Sommario

Capitolo V  La sana dottrina sulla carità e sulla Legge della carità; alcuni errori che emergono a questo riguardo attraverso l’Amoris Laetitia.

Nota preliminare: il testo ufficiale è solo quello in lingua italiana, le varie versioni in altre lingue sono traduzioni automatiche neurali.

Introduzione

Chiediamo luce a Dio perché la sua sapienza ci guidi in tutto ciò che facciamo:

“Dio dei padri e Signore di misericordia, che tutto hai creato con la tua parola, che con la tua sapienza hai formato l’uomo,    perché domini sulle creature che tu hai fatto, e governi il mondo con santità e giustizia  e pronunzi giudizi con animo retto,
dammi la sapienza, che siede accanto a te in trono  e non mi escludere dal numero dei tuoi figli, perché io sono tuo servo e figlio della tua ancella,  uomo debole e di vita breve,   incapace di comprendere la giustizia e le leggi. Anche il più perfetto tra gli uomini,  privo della tua sapienza, sarebbe stimato un nulla. Con te è la sapienza che conosce le tue opere,  che era presente quando creavi il mondo; essa conosce che cosa è gradito ai tuoi occhi   e ciò che è conforme ai tuoi decreti. Mandala dai cieli santi,  dal tuo trono glorioso, perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica e io sappia che cosa ti è gradito. Essa tutto conosce e tutto comprende:  mi guiderà con prudenza nelle mie azioni  e mi proteggerà con la sua gloria.” (Sap 9, 1-6. 9-11)

La lettera dei Vescovi argentini e l’ Amoris Laetitia parlano più volte di carità ma, come vedremo, tale trattazione di questa virtù fondamentale e di vari argomenti ad essa collegati lascia molto a desiderare e apre le porte a vari errori …. perciò mi pare importante precisare anzitutto con sufficiente profondità alcuni aspetti della carità secondo la sana dottrina cattolica e quindi esaminare quello che afferma la lettera dei Vescovi argentini e l’ Amoris Laetitia,  in questo modo emergeranno in modo chiaro gli aspetti problematici e gli errori di tali testi.

Ricordo a tutti che il Papa ha detto che l’ Amoris Laetitia è tomista: “ Su questo voglio ribadire con chiarezza che la morale dell’Amoris Laetitia è tomista, quella del grande Tommaso. ”[1] … e noi vedremo, purtroppo, in questa nostra trattazione quello che dice s. Tommaso e come l’ Amoris Laetitia fa affermazioni che divergono in modo netto dalle affermazioni di s. Tommaso sul tema della carità e su argomenti ad essa relati.

1) Indicazioni fondamentali circa la carità nella S. Scrittura.

Esaminare la Bibbia in profondità con la guida della Tradizione significa scoprire che  Dio è carità come dice s. Giovanni  ὅτι ὁ θεὸς ἀγάπη ἐστίν (1 Gv. 4,8) , significa  scoprire che nella Trinità vi è Carità,  il Padre ama il Figlio (Gv. 3,35; 5,20), e il Figlio ama il Padre (Gv. 14,31); d’altra parte Dio riversa la carità nei nostri cuori attraverso lo Spirito Santo (Rm 5,5), il frutto dello Spirito Santo  è l’amore, la carità (Gal. 5) e s. Paolo afferma: “Perciò, fratelli, per il Signore nostro Gesù Cristo e l’amore dello Spirito, vi raccomando …” . Nella luce dell’insegnamento biblico e nella linea della Tradizione  dobbiamo affermare addirittura che lo  Spirito Santo è Persona – Amore , come spiega Giovanni Paolo II : “Nella sua vita intima Dio «è amore», amore essenziale, comune alle tre divine Persone: amore personale è lo Spirito Santo, come Spirito del Padre e del Figlio. Per questo, egli «scruta le profondità di Dio», come amore-dono increato. Si può dire che nello Spirito Santo la vita intima del Dio uno e trino si fa tutta dono, scambio di reciproco amore tra le divine Persone, e che per lo Spirito Santo Dio «esiste» a modo di dono. È lo Spirito Santo l’espressione personale di un tale donarsi, di questo essere-amore. È Persona-amore. È Persona-dono. … Come scrive l’apostolo Paolo: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato».”[2] .

Esaminare la Bibbia in profondità con la guida della Tradizione significa, anzi, rendersi conto anzitutto che Dio supera infinitamente tutto quello che noi possiamo dire o comprendere di Lui e che, perciò, Dio è infinitamente super amore e si infinitamente super ama; dice infatti il Catechismo che la realtà divina è: “ … infinitamente al di sopra di tutto ciò che possiamo comprendere o dire”. (Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 206)

Esaminare la Bibbia in profondità con la guida della Tradizione significa scoprire che il vero Dio, cioè la Trinità,  infinitamente ama gli uomini,  il Vangelo di Giovanni è chiarissimo : “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”(Gv. 3,16) , nella I lettera di Giovanni leggiamo: “ἐν τούτῳ ἐφανερώθη ἡ ἀγάπη τοῦ θεοῦ ἐν ἡμῖν, ὅτι τὸν υἱὸν αὐτοῦ τὸν μονογενῆ ἀπέσταλκεν ὁ θεὸς εἰς τὸν κόσμον ἵνα ζήσωμεν δι’ αὐτοῦ. ”  (1Gv. 4,9) “In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui.” S. Paolo afferma: “Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?” (Rom. 8,32)

D’altra parte, Dio è infinitamente super Padre di tutti (Ef. 4,6), ci chiama a partecipare alla sua vita (II Pt. 1,4; 1 Gv. 4,7-8) e al suo amore , cioè alla carità (Rm. 5,5) e ci ha donato uno Spirito di carità (2Tim. 1,7); in questa linea, come insegnano i grandi Dottori, siamo chiamati alla divinizzazione[3] tale divinizzazione si compie nella carità.

In Cristo si manifesta sommamente la carità di Dio e siamo invitati da Lui a imitarlo nella carità (Gv. 13,34, Ap. 1,5; Ef. 5; I Pt. 2,21s)

Dio ci ha ci ha scelti in Cristo: “ … prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà”(Ef. 1,4)

Per quanto detto finora in questo paragrafo cfr.  C. Spicq “Theologie morale du Noveau Testament.” Librairie Lecoffre J. Gabalda et. Cie., Paris, 1970 tome II p. 481-493

La vita cristiana è una risposta di carità alla carità divina per noi (Rom. 12,9s). La carità ci fa amare Dio con tutto noi stessi (Mc. 12, 29s). La carità fa osservare pienamente la Legge e i comandamenti (Rm. 13,8; Gv. 14, 21.23; 15,10.14; 1 Gv. 2,5; 5,2s;  2 Gv. 6).

In Cristo l’uomo è riportato alla perfezione originaria della carità, che si era persa a causa del peccato originale.

a) Precisazioni circa la carità nell’ A. T.

È il profeta Osea, secondo Kaufmann Kohler, nella Jewish Encyclopedia , colui che dà all’amore un significato più profondo e più puro, nell’A. T.,  scoprendo che Dio ama Israele nonostante le sue deviazioni (Os. 11. 1), è un amore di libera volontà (Os. 14,5).

Sull’amore il Deuteronomio costruisce il suo intero sistema; Dio amava i padri (Dt 10. 15), e poiché trasferì questo amore ai loro discendenti, l’intero popolo d’Israele, li scelse, anche se non per merito loro, per essere la Sua peculiare nazione e li protesse contro i loro nemici (Dt 7, 6-8; 23, 6). Dio richiede quindi che il suo popolo Lo ami come risposta al suo amore (Dt 6, 5; 10, 12; 11, 1, 13, 22; 13, 4; 19, 9; 30, 6, 16, 20); Dio ama anche lo straniero e vuole che i membri del suo popolo abbiano amore per lo straniero (Dt 10, 18-19).

L’amore di Dio per Israele è dichiarato da Geremia come “un amore eterno” (Ger. 31. 3), e sia Isaia sia l’ultimo dei profeti accentuano questo amore di Dio (Is. 63, 9; Ml. 1, 2).[4]

Più precisamente, attraverso Osea , profeta del secolo VIII a.C., Dio presenta il suo rapporto con Israele come quello di uno sposo fedele che, nonostante il tradimento operato dalla sposa, si impegna a riappropriarsi dell’amore di lei (cfr. Os. 2, 16-25); attraverso Osea  Dio mostra il suo amore appassionato ma anche tanto forte da vincere il peccato della sposa e ricondurla all’amore più puro, quindi sebbene la sposa lo abbia tradito con il peccato, con l’infedeltà , Dio continua ad amarla come un marito innamorato. Ugualmente in Isaia (Is 54,5-8) e in Ezechiele (2, 2 ; 16, 6.8.15) emerge questa dimensione nuziale dell’amore di Dio per il suo popolo. [5]

Dio presenta Israele come  “popolo di Dio” (Es. 3, 7.8) e come “figlio di Dio” (Es. 4,23) che lui stesso libera dall’ Egitto e più direttamente, in certo modo, genera …

Nel Deuteronomio leggiamo :“Così tu ripaghi il Signore, popolo stolto e privo di saggezza?
Non è lui il padre che ti ha creato, che ti ha fatto e ti ha costituito?” (Dt. 32, 6s)

Va precisato che l’idea di popolo di Dio ha una dimensione etnica e una dimensione religiosa, tale idea comporta inoltre  “…  tre caratteristiche particolari, che sono la chiamata, l’appartenenza, il cammino.”[6]

Dio ha chiamato Israele ad essere suo Popolo, lo ha scelto liberamente, esso gli appartiene e deve farsi guidare da Lui, Dio guida Israele in un cammino che Israele deve percorrere, come si vede molto chiaramente nell’Esodo.

La chiamata emerge chiaramente da questo passo del Deuteronomio: “Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli – siete infatti il più piccolo di tutti i popoli -,ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri: il Signore vi ha fatti uscire con mano potente e vi ha riscattati liberandovi dalla condizione servile, dalla mano del faraone, re d’Egitto.” (Deuteronomio 7, 7-8)

L’appartenenza emerge anche da questo testo del Deuteronomio: “Voi siete figli per il Signore, vostro Dio: non vi farete incisioni e non vi raderete tra gli occhi per un morto. Tu sei infatti un popolo consacrato al Signore, tuo Dio, e il Signore ti ha scelto per essere il suo popolo particolare fra tutti i popoli che sono sulla terra.”(Dt. 14,1s)

Il cammino del Popolo di Dio si vede chiaramente nell’ Esodo ma continua in tutta la Scrittura diventando poi il cammino del Nuovo Popolo di Dio , la Chiesa , è un cammino in questo mondo ed è un cammino verso il Cielo.

Il Popolo di Dio è destinatario e controparte di una Alleanza con Dio, che va intesa come : “ … disposizione personale, impegno, obbligo, assicurazione, promessa, che ha origine fondamentalmente da una libera e unilaterale iniziativa di Dio, a cui eventualmente è collegato persino un giuramento”.[7]

L’alleanza è caratterizzata essenzialmente da una grazia (il Signore si impegna) cioè dal dono che  Dio fa di se stesso e dalla Legge cioè dal dono che Dio fa all’uomo di un cammino etico-cultuale che permette all’uomo di entrare e di rimanere in alleanza con Dio stesso.[8]

Nella Bibbia abbiamo varie alleanze, quella con Noè, quella con Abramo, quella con Mosé etc..

Leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica che l’ Alleanza con Noè, di cui parlano i primi capitoli della Genesi: “ esprime il …  principio dell’economia divina verso le « nazioni »”(Catechismo della Chiesa Cattolica n. 56)

Si tratta praticamente di un’ alleanza cosmica proporzionale allo stato di perversità e alla punizione che l’aveva preceduta e indica il nuovo contatto stabilito fra Dio e l’umanità salvata.[9]

Eccettuato il caso di Noè, il concetto di alleanza “ … ha un caratteristico rapporto con la storia d’Israele, con il suo passato e con il suo futuro.”[10]

L’alleanza con Abramo implica : 1) la promessa della terra  (Gn 15,18; 17,8; 28,15) e di una discendenza (cf. Gn 17,15-19; 26,24; 28,14). 2) la responsabilità circa il clan e circa le nazioni (Gn 18,18)  3) una legge, infatti Dio lo ha scelto “ … perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui ad osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto” (Gn 18,19)[11]

Arriviamo all’ Alleanza del monte Sinai : “L’esperienza fondante dell’alleanza si verifica al Sinai. Essa viene presentata in un evento storico fondatore. È completamente dono di Dio, frutto della sua iniziativa totale, e impegna sia Dio (la Grazia) sia gli uomini (la Legge). Conferisce a Israele neonato lo statuto di popolo a diritto pieno.”[12]

Penna aggiunge che l’ alleanza del  Sinai “ …  riguarda il costituirsi del solo popolo d’Israele come popolo di Dio, andando a incentrarsi sul dato essenziale della Torah che denota la volontà divina nei suoi confronti (essa può riassumersi nelle «dieci parole» (Dt 4,13;5,2,22; collocate nell’arca, fanno di essa «l’arca della “alleanza o anche nel solo primo comandamento di non adorare un altro Dio (Dt 17,2; 29,24-25). …)”[13]

Altre alleanze furono realizzate con  Davide e la sua discendenza (2Sam 23,5; Sal 89,4.29.35.40; Is 55,3; Ger 33.21) con  Levi/Aronne  (Mal 2,4-5.8; Ger 33,21b)[14]

L’alleanza tra Dio e il suo popolo implica che il popolo, come detto, osservi la Legge e quindi ami Dio, come la Legge comanda. In particolare occorre citare i famosi testi, specie del Deuteronomio che presentano l’amore come comandato da Dio (Dt. 6,5; 10,12; 11,13.22; 19,9; 30,20; Gs. 23,11)  come necessario per piacere a Dio (Dt. 10,12; 11,13.22; 19,9; 30,20; Gs. 23,11) come fine di una serie di prove permesse da Dio (Dt. 13,4) e come dono di Dio (Dt. 30,6)

Se Dio, come visto, è presentato come lo Sposo del popolo di Dio, appare ovvio che la sposa, cioè appunto il popolo, debba amare Dio; questo amore è unito all’osservanza dell’alleanza con Dio e quindi della Legge che Egli dona (Sir. 2, 15-17), la Legge stessa comanda l’amore di Dio, come visto, e Dio dona all’uomo questo amore (Dt. 30,6).

Il seguente passo del Deteronomio 6 è particolarmente significativo riguardo a ciò che stiamo dicendo: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore.  Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.  Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore.  Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai.  Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi  e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.”

Dio comanda all’uomo di amarLo e tale amore implica l’osservanza della Legge;  l’uomo deve amare Dio con tutto sé stesso : con tutto il cuore, la mente etc. questo appunto implica osservanza di quanto Dio vuole, osservanza della Legge donata da Dio per amore.

La Legge divina non va semplicemente osservata ma va amata, come dono di amore di Dio per il vero bene dell’uomo (Sl. 119)

Israele è presentato come sposa adultera appunto perché non accoglie il dono di Dio e non lo ama come deve e manca all’osservanza della Legge anche dandosi al culto di altri dei.

Al comando dell’amore di Dio va associato il comando dell’amore per il prossimo.

Nel Levitico leggiamo: “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore.”(Lv. 19,18)

Va notato che per prossimo non si intende ogni uomo, piuttosto si intende il membro del popolo di Dio, connazionale e correligionario, e lo straniero domiciliato tra il popolo eletto (gher) e la molteplice espressione del comando è lasciata alla responsabilità e alla sensibilità dell’individuo (cfr. A. Penna “Amore nella Bibbia.” ed. Paideia Brescia 1972 p. 133).

Spiega il famoso esegeta Spadafora: “Nel V. T., infatti, il prossimo…  sono gl’Israeliti, la gente della stessa razza, o comunque quanti, ed esclusivamente essi, sono entrati con la circoncisione o rito equivalente a far parte della collettività, secondo il principio di solidarietà, allora vigente. Così troviamo incluso talvolta, nel precetto dell’amore per il prossimo, il ghér o straniero (Lev. 19, 34; Dt. 10, 19); egli abita in mezzo ad Israele e ha accettato il pesante fardello della Legge. Ma tutti gli altri ne sono esclusi. In tal senso, la letteratura rabbinica commenta concordemente le leggi riguardanti il prossimo; precisando sempre che si tratta del solo israelita e «non del Samaritano, dello straniero o del proselita» (Mekiltà, Ex. 21, 14.35).” (F. Spadafora “Carità” in “Dizionario Biblico” ed. Studium, Roma, 1963)

Quindi nel nel V. T. il prossimo da amare sono gl’Israeliti, non gli altri! Tutti gli altri sono esclusi da questo amore.

Con il Vangelo l’ amore del prossimo è divenuto qualcosa di nuovo (F. Spadafora “Carità” in “Dizionario Biblico” ed. Studium 1963).

Attraverso il Nuovo Testamento, come visto più sopra e come vedremo meglio, Dio ha perfezionato ciò che conteneva l’ A. T. manifestando nella maniera più piena sia la carità nella vita intima di Dio, sia la carità nella relazione di Dio con gli uomini, sia la carità che deve animare il rapporto nostro con Dio, sia la carità che dobbiamo avere verso noi stessi, sia la carità che dobbiamo avere verso il nostro prossimo.

b) I termini che la Scrittura usa per indicare la carità.

Come spiega Romano Penna il  termine ebraico fondamentale per esprimere l’amore è ’a·hă·ḇāh  (dal verbo aheb «amare») e indica ““l’intenso desiderio di essere vicini, non solo interiormente ma anche fisicamente, alla persona con cui ci si sente attratti e uniti, e di essere legati a essa strettamente e fortemente in tutti gli aspetti della vita””.[15]

Più precisamente il verbo aheb significa amare sia in modo onesto (cfr. Dt. 6,5; 5,10; Sal. 31,24 etc.) sia in modo disonesto (cfr. Ger. 2,25; 20,4; Ez. 16,37); tale verbo indica un amore (buono o malvagio) verso Dio o verso una creatura umana o di altro tipo (cibo, tempio etc.) (cfr. A. Penna “Amore nella Bibbia” ed. Paideia, Brescia 1972 p. 9s)

Il termine  ahebah (’a·hă·ḇāh)  indica l’amore onesto.[16]

Il concetto di amore misericordioso, proprio soprattutto di Dio, è espresso da vari vocaboli ebraici che vedremo qui di seguito.

1)Hesed   “indica bontà originaria e costitutiva, amore sorgivo, puro e gratuito”.[17]

2)Nella “Dives in Misericordia” leggiamo che la seconda parola che nella terminologia dell’Antico Testamento serve a definire la misericordia è rahamim. … rahamim, nella sua radice stessa, denota l’amore di una madre (rehem = grembo materno). Dal legame profondo e originale che lega una madre al figlio, scaturisce un rapporto particolare con il bambino, un amore particolare.  Di questo amore si può dire che è completamente gratuito, non meritato, e che sotto questo aspetto costituisce una necessità interiore: un’esigenza del cuore[18]; hesed e rahamim sono i termini principali per indicare la divina misericordia.

Più generalmente possiamo dire che nella Scrittura si trova usata la radice rhm indicante l’effetto dell’amore e in particolare la misericordia; tale radice si trova nel verbo raham, usato quasi esclusivamente per indicare la misericordia e l’amore divini (Sl. 18,2; 103,13; Is. 49,10; 54,8; Os. I,6s),  e nel sostantivo rehem, con il plurale di cui abbiamo parlato più sopra (cfr. A. Penna “Amore nella Bibbia.” Ed. Paideia Brescia 1972 p. 12).

3)Ancora nella “Dives in Misericordia” leggiamo che il termine hanan esprime un concetto più ampio: significa infatti manifestazione della grazia, che comporta, per così dire, una costante predisposizione all’essere generosi, benevoli e misericordiosi.[19]

4)Oltre a questi elementi semantici di base, il concetto di misericordia dell’Antico Testamento è costituito anche da ciò che è incluso nel verbo hamal, che letteralmente significa “risparmiare” un nemico sconfitto, cioè evitare di ucciderlo ma anche “mostrare misericordia e compassione”, e di conseguenza significa  perdono e remissione della colpa. C’è anche il termine hus, che esprime pietà e compassione, ma soprattutto in senso affettivo. Questi termini compaiono più raramente nei testi biblici per denotare misericordia. Inoltre, si deve notare la parola ‘emet che significa prima di tutto “solidità, sicurezza” (nel greco dei Settanta: “verità”) e poi “fedeltà”, terra in questo modo sembra ricollegarsi alla contenuto semantico proprio del termine hesed. ”[20]

Per altri termini che indicano l’amore nell’ A. T. si può consultare utilmente il testo di A. Penna “Amore nella Bibbia”Paideia, Brescia 1972 pp. 10-15.

