti VI, 2(1983), 256

[9]Suprema S. Congregazione del Sant’Offizio, Istruz. sull’«etica della situazione» “Contra doctrinam” (2 febbraio 1956): AAS 48 (1956), 144, www.vatican.va , http://www.vatican.va/archive/aas/documents/AAS-48-1956-ocr.pdf

[10]Suprema S. Congregazione del Sant’Offizio, Istruz. sull’«etica della situazione» “Contra doctrinam” (2 febbraio 1956): AAS 48 (1956), 144, www.vatican.va , http://www.vatican.va/archive/aas/documents/AAS-48-1956-ocr.pdf

[11]Giovanni Paolo II, Lettera enciclica “Dominum et vivificantem” , 18 maggio 1986, 45: AAS 78 (1986), 859 www.vatican.va, https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_18051986_dominum-et-vivificantem.html ; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 16; Dich. sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 3.; cfr VS n. 60

[12]S. Alfonso M. de’ Liguori “Istruzione e pratica del confessore” “Opere di S. Alfonso Maria de Liguori”, Pier Giacinto Marietti, Vol. IX, Torino 1880, pag. 67 , www.intratext.com, http://www.intratext.com/IXT/ITASA0000/_PWP.HTM#-70V

[13]Cfr. H. B. Merkelbach “Summa Theologiae Moralis”, Desclée de Brouwer , Brugis – Belgica , 1959, I, pp. 203ss; H. D. Noble, “La conscience morale”, Paris 1923 pp. 135-159; H. D. Noble, “Le discerniment de la conscience morale”, Paris 1934 pp. 53-76 . 96-126.

[14]Commissione teologica internazionale, “Il sensus fidei nella vita della Chiesa” del 10.6.2014 n. 52, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140610_sensus-fidei_it.html#_ftnref68

[15]Commissione teologica internazionale, “Il sensus fidei nella vita della Chiesa” del 10.6.2014 n. 52, www.vatican.va,  http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140610_sensus-fidei_it.html#_ftnref68)

[16]Commissione teologica internazionale, “Il sensus fidei nella vita della Chiesa” del 10.6.2014 n. 52, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140610_sensus-fidei_it.html#_ftnref68

[17]Concilio Vaticano II, Dich. sulla libertà religiosa  “Dignitatis humanae”, 14, 7.12.1965 , www.vatican.va ,  https://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decl_19651207_dignitatis-humanae_it.html

[18]Congregazione per la dottrina della Fede “Il primato del successore di s. Pietro nel mistero della Chiesa” 31.1.1998, n. 15, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19981031_primato-successore-pietro_it.html

[19]Cfr. Commissione Teologica Internazionale, “Il sensus fidei nella vita della Chiesa” del 10.6.2014 n. 2, www.vatican.va ,  http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140610_sensus-fidei_it.html#_ftnref68

[20]Cfr. Commissione Teologica Internazionale, “Il sensus fidei nella vita della Chiesa” del 10.6.2014 n. 52 ss, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140610_sensus-fidei_it.html#_ftnref68

[21]Commissione Teologica Internazionale, “Il sensus fidei nella vita della Chiesa” del 10.6.2014  , www.vatican.va ,, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140610_sensus-fidei_it.html#_ftnref68

[22]Commissione Teologica Internazionale, “Il sensus fidei nella vita della Chiesa” del 10.6.2014 n. 61, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140610_sensus-fidei_it.html#_ftnref68

[23]“Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati” del 14.9.1994 n. 7, www.vatican.va ,
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_14091994_rec-holy-comm-by-divorced_it.html

[24]Lettera, n. 6; EV 14/1458 http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_14091994_rec-holy-comm-by-divorced_it.html

[25]Lettera, n. 10; EV 14/1464, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_14091994_rec-holy-comm-by-divorced_it.html

[26]Cardinale Joseph Ratzinger, “Introduzione” in  Congregazione per la Dottrina della Fede, “Sulla pastorale dei divorziati risposati”, LEV, Città del Vaticano 1998, pagg. 14 ss. n. 4

[27]G. L. Müller : “ Indissolubilità del matrimonio e dibattito sui divorziati risposati e i Sacramenti” L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 243, Merc. 23/10/2013, www.vatican.va http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/muller/rc_con_cfaith_20131023_divorziati-risposati-sacramenti_it.html

[28]“A tale riguardo vale la norma ribadita da Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica postsinodale Familiaris consortio , n. 84 …  Cfr. anche Benedetto XVI, Lettera apostolica postsinodale Sacramentum caritatis , n. 29.”

[29]Joseph Ratzinger, La pastorale del matrimonio deve fondarsi sulla verità, «L’Osservatore Romano», 30 novembre 2011, pagine 4-5

[30]Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede “ Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati” del 14.9.1994  n. 6, www.vatican.va ,
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_14091994_rec-holy-comm-by-divorced_it.html

[31]“Catechismo Tridentino”, ed Cantagalli 1992, n. 299  https://www.maranatha.it/catrident/25page.htm

[32]Pio XII, Lett. enc. “Humani generis” introduzione, 12.8.1950 www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/pius-xii/it/encyclicals/documents/hf_p-xii_enc_12081950_humani-generis.html

[33]Cfr. Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 1536, Aa. Vv.. Decisioni dei Concili Ecumenici (Classici della religione) (Italian Edition) (posizione nel Kindle 8448ss). UTET. Edizione del Kindle, traduzione da me ritoccata in qualche punto

[34]Cfr. Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 1536; Aa. Vv.. Decisioni dei Concili Ecumenici (Classici della religione) (Italian Edition) (posizione nel Kindle 8595 ss.). UTET. Edizione del Kindle.

[35]Concilio Vaticano II, Cost. dogm. “Lumen gentium”, 21.11.1964 , 24, www.vatican.va , http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19641121_lumen-gentium_it.html

[36]* * “La norma morale di «Humanae vitae»
e il compito pastorale” L’Osservatore Romano, 16 febbraio 1989, p. 1 , www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19890216_norma-morale_it.html

[37]“Carta del s. Padre Francisco a los obispos de la region pastoral de Buenos Aires en respuesta al documento “Criterios basicos para la aplicacion del capitulo VIII  de la Amoris Laetitia”, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/francesco/es/letters/2016/documents/papa-francesco_20160905_regione-pastorale-buenos-aires.html

[38]Cfr.  I-II q. 100 a. 8 ad 2 “Somma Teologica” , traduzione tratta dall’ edizione online, Edizioni Studio Domenicano,  https://www.edizionistudiodomenicano.it/Docs/Sfogliabili/La_Somma_Teologica_Seconda_Parte/index.html#993/z

[39]Cfr. Super Sent., lib. 1 d. 47 q. 1 a. 4; Super Sent., lib. 3 d. 37 q. 1 a. 4 ; De malo, q. 3 a. 1 ad 17;  q. 15 a. 1 ad 8

[40]Cfr.VS n. 13, 52, 67, 99, 102;  ** “La norma morale di «Humanae vitae»
e il compito pastorale” L’Osservatore Romano, 16 febbraio 1989, p. 1, www.vatican.va ,  http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19890216_norma-morale_it.html  ;  S. Tommaso d’ Aquino in Super Sent., lib. 3 d. 25 q. 2 a. 1 qc. 2 ad 3; I-II, q. 72 a. 6 ad 2; II-II q. 33 a. 2 in c.; De malo, q. 7 a. 1 ad 8 ; SuperRm. c. 13, l. 2; Super Gal., c.6, l.1

[41]http://www.aemaet.de/index.php/aemaet/article/view/44/pdf_1 ; Josef Seifert: “La logica pura minaccia di distruggere l’intera dottrina morale della Chiesa?” Corrispondenza Romana, 2017   https://www.corrispondenzaromana.it/wp-content/uploads/2017/08/Testo-Seifert-italiano.pdf?it

[42]L. Scrosati, “Attenuanti in fuori gioco, il matrimonio non è una morale”, La Bussola Quotidiana, 11.3.2018 http://www.lanuovabq.it/it/attenuanti-in-fuori-gioco-il-matrimonio-non-e-una-morale

[43]Charles Jude Scicluna e Mario Grech “Criteri applicativi di “Amoris laetitia”,  14.1.2017, www.chiesa.espressonline.it,  http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351437.html