I traduttori greci dell’A. T. appunto per rendere in lingua greca i termini ebraici indicanti amore usarono molte volte  il verbo philein filein ma soprattutto si servirono del verbo agapan  agapan , per indicare la dimensione misericordiosa dell’amore e quindi per tradurre in particolare  hesed e raham ma anche hanan usarono in particolare i verbi ἐλεέin eleein e οἰκτeίρein oikteirein (cfr. A. Penna “Amore nella Bibbia”Paideia, Brescia 1972 p. 20).

Nella linea della LXX i termini greci che nel Nuovo Testamento indicano più direttamente la carità sono in particolare: il sostantivo agape agaph con il relativo verbo agapaw con i suoi derivati e il verbo phileo filew con i suoi derivati[21] Con agapao, presso gli autori profani viene indicato l’amore libero e spontaneo che sorge per la buona stima che si porta ad una persona; esso implica una certa quale venerazione della persona[22]. E appunto la carità è espressa anzitutto con questo verbo e con i termini ad esso collegati, perciò nella I lettera di Giovanni leggiamo  ὁ θεὸς ἀγάπη ἐστίν (1 Gv. 4,8) Dio è carità. Sulla scia di quanto dicemmo più sopra dobbiamo affermare che Dio è infinitamente super carità.

Nella I lettera di s. Giovanni leggiamo anche : Ἀγαπητοί, ἀγαπῶμεν ἀλλήλους, ὅτι ἡ ἀγάπη ἐκ τοῦ θεοῦ ἐστιν, καὶ πᾶς ὁ ἀγαπῶν ἐκ τοῦ θεοῦ γεγέννηται καὶ γινώσκει τὸν θεόν. ὁ μὴ ἀγαπῶν οὐκ ἔγνω τὸν θεόν, ὅτι ὁ θεὸς ἀγάπη ἐστίν. (1 Gv. 4, 7-8) Che possiamo tradurre con : miei amati, amiamoci gli uni gli altri, perché la carità è da Dio; e chi ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non conosce Dio, perché Dio è Amore (1 Gv. 4, 7-8)

E nel Vangelo Gesù dice : Αὕτη ἐστὶν ἡ ἐντολὴ ἡ ἐμὴ ἵνα ἀγαπᾶτε ἀλλήλους καθὼς ἠγάπησα ὑμᾶς. (Gv. 15,12) Questo è il mio comandamento: che vi amiate tra voi come io vi ho amato.

Il verbo agapao fu considerato evidentemente molto valido per indicare l’amore di Dio per noi e il suo attuarsi in noi sicché per esso amiamo Dio e ci amiamo tra noi[23].

Il verbo greco phileo presso gli autori profani significa: stringere qualcosa con amore affettivo nato spontaneamente nel proprio animo, per cui una certa persona è percepita come gradita[24]

Nel Nuovo Testamento il verbo phileo indica una carità più alta, in certo senso, cioè una carità speciale che si dirige verso alcuni in modo speciale all’interno del gruppo di coloro che sono amati attraverso la carità più generale. Così, Dio (Padre) ama, con amore  indicato con il verbo phileo, il Figlio (Gv. 5,20); il Padre ama con questo amore indicato con il verbo phileo i discepoli di Cristo (Gv. 16,27); Gesù ama con questo amore speciale i suoi amici (Gv.  11, 3.36 ; 20,2)[25]

Per indicare la dimensione misericordiosa dell’amore e quindi per indicare ciò che in ebraico è reso con  hesed e raham gli agiografi neotestamentari usarono in particolare i verbi ἐλεέin eleein e οἰκτeίρein oikteirein con i loro derivati ma anche il verbo σπλαγχνίζω [26].

Il verbo  ἐλεέin indica non tanto un animo compassionevole quanto piuttosto la misericordia manifestata nelle opere (cfr. F. Zorell “Lexicon Graecum Novi Testamenti”, Pontificio Istituto Biblico, Roma 1990, col. 413) invece οἰκτeίρein indica l’ animo compassionevole per cui una persona ha misericordia.[27]

Il verbo  σπλαγχνίζω  traduce in modo diretto il verbo ebraico raham, infatti come rehem è il grembo materno così σπλάγχνα splankna sono le viscere e a volte anche l’utero materno,  e come raham indica una profonda misericordia materna, viscerale il verbo  σπλαγχνίζω indica questa stessa misericordia materna, viscerale [28]

La Vulgata rende generalmente il verbo ἀγαπᾶν con diligere e ϕιλεῖν con amare, poiché tra le parole latine e le corrispondenti parole greche c’è praticamente la stessa sfumatura di significato. Per quanto riguarda il sostantivo ἀγάπη, ci si aspetterebbe di vederlo sempre tradotto con dilectio, poiché ἀγαπᾶν è tradotto con diligere; invece è caritas che più spesso traduce quel sostantivo (90 volte contro 24). [29]

Caritas deriva da carus, che significa caro, sia in senso letterale e perciò diciamo che una persona ci è cara, nel senso che la amiamo, sia in senso figurato e perciò diciamo che certi beni sono cari cioè costosi. Caritas si distingue da amore, quando si parla degli dei , dice infatti Cicerone, o dei genitori, della patria, di uomini eminenti, si preferisce usare la parola caritas; se si tratta di coniugi, figli, fratelli e parenti si usa amor (cfr. Partitiones orat. 88). La distinzione non era rigorosa; ma in generale, tranne che tra gli scrittori di fumetti, la caritas aveva un significato più nobile e non avrebbe significato amore sensuale o squilibrato.

La Vulgata traduce ἀγάπη a volte con caritas, a volte con dilectio, le due parole latine hanno assolutamente lo stesso valore.[30] 

2) La carità è sommamente in Dio; Dio è Carità.

Come dice s. Giovanni Ὁ θεὸς ἀγάπη ἐστίν. (1 Gv. 4,16) Dio è carità. Anzi, sulla scia di quanto dicemmo più sopra, Dio è infinitamente super carità.

Nella I lettera di s. Giovanni leggiamo anche : Ἀγαπητοί, ἀγαπῶμεν ἀλλήλους, ὅτι ἡ ἀγάπη ἐκ τοῦ θεοῦ ἐστιν, καὶ πᾶς ὁ ἀγαπῶν ἐκ τοῦ θεοῦ γεγέννηται καὶ γινώσκει τὸν θεόν. 8ὁ μὴ ἀγαπῶν οὐκ ἔγνω τὸν θεόν, ὅτι ὁ θεὸς ἀγάπη ἐστίν.(1 Gv. 4, 7-8) Che possiamo tradurre con : miei amati, amiamoci gli uni gli altri, perché la carità è da Dio; e chi ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non conosce Dio, perché Dio è Amore (1 Gv. 4, 7-8). La carità viene da Dio e ci rende figli di Dio e partecipi alla vita divina. Senza di essa non conosciamo veramente, in certo modo sperimentalmente, Dio, perché Dio è Amore. Dio è essenzialmente  infinitamente super Amore, è tutto  infinitamente super amabile ed è tutto  infinitamente super amante. In quanto appunto Dio è amante, cioè ama infinitamente, san Giovanni afferma: “In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui.  In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. “(1 Gv. 4, 9-11)

Aggiunge s. Giovanni che noi abbiamo conosciuto la carità che Dio ha per noi e abbiamo creduto alla carità che Dio ha per noi. Dio è carità; chi rimane nella carità rimane in Dio e Dio rimane in lui.(cfr. 1 Gv. 4, 16)

Dio ci ha fatto nascere alla sua vita attraverso la fede viva (1 Gv. 5,1); questa nascita spirituale è il trionfo della fede viva, cioè unita alla carità (1 Gv. 5, 4-5) Noi abbiamo creduto alla carità che Dio manifesta inviando il suo unigenito Figlio per redimerci; nella luce di Dio attraverso la carità abbiamo capito che Dio è tutto amante e quindi tutto amabile.[31]

Già l’Antico Testamento parla dell’amore di Dio mettendo in evidenza la sua bontà e misericordia ma è nel Nuovo Testamento che, inviando il suo unico Figlio e lo Spirito di Amore, la Trinità si rivela più pienamente (cfr. 1 Cor 7-16; Ef 3,9-12) e in questa rivelazione ci manifesta di essere infinitamente super Amore (1 Gv 4,8.16).

La carità è anzitutto in Dio, spiega s. Tommaso nella linea della Bibbia, e la nostra carità è partecipazione alla carità divina: “Ad primum ergo dicendum quod ipsa essentia divina caritas est, sicut et sapientia est, et sicut bonitas est. Unde sicut dicimur boni bonitate quae Deus est, et sapientes sapientia quae Deus est, quia bonitas qua formaliter boni sumus est participatio quaedam divinae bonitatis, et sapientia qua formaliter sapientes sumus est participatio quaedam divinae sapientiae; ita etiam caritas qua formaliter diligimus proximum est quaedam participatio divinae caritatis. ” (IIª-IIae q. 23 a. 2 ad 1)  La divina essenza è carità come è sapienza e bontà etc. . Come noi siamo sapienti e buoni per partecipazione alla sapienza e bontà divine, così la carità per la quale amiamo Dio e il prossimo è partecipazione alla carità che è in Dio e che è Dio, Dio è carità. La carità nostra è dunque una certa partecipazione alla carità divina.  Il termine amore, carità , parlando di Dio, può prendersi essenzialmente o nozionalmente cioè può riguardare l‘essenza o le persone divine (cfr. I q. 37 a. 2).

Come termine riferito all’Essenza, la carità è una virtù divina. In Dio troviamo la perfezione delle virtù (cfr. S. Tommaso d’ Aquino “Somma contro i Gentili”, ed UTET, 2013, ebook, ,l.1 c. 92.). Come tutti gli altri attributi divini le virtù di Dio sono la sua stessa Essenza .[32] La virtù può essere attribuita a Dio entro certi limiti, anzitutto essa gli va attribuita in quanto perfezione e non in quanto abito, in Dio difatti non ci sono abiti perché gli abiti indicano potenzialità, Dio è Atto Puro che non ha nulla di potenziale; poi non tutte le virtù possono attribuirsi a Dio ma solo quelle a Lui convenienti[33]. Le Virtù divine sono virtù esemplari, cause esemplari delle nostre virtù (cfr. I-II, q. 61 a. 5 in c.) e anzitutto va attribuita a Dio la virtù più alta che è appunto la carità .  L’Amore-Carità in Dio, come ogni altro attributo di Dio, è la stessa divina Essenza ed è infinito.  Dio ama se stesso e gli altri esseri. L’Amore infinito ha per oggetto anzitutto la divina Bontà e, in ordine ad essa, le creature; l’amore in Dio non è una passione ma un atto della volontà e Dio vuole anzitutto sé stesso, la sua Bontà e vuole le creature in ordine a Lui stesso. Riguardo all’amore di Dio in relazione con le creature è interessante la risposta che dà s. Tommaso allorché si domanda se Dio ama tutto ugualmente e se Dio ama di più le cose migliori; dice il s. Dottore che amare significa volere il bene per qualcuno e per una doppia ragione qualcosa può essere amata più o meno:

1)per parte dell’atto stesso di volontà dell’amante che è più o meno intenso e in questo senso Dio non ama qualcosa più di un’altra perché ama tutto con un solo atto semplicissimo di volontà

2)per parte del bene che l’amante vuole per l’amato, e così si dice che amiamo uno più di un’altro in quanto vogliamo per lui un maggiore bene; in questo senso occorre affermare che Dio ama alcune realtà più di altre: infatti, essendo  l’Amore di Dio la causa della bontà delle creature, non ci sarebbe qualche creatura migliore delle altre se Dio non volesse per essa un bene maggiore che per un’altra (cfr.  I q. 20 a. 3 in c.). Perciò, ulteriormente, occorre dire che Dio ama di più le realtà migliori perché amare di più significa volere un maggior bene e Dio è la causa della bontà nelle creature, se dunque alcune creature sono migliori lo sono perché Dio vuole per esse un maggior bene perciò le ama di più (cfr.  I q. 20 a. 4 in c.). E aggiunge s. Tommaso che l’affermazione secondo cui Dio si cura egualmente di tutte le cose non va intesa nel senso che Egli dispensi beni uguali a tutte le creature ma nel senso che con uguale sapienza e bontà Egli amministra tutte le cose (cfr.  I q. 20 a. 3 ad 1). La S. Scrittura afferma con chiarezza “Dio è carità”(1 Gv. 4,16); l’amore di Dio è appunto la divina Carità (cfr. In div. nom., cap. 4 l. 11). S. Tommaso precisa ulteriormente riguardo all’amore divino che “… in Dio l’amore non solo è vero, ma è anche perfettissimo e stabilissimo. …”[34]

Preso nozionalmente e riferito a una persona, amore è un nome proprio dello Spirito Santo: come Verbo è un nome proprio del Figlio (cfr. I q. 37 a. 1).  S. Agostino nel De Trinitate (6, 5,7) afferma: “ … lo Spirito Santo sussiste insieme in questa medesima unità e uguaglianza di sostanza. Sia egli infatti l’unità delle due altre Persone, o la loro santità, o il loro amore, sia la loro unità perché è il loro amore, e sia il loro amore perché è la loro santità, è chiaro che non è affatto una delle due prime Persone…  Lo Spirito Santo è dunque qualcosa di comune al Padre e al Figlio, qualsiasi cosa sia, o più precisamente la stessa comunione consustanziale ed eterna; se il nome di amicizia le si addice, la si chiami così, ma è più esatto chiamarla carità. Ed anche questa carità è sostanza, perché Dio è sostanza e Dio è carità, secondo la Scrittura. …  Di conseguenza non sono più di tre: uno che ama colui che ha origine da lui, uno che ama colui dal quale ha origine, e l’amore stesso.”[35]

Aggiunge s. Agostino: “È dunque lo Spirito Santo il Dio amore.  …  È dunque lo Spirito che è designato in questa affermazione: Dio è amore. Ecco perché lo Spirito Santo, Dio che procede da Dio, una volta dato all’uomo, l’accende d’amore per Dio e per il suo prossimo, essendo lui stesso amore. ”[36] S. Tommaso spiega che se prendiamo Amore come termine nozionale, allora amare non significa altro che spirare l‘amore: come dire significa produrre il verbo, e fiorire significa produrre i fiori. Come dunque si dice che l‘albero è fiorente per i fiori , così si afferma che il Padre è dicente (cioè dice) per il Verbo sé stesso e noi, e che il Padre e il Figlio sono amanti (cioè amano se stessi e noi) per lo Spirito Santo, cioè per l‘Amore procedente (cfr. I q. 37 a. 2).

Nella “Somma contro i gentili” s. Tommaso aggiunge in questa linea:“… è necessario che l’amore con il quale Dio è nella volontà divina, come amato nell’amante, proceda sia dal Verbo di Dio, sia da Dio di cui questi è Verbo. … E poiché l’amato è presente nella volontà come per spingere e per inclinare interiormente l’amante verso la cosa amata, siccome l’impulso interiore degli esseri viventi spetta agli spiriti vitali, è giusto che Dio il quale procede come amore sia denominato Spirito, in quanto esiste quasi per una certa spirazione.”[37]

Nella famosa enciclica “Divinum illud Munus” [38] Leone XIII, sulla scia di s. Agostino e s. Tommaso, parla in molti passi dello Spirito Santo come Amore. Anzitutto indica lo Spirito Santo come Amore vivificante (n. 2), poi precisa che lo Spirito Santo è la Bontà Divina e la Carità Mutua del Padre e del Figlio, a Lui viene attribuita l’opera di completamento e perfezionamento della creazione, infatti lo Spirito Santo è la causa ultima di tutte le cose, e come la volontà e tutte le altre cose finalmente riposano nel loro fine, così Lui, che appunto è la Bontà Divina e la Carità Mutua del Padre e del Figlio e la causa ultima di tutte le cose, completa e perfeziona (n. 4) Aggiunge che lo Spirito Santo riempie i nostri cuori con la dolcezza dell’amore paterno (cfr. Rm. 8, 15-16) e che questa verità concorda con la similitudine osservata dal Dottore Angelico tra le due operazioni dello Spirito Santo infatti per opera di questo Spirito Cristo fu concepito in santità per essere per natura il Figlio di Dio, e altri sono santificati per essere i figli di Dio per adozione (cfr. III, q. 32, a. I). Questa generazione spirituale procede dall’Amore, che è appunto lo Spirito Santo, in un modo molto più nobile del naturale.(n. 8)

Lo Spirito Santo, quindi, ci divinizza generandoci alla vita divina e rendendoci veri figli di Dio,  riempie  i nostri cuori con la dolcezza dell’amore paterno ed ha riempito di tale amore anche Cristo concepito appunto per opera dello Spirito Santo.

Lo stesso Spirito Santo è la prima e suprema Carità e muove, spiega Leone XIII, le anime e le conduce alla santità, che consiste nell’amore di Dio, cioè nella carità; la pienezza dei doni divini è per molti versi una conseguenza della presenza dello Spirito Santo nelle anime dei giusti; infatti, come insegna San Tommaso : “Quum Spiritus Sanctus procedat ut amor, procedit in ratione doni primi; unde dicit Augustinus, quod per donum quod est Spiritus Sanctus, multa propria dona dividuntur membris Christi”(I, q. 38, a. 2) quando lo Spirito Santo procede come amore, procede come primo dono;  per cui, come dice s. Agostino, attraverso il Dono che è lo Spirito Santo, molti altri doni speciali sono distribuiti tra i membri di Cristo.[39]

Ancora Leone XIII precisa che lo Spirito Divino, procedendo dal Padre e dal Verbo nella luce eterna della santità, essendo Lui stesso Amore e Dono, dopo essersi manifestato attraverso i veli delle figure nell’Antico Testamento, ha riversato tutta la sua pienezza su Cristo e sul suo Corpo mistico, la Chiesa; ed ha convertito così potentemente grandi peccatori da far sì che essi giungessero  a godere e desiderare cose sante e diventassero uomini del Cielo. (n. 9)

S. Giovanni Paolo II ha affermato in questa linea: “ Nella sua vita intima – scrive Giovanni Paolo II – Dio è amore (cfr. 1 Gv 4,8.16), amore essenziale, comune alle tre divine Persone: amore personale è lo Spirito Santo, come Spirito del Padre e del Figlio. Per questo, egli scruta le profondità di Dio (1 Cor 2,10), come amore-dono increato. Si può dire che nello Spirito Santo la vita intima del Dio uno e trino si fa tutta dono, scambio di reciproco amore tra le divine Persone, e che per lo Spirito Santo Dio esiste a modo di dono … lo Spirito Santo, in quanto consostanziale al Padre e al Figlio nella divinità, è amore e dono (increato), da cui deriva come da fonte (fons vivus) ogni elargizione nei riguardi delle creature (dono creato): la donazione dell’esistenza a tutte le cose mediante la creazione. la donazione della grazia agli uomini mediante l’intera economia della salvezza. Come scrive l’apostolo Paolo: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato». ”.[40]

Sia la Trinità e in particolare lo Spirito Santo la nostra guida nella Verità e nella Carità.

3)La carità splende in Cristo ed è parte fondamentale dell’insegnamento di Cristo.

La carità splende in Cristo, il Catechismo afferma al n. 1823: “Gesù fa della carità il comandamento nuovo.(Cf Gv 13,34.)” Gesù dice : « Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato » (Gv 15,12). E inoltre   : « Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore » (Gv 15,9).  Gesù mostra l’amore divino, trinitario amando i suoi « sino alla fine » (Gv 13,1), e i discepoli sono invitati ad amarsi gli uni gli altri manifestando l’amore di Gesù per loro.