[44]L. Melina, “Livio Melina: “Le sfide di ‘Amoris Laetitia’ per un teologo della morale” , in Settimo Cielo di Sandro Magister 28.6.2017 http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/06/28/livio-melina-le-sfide-di-amoris-laetitia-per-un-teologo-della-morale/

[45]Conferenza Episcopale Emilia Romagna  “Indicazioni sul capitolo VIII dell’Amoris Laetitia” ,20.1.2018, Diocesi Imola  https://www.diocesiimola.it/2018/01/20/indicazioni-sul-capitolo-viii-dellamoris-laetitia/

[46]Cfr. Conferenza Episcopale Tedesca “La gioia dell’amore vissuto nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa” 23.1.2017,   www.jesidiocesi.it, http://www.jesidiocesi.it/download/scuola_teologia/anno_3/sarti/vescovi_tedeschi.pdf

[47]Mons. V. M. Fernández: “El capítulo VIII de Amoris Laetitia: lo que queda después de la tormenta.” in Medellin, vol. XLIII / No. 168 / Mayo – Agosto (2017) www.archidiocesisgranada.es, http://www.archidiocesisgranada.es/images/pdf/Amoris-Laetitia.-Articulo-Buenos-Aires.pdf (consultato il 29.5.2021

[48]Cfr. Mons. V. M. Fernández: “El capítulo VIII de Amoris Laetitia: lo que queda después de la tormenta.” in Medellin, vol. XLIII / No. 168 / Mayo – Agosto (2017) / pp. 459

[49]Giovanni Paolo II, Lett. Enc. “Ecclesia de Eucharistia” n. 37, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_20030417_eccl-de-euch.html

[50]Cfr. S. Tommaso d’ Aquino “Somma Teologica” , edizione online, ESD, II-II q. 24 a. 10 https://www.edizionistudiodomenicano.it/Docs/Sfogliabili/La_Somma_Teologica_Seconda_Parte_2/index.html#258

[51]S. Gregorio Magno “Quadraginta Homiliarum in Evangelia Libri duo” ,  PL. 76, hom. XXX, c.1221

[52]S. Alfonso Maria de Liguori, “L’amore delle anime”, in “Opere Ascetiche” Vol. V, CSSR, Roma 1934 p. 56s. c. VI , www.intratext.com, http://www.intratext.com/IXT/ITASA0000/__PZ.HTM

[53]Heinrich  Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003 n.1536  e 1568

[54]Giovanni Paolo II, Esort. ap. “Familiaris consortio” 22.11.1981, n. 84, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_exhortations/documents/hf_jp-ii_exh_19811122_familiaris-consortio.html

[55]Pont. Cons. Per l’ Interpretazione dei Testi Legislativi, “Circa l’ammissibilità alla Comunione dei divorziati risposati”,  L’Osservatore Romano, 7 luglio 2000, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/intrptxt/documents/rc_pc_intrptxt_doc_20000706_declaration_it.html

[56]Sabino Paciolla “Nel mezzo delle controversie dell’Istituto GPII, il Papa Emerito Benedetto XVI incontra Melina” 5.8.2019 www.sabinopaciolla.com,  https://www.sabinopaciolla.com/nel-mezzo-delle-controversie-dellistituto-gpii-il-papa-emerito-benedetto-xvi-incontra-melina/

[57]Card. Vallini  “La letizia dell’amore”: il cammino delle famiglie a Roma” Diocesi di Roma 19.9.2016,. http://www.romasette.it/wp-content/uploads/Relazione2016ConvegnoDiocesano.pdf

[58]G. L. Müller “Comunione ai divorziati risposati, Müller: “Nella colpa ci possono essere delle attenuanti” La Stampa 30.10.2017 http://www.lastampa.it/2017/10/30/vaticaninsider/ita/vaticano/comunione-ai-risposati-mller-nella-colpa-possono-esserci-attenuanti-uK39UZsbZ580Xv9cVK2kUP/pagina.html

[59]G. L. Müller “Che cosa significa dire «Io ti assolvo»” La Nuova Bussola Quotidiana 29.1.2018  http://www.lanuovabq.it/it/che-cosa-significa-dire-io-ti-assolvo

[60]A. Tornielli: “Müller: “Il libro di Buttiglione ha dissipato i dubia dei cardinali”, su Vatican Insider del 30-12-2017   http://www.lastampa.it/2017/12/30/vaticaninsider/ita/inchieste-e-interviste/mller-il-libro-di-buttiglione-ha-dissipato-i-dubia-dei-cardinali-BGa9DT809pw5WyEgRdZC9I/pagina.html

[61]Cardinale Raymond Leo Burke “Il  Matrimonio è naturale e sacro”. Intervento nell’ambito di “Permanere nella Verità di Cristo”, Convegno Internazionale  in preparazione del Sinodo sulla famiglia , Angelicum — Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino  30 settembre 2015, www.maranatha.it; http://www.maranatha.it/sinodo/RLB01.htm

[62]Allocutio Membris Pontificiae Commissionis Codici Iuris Canonici Recognoscendo, 27-V-1977, in AAS 69 (1977), p. 418.

[63]Giovanni Paolo II, Allocuzione, 8-X1-1978, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol, 1, (1978), p. 109.

[64]J. Herranz, “Il Diritto Canonico, perché?” , Lezione all’Università Cattolica di Milano , www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/intrptxt/documents/rc_pc_intrptxt_doc_20020429_diritto-canonico_it.html

[65]Congregazione per la Dottrina della Fede“ Lettera riguardante l’indissolubilità del matrimonio” del 1.4.1973, www.vatican.va ,, www.vatican.va ,   http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19730411_indissolubilitate-matrimonii_it.html

[66]Giovanni Paolo II, Esort. ap. “Familiaris consortio” 22.11.1981, n. 84, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_exhortations/documents/hf_jp-ii_exh_19811122_familiaris-consortio.html

[67]Cfr. J. Ratzinger “Church, Pope, Gospel.” in The Tablet 26–10 –1991, pp.1310–11

[68]“ Lettera riguardante l’indissolubilità del matrimonio” 1.4.1973, www.vatican.va ,  http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19730411_indissolubilitate-matrimonii_it.html

[69]Congregazione per la Dottrina della Fede “Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della Comunione Eucaristica da parte dei divorziati risposati”, 14.9.1999,  n. 4  , www.vatican.va ,  http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_14091994_rec-holy-comm-by-divorced_it.html

[70]Cfr. Giovanni Paolo II “Familiaris Consortio” 22.11.1992, n. 84 , www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_exhortations/documents/hf_jp-ii_exh_19811122_familiaris-consortio.html

[71]Congregazione per la Dottrina della Fede “Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della Comunione Eucaristica da parte dei divorziati risposati” 14.9.1999, n. 7ss, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_14091994_rec-holy-comm-by-divorced_it.html

[72]Pio XII, “Discorso al Tribunale della Sacra Rota Romana”, 3-X-1941, n. 2, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/pius-xii/it/speeches/1941/documents/hf_p-xii_spe_19411003_roman-rota.html

[73]Cfr. J. Ratzinger “Church, Pope, Gospel.” in The Tablet 26–10 –1991, pp.1310–11

[74]G. L. Müller “ Indissolubilità del matrimonio e dibattito sui divorziati risposati e i Sacramenti” L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 243, Merc. 23/10/2013, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/muller/rc_con_cfaith_20131023_divorziati-risposati-sacramenti_it.html

[75]Benedetto XVI “Sacramentum Caritatis” 22.2.2007, n. 29, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/apost_exhortations/documents/hf_ben-xvi_exh_20070222_sacramentum-caritatis.html

[76]“Appello alla preghiera perché il Papa confermi l’insegnamento (e la prassi) costante della Chiesa sulla indissolubilità del matrimonio” Chiesa e post concilio 18-1-2017 http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2017/01/appello-alla-preghiera-perche-il-papa.html

[77]“Appello alla preghiera perché il Papa confermi l’insegnamento (e la prassi) costante della Chiesa sulla indissolubilità del matrimonio” Chiesa e post concilio 18-1-2017 http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2017/01/appello-alla-preghiera-perche-il-papa.html