Subito dopo l’istituzione dell’Eucaristia, Gesù annuncia ai suoi apostoli la sua imminente partenza per il cielo e lascia loro questo insegnamento: vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi (cfr. Gv 13, 33-35). Ben imperfetto era il precetto dell’amore per il prossimo nella Legge mosaica e male era compreso e praticato dagli ebrei; Gesù chiama nuovo il suo comandamento dell’amore perché gli assegna un nuovo ideale che è Lui stesso. Certo l’esempio è inimitabile, ma ogni cristiano, con l’aiuto di Cristo e della Trinità, si deve impegnare a  seguirlo da lontano. Prima di lasciare il cenacolo, Gesù si offre nuovamente come modello di amore fraterno (cfr. Gv 15, 12-14). La sua carità eccelsa deve essere modello per nostra ; in noi deve vivere Cristo e attraverso noi deve manifestarsi il suo amore perciò s. Paolo può dire: “In realtà mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me.”(Gal. 2,19s)

S. Paolo si chiede : chi ci separerà dalla carità di Cristo? E risponde che né la morte, né qualsiasi creatura potrà separarci dalla carità di Dio che è in Cristo (cfr.Rm., 8, 35-39). Qui si tratta dell’amore di Dio e di Cristo per noi; e s. Paolo ci fa capire che se non siamo sicuri del nostro amore per Dio, possiamo contare sulla persistenza dell’amore divino in Cristo per noi e appunto questo amore fissa la nostra speranza su basi incrollabili.(cfr. Ferdinand Prat “Charite” in Dictionnaire de Spiritualité, ed. Beauchesne, 1932-1995, Tome 2 – Colonne 516)

S. Tommaso mette in evidenza l’eccelsa carità di Cristo in questo testo che è parte della II Lettura dell’ attuale Ufficio delle Letture nella Solennità del Corpus Domini  “Nessuno infine può esprimere la soavità di questo sacramento. Per mezzo di esso si gusta la dolcezza spirituale nella sua stessa fonte e si fa memoria di quella altissima carità, che Cristo ha dimostrato nella sua passione.
Egli istituì l’Eucaristia nell’ultima cena, quando, celebrata la Pasqua con i suoi discepoli, stava per passare dal mondo al Padre.
L’Eucaristia è il memoriale della Passione, il compimento delle figure dell’Antica Alleanza, la più grande di tutte le meraviglie operate dal Cristo, il mirabile documento del suo amore immenso per gli uomini.”[41] A proposito della eccelsa carità di Cristo s. Tommaso afferma ancora : “
“ … Unde, cum gratia Christi fuerit perfectissima, consequens est quod ex ipsa processerint virtutes ad perficiendum singulas potentias animae, quantum ad omnes animae actus. Et ita Christus habuit omnes virtutes.   …  Unde per hoc non ostenditur quod Christus non habuit virtutes, sed quod habuit eas perfectissime, ultra communem modum. ” (IIIª q. 7 a. 2 co. et ad 2m) Essendo perfettissima la grazia di Cristo, da essa scaturirono tutte le virtù  e in grado perfettissimo; dunque Cristo aveva carità eccelsa. Cristo era pieno di grazia, cioè la possedeva totalmente e perfettamente, spiega s. Tommaso:
“Respondeo dicendum quod plene dicitur haberi quod totaliter et perfecte habetur. … Utroque autem modo Christus habuit gratiae plenitudinem. Primo quidem, quia habuit eam in summo, secundum perfectissimum modum qui potest haberi. Et hoc quidem apparet primo, ex propinquitate animae Christi ad causam gratiae. …  Secundo, ex comparatione eius ad effectum. Sic enim recipiebat anima Christi gratiam ut ex ea quodammodo transfunderetur in alios. Et ideo oportuit quod haberet maximam gratiam, sicut ignis, qui est causa caloris in omnibus calidis, est maxime calidus. Similiter etiam quantum ad virtutem gratiae, plene habuit gratiam, quia habuit eam ad omnes operationes vel effectus gratiae. Et hoc ideo, quia conferebatur ei gratia tanquam cuidam universali principio in genere habentium gratias. …. (IIIª q. 7 a. 9 co. )

Cristo ebbe la pienezza della grazia, cioè aveva la grazia totalmente e perfettamente. Più precisamente Egli  aveva la pienezza di grazia perché l’aveva nel grado più alto, nel modo più perfetto possibile. Cristo era pieno di grazia in quanto la sua anima era congiunta in modo perfettissimo a Dio e dunque in modo perfettissimo ricevette la grazia divina.

Cristo era pieno di grazia anche riguardo all’effetto di essa infatti la sua anima la riceveva in modo da trasfonderla agli altri e così era necessario che avesse la massima grazia in quanto causa della grazia negli altri.
Ugualmente anche riguardo alla virtualità della grazia, egli ebbe la pienezza della grazia, perché l’ebbe per tutte le operazioni e per tutti gli effetti di essa. E questo perché Egli ebbe la grazia  quale principio universale per tutti coloro che la ricevono. La grazia di Cristo era somma :“ Respondeo dicendum quod aliquam formam non posse augeri contingit dupliciter, uno modo, ex parte ipsius subiecti; alio modo, ex parte illius formae…. Finis autem gratiae est unio creaturae rationalis ad Deum. Non potest autem esse, nec intelligi, maior unio creaturae rationalis ad Deum quam quae est in persona. Et ideo gratia Christi pertingit usque ad summam mensuram gratiae. Sic ergo manifestum est quod gratia Christi non potuit augeri ex parte ipsius gratiae. Sed neque ex parte ipsius subiecti. Quia Christus, secundum quod homo, a primo instanti suae conceptionis fuit verus et plenus comprehensor.”(III, q. 7 a. 12 in c.) La grazia di Cristo giunse alla somma perfezione della grazia, la grazia infatti ha per fine l’unione della creatura razionale con Dio ma l’unione dell’uomo con Dio in Cristo è somma perché tale unione si compie nella Persona. La grazia di Cristo non crebbe perché era perfetta fin dall’Incarnazione. Cristo, fin dal suo concepimento, era viatore ma era anche vero comprensore, aveva infatti come uomo la visione beata che è propria dei santi del Cielo: “Ad primum ergo dicendum quod Christus, secundum quod homo, immediate regulabatur a verbo Dei, unde non indigebat custodia Angelorum. Et iterum secundum animam erat comprehensor; sed ratione passibilitatis corporis, erat viator.” (I, q. 113 a. 4 ad) Cristo secondo l’anima era comprensore, aveva la visione beatifica, ma secondo il corpo era viatore. Ulteriormente s. Tommaso afferma che a Cristo era possibile il modo della carità che è proprio dei beati : “Questo è il secondo modo del perfetto amore di Dio, ed è proprio dei beati comprensori. …. Il secondo modo poi a nessuno è possibile nella presente vita, a meno che non sia insieme viatore e comprensore come fu nostro Signore Gesù Cristo.”[42].   S. Tommaso dice ancora a questo riguardo  “  …  et ideo illam perfectionem caritatis quae erit post hanc vitam, nullus in hac vita habere potest, nisi sit viator et comprehensor simul; quod est proprium Christi.” (De virtutibus, q. 2 a. 10 co.). Come si vede s. Tommaso afferma che la perfezione di carità che è propria dei beati del Cielo nessuno la può avere mentre è viatore se non è anche comprensore, il che è proprio di Cristo; mi pare chiaro che qui s. Tommaso afferma che Cristo aveva, mentre era in vita, la carità dei beati ma a differenza loro Cristo era anche viatore e poteva meritare.  La carità di Cristo era la carità di Colui che era viatore e comprensore, era una carità somma, eccelsa in quanto era comprensore e che d’altra parte gli permetteva di meritare in quanto Egli era viatore, come dice lo stesso Dottore in un altro testo : “  Nec tamen per caritatem meruit inquantum erat caritas comprehensoris, sed inquantum erat viatoris, nam ipse fuit simul viator et comprehensor, ut supra habitum est. ” (III, q. 19 a. 3 ad 1.)

Cristo, come uomo, ebbe dunque, una carità perfettissima; a lui, in quanto comprensore e viatore, era possibile la carità dei beati, però, a differenza dei beati, la sua carità era meritoria in quanto Egli era anche viatore. Per indicare la perfezione delle virtù e quindi della carità di Cristo s. Tommaso dice, riprendendo delle affermazioni di Plotino, che Cristo aveva le virtù di animo purgato: “Christus .. habuit virtutes .. perfectissime, ultra communem modum. Sicut etiam Plotinus posuit quendam sublimem modum virtutum, quas esse dixit purgati animi.” (III q. 7 a. 2 ad 2m.) . La  carità di Cristo era in certo modo infinita, ha potuto dire s. Tommaso, come la sua grazia, : « Solus autem Christus aliis potest sufficienter mereri: quia potest in naturam, inquantum Deus est, et caritas sua quodammodo est infinita, sicut et gratia, ut supra dictum est, dist. 13, qu. 1, art. 2, quaestiunc. 2 » (Super Sent.,III d.19 a.1 q.1).  La carità si manifesta e splende in Cristo, che non è venuto ad abolire la Legge ma a darle compimento, Gesù ha detto infatti: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento.” (Mt. 5, 17) e Cristo ha fatto perfettamente la volontà del Padre ed ha osservato perfettamente i comandamenti del Padre, infatti ha detto: “ Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il principe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco…. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.”(Gv. 14, 30s ; 15, 10s)

La carità porta a vivere nei comandamenti divini, la carità di Cristo lo portava ad una perfetta osservanza dei comandamenti; solo vivendo nei comandamenti si rimane nella carità. La carità portava l’anima di Cristo, in questa linea, ad una perfetta sottomissione alla volontà di Dio. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma in questa linea al n. 475  “… il Verbo fatto carne ha umanamente voluto, in obbedienza al Padre, tutto ciò che ha divinamente deciso con il Padre e con lo Spirito Santo per la nostra salvezza.[43].” Il Concilio di Costantinopoli precisa che a volontà umana di Cristo “segue, senza opposizione o riluttanza, o meglio, è sottoposta alla sua volontà divina e onnipotente».[44]

La volontà di Cristo era pienamente e perfettamente sottoposta alla sua volontà divina e, quindi, ha osservato pienamente la Legge divina . Gesù  ha precisato chiaramente : “ Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla Legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli” (Mt 5,17-19). Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n. 578 che Gesù è il solo che abbia potuto osservare perfettamente la Legge divina (cfr.  Gv 8,46.). Cristo ha osservato in modo perfetto la Legge e solo Lui, Dio-uomo poteva farlo (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 580)

Cristo porta a pieno compimento la Legge donandole in maniera divina l’interpretazione definitiva “fu detto … ma io vi dico” (Mt 5,21.27.33s.38.43 etc)  e attuandola nella maniera più perfetta (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 581). Sicché la Legge è ormai lo stesso Cristo, è una Legge vivente e amante che occorre accogliere e attuare in Lui e con Lui.

Dice la Veritatis Splendor:“ È Gesù stesso il «compimento» vivo della Legge in quanto egli ne realizza il significato autentico con il dono totale di sé: diventa Lui stesso Legge vivente e personale, che invita alla sua sequela, dà mediante lo Spirito la grazia di condividere la sua stessa vita e il suo stesso amore e offre l’energia per testimoniarlo nelle scelte e nelle opere (cf Gv 13,34-35)”.(VS, n. 16)

La Trinità abbia pietà di noi e ci conceda di attuare nella nostra vita la perfezione della carità nella perfetta osservanza della Parola di Dio.

4) La carità in noi.

Come abbiamo visto, la carità porta a vivere nei comandamenti divini, la carità di Cristo si è compiuta nell’esattissima osservanza della santa Legge e nel perfezionamento della Legge stessa; anche noi dobbiamo, in Lui, attuare la santa Legge di Dio nella carità. La carità, come vedremo meglio più avanti, è una virtù che viviamo nella grazia santificante; la carità è una virtù infusa. Il Catechismo della Chiesa cattolica afferma al n. 1997: “Mediante il Battesimo il cristiano partecipa alla grazia di Cristo, Capo del suo corpo. …”

La grazia che è la vita divina in noi porta in noi la carità e con essa vita nei comandamenti.

La Veritatis Splendor afferma:  “….  Così mirabilmente ancora sant’Agostino sintetizza la dialettica paolina di legge e grazia: «La legge, perciò, è stata data perché si invocasse la grazia; la grazia è stata data perché si osservasse la legge». (De spiritu et littera, 19, 4: CSEL 60, 187.) …  san Tommaso ha potuto scrivere che la Legge Nuova è la grazia dello Spirito Santo donata mediante la fede in Cristo. (Cf Summa Theologiae, I-II, q. 106, a. 1, conclus. e ad 2 um.)” . (VS, n. 23s.)

Approfitto di questa citazione di s. Agostino per sottolineare che i Padri della Chiesa hanno parlato moltissimo della carità e come s. Agostino è il Dottore della carità per l’Occidente, s. Giovanni Crisostomo lo è per l’Oriente[45] ed appunto sulle indicazioni dei Padri  si basa tutta la riflessione successiva su questa virtù.

Appunto i Padri hanno sottolineato molto la dimensione soprannaturale della carità. Nel Dictionnaire de Spiritualité leggiamo a questo riguardo:“ La charité surnaturelle est un don de Dieu et provient de la grâce. Elle est un don de la Trinité tout entière (Didyme d’Alexandrie, De Spiritu Sancto, n° 16, PG., 39, 1049), mais elle est rapportée normalement au Saint-Esprit (ibid., n° 17 ; S. Augustin, Serm. 265, cp. 9, n° 10, PL., 38, 1223 ; Diadoque, De perfect., cp. 74). S. Augustin et ses disciples ont beaucoup insisté sur l’origine divine de la charité, dans la lutte contre les pélagiens et les semi-pélagiens : « La charité, qui est une vertu, vient de Dieu et non de nous »[46]. Ils répètent de toutes les façons qu’elle vient de Dieu (De natura et gratia, cp. 64, n° 77, PL., 44, 276), que nous ne l’acquérons pas par nos seules forces[47][48].

I Padri affermano chiaramente che la carità è una virtù infusa, sostengono la dimensione soprannaturale della carità  e quindi la sua relazione con la grazia.[49]

Dio comanda chiaramente la carità verso Dio, verso noi stessi e verso il prossimo: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.  Questo è il grande e primo comandamento.  Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”. (Mt. 22,37ss)

La carità è a noi comandata da Cristo in particolare attraverso il “suo” comandamento: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati “ (Gv 15,12).

La carità è necessaria per la salvezza, i Padri lo affermano con molta chiarezza. Questa è l’affermazione fondamentale che viene ripetuta dai Padri in varie forme: senza la carità nessuna opera buona ha valore (cfr. S. Giovanni Crisostomo, Hom. 40 in Act. Apostolorum n ° 4, PG., 60, 285). Senza la carità nulla è gradito a Dio dice s. Clemente I nella sua lettera ai Corinzi (n. 49). Senza la carità tutti gli altri beni sono inutili afferma s. Giovanni Crisostomo e altri santi ribadiscono questo concetto[50] Eusebio di Alessandria afferma che l’uomo non può fare nulla di buono se non ha la carità  (cfr. Eusebio d’Alessandria, “Sermo de caritate”, PG., 86, I, 324D)[51]

La carità, in particolare in quanto attuata, è frutto dello Spirito (Gal. 5), ci fa vivere in Cristo e ci fa osservare in Lui i comandamenti (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1824); Gesù afferma: “Rimanete nella mia carità. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nella mia carità” (Gv 15,9-10) S. Paolo ha detto della carità: “ La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13,4-7).

La carità è la prima delle virtù teologali ed è superiore a tutte le virtù (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1826); essa ispira e anima l’esercizio delle altre virtù:  “ … è la forma delle virtù; le articola e le ordina tra loro; è sorgente e termine della loro pratica cristiana.”(Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1827)

La misericordia, di cui tanto si parla ai nostri tempi, è frutto ed effetto della carità (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1829;  II-IIae q. 28 pr.)

S. Antonio di Padova afferma “L’Apostolo nell’epistola di oggi dice della carità: “Se io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo risonante o un cembalo squillante” (1Cor 13,1). Dice Agostino: Io chiamo carità quell’impulso dell’anima che spinge a fruire di Dio per lui stesso, e a fruire di sé e del prossimo in ordine a Dio. E chi non ha questa carità, anche se fa tante cose buone, tante buone opere, fatica invano; per questo appunto dice l’Apostolo: Anche se parlassi le lingue degli angeli, ecc. La carità portò il Figlio di Dio al patibolo della croce.”[52]

Il Signore ci illumini e ci doni di vivere nella vera e santa carità.

a) La carità ci dona di partecipare alla carità divina ed è il fine della Legge.

Partendo dal fatto che Dio è carità e ci dona la carità e dal fatto che lo Spirito Santo, che è Carità , accende i nostri cuori di amore per Dio e per il prossimo (cfr. S. Agostino, “De Trinitate”, XV, 17, 31) non è strano che nella Somma Teologica s. Tommaso affermi, come già anticipammo più sopra, che la nostra carità è partecipazione alla carità divina :  “… etiam caritas qua formaliter diligimus proximum est quaedam participatio divinae caritatis.  … ” (IIª-IIae q. 23 a. 2 ad 1 e 2) La carità è dunque una certa nostra partecipazione alla carità divina, Dio infatti è Carità.

La carità eleva alla perfezione soprannaturale dell’amore divino  la nostra capacità umana di amare (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1827). La carità ci fa partecipare in modo soprannaturale all’amore divino.

Per intendere a fondo queste affermazioni dobbiamo considerare che la carità è una virtù infusa in noi dallo Spirito Santo attraverso la grazia santificante. S. Tommaso afferma “… caritas est amicitia quaedam hominis ad Deum fundata super communicationem beatitudinis aeternae. Haec autem communicatio non est secundum bona naturalia, sed secundum dona gratuita, quia, ut diciturRm. VI, gratia Dei vita aeterna. Unde et ipsa caritas facultatem naturae excedit. Quod autem excedit naturae facultatem non potest esse neque naturale neque per potentias naturales acquisitum, quia effectus naturalis non transcendit suam causam. Unde caritas non potest neque naturaliter nobis inesse, neque per vires naturales est acquisita, sed per infusionem spiritus sancti, qui est amor patris et filii, cuius participatio in nobis est ipsa caritas creata, sicut supra dictum est. ”(II- II q. 24 a.2)  Possiamo tradurre sostanzialmente queste affermazioni di s. Tommaso nel senso che: la carità è un‘amicizia dell‘uomo con Dio, fondata sulla comunicazione della beatitudine eterna. Ora, questa comunicazione non riguarda beni della natura, ma i doni della grazia. Per cui la carità supera le capacità della natura. Ma ciò che sorpassa le capacità della natura non può essere di ordine naturale, né essere acquisito con le facoltà naturali: poiché un effetto naturale non supera la propria causa. Quindi la carità non può trovarsi in noi per natura, né essere acquisita con le forze naturali, ma è dovuta all‘infusione dello Spirito Santo, che è l‘Amore del Padre e del Figlio, e la cui partecipazione in noi è precisamente la carità creata.” [53]

La carità creata è partecipazione alla Carità increata che è lo Spirito Santo: l’ Amore del Padre e del Figlio; per la carità lo Spirito Santo è mandato in noi facendoci partecipare di Sé.

La carità è causata dalla grazia santificante, come spiega s. Tommaso:  “ … è evidente che la grazia, la quale guida verso il fine che è la visione di Dio, causa in noi l’amore di Dio.” [54]  La grazia santificante, per la quale l’uomo diventa simile a Dio e partecipa alla natura divina, ci guida verso il fine che è la visione di Dio in Cielo e causa in noi la carità.

Tale grazia ci fa partecipare alla natura divina (cfr.  I-II, q. 110 a. 3 in co.) e causa in noi la carità che a sua volta ci fa partecipare alla carità divina.

Le partecipazioni di cui stiamo parlando sono anche partecipazioni alla bontà divina (cfr.  II-II q. 23 a. 2 ad 1.), l’ultima e perfetta partecipazione alla bontà divina si attuerà per noi uomini in Cielo con la visione beata, come dice s. Tommaso: “Ultima et completissima participatio suae (= Dei) bonitatis consistit in visione essentiae ipsius” (cfr. Super Sent.,III d. 19 a. 5 sol. I.)

Occorre precisare che la nostra partecipazione alla carità divina e alla Carità che è lo Spirito Santo si attua con la nostra unione a Dio, infatti la carità è una virtù che ci congiunge a Dio e per la quale lo amiamo:“Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro de moribus Eccles., caritas est virtus quae, cum nostra rectissima affectio est, coniungit nos Deo, qua eum diligimus. Respondeo …  Unde … caritas attingit Deum, quia coniungit nos Deo …”(II-IIae q. 23 a. 3 s.c et co.)

Più precisamente, la virtù consiste nell’accogliere la regola degli atti umani che è duplice: la ragione umana e Dio; ovviamente somma regola degli atti umani è Dio e le virtù somme sono quelle quali siamo regolati da Dio. La carità è virtù somma che ci fa partecipare alla carità divina, ci unisce a Dio e ci fa accogliere Dio come regola degli atti umani (cfr. II-IIae q. 23 a. 3 co.).

Ricordo che per s. Tommaso Dio è Legge, Legge Eterna (cfr. I-II q. 93 a.4 in c.) la carità è quindi virtù somma che ci fa vivere sotto la guida di Dio, che è somma regola degli atti umani e Legge Eterna! Più perfettamente l’uomo si lascia guidare da Dio, si lascia regolare da Lui, più perfetta sarà la sua vita; il culmine della vita morale e spirituale si raggiunge, quindi, nella carità e per la carità. S. Tommaso afferma:  “..  Ora, la vita spirituale consiste essenzialmente nella carità, senza la quale l’uomo si considera come un nulla nell’ordine spirituale … Dunque assolutamente parlando è perfetto nella vita spirituale chi è perfetto nella carità. … S. Paolo infatti, scrivendo ai Colossesi, attribuisce la perfezione principalmente alla carità, quando enumerate molte virtù, cioè la misericordia, la benignità, l’umiltà, continua: «E sopra tutte queste cose conservate la carità, la quale è vincolo di perfezione» (Col., III, 14).” (S. Tommaso d’ Aquino “ La perfezione della vita spirituale” Unione Tipografico-Editrice Torinese, Prima edizione eBook: Marzo 2013,  n. 2)

S. Paolo spiega che “Lo scopo del comando è però la carità, che nasce da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera.” (1 Tim. 1,5) e s. Agostino afferma a questo riguardo: “Fratelli miei, chi ha il cuore colmo di carità comprende senza alcun errore e custodisce senza alcuna fatica la molteplice ricchezza delle divine Scritture e quella immensa dottrina. Lo testimonia l’Apostolo: Il compimento della legge è la carità . E ancora: Il fine del precetto è la carità, che sgorga da cuore puro, da buona coscienza e da fede sincera . Il fine del precetto che cosa è se non il suo realizzarsi? E il realizzarsi del precetto che cosa è se non il compimento della legge? Perciò quel passo in cui [l’Apostolo] ha detto: Il compimento della legge è la carità coincide con quello che ha aggiunto dopo: Il fine del precetto è la carità. Né si può dubitare in alcun modo che l’uomo in cui risiede la carità sia tempio di Dio, perché Dio è carità 3, lo afferma Giovanni”.[55]

La carità è il fine della Legge che Dio ci ha donato, spiega nella Somma contro i Gentili s. Tommaso :“ … il fine di tutta la legge è che l’uomo ami Dio. Di qui l’affermazione di S. Paolo: «Fine del precetto è la carità» (l Tim., I, 5). E nel Vangelo si legge, che «il primo e il massimo dei comandamenti è questo: Amerai il Signore Dio tuo» (Matt., XXII, 38). Ecco perché la nuova legge, essendo più perfetta, è denominata «legge dell’amore»; mentre la legge antica, perché più imperfetta, è detta «legge del timore». …  la legge divina guida gli uomini soprattutto a dedicarsi alle cose di Dio…”[56]

La legge divina guida gli uomini soprattutto a dedicarsi alle cose di Dio e il suo fine è la carità di questo mondo e, ultimamente, la carità del Cielo.

In questa linea capiamo che il fine della Legge è portare l’uomo ad amare Dio con tutto il cuore, l’anima, la mente e le forze, come dice la S. Scrittura (cfr. Mt 22,37), perché questo grado di perfezione nella carità è comandato da Dio all’uomo; S. Tommaso ci spiega a questo riguardo: “  …  noi amiamo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutte le forze, se in noi non c’è niente che attualmente o abitualmente non sia riferito a Dio; ebbene, tale grado di perfezione nell’amore di Dio è assolutamente comandato all’uomo. ”[57]

Il fine della Legge è dunque anzitutto che l’uomo, con l’ aiuto divino, ami Dio in modo che non ci sia alcunché, nella sua vita, che non sia riferito a Dio, attualmente o abitualmente; questo grado di carità, e quindi di partecipazione all’amore divino, è, infatti, assolutamente comandato all’uomo e solo attraverso di esso si giunge alla carità del Cielo.

Dio ci doni di vivere sempre meglio nella vera carità.

b) La carità ci fa osservare i comandamenti di Dio.

Dio ci illumini sempre meglio.

Abbiamo detto che la carità è virtù somma che ci fa partecipare alla carità divina, ci unisce a Dio e ci fa accogliere Dio come regola degli atti umani (cfr. II-IIae q. 23 a. 3 co.), abbiamo precisato che per s. Tommaso Dio è Legge, Legge Eterna (cfr. I-II q. 93 a.4 in c.) e che, quindi, la carità è  virtù somma che ci fa vivere sotto la guida di Dio che è somma regola degli atti umani e Legge Eterna!

La carità è una virtù che ci fa osservare la Legge, ci fa accogliere la Regola somma della nostra vita, Dio, che è Legge eterna, e ci guida a vivere in Cristo sulla via dei santi comandamenti e della sua Parola; la carità ci fa vivere in Cristo che è Legge Vivente (VS, n. 16). Come Cristo, nella carità, ha osservato i comandamenti del Padre (cfr. Gv. 15,10), la carità porta anche noi ad osservare i comandamenti di Dio; nella I lettera di Giovanni è scritto: “… perché in questo consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi.” (1Gv 5,3) Nel vangelo di Giovanni leggiamo, ancora: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama.” (Gv 14,21). Nel libro della Sapienza leggiamo in questa linea  “Suo principio assai sincero è il desiderio d’istruzione; la cura dell’istruzione è carità; la carità è osservanza delle sue leggi; il rispetto delle leggi è garanzia di immortalità.”(Sap 6,17s).

La carità in quanto perfeziona la fede (cfr. II-II q. 4 a. 3) ci fa perfettamente credere alla Parola di Dio, all’ insegnamento di Cristo e della Chiesa, e ci fa osservare tale insegnamento, perciò tale virtù ci fa osservare i comandamenti divini. La carità ci pone sotto la guida di Dio che è regola somma e Legge eterna, come visto, e ovviamente Dio ci fa osservare i comandamenti che Lui stesso ci ha donato.

La carità implica, perciò, l’osservanza dei comandamenti e solo in tale osservanza dei comandamenti si rimane nella carità (cfr. VS, n. 24); Gesù dice, infatti : “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore” (Gv 15,10).

S. Agostino afferma in questa linea: “Chi ha i miei comandamenti e li osserva: ecco chi mi ama. Chi li custodisce nella memoria, e li attua nella vita; chi li tiene presenti nelle sue parole, e li esprime nei costumi; chi li ha perché li ascolta, e li osserva praticandoli; oppure chi li ha perché li pratica, e li osserva costantemente, ecco chi mi ama. L’amore bisogna dimostrarlo con i fatti altrimenti è una parola vuota e sterile.”[58]

S. Tommaso spiega in questa linea che la carità produce in noi necessariamente l’osservanza dei comandamenti : “Secundum quod facit caritas, est divinorum mandatorum observantia. Gregorius: nunquam est Dei amor otiosus: operatur enim magna si est; si vero operari renuit, amor non est. Unde manifestum signum caritatis est promptitudo implendi divina praecepta. Videmus enim amantem propter amatum magna et difficilia operari. Ioan. XIV, 23: si quis diligit me, sermonem meum servabit.” (“Collationes in decem praeceptis”, proemium) La carità se è davvero nell’anima fa che la persona osservi, attui i comandamenti.

b,1) Comandamenti positivi e negativi e carità

La carità, secondo s. Tommaso, fa osservare: sia i comandi affermativi che quelli negativi, cioè quelli che proibiscono alcune azioni, la carità infatti non agisce ingiustamente. “Sed considerandum, quod qui mandatum et legem divinae dilectionis servat, totam legem implet. Est autem duplex modus divinorum mandatorum. Quaedam enim sunt affirmativa: et haec quidem implet caritas; quia plenitudo legis quae consistit in mandatis, est dilectio, qua mandata servantur. Quaedam vero sunt prohibitoria; haec etiam implet caritas, quia non agit perperam, ut dicit apostolus I Cor. XIII.” (Cfr. S. Tommaso “Collationes in decem praeceptis”, proemium)

Tommaso precisa a questo riguardo, come vedemmo  che: i precetti negativi obbligano sempre e per sempre, sempre e in ogni circostanza[59] Nei testi che sopra abbiamo visto la Veritatis Splendor al n. 52 ribadisce con forza le affermazioni di s. Tommaso circa i precetti negativi della Legge divina. Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica in questa linea che alcuni atti, per il loro oggetto, sono sempre gravemente contrari alla Legge divina tra essi ci sono: ” … la bestemmia e lo spergiuro, l’omicidio e l’adulterio. ” (Catechismo della Chiesa Cattolica n.1756)

Spiega inoltre s. Tommaso che: “… mentre i precetti negativi della legge vietano gli atti peccaminosi, i precetti affermativi portano ad atti di virtù. Ma gli atti peccaminosi sono malvagi per se stessi, e possono  essere fatti in modo buono in nessuna maniera, in nessun luogo e in nessun tempo: poiché sono legati per se stessi a un fine malvagio, come dice Aristotele. E così i precetti negativi obbligano sempre e in tutti i casi. Gli atti virtuosi, invece, non vanno fatti in un modo qualsiasi, ma osservando le  circostanze dovute che si richiedono perché l’atto sia virtuoso: cioè facendolo dove si deve, quando si deve, e come si deve. E poiché le disposizioni delle cose che sono ordinate al fine si compiono secondo la ragione del fine,  tra le circostanze degli atti virtuosi si deve tener presente specialmente la ragione del fine, che è il bene della virtù. Perciò se c’è l’omissione di una circostanza relativa all’atto virtuoso, la quale elimina totalmente il bene della virtù, l’atto è contrario al precetto. Se invece manca una circostanza la quale non toglie del tutto la virtù, sebbene non raggiunga perfettamente il bene della virtù, l’atto non è contrario al precetto. Ecco perché il Filosofo afferma, che se ci si allontana di poco dal giusto mezzo, non siamo contro la virtù: se invece ci si allontana di molto, si distrugge la virtù nel proprio atto.”[60]

Circa i precetti positivi e in particolare circa il precetto dell’elemosina, che si collega al IV comandamento s. Tommaso afferma che l’elemosina è obbligatoria per il superfluo e a favore di coloro che sono in estrema necessità, negli altri casi è consigliata. (II- II q. 32 a. 5 in c.)

Precisiamo che dai precetti divini del decalogo non si può dare dispensa: “Et ideo praecepta Decalogi sunt omnino indispensabilia.” (Iª-IIae q. 100 a. 8 co.)

In conclusione: i precetti del decalogo non ammettono dispensa, non ammettono epicheia [61] e i precetti negativi del decalogo valgono sempre e in ogni circostanza.

La carità ci fa osservare i precetti divini, quindi mai ci fa compiere atti contrari ai precetti negativi e ci fa compiere gli atti virtuosi, comandati dai precetti positivi, osservando le circostanze richieste perché l’atto sia appunto virtuoso; la carità inoltre, se è davvero nell’anima, non dispensa dai comandamenti e non applica riguardo ad essi l’epicheia!

Quanto detto finora, in questo paragrafo, mi porta a ripensare al n. 6 della lettera dei Vescovi argentini, che afferma: “Si se llega a reconocer que, en un caso concreto, hay limitaciones que atenúan la responsabilidad y la culpabilidad (cf. 301-302), particularmente cuando una persona considere que caería en una ulterior falta dañando a los hijos de la nueva unión, Amoris laetitia abre la posibilidad del acceso a los sacramentos de la Reconciliación y la Eucaristía (cf. notas 336 y 351). Estos a su vez disponen a la persona a seguir madurando y creciendo con la fuerza de la gracia.”[62]

Come abbiamo detto la carità ci fa osservare i precetti divini e ci fa proporre di osservare tali precetti; la carità, quindi, non ci fa mai compiere atti contrari ai precetti negativi del Decalogo e ci fa compiere gli atti virtuosi, comandati dai precetti positivi, osservando le circostanze dovute richieste perché l’atto sia appunto virtuoso; la carità inoltre, se è davvero nell’anima, non dispensa sé stessa né gli altri dai comandamenti e non applica riguardo ad essi l’epicheia; perciò la carità ci porta a non commettere adulterio mai, neppure per salvare la propria famiglia, e ci porta a non dispensare mai alcuno dal comandamento che vieta l’adulterio; ugualmente la carità ci porta a non commettere mai atti omosessuali, neppure per salvare la propria famiglia, e ci porta a non dispensare mai alcuno dal comandamento che vieta tali atti.

La carità, sottolineo, non fa commettere  adulterio o qualsiasi peccato grave mai, neppure per salvare la propria famiglia; la carità non porta a dispensare sé stessi o gli altri  dai dieci comandamenti e non porta ad applicare ad essi l’epicheia neppure per salvare la propria famiglia.

Per nessuna ragione, neppure per salvare la famiglia, siamo autorizzati a metterci sotto i piedi i 10 comandamenti, per nessuna ragione siamo autorizzati o possiamo autorizzare a violare i comandi negativi del decalogo e la carità non fa commettere certamente nessun atto contro i comandamenti e quindi non fa commettere  adulterio neppure per salvare la propria famiglia.

Non è la carità, dunque, che guida le persone a compiere atti oggettivamente contrari alla Legge di Dio, non è la carità che porta a compiere atti di adulterio, stupro, pedofilia, omicidio … etc.  non è la carità che mantiene le persone nel compimento di atti oggettivamente gravi, non è la carità che mantiene le persone in peccato grave, non è la carità che mantiene le persone in occasione prossima di peccato … non è la carità che porta a dispensare le persone dall’attuazione dei divini comandi.

E non è la carità che porta a dare i Sacramenti e l’Eucaristia a chi vive in peccato notorio e vuole rimanervi, con evidente scandalo. Come vedremo nel prossimo paragrafo, inoltre, il peccato grave esclude la carità, e l’adulterio e gli atti omosessuali sono peccati gravi.

Vedremo anche, più avanti, che le cosiddette attenuanti cui fanno riferimento Amoris Laetitia e la lettera dei Vescovi argentini  giustificano l’ingiustificabile cioè veri e propri peccati gravi e quindi aprono le porte a peccati gravi e alla ricezione di Sacramenti da coloro che permangono in essi senza proporsi veramente di uscirne; in questo senso questi documenti pur dicendo a parole di voler seguire la via della carità (cfr. Amoris Laetitia n. 306), non la seguono nella realtà dei fatti .

Dio ci illumini sempre meglio!

c) La carità si perde per l’inosservanza dei comandamenti, cioè per il peccato grave.

La carità, che si vive nell’osservanza dei comandamenti, si perde per la mancata osservanza di essi in materia grave, come il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n. 1855: “ Il peccato mortale distrugge la carità nel cuore dell’uomo a causa di una violazione grave della Legge di Dio …”

Anche s. Tommaso dice con grande chiarezza che  il peccato grave cancella la carità dal cuore dell’uomo.

Nel Commento ai dieci comandamenti s. Tommaso afferma: “Sed ad hoc quod istud praeceptum dilectionis possit perfecte impleri, quatuor requiruntur…. Quartum est omnimoda peccatorum vitatio. Nullus enim potest diligere Deum in peccato existens. Matth. VI, 24: non potestis Deo servire et mammonae. Unde si in peccato existis, Deum non diligis. Sed ille diligebat qui dicebat, Isai. XXXVIII, 3: memento quomodo ambulaverim coram te in veritate et in corde perfecto. Praeterea dicebat Elias, III Reg. XVIII, 21: quousque claudicatis in duas partes? Sicut claudicans nunc huc nunc illuc inclinatur; sic et peccator nunc peccat, nunc Deum quaerere nititur.” (“Collationes in decem praeceptis”, a. 1) Traduco la parte che più direttamente si collega a quanto stiamo dicendo: nessuno che sta in peccato può amare Dio , perciò se sei in peccato non ami Dio. Ma amava (davvero) Dio colui che diceva a Dio: ricordati come ho camminato davanti a te in verità e con cuore perfetto (Isaia 38). Il peccato che cancella la carità dal cuore dell’uomo è il peccato grave o mortale, come dice con molta chiarezza s. Tommaso  nella  Somma Teologica spiegando che  è essenziale per la carità amare Dio così da volersi sottomettere a lui interamente, osservando in tutto la norma dei suoi precetti e indirizzandogli ogni cosa; perciò ogni atto di peccato mortale è contrario alla carità e incompatibile con la carità; per un solo atto di peccato mortale si perde la carità : “… consequens est ut statim per unum actum peccati mortalis habitus caritatis perdatur. ” (IIª-IIae q. 24 a. 12 co.)  Dunque è essenziale alla carità l‘amare Dio fino al punto di volersi sottomettere a lui interamente, e di seguire pienamente i precetti: tutto ciò che contrasta con i suoi precetti è apertamente contrario alla carità, e quindi la esclude.….  Sottolineiamo che l’adulterio è peccato grave e lo sono anche gli atti omosessuali …

“Prohibetur autem adulterium uxori, et viro. Sed prius dicendum est de uxoris adulterio, quia maius peccatum videtur committere. Committit autem tria peccata gravia uxor moechando, quae insinuantur Eccli. XXIII, 32-34: mulier omnis relinquens virum suum (…) primo in lege altissimi incredibilis fuit, secundo virum suum dereliquit, tertio adulterio fornicata est, et ex alio viro filios statuit sibi. … Est ergo mulier moechans, sacrilega, proditrix, furatrix. Viri vero peccant non minus quam uxores, licet sibi quandoque blandiantur.” (“Collationes in decem praeceptis”, a. 8) …

Quindi il peccato grave di adulterio esclude la carità dal cuore di chi lo compie o vuole compierlo …. il Catechismo Romano afferma: “ Che se l’uomo può essere giustificato, e da malvagio divenire buono, anche prima di praticare nelle azioni esterne le singole prescrizioni della Legge; non può pero, chi abbia già l’uso della ragione, trasformarsi da peccatore in giusto, se non sia disposto a osservare tutti i comandamenti di Dio.” [63]

Dio ci riempia di santa carità e ci doni di stare bene alla larga dal peccato mortale.

d) La carità è ordinata.

La Bibbia presenta chiaramente l’ordine della carità anzitutto allorché afferma che occorre amare Dio con tutto sé stessi (Dt. 6 ; Mt 22,37) e il prossimo come sé stessi (Mt 22,37) e in altri passi.