[78]G. L. Müller “Comunione ai divorziati risposati, Müller: “Nella colpa ci possono essere delle attenuanti””, Vatican Insider, La Stampa  30-10-2017 http://www.lastampa.it/2017/10/30/vaticaninsider/ita/vaticano/comunione-ai-risposati-mller-nella-colpa-possono-esserci-attenuanti-uK39UZsbZ580Xv9cVK2kUP/pagina.html

[79]Cfr. J. Ratzinger “Church, Pope, Gospel.” in The Tablet 26–10 –1991, pp.1310–11

[80]Cfr. s . Alfonso de’ Liguori ““Istruzione e pratica pei confessori””, in “Opere di S. Alfonso Maria de Liguori”, Pier Giacinto Marietti,Torino 1880 , Vol. IX, Capo III , Punto II. n. 60; p.78s , www.intratext.com, http://www.intratext.com/IXT/ITASA0000/_PWP.HTM

[81]Card. Vallini  “La letizia dell’amore”: il cammino delle famiglie a Roma” Diocesi di Roma,  19.9.2016,. http://www.romasette.it/wp-content/uploads/Relazione2016ConvegnoDiocesano.pdf

[82]Cfr. Inno Akathistos, vv. 111-112; ed. G.G. Meersseman, Der Hymnos Akathistos im Abendland, voi. I, Universitatsverlag, Freiburg Schw. 1958, p. 114

[83]Cfr. “Messe della Beata Vergine Maria” , s. Messa “Maria Vergine sostegno e difesa della nostra fede”.   https://www.maranatha.it/MessaleBVM/bvm35page.htm

[84]Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 16.19.26.27.41.43.50.52 etc.; Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae,1.2. 3. 11.13.14.15 Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 1536, Aa. Vv.. Decisioni dei Concili Ecumenici (Classici della religione) (Italian Edition) (posizione nel Kindle 8448ss). UTET. Edizione del Kindle, ; Cfr. Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 1536; Aa. Vv.. Decisioni dei Concili Ecumenici (Classici della religione) (Italian Edition) (posizione nel Kindle 8595 ss.). UTET. Edizione del Kindle; Concilio Vaticano II, Cost. dogm. “Lumen gentium”, 21.11.1964 , 24, www.vatican.va , http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19641121_lumen-gentium_it.html

[85] Cfr. Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 1536, Aa. Vv.. Decisioni dei Concili Ecumenici (Classici della religione) (Italian Edition) (posizione nel Kindle 8448ss). UTET. Edizione del Kindle, ; Cfr. Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n. 1536; Aa. Vv.. Decisioni dei Concili Ecumenici (Classici della religione) (Italian Edition) (posizione nel Kindle 8595 ss.). UTET. Edizione del Kindle; Concilio Vaticano II, Cost. dogm. “Lumen gentium”, 21.11.1964 , 24, www.vatican.va , http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19641121_lumen-gentium_it.html ; Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 16.19.26.27.41.43.50.52 etc.; Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae,1.2. 3. 11.13.14.15;  Suprema S. Congregazione del Sant’Offizio, Istruz. sull’«etica della situazione» “Contra doctrinam” (2 febbraio 1956): AAS 48 (1956), 144;  Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1776- 1802 . 2072; VS, n. 62. 52; * * “La norma morale di «Humanae vitae»
e il compito pastorale” L’Osservatore Romano, 16 febbraio 1989, p. 1 , www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19890216_norma-morale_it.html; Congregazione per la Dottrina della Fede “Persona Humana” 22.1.1975, n. 3. 4, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19751229_persona-humana_it.html

[86]http://www.aemaet.de/index.php/aemaet/article/view/44/pdf_1 ; Josef Seifert: “La logica pura minaccia di distruggere l’intera dottrina morale della Chiesa?” Corrispondenza Romana, 2017 https://www.corrispondenzaromana.it/wp-content/uploads/2017/08/Testo-Seifert-italiano.pdf?it

[87]Cfr Inno Akathistos, vv. 111-112; ed. G.G. Meersseman, Der Hymnos Akathistos im Abendland, voi. I, Universitatsverlag, Freiburg Schw. 1958, p. 114

[88]Cfr. “Messe della Beata Vergine Maria” , s. Messa “Maria Vergine sostegno e difesa della nostra fede”.   https://www.maranatha.it/MessaleBVM/bvm35page.htm

Torna ai Capitoli