Nella “Città di Dio” s. Agostino spiega che l’ordine è: “ … è l’assetto di cose eguali e diseguali che assegna a ciascuno il proprio posto.”[64]

I Padri, seguendo le indicazioni bibliche, delineano l’ordine della carità affermando che anzitutto occorre amare Dio, quindi precisano che dobbiamo amare il prossimo come noi stessi, riguardo ai nostri prossimi precisano che dobbiamo ordinariamente prima amare i nostri genitori, poi i nostri figli, poi le persone della nostra famiglia.[65]

Origene, il grande biblista del III secolo, sviluppa il tema dell’ordine della carità sulla base del messaggio complessivo della Bibbia partendo dal testo di Cantico dei Cantici 4,2 che secondo i testi cui lui si appoggia afferma: ordinate in me la carità; questo autore, nel suo commento al Cantico dei Cantici, in particolare, consacra una lunga riflessione all’ordine della carità partendo dal versetto suddetto[66]

S. Gregorio di Nissa ugualmente nelle sue Omelie sul Cantico dei Cantici attraverso il passo suddetto di tale libro biblico tratta del necessario ordine della carità e dice : “ Dunque, bisogna conoscere l’ordine dell’amore, che dispone le cose per mezzo della Legge: come si debba amare Dio e come si debba amare il prossimo, come la moglie e come il nemico, perché non avvenga che l’attuazione dell’amore sia disordinata e invertita. Bisogna amare Dio, infatti, con tutto il cuore e tutta l’anima e le proprie forze e i propri sentimenti 53, e il prossimo, invece, come se stessi; la moglie, se tu sei di anima pura, come Cristo ama la Chiesa; se, invece, tu sei piú soggetto alle passioni, come il proprio corpo; cosí, infatti, comanda colui che pone ordine a questi problemi, Paolo. Il nemico deve essere amato nel non ricambiare il male con il male, ma restituire l’ingiustizia con il beneficio.”[67]

S. Agostino tratta dell’ordine della carità partendo appunto dalle Scritture e in particolare proprio dal testo del Cantico appena indicato, che anche per lui tratta dell’ordine della carità, e facendo notare che occorre amare ordinatamente e che al di sopra di tutto, in tale ordine, sta Dio[68]

S. Agostino precisa, nella linea di una sapiente interpretazione biblica, che dobbiamo amare noi stessi meno di quanto amiamo Dio e dice che dobbiamo amare gli altri più del nostro corpo, evidentemente non più della nostra anima (cfr. S. Agostino, “De doctrina christiana.” Lib. 1, cp. 26-27, PL., 34, 29)

Occorre imparare ad amarsi secondo Dio, cioè operando per la propria salvezza eterna.

La carità, in quanto ordinata, tiene conto dei meriti del prossimo, della sua fede, dei servizi resi alla Chiesa, del suo rapporto con Dio[69] perciò Origene afferma: “Si autem filius malus est et domesticus bonus domesticus in caritate filii collocetur” (Origene, “Homilia II in Canticum Canticorum”, n° 7, PG., 13, 54) Se il figlio è malvagio e il domestico è buono, il domestico sia amato con la carità che spetta al figlio.

Dice ancora s. Agostino: “Per avere quindi un amore ben ordinato occorre evitare quanto segue: amare ciò che non è da amarsi, amare di più ciò che è da amarsi di meno, amare ugualmente ciò che si dovrebbe amare o di meno o di più, o amare di meno o di più ciò che deve essere amato allo stesso modo. Il peccatore, chiunque esso sia, in quanto peccatore non è da amarsi; l’uomo, ogni uomo, in quanto è uomo, lo si deve amare per amore di Dio; Dio lo si deve amare per se stesso.”[70]

Quindi non dobbiamo amare il peccatore in quanto peccatore; dobbiamo amarlo come un uomo.

L’uomo, ogni uomo, in quanto è uomo, lo si deve amare per amore di Dio … e perciò l’amore del prossimo consisterà anzitutto nel portarlo all’amore di Dio.

“Ora Dio maestro insegna due comandamenti principali, cioè l’amore di Dio e l’amore del prossimo , nei quali l’uomo ravvisa tre oggetti che deve amare: Dio, se stesso, il prossimo, e che nell’amarsi non erra chi ama Dio. Ne consegue che provvede anche al prossimo affinché ami Dio perché gli è ordinato di amarlo come se stesso, così alla moglie, ai figli, ai familiari e alle altre persone che potrà e vuole che in tal modo dal prossimo si provveda a lui, se ne ha bisogno.”[71].

Se amare noi stessi secondo Dio significa impegnarsi per la nostra salvezza, amare il prossimo secondo Dio sarà operare anzitutto per la sua salvezza.[72]

La carità spirituale, per i Padri viene ovviamente prima della carità corporea, perché, secondo le Scritture e la Tradizione, l’anima è immortale e dall’anima dipende la salvezza eterna dell’anima e del corpo .

Sulla scia della dottrina dei Padri e sulla base della Scrittura, sempre riguardo all’ordine della carità, nel Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2197 si afferma: “ Il quarto comandamento apre la seconda tavola della Legge. Indica l’ordine della carità. …” … e al n. 2239 dello stesso testo leggiamo : “ L’amore e il servizio della patria derivano dal dovere di riconoscenza e dall’ordine della carità. ”

La carità è, dunque, ordinata, s. Tommaso lo afferma con grande chiarezza e nella Somma Teologica, in una questione in cui si parla appunto dell’ordine della carità, s. Tommaso precisa che Dio va amato più del prossimo e più di noi stessi, e noi dobbiamo amare noi stessi più del nostro prossimo. Dunque anzitutto Dio va amato più del prossimo  (cfr. IIª-IIae q. 26 a. 2 co.) e più di noi stessi (cfr. IIª-IIae q. 26 a. 3 co.), va amato al di sopra di tutto, con tutto il cuore, la mente, l’anima e le forze, poi dobbiamo amare noi stessi, in particolare dobbiamo amare noi stessi quanto all’anima e, quanto alla salvezza dell’anima, dobbiamo amare il prossimo più del nostro corpo. (cfr. IIª-IIae q. 26 a. 5 co.),  il Catechismo afferma in questa linea al nn. 2093 : “ Il primo comandamento ci ordina di amare Dio al di sopra di tutto,(Cf Dt 6,4-5.) e tutte le creature per lui e a causa di lui.”

Ulteriormente, il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n. 1822 : “La carità è la virtù teologale per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa per se stesso…” Il Catechismo tridentino afferma al n. 249 “Siccome la carità con cui amiamo Dio è la più grande, ne segue che la contrizione deve portar con sé un veementissimo dolore di animo. Se dobbiamo amare Dio sopra ogni cosa, dobbiamo anche detestare sopra ogni cosa ciò che da lui ci allontana. …  Quindi, la stessa ragione che ci obbliga a riconoscere che Dio deve essere sommamente amato, ci obbliga anche a portare sommo odio al peccato. …  Notiamo ancora che alla carità, secondo san Bernardo, non si può prescrivere né limite né misura, perché la misura di amare Dio è di amarlo senza misura (De dilig. Deo, 1, 1). Perciò non si deve porre limite alcuno alla detestazione del peccato.”[73]

L’ordine della carità è fissato dunque nella Bibbia in quanto appunto, in particolare, ci comanda di amare Dio al di sopra di tutto, ci comanda di amare il prossimo come noi stessi e in quanto, come visto ci comanda di onorare i nostri genitori; d’altra parte tale ordine ci comanda, come dice il Catechismo di Trento e con esso la Tradizione[74] di odiare sommamente il peccato.

Secondo s. Tommaso appunto perché l’ordine della carità è comandato da Dio pecca chi non agisce secondo tale ordine:“ Ex hoc ergo ipso quod alterum quod est minus diligendum, aequiparo in dilectione ei quod diligendum est magis, non totum dilectionis quod debeo, impendo ei quod magis diligendum est; et similiter etiam patet in aliis. Unde caritatis ordo est in praecepto; et peccat qui praepostere agit, ut in littera dicitur.”(Super Sent., lib. 3 d. 29 q. 1 a. 1 ad 5. ) Lo stesso S. Tommaso ripete nella Somma Teologica quanto detto altrove, infatti afferma : “Sed contra est quod … Deus causat in nobis ordinem caritatis, secundum illud Cant. II, ordinavit in me caritatem. Ergo ordo caritatis sub praecepto legis cadit.

Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, modus qui pertinet ad rationem virtuosi actus cadit sub praecepto quod datur de actu virtutis. Ordo autem caritatis pertinet ad ipsam rationem virtutis, cum accipiatur secundum proportionem dilectionis ad diligibile, ut ex supradictis patet. Unde manifestum est quod ordo caritatis debet cadere sub praecepto.”(IIª-IIae q. 44 a. 8)

Faccio notare anzitutto che s. Tommaso cita riguardo all’ordine della carità il famoso testo di Cantico dei Cantici 2,4 riportato già da altri Dottori ed esegeti antichi.

Come si vede, inoltre, s. Tommaso  conferma l’affermazione del sed contra nella risposta che lui dà: l’ordine della carità è comandato da Dio! E poiché appunto tale comando afferma che dobbiamo amare Dio al di sopra di tutto, s. Tommaso si chiede come si possa amare Dio totalmente e risponde che ciò può realizzarsi in due modi :1) riferendo la totalità alla cosa amata e così Dio va amato totalmente nel senso che  l‘uomo è tenuto ad amare tutto ciò che appartiene a Dio; 2) riferendo la totalità a chi ama e così Dio va amato totalmente nel senso che l‘uomo è tenuto ad amare Dio con tutte le sue forze, e a ordinare all‘amore di Dio tutte le sue risorse. (cfr. II-II q. 27 a. 5)

A questo riguardo, vedemmo che per s. Tommaso ci è comandato di amare  Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutte le forze, nel senso che  in noi non ci deve essere alcunché che attualmente o abitualmente non sia riferito a Dio. [75]

Lo stesso s. Dottore precisa che per vivere in tale carità che Dio ci comanda : “ … l’uomo deve in primo luogo riferire tutto a Dio come a proprio fine … In secondo luogo l’uomo deve sottomettere a Dio il proprio intelletto credendo le cose divinamente rivelate …  In terzo luogo l’uomo deve amare in Dio tutto ciò che ama e deve ordinare ogni suo affetto all’amore di Dio. … In quarto luogo bisogna che tutte le nostre cose esteriori, parole e azioni siano fondate nella carità. “[76] Inoltre s. Tommaso spiega che : “ …  sebbene la perfezione dei comprensori non ci sia possibile in questa vita, tuttavia dobbiamo sforzarci di raggiungere la maggior somiglianza possibile con quella perfezione: e in questo consiste la perfezione alla quale siamo chiamati mediante i consigli evangelici. … ”[77]

Dio ci conduca alla più alta perfezione della carità.

d,1) La carità ci rende pronti a perdere tutto e a morire piuttosto che peccare.

Dio ci illumini.

Il fatto che dobbiamo amare Dio più di noi stessi determina che  la vera carità ci porta a preferire qualsiasi pena alla colpa cioè ci porta a preferire anche la pena della morte alla colpa del peccato: “ Dicendum, quod contritus tenetur in generali velle pati magis quamcumque poenam quam peccare; et hoc ideo quia contritio non potest esse sine caritate, per quam omnia dimittuntur peccata. Ex caritate enim plus homo diligit Deum quam seipsum; peccare autem est facere contra Deum; puniri autem est aliquid pati contra seipsum; unde caritas hoc requirit ut quamlibet poenam homo contritus praeeligat culpae.” (Quodlibet. I, 9)

Dice il famoso teologo morale Prummer (Prummer “Manuale theologiae moralis”, Herder, 1961, v. I, p. 399) che la carità deve essere “appretiative” summa, cioè dobbiamo stimare Dio più di ogni creatura sicché dobbiamo essere pronti a perdere tutto il mondo (cioè noi stessi, la nostra famiglia, i nostri amici etc. …insomma tutto il creato!) piuttosto che peccare; in questo senso si afferma che dobbiamo amare Dio al di sopra di tutto …..è infatti una terribile ingiuria che facciamo a Dio l’anteporre a Lui, che è infinito, una qualsiasi creatura.  Non è necessario, invece, che noi amiamo Dio in sommo grado per quanto riguarda l’intensità dell’ atto di volontà o per quanto riguarda la percezione sensibile di tale amore infatti molti oggetti creati sono percepiti da noi come maggiormente vicini e da noi sono sentiti in modo più vivo che Dio. Per cui l’uomo non pecca se sente in modo più vivo l’amore per i parenti, amici etc. che l’amore per Dio, purché, però, sempre sia pronto a perdere tutto piuttosto che peccare.” Lo stesso troviamo affermato  nel testo di  Aertnys-Damen “Theologia Moralis”, Marietti, 1956, v. I, p. 328s . Il moralista H. B. Merkelbach in “Summa Theologiae Moralis” Desclée de Brouwer , Brugis – Belgica 1959, t.1, p. 693 afferma :“Per l’ordine della carità Dio va amato semplicemente sopra tutte le cose. Essenziale per la carità è che noi amiamo Dio sopra tutte le cose …in modo obiettivo …e anche in modo appreziativo cosicché preferiamo perdere tutto e tutto soffrire piuttosto che perdere Dio con il peccato grave. Infatti l’infinito Bene va amato più di qualsiasi creatura … la causa per cui amiamo noi stessi e il prossimo è Dio perciò Dio dobbiamo amarlo più di noi stessi e del prossimo.”(mia traduzione) In questa linea s. Alfonso dice nell’ atto di preparazione alla morte “Affermo che v’amo sopra tutte le cose, perché siete un bene infinito; e perché v’amo, mi pento sopra ogni male di tutte le offese che vi ho fatte, e propongo prima morire che più offendervi. Vi prego a levarmi la vita piuttosto che permettere ch’io v’abbia da perdere con un altro peccato.”[78]   Ricordiamo cosa dice il  Catechismo Tridentino  : “…. come Dio è il primo dei beni da amare, così il peccato è il primo e il maggiore dei mali da odiare. Quindi, la stessa ragione che ci obbliga a riconoscere che Dio deve essere sommamente amato, ci obbliga anche a portare sommo odio al peccato. Ora, che l’amore di Dio si debba anteporre a ogni altra cosa, sicché non sia lecito peccare neppure per conservare la vita, lo mostrano apertamente queste parole del Signore: “Chi ama suo padre o sua madre più di me, non è degno di me” (Mt 10,37); “Chi vorrà salvare la sua vita, la perderà” (Mt 16,25; Mc 8,35).[79]  La carità ci rende pronti a perdere tutto e a dare la vita piuttosto che peccare e soprattutto piuttosto che peccare gravemente.

La dottrina della Chiesa è chiarissima su questo punto e in certo modo lo abbiamo visto: il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n. 2072: “ Poiché enunciano i doveri fondamentali dell’uomo verso Dio e verso il prossimo, i dieci comandamenti rivelano, nel loro contenuto essenziale, obbligazioni gravi. Sono sostanzialmente immutabili e obbligano sempre e dappertutto. Nessuno potrebbe dispensare da essi. I dieci comandamenti sono incisi da Dio nel cuore dell’essere umano.”  I dieci comandamenti rivelano, nel loro contenuto essenziale, obbligazioni gravi e  nessuno può dispensare sé o altri  da essi;  “la carità implica obbligatoriamente il rispetto dei comandamenti anche nelle circostanze più gravi”(VS, n. 91)  e quindi  ci rende pronti a dare la vita e a perdere tutto  piuttosto che violare i comandamenti divini.

S. Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti, l’Ordine cui apparteneva Papa Francesco, scrisse a questo riguardo: “Il primo modo di umiltà è necessario per la salvezza eterna e consiste nell’abbassarmi e umiliarmi tanto quanto mi è possibile, perché io obbedisca in tutto alla legge di Dio nostro Signore; in modo tale  che, anche se fossi fatto signore di tutte le cose create, o anche a costo della mia vita terrena, io non decida mai di trasgredire alcun comandamento divino o umano che mi obblighi sotto pena di peccato mortale.”[80]

La carità ci porta a non peccare, ci porta a preferire la morte al peccato grave, la carità ardente ci porta ad essere pronti a dare la vita anche per non cadere in peccato veniale, s. Ignazio di Loyola scrive significativamente negli “Esercizi spirituali” :

“[166] Il secondo modo di umiltà è più perfetto e consiste in questo, che io mi trovi in una disposizione tale da non volere né affezionarmi ad avere la ricchezza piuttosto che la povertà, a cercare l’onore piuttosto che il disonore, a desiderare una vita lunga  piuttosto che una vita breve, purché sia uguale il servizio di Dio nostro Signore e la salvezza della mia anima; e inoltre che non decida mai di commettere un peccato veniale, neppure in cambio di tutte le cose create né a costo di perdere la vita.”[81]

d,2) Ordine della carità e martirio.

La grazia santificante e quindi la carità, cioè la vita divina in noi, ci porta a mai trasgredire la santa Legge di Dio e ad essere pronti a morire piuttosto che a compiere atti contro tale Legge, i martiri sono chiaro esempio di questa carità.

La storia della Chiesa presenta meravigliose testimonianze di santi che, mossi dalla carità, hanno osservato la Legge fino a dare a la vita per questo ed hanno preferito la morte al peccato: “  La Chiesa propone l’esempio di numerosi santi e sante, che hanno testimoniato e difeso la verità morale fino al martirio o hanno preferito la morte ad un solo peccato mortale. Elevandoli all’onore degli altari, la Chiesa ha canonizzato la loro testimonianza e dichiarato vero il loro giudizio, secondo cui l’amore di Dio implica obbligatoriamente il rispetto dei suoi comandamenti, anche nelle circostanze più gravi, e il rifiuto di tradirli, anche con l’intenzione di salvare la propria vita.” (VS, n. 91) L’amore di Dio , cioè la carità, implica obbligatoriamente il rispetto dei comandamenti anche nelle circostanze più gravi e quindi implica, secondo la sapienza divina, il rifiuto assoluto di violare tali comandamenti anche con l’intenzione di salvare la vita nostra o quella di altre persone! Lo dicevamo già più sopra:  non ci possiamo mettere “sotto i piedi” i comandamenti divini per salvare una famiglia o per altre “buone” ragioni!

“L’osservanza della legge di Dio, in determinate situazioni, può essere difficile, difficilissima: non è mai però impossibile. È questo un insegnamento costante della tradizione della Chiesa  … ” (VS, n. 102 ,), la Veritatis Splendor cita qui il testo del Concilio di Trento: per cui Dio non comanda l’impossibile, i comandamenti, quindi, non sono impossibili,  perciò nessuno sebbene giustificato deve ritenersi libero dai comandamenti.[82]

L’osservanza dei comandamenti diventa particolarmente difficile quando per essa rischiamo la vita o la rischiano altri a causa nostra ma “ … la carità implica obbligatoriamente il rispetto dei comandamenti anche nelle circostanze più gravi”(VS n. 91) e ci porta a osservare sempre i santi comandamenti e quindi ci porta a non peccare.

La carità appunto ci fa osservare i comandamenti divini anche quando tale osservanza diventa pericolosa per noi o per gli altri ; quindi la carità ci rende pronti al martirio. Dice la Veritatis Splendor : “ Il rapporto tra fede e morale splende in tutto il suo fulgore nel rispetto incondizionato che si deve alle esigenze insopprimibili della dignità personale di ogni uomo, a quelle esigenze difese dalle norme morali che proibiscono senza eccezioni gli atti intrinsecamente cattivi.” (VS, n. 90) Questo rispetto incondizionato  rimane fermo e immutabile anche davanti alla morte.

La Bibbia ci offre vari esempi di ciò anche nell’ Antica Alleanza (VS n. 91) si pensi al caso di Susanna (Dn. 13) o dei 7 fratelli maccabei e della loro madre (2 Mac. 7)

Il precursore di Cristo, s. Giovanni Battista, come dice chiaramente il Vangelo : “ … rifiutandosi di tacere la legge del Signore e di venire a compromesso col male, «immolò la sua vita per la verità e la giustizia» (Missale Romanum, In Passione S. Ioannis Baptistae, Collecta) e fu così precursore del Messia anche nel martirio (cf Mc 6,17-29).” (VS n. 91)

Nella Nuova Alleanza troviamo numerose testimonianze di questa fedeltà assoluta alla Legge santa di Dio e quindi a Cristo (cfr. VS n. 91)

Nell’ Amoris Laetitia, ovviamente, non si parla di fedeltà alla Legge divina fino al martirio, né di carità che ci rende pronti al martirio piuttosto che commettere atti omosessuali o adulterini …

Dio ci illumini!

d,3) Precisazione: la carità non ci fa peccare neppure per evitare danni anche gravissimi al prossimo!

La testimonianza dei martiri è molto chiara: Dio va amato al di sopra di tutto e non possiamo violare i comandamenti  per nessuna ragione, né per il nostro “bene” né per il “bene” altrui!

Abbiamo visto che i comandamenti negativi sono obbligatori sempre e in ogni circostanza[83] e che la carità ci porta ad osservare sempre i comandamenti, quindi non ci porta mai a peccare, neppure per il “bene” nostro o di altri.

In un interessante passo tratto dalle opere di s. Caterina leggiamo, nella linea di quanto affermato finora, che la carità vera non ci fa peccare neppure per strappare tutto il mondo dall’inferno!  “ Il lume della discrezione, la quale esce della carita come detto t’o, da al prossimo amor ordinato, cioe con ordenata carita, che non fa danno di colpa a se per fare utilita al prossimo. Che se uno solo peccato facesse per campare tutto il mondo dello ‘nferno o per adoperare una grande virtu, non sarebbe carita ordenata con discrezione anco sarebbe indiscreta, perche licito non e di fare una grande virtu o utilita al prossimo con colpa di peccato. …  Non sarebbe cosa convenevole che per salvare le creature, che son finite e create da me, fossi offeso Io che so’ Bene infinito: piu sarebbe grave solo quella colpa, e grande, che non sarebbe il frutto che farebbe per quella colpa. Si che colpa di peccato in veruno modo tu non debbi fare: la vera carita el cognosce perche ella porta seco il lume della santa discrezione.”[84] La carità vera è ordinata e non ci fa commettere peccato neppure per evitare il danno più terribile al prossimo; come avete appena sentito dal testo di s. Caterina la carità non ci fa peccare anche in caso che con tale peccato potessimo tirare fuori dell’inferno i dannati …. figuriamoci se è lecito commettere adulterio per salvare una famiglia.

La carità ci fa amare Dio al di sopra di tutto quindi al di sopra anche dei figli, perciò fa che ci opponiamo radicalmente al peccato, ce lo fa odiare, e ci fa prendere le decisioni necessarie per non commetterlo anche se ciò dovesse determinare in certo modo un danno per i figli e / o per noi o per chiunque altro.

Riprenderemo e approfondiremo più avanti, in questo capitolo, il tema dell’ordine della carità in particolare riguardo a noi stessi e le considerazioni che faremo ci serviranno per introdurci al capitolo riguardante gli errori di Papa Francesco sulla pena di morte.

Dio ci illumini sempre meglio.

5) La Legge della carità.

a) Precisazioni fondamentali sulla Legge e in particolare sulla Legge naturale e sulla Legge rivelata.

La legge, secondo s. Tommaso, è un’ ordinazione (ordinatio) della ragione per il bene comune, promulgata da chi ha la cura di una collettività. La parola ordinazione mi pare che esprima meglio quello che dice s. Tommaso in quanto presa, in particolare, nel senso di dare ordine, assetto, regolare disposizione[85] La legge dà ordine, regola.

Leone XIII affermò: “ Dunque la legge è guida all’uomo nell’azione, e con premi e castighi lo induce al ben fare e lo allontana dal peccato. .”[86]

Esistono varie forme di Legge

S. Tommaso afferma che esistono vari tipi di leggi: la Legge eterna, la Legge naturale, la legge umana e la Legge divina positiva o Legge rivelata.

Dunque, anzitutto esiste una Legge eterna,.

Dice s. Tommaso: “Manifestum est autem, supposito quod mundus divina providentia regatur, ut in primo habitum est, quod tota communitas universi gubernatur ratione divina. Et ideo ipsa ratio gubernationis rerum in Deo sicut in principe universitatis existens, legis habet rationem. Et quia divina ratio nihil concipit ex tempore, sed habet aeternum conceptum, ut dicitur Prov. VIII; inde est quod huiusmodi legem oportet dicere aeternam. ” (I-II q. 91 a.1) Il mondo è retto dalla Provvidenza divina e tutto l’universo è governato dalla regola divina e la stessa regola divina di governo, in Dio, ha ragione di legge e tale regola è eterna;  Dio stesso è Legge eterna (I-II q. 93 a.4 in c.)

La Legge eterna viene partecipata a vari livelli.

Spiega s. Tommaso che : la Legge eterna viene partecipata attraverso la legge naturale secondo la proporzione della natura umana, ma l‘uomo ha bisogno di essere guidato in maniera più alta verso l‘ultimo fine soprannaturale. E così Dio ha sovraggiunto una legge divina positiva, mediante la quale la legge eterna viene partecipata in un modo più alto rispetto alla Legge naturale. (cfr. I-II q. 91 a. 4 ad 1m)

Quindi il livello più alto di partecipazione alla Legge eterna si ha con la legge divina positiva, un livello inferiore di partecipazione ad essa si ha con la Legge naturale. La legge naturale è, come vedremo meglio, una partecipazione della Legge eterna nella creatura razionale.

S. Tommaso affermò che le leggi umane sono veramente leggi e regole nella misura in cui a loro volta sono regolate dalla retta ragione e quindi da Dio che è Legge eterna. Da Dio che è Legge Eterna, Regola suprema, trae forza, in questa linea, la legge umana. Nella misura in cui le leggi umane si allontanano dalla ragione e quindi dalla Legge Eterna, sono ingiuste, sono piuttosto una forma di violenza e perciò non realizzano il concetto di legge.[87] Più precisamente dice s. Tommaso riguardo alle leggi umane:“  Et istae particulares dispositiones adinventae secundum rationem humanam, dicuntur leges humanae, servatis aliis conditionibus quae pertinent ad rationem legis, ut supra dictum est.” (I-II q. 91 a. 3) Le leggi umane sono particolari disposizioni, dettami di ragione, cui si giunge  partendo dai precetti della legge naturale, osservando le altre condizioni che si richiedono per aversi una legge. Anche le leggi umane rette partecipano della Legge Eterna.

a,1) La Legge naturale.

La creazione appare come l’atto con cui Dio creando e unificando l’universo gli dona una legge (cfr. Sal 148,5-6) e creando l’uomo Dio gli dona anche una legge, una regola di condotta che vale per tutti gli uomini: l’obbedienza al Creatore (Gen. 2,16s) ; l’ obbedienza delle creature alla legge di Dio è un modello per gli esseri umani perché essi anche obbediscano.

Nella linea di quanto abbiamo appena visto il Catechismo afferma che la Legge naturale : “Ha come perno l’aspirazione e la sottomissione a Dio, fonte e giudice di ogni bene, e altresì il senso dell’altro come uguale a se stesso. ”(Catechismo della Chiesa Cattolica  n. 1955)

Nell’alleanza stabilita con Noè Dio dona all’umanità una legge implicante il rispetto della vita.[88]

Il dono della Legge sul Sinai implica precetti etici fondamentali ma questi comportamenti etici valgono anche per gli altri popoli, infatti Dio chiede conto alle nazioni straniere (Am 1-2) che violano evidentemente la legge che Dio ha dato loro. [89]

Inoltre la Bibbia contiene anche una letteratura di sapienza che sviluppa la convinzione che c’è un modo corretto, «sapiente», di fare le cose e di condurre la vita, cioè c’è una Legge naturale, di tale sapienza che viene da Dio l’uomo è reso partecipe in diversi modi. Questa partecipazione è un dono di Dio, che bisogna chiedere nella preghiera: ed è anche il  frutto di un’attento studio della natura e dei costumi umani. [90]

S. Paolo afferma l’esistenza della legge naturale (Rom 1,19-20) , nei loro cuori i pagani hanno tale legge, fissata da Dio (Rom 2,14-15)

Quanto appena detto ci fa capire che la Legge naturale è, in vario modo, ben presente in tutta la Scrittura.

Domandiamoci : cosa è la legge naturale ? S. Tommaso lo spiega in questi termini “ …. Inter cetera autem rationalis creatura excellentiori quodam modo divinae providentiae subiacet, inquantum et ipsa fit providentiae particeps, sibi ipsi et aliis providens. Unde et in ipsa participatur ratio aeterna, per quam habet naturalem inclinationem ad debitum actum et finem. Et talis participatio legis aeternae in rationali creatura lex naturalis dicitur. … Unde patet quod lex naturalis nihil aliud est quam participatio legis aeternae in rationali creatura. ” (I-II q.91 a.2) La legge naturale è dunque  una partecipazione della Legge eterna nella creatura razionale; è una certa quale impressione della luce divina in noi per cui distinguiamo ciò che è bene e ciò che è male.

La dottrina della Chiesa parla ampiamente della Legge naturale , si vedano, in particolare, nel testo del Denzinger – Hünermann [91] i nn. 4763, 3247,3272, 3780,3956, 4316, 4580, 2302,3131, 3132, 3133, 3150, 3152, 3165, 3170, 3248, 3265, 3270, 4315, 3970, 4242 etc.

La VS afferma: “Solo Dio può rispondere alla domanda sul bene, perché Egli è il Bene. Ma Dio ha già dato risposta a questa domanda: lo ha fatto creando l’uomo e ordinandolo con sapienza e con amore al suo fine, mediante la legge inscritta nel suo cuore (cf Rm 2,15), la «legge naturale». Questa «altro non è che la luce dell’intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare. Questa luce e questa legge Dio l’ha donata nella creazione».[92]” (VS n. 12)

E la stessa enciclica ha precisato luminosamente: “La Chiesa ha fatto spesso riferimento alla dottrina tomistica di legge naturale, assumendola nel proprio insegnamento morale.”  (VS n. 44) S. Tommaso preghi per noi, e ci renda forti nel difendere la santa verità.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica parla con molta profondità della legge naturale  ai nn. 1954ss,  in essi tra l’altro  viene ripreso il testo di s. Tommaso appena visto.[93]

San Tommaso dice anche che: “… la luce della ragione naturale con la quale distinguiamo il bene dal male, il che è di pertinenza della legge naturale, non è altro che una penetrazione in noi della luce divina”.(I-II, q. 91, a. 2.)

Nella VS leggiamo anche che la legge naturale è chiamata così perché è promulgata dalla ragione propria della natura umana (cfr. VS n. 43; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1955).

La stessa VS riporta anche un illuminante affermazione di s. Tommaso  per cui la legge naturale è partecipazione della legge eterna, cioè della ragione eterna, nella creatura razionale  (cfr. I-II, q. 91, a.2.;VS n. 43)

In un passo di una lettera enciclica di Leone XIII leggiamo: “ La legge naturale è iscritta e scolpita nell’anima di tutti i singoli uomini; essa infatti è la ragione umana che impone di agire bene e proibisce il peccato. … Questa prescrizione dell’umana ragione, però, non è in grado di avere forza di legge, se non è la voce e l’interprete di una ragione più alta, alla quale il nostro spirito e la nostra libertà devono essere sottomessi”.[94] Riprendendo alcune affermazioni di  questa lettera enciclica di Papa Leone XIII la Veritatis Splendor afferma: “ … ne consegue che la legge di natura sia la stessa legge eterna, insita in coloro che hanno uso di ragione, e che per essa inclinano all’azione e al fine dovuto: essa è la medesima eterna ragione di Dio creatore e reggitore dell’intero universo.” [95]

Della Legge naturale parla chiaramente il Concilio Vaticano II laddove afferma: “ Dove i cittadini sono oppressi da un’autorità pubblica che va al di là delle sue competenze, essi non rifiutino ciò che è oggettivamente richiesto dal bene comune; sia però lecito difendere i diritti propri e dei concittadini contro gli abusi dell’autorità, nel rispetto dei limiti dettati dalla legge naturale e dal Vangelo.”[96]

Ulteriormente , sempre nello stesso documento conciliare leggiamo: “La Chiesa, in virtù della sua missione divina, predica il Vangelo e largisce i tesori della grazia a tutte le genti. Contribuisce così a rafforzare la pace in ogni parte del mondo, ponendo la conoscenza della legge divina e naturale a solido fondamento della solidarietà fraterna tra gli uomini e tra le nazioni.”[97]

S. Paolo VI ha affermato: “ … anche la legge naturale è espressione della volontà di Dio, l’adempimento fedele di essa è parimenti necessario alla salvezza eterna degli uomini.”[98]

Nel Catechismo leggiamo“ … La legge naturale indica le norme prime ed essenziali che regolano la vita morale.”(Catechismo della Chiesa Cattolica  n. 1955)

Dio ci renda forti nella Verità.

La Legge naturale è universale e si estende a tutti gli uomini (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1956)

Come già dicevamo prima, riportando le affermazioni di s. Tommaso, nella diversità delle culture, la legge naturale  impone agli uomini principi comuni. (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1956)

Anche la Veritatis Splendor parla efficacemente dell’ universalità della Legge naturale, infatti afferma: “51. Il presunto conflitto tra la libertà e la natura si ripercuote anche sull’interpretazione di alcuni aspetti specifici della legge naturale, soprattutto sulla sua universalità e immutabilità. …” (VS n.51) Riguardo all’universalità di tali norme la Veritatis Splendor afferma: “ Proprio grazie a questa «verità» la legge naturale implica l’universalità. … La legge naturale è universale nei suoi precetti e la sua autorità si estende a tutti gli uomini. …”(VS n.51)

La Legge naturale è quindi universale ma anche, come vedremo meglio qui di seguito, immutabile.  Riguardo alla immutabilità della Legge naturale occorre considerare bene anzitutto quello che afferma la Veritatis Splendor : “La grande sensibilità che l’uomo contemporaneo testimonia per la storicità e per la cultura conduce taluni a dubitare dell’immutabilità della stessa legge naturale …”(Veritatis Splendor n.53) Ci sarebbe da chiedersi se certe affermazioni di Amoris Laetitia e certe sue aperture non abbiano qualcosa a che fare con certi dubbi sull’immutabilità di tale Legge. Di fronte a questi dubbi, comunque, la Veritatis Splendor precisa che: “Mettere in discussione gli elementi strutturali permanenti dell’uomo, connessi anche con la stessa dimensione corporea, non solo sarebbe in conflitto con l’esperienza comune, ma renderebbe incomprensibile il riferimento che Gesù ha fatto al «principio», proprio là dove il contesto sociale e culturale del tempo aveva deformato il senso originario e il ruolo di alcune norme morali (cf Mt 19,1-9). ” (VS n.53)

Come dice il Concilio Vaticano II: ” la Chiesa afferma che al di sotto di tutti i mutamenti ci sono molte cose che non cambiano; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli».[99] L’immutabilità della Legge naturale trova il suo fondamento in Cristo e nella sua Incarnazione. (cfr. VS n.53)

Interessante è notare che il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma giustamente :  la Legge naturale è immutabile (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1958); il riferimento che offre, citato anche dalla VS al n. 53 per questa affermazione è il n. 10 della Gaudium et spes che in realtà, come visto, non parla direttamente di Legge naturale immutabile . Il n. 79 di tale documento conciliare afferma: “Davanti a questo stato di degradazione dell’umanità, il Concilio intende innanzi tutto richiamare alla mente il valore immutabile del diritto naturale delle genti e dei suoi principi universali. ”[100]

A parlare chiaramente dell’immutabilità della Legge Naturale è il documento: “Persona Humana” della Congregazione per la Dottrina della Fede, 22.1.1975[101], che ha proprio una parte dedicata alle “Leggi immutabili naturali”

e in questa parte leggiamo: “ … la rivelazione divina e, nel suo proprio ordine, la sapienza filosofica, mettendo in rilievo esigenze autentiche della umanità, per ciò stesso manifestano necessariamente l’esistenza di leggi immutabili, inscritte negli elementi costitutivi della natura umana e che si manifestano identiche in tutti gli esseri, dotati di ragione.”[102]

Esistono dunque leggi naturali immutabili inscritte nella natura umana, che la Chiesa ha riconosciuto tali: “La Chiesa, nel corso della sua storia, ha costantemente considerato un certo numero di precetti della legge naturale come aventi valore assoluto e immutabile, e ha visto nella loro trasgressione una contraddizione con la dottrina e lo spirito del vangelo.”[103]

Riguardo all’immutabilità di alcune norme della legge naturale la Veritatis Splendor dice, più direttamente, riprendendo proprio il documento qui sopra citato: “È giusto e buono, sempre e per tutti, servire Dio, rendergli il culto dovuto ed onorare secondo verità i genitori. Simili precetti positivi, che prescrivono di compiere talune azioni e di coltivare certi atteggiamenti, obbligano universalmente; essi sono immutabili; [104]… Queste leggi universali e permanenti corrispondono a conoscenze della ragione pratica e vengono applicate agli atti particolari mediante il giudizio della coscienza.” (VS n.52) Tale universalità e immutabilità della Legge naturale scaturisce dal fatto che essa proviene da Dio, che è Verità immutabile; s. Agostino appunto affermò che la Luce che è Dio non abbandona totalmente neppure l’iniquo: “ Da questo deriva infatti che perfino gli iniqui pensano all’eternità e riprendono giustamente, lodano giustamente molte cose, nella condotta degli uomini. … Dove dunque sono iscritte queste regole, se non nel libro di quella luce che si chiama verità? Di qui, dunque, è dettata ogni legge giusta e si trasferisce nel cuore dell’uomo che opera la giustizia, non emigrando in lui, ma quasi imprimendosi in lui, come l’immagine passa dall’anello nella cera, ma senza abbandonare l’anello”.[105] Dio, che è Legge Eterna, Immutabile si fa conoscere all’uomo e gli fa conoscere le verità immutabili circa l’agire, gli fa conoscere il bene da fare e il male da fuggire e questo si compie anzitutto attraverso la legge naturale.

A fronte delle chiare affermazioni della Chiesa, tra i cristiani si può trovare, però, chi respinge la dottrina tradizionale sulla legge naturale, sull’universalità e sulla permanente validità dei suoi precetti. (cfr. VS n. 4)

A questo proposito il Catechismo afferma al n. 1960  I precetti della legge naturale non sono percepiti da tutti con chiarezza ed immediatezza. Nell’attuale situazione, la grazia e la Rivelazione sono necessarie all’uomo peccatore perché le verità religiose e morali possano essere conosciute « da tutti e senza difficoltà, con ferma certezza e senza alcuna mescolanza di errore ».[106] ” Sottolineo: la grazia e la Rivelazione sono necessarie all’uomo peccatore perché le verità religiose e morali possano essere conosciute « da tutti e senza difficoltà, con ferma certezza e senza alcuna mescolanza di errore ». Nonostante ci sia la Legge naturale occorre la grazia e la Rivelazione e quindi la Legge divina rivelata!

In questa linea la VS al n. 36 ribadisce : “… la dipendenza della ragione umana dalla Sapienza divina e la necessità, nel presente stato di natura decaduta, nonché l’effettiva realtà della divina rivelazione per la conoscenza di verità morali anche di ordine naturale,(Cf Pio XII, Lett. enc. Humani generis (12 agosto 1950): AAS 42 (1950), 561-562)”(VS n. 36) Come si vede , pur essendoci già la Legge naturale è ben chiaro alla Chiesa che è necessaria la divina rivelazione anche per conoscere le verità morali di ordine naturale.

Il testo dell’ Humani Generis citato in questi passi dice più precisamente: “Nel raggiungere tali verità, l’intelletto umano incontra ostacoli della fantasia, sia per le cattive passioni provenienti dal peccato originale. Avviene che gli uomini in queste cose volentieri si persuadono che sia falso, o almeno dubbio, ciò che essi “non vogliono che sia vero”. Per questi motivi si deve dire che la Rivelazione divina è moralmente necessaria affinché quelle verità che in materia religiosa e morale non sono per sé irraggiungibili, si possano da tutti conoscere con facilità, con ferma certezza e senza alcun errore. (Conc. Vat. D. B. 1876, Cost. “De fide Cath.”, cap. II, De revelatione).”[107]

La Rivelazione divina è moralmente necessaria affinché quelle verità che in materia religiosa e morale non sono per sé irraggiungibili, si possano da tutti conoscere con facilità, con ferma certezza e senza alcun errore.

Nei suoi precetti principali, la Legge naturale è esposta nel Decalogo (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica  n. 1955)

a,2) La Legge divina rivelata e in particolare la Legge antica.

La Rivelazione di cui stiamo parlando contiene un’altra Legge che Dio ci ha dato (cfr. VS n. 12)

Dice s. Tommaso “ Respondeo dicendum quod praeter legem naturalem et legem humanam, necessarium fuit ad directionem humanae vitae habere legem divinam.” (I-II q. 91 a. 4) Fu necessario che oltre alla legge naturale e alla legge umana , e oltre alla Legge eterna, vi fosse una Legge divina, rivelata.

La dottrina cattolica distingue  molto bene la Legge morale naturale dalla Legge divina positiva che è indicata con i termini di Legge antica e di Legge nuova o evangelica; parleremo di queste ultime due leggi Leggi nelle prossime pagine.

Volendo entrare più a fondo in questa realtà che è la Legge rivelata dobbiamo dire con la Pontificia Commissione Biblica[108]  che nella Scrittura ciò che è fondamentale è l’iniziativa di Dio, il dono di Dio, la morale si radica nei doni del Creatore alla creatura e in particolare nel dono dell’ alleanza che è anzitutto manifestazione     del progetto di Dio e dono di Dio.[109]

Quindi per la Bibbia, la morale viene dopo l’esperienza che Dio fa fare all’uomo per dono puramente gratuito. A partire da questa esperienza, la Legge stessa, parte integrante del processo dell’alleanza, è dono di Dio. La Legge ” … non è in partenza una nozione giuridica, impostata su comportamenti e atteggiamenti, ma un concetto teologico, che la Bibbia stessa rende al meglio col termine “cammino” (derek in ebraico, hodos in greco): un cammino proposto.”[110]

Dio ha chiamato Israele ad essere suo Popolo, lo ha scelto liberamente, esso gli appartiene e deve farsi guidare da Lui, Dio guida Israele in un cammino che Israele deve percorrere, come si vede molto chiaramente nell’Esodo.

Dio presenta Israele come  “popolo di Dio” (Es. 3, 7.8) L’idea di popolo di Dio ha una dimensione etnica e una dimensione religiosa, tale idea comporta inoltre  “…  tre caratteristiche particolari, che sono la chiamata, l’appartenenza, il cammino.”[111]

La chiamata emerge chiaramente da questo passo del Deuteronomio: “Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli – siete infatti il più piccolo di tutti i popoli -,ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri: il Signore vi ha fatti uscire con mano potente e vi ha riscattati liberandovi dalla condizione servile, dalla mano del faraone, re d’Egitto.” (Deuteronomio 7, 7-8)

L’appartenenza emerge anche da questo testo del Deuteronomio: “Voi siete figli per il Signore, vostro Dio: non vi farete incisioni e non vi raderete tra gli occhi per un morto. Tu sei infatti un popolo consacrato al Signore, tuo Dio, e il Signore ti ha scelto per essere il suo popolo particolare fra tutti i popoli che sono sulla terra.”(Dt. 14,1s)

Il cammino del Popolo di Dio si vede chiaramente nell’ Esodo ma continua in tutta la Scrittura diventando poi il cammino del Nuovo Popolo di Dio , la Chiesa; è un cammino in questo mondo ed è un cammino verso il Cielo.  La Legge stessa è appunto “cammino” (derek in ebraico, hodos in greco): un cammino proposto da Dio.

Il Popolo di Dio è destinatario e controparte di una Alleanza con Dio, che va intesa come : “ … disposizione personale, impegno, obbligo, assicurazione, promessa, che ha origine fondamentalmente da una libera e unilaterale iniziativa di Dio, a cui eventualmente è collegato persino un giuramento”.[112]

L’alleanza è caratterizzata essenzialmente da una grazia (il Signore si impegna) cioè dal dono che  Dio fa di se stesso e dalla Legge cioè dal dono che Dio fa all’uomo di un cammino etico-cultuale che permette all’uomo di entrare e di rimanere in alleanza con Dio stesso.[113]

L’alleanza fra Dio e il suo popolo è alleanza fra  contraenti ineguali. In modo simile ai trattati di vassallaggio, in cui il sovrano si impegna verso il vassallo e impegna il vassallo verso se stesso, Dio impegna sé stesso e impegna il popolo. “Questo doppio movimento si esprime, in campo teologico, attraverso due temi principali: la Grazia (il SIGNORE impegna se stesso) e la Legge (il SIGNORE impegna il popolo che diventa sua “proprietà”: Es 19,5-6). In questa cornice teologica la grazia può essere definita come il dono (incondizionato, in certi testi) che Dio fa di se stesso. E la Legge come il dono che Dio fa all’uomo collettivo, di un mezzo, di una via, di un “cammino” (‘derek’) etico-cultuale che permette all’uomo di entrare e di rimanere “in situazione di alleanza””[114].

In modo simile alle stipulazioni dell’alleanza tra contraenti ineguali in cui il signore è l’unico che si esprime mentre il vassallo, in questo stadio, rimane zitto, il Signore nell’ Alleanza è l’unico che si esprime.[115]

L’alleanza tra Dio e il suo popolo implica che il popolo, come detto, osservi la Legge e quindi ami Dio, come la Legge comanda. In particolare occorre citare i famosi testi, specie del Deuteronomio che presentano l’amore come comandato da Dio (Dt. 6,5; 10,12; 11,13.22; 19,9; 30,20; Gs. 23,11)  come necessario per piacere a Dio (Dt. 10,12; 11,13.22; 19,9; 30,20; Gs. 23,11) come fine di una serie di prove permesse da Dio (Dt. 13,4) e come dono di Dio (Dt. 30,6)

Se Dio, come visto, è presentato come lo Sposo del popolo di Dio, appare ovvio che la sposa, cioè appunto il popolo, debba amare Dio; questo amore è unito all’osservanza dell’alleanza con Dio e quindi della Legge che Egli dona (Sir. 2, 15-17), la Legge stessa comanda l’amore di Dio, come visto, e Dio dona all’uomo questo amore (Dt. 30,6).

Dio comanda all’uomo di amarLo e tale amore implica l’osservanza della Legge;  l’uomo deve amare Dio con tutto sé stesso : con tutto il cuore, la mente etc. questo appunto implica osservanza di quanto Dio vuole, osservanza della Legge donata da Dio per amore.

La Legge divina non va semplicemente osservata ma va amata, come dono di amore di Dio per il vero bene dell’uomo (Sl. 119)

a.3) La Legge della carità.

Vi sono 2 Leggi rivelate: l’ Antica, che abbiamo appena esaminato, e la Nuova.

La legge nuova è chiamata anche Legge della carità.

Per intendere bene la Legge della carità dobbiamo notare anzitutto che “determinante e fondamentale per il rapporto fra Dio e il popolo d’Israele e tutti gli uomini è nel Nuovo Testamento la persona di Gesù, la sua opera e il suo destino.” [116]

“La posizione centrale di Gesù per il rapporto dell’uomo con Dio ha come conseguenza la sua posizione centrale per la vita morale. Egli rappresenta nella sua persona non solo il regno di Dio e la nuova alleanza ma anche la Legge, perché egli viene condotto nel modo più perfetto dalla volontà di suo Padre (cf. Mt 26,39.42), fino alla manifestazione massima del suo amore, al versamento del suo sangue. Si deve quindi agire nel suo Spirito e seguire il suo esempio per camminare sulla via di Dio.”[117]

Il testo appena citato[118] nella parte in cui tratta della dimensione morale della dottrina del Nuovo Testamento sarà la base per le mie riflessioni che svolgerò qui di seguito, in questo paragrafo. La legge della carità è quindi lo stesso Cristo ed è vita nel suo Spirito; essa ha Gesù come guida che invita a seguirlo ( Mt 4,18-22; Mc 1,16-20; Lc 5,1-11; Gv 1,35-51).  Alla base di questa Legge della carità per noi è l’esperienza  dell’amore di Dio per ciascuno e il rapporto con Cristo.

Il cammino tracciato e offerto a noi da Gesù non è una norma autoritaria imposta dall’esterno ma una comunione di vita (Mt 11,28-30) con Lui: Gesù percorre questo cammino con noi e  e ci chiama a seguire il suo esempio. Con Gesù dobbiamo essere disposti a servire: “Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire, e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45) e tale servizio giunge fino a camminare con Lui sulla via della Croce e donare con Lui la nostra vita.

“Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34). Si tratta di partecipare anche alle sue sofferenze e alla sua morte.

Questa Nuova Legge dell’amore implica la nostra fede e quindi la totale accettazione nostra di Lui: del suo insegnamento e del suo esempio; infatti è per noi normativo anche tutto ciò che egli fa: “Vi ho dato esempio” ( Gv.13,15),  “che vi amiate … come io vi ho amati”( Gv. 15,12).

La fede è una grande novità che Cristo ci chiede verso di Lui e per la quale lasciamo noi stessi e “veniamo” a Lui; la fede è fondamento della carità e quest’ultima è frutto della prima (Gv 15,8).

Questa Legge di carità è vissuta nella grazia che  rende giusto e fa perseverare il discepolo.

La Legge della carità fa morire al peccato:“ Noi, che già siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere in esso?” (Rm 6,2). La morte al peccato è una partecipazione alla   morte di Cristo.  L’assimilazione dell’itinerario dei credenti a quello di Cristo è assimilazione anche alla sua morte al peccato. Tutto questo implica assimilazione a Lui nel suo rapporto con lo Spirito Santo e quindi inabitazione trinitaria, il discepolo diviene in Cristo tempio di Dio.  Lo Spirito Santo ci porta appunto a imitare Cristo: “Diventate i miei imitatori come io lo sono di Cristo” (1 Cor 11,1). “Abbiate fra di voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù!” (Fil. 2,5) Lo Spirito Santo ci fa morire con Cristo al peccato (Rm 6,2)

Lo Spirito Santo e la carità che Lui ci dona ci sospinge a seguire Cristo nella morte al peccato e nella completa donazione della nostra vita per la vita del mondo “Poiché l’amore del Cristo ci sospinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro” (2 Cor 5,14-15). Ugualmente lo Spirito Santo fa che viva in noi Cristo : “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me. Questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). Lo Spirito Santo ci fa camminare nella carità sulla scia esemplare di Cristo “Camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio a lui gradito” (Ef 5,2; cf. Ef 3,17; 4,15-16). La Legge della carità si compie quindi sotto la guida interiore di Dio , della Trinità, e in particolare sotto la guida del Consolatore che è Lui stesso Carità, nello Spirito siamo chiamati a discernere  in tutte le nostre decisioni (Rm 12,2), discernere significa distinguere ciò che è migliore e perfetto in ogni circostanza (cf. 1 Ts 5,21; Fil 1,10; Ef 5,10) sicché possiamo crescere sempre nella perfetta imitazione di Cristo (cf. Gal 5,25; Rm 8,14)

Lo Spirito Santo ci guida ad essere sacrificio di lode nel sacrificio di Cristo : “Per mezzo di lui offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode: questo è frutto di labbra che lodano il suo nome. Non dimenticate di fare del bene e di condividere i vostri beni, perché di tali sacrifici il Signore si compiace” (13,15-16). La Legge della carità è ovviamente legge sacrificale in Cristo Sacrificio e quindi è strettamente legata all’ Eucaristia che appunto ci fa partecipare in modo a tale Sacrificio ed è essa stessa tale Sacrificio. L’Eucaristia trasforma gli uomini in Cristo, come insegna la sana dottrina, ci assimila a Lui e ci santifica nella maniera più completa.  Mediante il “mangiare la carne di Gesù” e “ bere il suo sangue” veniamo assimilati nella maniera più alta a Colui che è la stessa Legge della carità, come Cristo dobbiamo quindi amare in particolare coloro con cui ci nutriamo di Lui e con loro dobbiamo essere unanimi (Fil. 2,2) appunto in quanto siamo uno in Cristo e abbiamo un solo Spirito Santo. Attraverso l’Eucaristia Cristo comunica in pienezza il suo Spirito (cfr. Rm 8,9; Fil 1,19) perché viviamo e camminiamo in tale Spirito: “Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito” (Gal 5,25).[119]

a,4) S Tommaso ci parla della legge della carità.

S. Tommaso precisa che secondo Aristotele ogni cosa è ciò che in essa c’è di principale; nel Nuovo Testamento è principale la grazia dello Spirito Santo; perciò la Nuova Legge principalmente è la stessa grazia dello Spirito Santo (cfr Summa Theologiae, I-II, q. 106, a. 1).

S. Tommaso però chiama la Legge Nuova, la Legge della Carità (cfr. s. Tommaso d’ Aquino,“Collationes in decem praeceptis”, proemio) e appunto nel proemio appena citato s. Tommaso dopo aver detto parlato dei frutti della Legge dell’Amore fa intendere chiaramente che tale Legge è la stessa carità e tali frutti sono i frutti della carità, infatti prima afferma: “Sed sciendum quod haec lex, scilicet divini amoris, quatuor efficit in homine valde desiderabilia.” … e poi quando spiega questi effetti dice: “Secundum quod facit caritas, est divinorum mandatorum observantia. … Tertium quod facit caritas, est, quia est praesidium contra adversa. … Et sic patent quatuor quae in nobis efficit caritas. Sed praeter illa, quaedam alia efficit quae praetermittenda non sunt.”“Collationes in decem praeceptis” (s. Tommaso d’ Aquino,“Collationes in decem praeceptis”, proemio) La Legge Nuova è dunque, per s. Tommaso carità, oltre che grazia!

S. Antonio di Padova dice praticamente la stessa cosa allorché afferma che dalla bocca del prelato: “… i sudditi ricercheranno la legge, cioè la carità, della quale dice l’Apostolo: “Portate i pesi gli uni degli altri, e così adempirete la legge di Cristo” (Gal 6,2), cioè il suo precetto della carità; Cristo infatti solo per amore portò nel suo corpo sopra la croce il peso dei nostri peccati. La legge è la carità, che i sudditi “cercano al di fuori” (ex quirunt), cercano cioè anzitutto nelle opere, per riceverla poi più volentieri e più fruttuosamente dalla bocca stessa del prelato: perché Gesù “incominciò prima a fare e poi a insegnare” (At 1,1).”[120]

Che tale Legge Nuova sia in particolare carità significa quanto diremo.

1)Significa che essa implica una radicale rottura con il peccato mortale; infatti il peccato grave esclude la carità dall’anima  (cfr.IIª-IIae q. 24 a. 12 co.) Nel Commento ai dieci comandamenti s. Tommaso afferma: “Sed ad hoc quod istud praeceptum dilectionis possit perfecte impleri, quatuor requiruntur…. Quartum est omnimoda peccatorum vitatio. Nullus enim potest diligere Deum in peccato existens. Matth. VI, 24: non potestis Deo servire et mammonae. Unde si in peccato existis, Deum non diligis. Sed ille diligebat qui dicebat, Isai. XXXVIII, 3: memento quomodo ambulaverim coram te in veritate et in corde perfecto. Praeterea dicebat Elias, III Reg. XVIII, 21: quousque claudicatis in duas partes? Sicut claudicans nunc huc nunc illuc inclinatur; sic et peccator nunc peccat, nunc Deum quaerere nititur.” (“Collationes in decem praeceptis”, a. 1) Perché possa essere perfettamente attuato il precetto della carità occorrono quattro cose e la quarta è che siano assolutamente evitati i peccati. Nessuno che sta in peccato grave può amare Dio, perciò se sei in peccato  non ami Dio. Ma amava (davvero) Dio colui che diceva a Dio: ricordati come ho camminato davanti a te in verità e con cuore perfetto (Isaia 38).

2) Significa che la Legge Nuova, in quanto carità porta in noi i frutti della carità: la vita spirituale, l’osservanza dei divini comandamenti (tanto di quelli affermativi che di quelli negativi), la custodia contro le realtà avverse , la guida verso il Cielo, la remissione dei peccati, l’illuminazione del cuore, la perfetta letizia, la pace perfetta, costituisce l’uomo in dignità, rende non solo liberi ma figli di Dio. Questi frutti sono chiaramente elencati dal s. Dottore nel proemio delle sue “Collationes in decem praeceptis”.

3) Significa inoltre che la Legge Nuova, in quanto carità, porta in noi tutte le virtù infuse,  la carità infatti è la forma di tutte le virtù e senza la carità non esistono le virtù infuse  (IIª-IIae q. 23 a. 7 s)

b) Che rapporto c’è tra la Legge Naturale e la Legge divina positiva? La Legge divina positiva riporta solo la Legge naturale o anche altro?

Vediamo meglio ora che rapporto c’è tra la Legge Naturale e la Legge divina positiva.

Diciamo anzitutto che la Rivelazione riconosce l’esistenza della Legge naturale come visto, particolarmente significative sono le affermazioni di s. Paolo a riguardo (cfr. Rom 1,19-20; 2,14-15)

Vedemmo più sopra che, nei suoi precetti principali, la Legge naturale è esposta nel Decalogo. (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica  n. 1955)

Riguardo alla Legge evangelica e al suo rapporto con la Legge naturale  il Catechismo afferma, in particolare, al n. 1965 “La nuova Legge o Legge evangelica è la perfezione quaggiù della Legge divina, naturale e rivelata.”

La Commissione Teologica Internazionale ha significativamente affermato che, con la Nuova Legge:“ La persona stessa di Cristo, Logos e Sapienza incarnati, diventano così la legge vivente, la norma suprema per ogni etica cristiana.  …  La grazia dello Spirito Santo costituisce l’elemento principale della nuova Legge o Legge del Vangelo … La nuova Legge del Vangelo include, assume e porta a compimento le esigenze della legge naturale. Gli orientamenti della legge naturale non sono dunque istanze normative esterne rispetto alla nuova Legge. Sono una parte costitutiva di questa, anche se seconda e ordinata all’elemento principale, che è la grazia di Cristo (…). Perciò è alla luce della ragione illuminata ormai dalla fede viva che l’uomo riconosce meglio gli orientamenti della legge naturale, che gli indicano la via del pieno sviluppo della sua umanità.”[121]

La nuova Legge del Vangelo include, assume e porta a compimento le esigenze della legge naturale. Alla luce della ragione illuminata ormai dalla fede viva l’uomo riconosce meglio gli orientamenti della legge naturale, che gli indicano la via del pieno sviluppo della sua umanità.

Cerchiamo qui di seguito di penetrare più a fondo nel rapporto tra la Legge naturale e la Legge rivelata.

Già i Padri affermavano che il Vangelo insegna la vita soprannaturale, la vita divina  e quindi va oltre la filosofia e la legge naturale [122]

L’importanza della Rivelazione e quindi della Legge divina, in relazione alla legge naturale e ai suoi limiti, è messa in particolare rilievo da s. Tommaso in un articolo che per noi è di speciale importanza e che inizia con una domanda molto significativa: sembra che non fosse necessaria una Legge divina, positiva; a tale domanda il s. Dottore risponde che tale Legge fu necessaria per 4 ragioni : “ Primo …  quia homo ordinatur ad finem beatitudinis aeternae, quae excedit proportionem naturalis facultatis humanae,  …  ideo necessarium fuit ut supra legem naturalem et humanam, dirigeretur etiam ad suum finem lege divinitus data. Secundo …  Ut ergo homo absque omni dubitatione scire possit quid ei sit agendum et quid vitandum, necessarium fuit ut in actibus propriis dirigeretur per legem divinitus datam, de qua constat quod non potest errare. Tertio, …  lex humana non potuit cohibere et ordinare sufficienter interiores actus, sed necessarium fuit quod ad hoc superveniret lex divina. Quarto quia, sicut Augustinus dicit, in I de Lib. Arb., lex humana non potest omnia quae male fiunt, punire vel prohibere, … Ut ergo nullum malum improhibitum et impunitum remaneat, necessarium fuit supervenire legem divinam, per quam omnia peccata prohibentur. ” (I-II q. 91 a. 4)

Quattro sono dunque i motivi per cui era per noi necessario  che Dio ci desse oltre alla legge naturale anche una legge divina:

1) perché il Fine Ultimo dell’uomo sorpassa le capacità naturali dell‘uomo, ed era perciò necessario che egli fosse diretto al suo fine, al di sopra della legge naturale e umana, da una legge data espressamente da Dio;

2) perché senza dubbi l’uomo possa conoscere cosa fare e cosa evitare  visto che  data l‘incertezza dell‘umano giudizio, specialmente riguardo ai fatti contingenti e particolari, riguardo agli atti umani, ci sono giudizi diversi di diverse persone;

3) perché l‘uomo può legiferare su ciò riguardo a cui può giudicare; ma l’uomo non può giudicare degli atti interiori, e perciò era necessario l‘intervento di una legge divina appunto perché la legge umana non poteva sufficientemente ordinare e reprimere gli atti interiori;

4) perché la legge umana non può proibire e punire tutte le azioni malvagie, perciò, affinché nessuna colpa restasse priva di proibizione e punizione era necessario l’intervento della legge divina, per cui tutti i peccati sono proibiti e puniti.(cfr. I-II q. 91 a. 4)

Riguardo al motivo n.1 occorre aggiungere che s. Tommaso mette molto chiaramente in evidenza nelle sue opere la necessità, per varie ragioni, della Rivelazione, che “contiene” la Legge divina positiva; proprio all’inizio della Somma Teologica egli afferma che l’uomo è ordinato a Dio come al suo Fine Ultimo ma tale Fine supera la capacità della ragione, e tale Fine deve essere conosciuto prima dagli uomini, perché vi indirizzino le loro intenzioni e le loro azioni, perciò per la salvezza dell’uomo fu necessario che mediante la divina rivelazione gli fossero fatte conoscere delle cose, riguardanti appunto il Fine, superiori alla ragione umana(cfr. Iª q. 1 a. 1 co. ).

Aggiunge s. Tommaso che : la legge eterna viene partecipata attraverso la legge naturale secondo la proporzione della natura umana, ma l‘uomo ha bisogno di essere guidato in maniera più alta verso l‘ultimo fine soprannaturale. E così Dio ha sovraggiunto una legge divina positiva, mediante la quale la legge eterna viene partecipata in un modo più alto rispetto alla Legge naturale. (cfr. I-II q. 91 a. 4 ad 1m)

Inoltre occorre considerare che l’uomo è inclinato a sperare il bene proporzionato alla natura umana; per indurre l’uomo a sperare il bene soprannaturale ci voleva la Legge divina con le sue promesse, con gli ammonimenti e i precetti, spiega s. Tommaso in questo testo: “Ad primum ergo dicendum quod natura sufficienter inclinat ad sperandum bonum naturae humanae proportionatum. Sed ad sperandum supernaturale bonum oportuit hominem induci auctoritate legis divinae, partim quidem promissis, partim autem admonitionibus vel praeceptis. ” (IIª-IIae q. 22 a. 1 ad 1)

Inoltre spiega s. Tommaso che l’espressione del Decreto di Graziano secondo cui  “il diritto naturale è ciò che è contenuto nella Legge e nel Vangelo” non significa che  quanto è contenuto nella Legge e nel Vangelo è tutto appartenente legge naturale poiché molte cose ivi insegnate son superiori alla natura ma significa che le cose appartenenti alla legge naturale vi sono insegnate in modo completo (cfr.  Iª-IIae q. 94 a. 4 ad 1 ) Come si evince chiaramente da questo testo, la Legge divina insegna molte cose superiori alla natura e insegna anche in modo completo ciò che appartiene alla legge naturale.

Interessanti per vedere come la Legge divina supera ma anche precisa la stessa Legge naturale in particolare sui temi che ci interessano principalmente in questo libro mi paiono alcune affermazioni di s. Tommaso nella “Somma contro i gentili”, l. III cc. 122s; : “ … Le leggi positive, però, se umane, bisogna che derivino dall’istinto di natura: come nelle scienze dimostrative ogni scoperta dell’uomo prende inizio dai princìpi noti per natura. Se poi sono divine, non solo chiariscono l’istinto della natura, ma suppliscono anche le manchevolezze dell’istinto naturale: poiché le cose rivelate da Dio, sorpassano la capacità della ragione naturale. Ora, siccome nella specie umana l’istinto naturale importa che l’unione del maschio e della femmina sia indivisibile, e sia di una sola donna con un solo uomo, era necessario che ciò fosse ordinato dalla legge umana. La legge divina poi, vi aggiunge una ragione soprannaturale, tratta dal fatto che il matrimonio significa l’unione di Cristo con la Chiesa [Ephes., 5, 32]….  ” (Somma contro i Gentili, ed UTET, 2013, ebook, libro III c. 123).

Riguardo al motivo n. 2 occorre aggiungere che la Rivelazione fu necessaria anche perché l’uomo fosse ammaestrato riguardo a quello che di Dio si può indagare con la ragione perché la verità circa Dio ricercata solo attraverso la ragione non sarebbe stata raggiungibile che da parte di pochi, dopo lungo tempo e con mescolanza di molti errori; ma dalla conoscenza di tali verità dipende tutta la salvezza dell’uomo, che è  in Dio. Perché dunque la salvezza degli uomini giungesse più convenientemente e certamente fu necessario che sulle cose divine essi fossero istruiti attraverso la divina Rivelazione (cfr. Iª q. 1 a. 1 co. )

S. Tommaso ha affermato altresì “: Essendoci dunque due serie di verità riguardo alle cose di Dio, la prima raggiungibile dalla ragione, mentre la seconda trascende qualsiasi capacità dell’ingegno umano, è conveniente che entrambe vengano proposte all’uomo da Dio come materia di fede. … la divina bontà provvide salutarmente a comandarci di tenere per fede anche le verità conoscibili con la ragione: affinché tutti possano con facilità essere partecipi della conoscenza di Dio, senza dubbi e senza errori. Di qui le parole della Scrittura: «Non camminate più, come camminano i gentili, nella vanità dei loro pensieri, con l’intelligenza ottenebrata» (Efes., IV, 17,18). E ancora: «Tutti i tuoi figli saranno istruiti dal Signore» (Is., LIV, 13).” (“Somma contro i Gentili”, ed UTET, 2013, ebook, libro I c. 4); in questa linea Dio attraverso il decalogo ci comanda di tenere per fede anche precetti propri della legge naturale affinché tutti possano accoglierli con facilità, senza dubbi e senza errori; infatti la legge naturale nei suoi precetti principali è esposta nel decalogo: “ … Nei suoi precetti principali essa è esposta nel Decalogo.”(Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1955)

Va notato peraltro che s. Tommaso nella Somma contro i Gentili esamina in vari capitoli del I libro (l. I cc. 4-8)  la convenienza del fatto che verità raggiungibili con la ragione siano proposte da ritenere per fede.

Il Concilio Vaticano I affermò: “Si deve a questa divina Rivelazione se tutto ciò che delle cose divine non è di per sé assolutamente inaccessibile alla ragione umana, anche nella presente condizione del genere umano può facilmente essere conosciuto da tutti con certezza e senza alcun pericolo di errore. Tuttavia non per questo motivo deve dirsi assolutamente necessaria la Rivelazione, ma perché nella Sua infinita bontà Dio destinò l’uomo ad un fine soprannaturale, cioè alla partecipazione dei beni divini, che superano totalmente l’intelligenza della mente umana; infatti Dio ha preparato per coloro che Lo amano quelle cose che nessun occhio vide, nessun orecchio mai udì, nessun cuore umano conobbe (1Cor 2,9).”[123]

Nella Humani Generis, come già vedemmo, leggiamo: “Nel raggiungere tali verità, l’intelletto umano incontra ostacoli … Avviene che gli uomini in queste cose volentieri si persuadono che sia falso, o almeno dubbio, ciò che essi “non vogliono che sia vero”. Per questi motivi si deve dire che la Rivelazione divina è moralmente necessaria affinché quelle verità che in materia religiosa e morale non sono per sé irraggiungibili, si possano da tutti conoscere con facilità, con ferma certezza e senza alcun errore.[124]

Vedemmo più sopra che il Catechismo afferma al n. 1960  I precetti della legge naturale non sono percepiti da tutti con chiarezza ed immediatezza. Nell’attuale situazione, la grazia e la Rivelazione sono necessarie all’uomo peccatore perché le verità religiose e morali possano essere conosciute « da tutti e senza difficoltà, con ferma certezza e senza alcuna mescolanza di errore ».[125]” Sottolineo: la grazia e la Rivelazione sono necessarie all’uomo peccatore perché le verità religiose e morali, anche quelle riguardanti la legge naturale, possano essere conosciute « da tutti e senza difficoltà, con ferma certezza e senza alcuna mescolanza di errore ». Nonostante ci sia la Legge naturale occorre la grazia e la Rivelazione e quindi la Legge divina rivelata anche perché tutti conoscano bene la Legge naturale!

La Rivelazione divina è moralmente necessaria affinché quelle verità che in materia religiosa e morale non sono per sé irraggiungibili, si possano da tutti conoscere con facilità, con ferma certezza e senza alcun errore.(cfr. VS n. 36)

S. Ireneo afferma che Dio inserì nell’anima degli uomini i comandi della Legge naturale fin dal principio e con il Decalogo Egli li richiamò alla loro mente (Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses, 4, 15, 1: SC 100, 548 (PG 7, 1012).)

Il Catechismo della Chiesa Cattolica, in questa linea, al n. 2070 dice: “… Il Decalogo contiene un’espressione privilegiata della « legge naturale »”  I dieci comandamenti ci insegnano la vita secondo la vera umanità (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2070) e quindi esprimono la vera Legge naturale.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n. 2071 che i comandi del Decalogo sono stati rivelati pur essendo accessibili alla ragione: l’umanità peccatrice aveva, infatti, bisogno di questa rivelazione per giungere ad una conoscenza completa e certa delle esigenze della legge naturale.

Come si vede , pur essendoci già la Legge naturale è ben chiaro alla Chiesa che è necessaria la divina rivelazione anche per conoscere le verità morali di ordine naturale, quindi anche la Legge naturale.

Dice ancora s. Tommaso: “Et tamen ad ea etiam ad quae naturalis ratio inclinat, sicut sunt actus virtutum moralium, necessarium fuit praecepta legis divinae dari, propter maiorem firmitatem; et praecipue quia naturalis ratio hominis obtenebrata erat per concupiscentias peccati. ” (IIª-IIae q. 22 a. 1 ad 1)

La Legge divina fu necessaria, quindi, anche per le cose cui porta l’inclinazione della ragione naturale, come sono gli atti delle virtù morali, per una maggiore sicurezza e perché la ragione umana era ottenebrata per la concupiscenza del peccato. La Legge divina quindi doveva anche confermare i precetti della Legge naturale per renderli più chiari e sicuri per l’uomo e per escludere errori riguardo ad essi.

Lo stesso s. Dottore, nella Somma Teologica, poco più avanti  precisa che :“ …. ad legem naturalem pertinent primo quidem quaedam praecepta communissima, quae sunt omnibus nota, quaedam autem secundaria praecepta magis propria, quae sunt quasi conclusiones propinquae principiis. Quantum ergo ad illa principia communia, lex naturalis nullo modo potest a cordibus hominum deleri in universali. Deletur tamen in particulari operabili, secundum quod ratio impeditur applicare commune principium ad particulare operabile, propter concupiscentiam vel aliquam aliam passionem, ut supra dictum est. ”(I-II q. 94 a. 6)

Quindi rispetto ai precetti comuni la legge naturale non si può cancellare in generale  dai cuori degli uomini ma si cancella in ciò che si può compiere in particolare (sulla base dei precetti comuni) in quanto la ragione è impedita nell’applicare il principio comune all’atto particolare  a causa della concupiscenza o per qualche altra passione. Rispetto ai precetti secondari la Legge naturale può essere cancellata dal cuore degli uomini a causa delle cattive persuasioni  o per le consuetudini malvagie o per gli abiti corrotti, e così presso alcuni popoli non erano considerati peccati i furti o i vizi contro natura. (cfr. I-II q. 94 a. 6)

Il s. Dottore Angelico precisa ulteriormente che : “Ad primum ergo dicendum quod lex scripta dicitur esse data ad correctionem legis naturae, vel quia per legem scriptam suppletum est quod legi naturae deerat, vel quia lex naturae in aliquorum cordibus, quantum ad aliqua, corrupta erat intantum ut existimarent esse bona quae naturaliter sunt mala; et talis corruptio correctione indigebat. ” (I-II q. 94 a. 5 ad 1m)

La legge scritta fu data per la correzione della legge di natura sia per aggiungere ciò che alla legge di natura mancava sia perché la legge di natura si era corrotta in alcuni quanto ad alcune norme sicché le persone stimavano buone quelle cose che sono naturalmente malvagie.

Riguardo appunto alla necessità della Legge divina scritta per riparare la corruzione della Legge naturale, che si era diffusa nei cuori, il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n. 2071: “Per giungere ad una conoscenza completa e certa delle esigenze della legge naturale, l’umanità peccatrice aveva bisogno di questa rivelazione … ” L’umanità peccatrice in cui si era corrotta la Legge naturale aveva bisogno della Legge rivelata.

S. Tommaso nel proemio delle sue “Collationes in decem praeceptis”, aggiunge che la legge naturale fu distrutta nell’uomo dalla legge della concupiscenza e per questo fu necessario che ci fosse data la Legge nella s. Scrittura e poiché la Legge Antica era insufficiente, Dio ci diede la Legge Evangelica cioè la legge della carità e della grazia, la legge di Cristo e questa legge deve essere regola delle azioni umane; le azioni umane sono buone e virtuose solo in quanto concordano con questa legge; questa legge del divino amore causa in noi quattro effetti : la vita spirituale, l’osservanza dei divini comandamenti tanto di quelli affermativi che di quelli negativi, la custodia contro le realtà avverse e la guida verso il Cielo.

La legge esterna, divina, inoltre,  fu necessaria anche per quanto riguarda il culto di Dio sia per l’oscuramento della legge naturale a causa dei peccati degli uomini sia per dare una più espressa significazione della grazia con la quale Cristo santifica gli uomini e così fu necessario determinare le cose che gli uomini devono usare nei Sacramenti (cfr. IIIª q. 60 a. 5 ad 3)

S. Bonaventura afferma che l’obbligo dei comandamenti del Decalogo segue radicalmente la legge naturale ma quanto all’ esposizione segue la Legge della Scrittura, l’esposizione piena dei comandamenti del Decalogo fu opportuna secondo lo stato di peccato a causa dell’oscuramento della luce della ragione e per lo sviamento della volontà, e poiché la volontà era pronta ad un molteplice disordine occorreva che fosse legata attraverso molteplici comandamenti. Inoltre poiché la scrittura interiore del cuore era oscurata e l’uomo, che era dotato di mente spirituale, era diventato sensibile e carnale era opportuno che l’uomo leggesse esternamente e udisse attraverso i sensi del corpo quelle cose per le quali si potesse regolare secondo la rettitudine della giustizia, perciò l’esposizione e distinzione dei comandamenti spettava alla legge scritta sebbene l’obbligazione spettasse alla legge naturale.[126]

b,1) Solo la Legge divina positiva e in particolare la Legge della carità  comanda la fede, la speranza e la carità.

Solo la Legge divina ci ha parlato della fede, speranza e della carità come virtù teologiche e quindi il comando di tali virtù teologiche (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2086ss) è proprio della Legge divina, infatti spiega s. Tommaso: “ …   Unde oportet quod superaddantur homini divinitus aliqua principia, per quae ita ordinetur ad beatitudinem supernaturalem, sicut per principia naturalia ordinatur ad finem connaturalem, non tamen absque adiutorio divino. Et huiusmodi principia virtutes dicuntur theologicae, tum quia habent Deum pro obiecto, inquantum per eas recte ordinamur in Deum; tum quia a solo Deo nobis infunduntur; tum quia sola divina revelatione, in sacra Scriptura, huiusmodi virtutes traduntur.” (Iª-IIae q. 62 a. 1 co.) La virtù ordina l’uomo alla beatitudine ma per giungere alla beatitudine che supera la natura umana, cioè al Cielo, non bastano i principi naturali dell’uomo ma occorre che siano sovraggiunti all’uomo da Dio dei principi per cui giunga alla beatitudine soprannaturale e tali principi sono le virtù dette teologiche sia perché hanno Dio per oggetto in quanto per esse siamo rettamente ordinati a Dio sia perché sono infuse in noi da Dio, sia perché, si noti bene, per la sola divina Rivelazione, nella S. Scrittura, queste virtù ci sono trasmesse.

Queste virtù sono dette divine non perché rendano Dio virtuoso, ma perché noi attraverso esse siamo resi virtuosi da Dio, e in ordine a Dio, quindi esse non sono virtù esemplari, ma sono virtù “exemplatae” cioè virtù che che hanno per esempio le virtù divine le quali sono esemplari.(cfr. Iª-IIae q. 62 a. 1 ad 2m)

Da quanto detto, dunque, è evidente che il precetto della carità, quello della fede e della speranza, sono precetti propri della Legge divina che ci ha fatto conoscere queste virtù e ci comanda di viverle.

La Legge divina ci comanda di vivere nella fede, nella speranza e nella carità, ci comanda di adorare Dio e di pregare, il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma ai nn. 2086-88 : “ Nell’esplicita affermazione divina: “Io sono il Signore tuo Dio” è incluso il comandamento della fede, della speranza e della carità. ”

Ancora : “  … Il primo comandamento ci ordina di amare Dio al di sopra di tutto(Cf Dt 6,4-5.), e tutte le creature per lui e a causa di lui. ….”(Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2093)

E ulteriormente .. : “ Gli atti di fede, di speranza e di carità prescritti dal primo comandamento si compiono nella preghiera. … ”(Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2098)

Come vedemmo, la Legge Nuova, la Legge evangelica è la carità infatti s. Tommaso afferma: “Sed sciendum quod haec lex, scilicet divini amoris, quatuor efficit in homine valde desiderabilia.” … e poi quando spiega questi effetti dice: “Secundum quod facit caritas, est divinorum mandatorum observantia. … Tertium quod facit caritas, est, quia est praesidium contra adversa. … Et sic patent quatuor quae in nobis efficit caritas. Sed praeter illa, quaedam alia efficit quae praetermittenda non sunt.” (“Collationes in decem praeceptis” Proemium)

  1. Tommaso precisa a riguardo che la Legge evangelica ci comanda la carità e ci porta a vivere in essa, e questa Legge della carità deve essere la regola di tutte le azioni umane; è veramente virtuoso ciò che concorda con questa Legge, ciò che discorda da questa Legge che è la stessa carità non è né buono né retto. (cfr.“Collationes in decem praeceptis” Proemium)

La carità, cioè la Legge divina evangelica, Legge dell’amore, se vissuta, porta molti effetti sommamente desiderabili:

1)la vita spirituale;

2)l’osservanza dei comandamenti, cioè, meglio, la prontezza nell’osservanza dei comandamenti;

3)la trasformazione , in certo modo, delle avversità in cose utili;

4)la felicità eterna.

5)la remissione dei peccati,

6)l’illuminazione del cuore,

7)la perfetta letizia e la pace perfetta,

8)la carità costituisce l’uomo in grande dignità e lo fa libero e figlio di Dio. (cf. “Collationes in decem praeceptis”, Prooemium)

La Legge della carità ci porta ad amare Dio con tutto il cuore l’anima , la mente e le forze sicché: “…  in noi non c’è niente che attualmente o abitualmente non sia riferito a Dio… .”[127]

La carità è una virtù infusa in noi da Dio (IIª-IIae q. 24 a. 12 co.) ma anche la fede e la speranza sono virtù infuse, quindi il comando della carità, come anche il comando della fede e della speranza, è un comando per cui Dio ci chiama ad accogliere da Lui il dono di tali virtù e a vivere secondo esse, credendo, sperando e soprattutto amando appunto Dio stesso con tutto il cuore, l’anima, la mente e le forze facendo sì che in noi non ci sia niente che attualmente o abitualmente non sia riferito a Dio.

c) L’ uomo può dispensare dall’osservanza dei precetti della  legge divina? No.

 

 

Signore, donaci luce per conoscere a fondo il pensiero di s. Tommaso e della Chiesa su questo punto che già trattammo brevemente.

Vedemmo già più sopra, infatti, e qui esamineremo più a fondo cosa dicono s. Tommaso e vari testi magisteriali riguardo alla possibilità da parte di un uomo di dispensare sé o altri dall’osservanza ai precetti della Legge divina.

Diciamo anzitutto che la dispensa secondo la sua originaria nozione di οἰκονομία indica l’equa distribuzione della cosa comune ai singoli secondo la necessità di ciascuno (cfr. Gn. 43,26-29; Lc. 12,42) (cfr. Prummer “Manuale theologiae moralis”, Herder 1961, v. I, p. 159s)

Il Codice di Diritto Canonico attuale sottolinea che la dispensa è l’esonero dall’osservanza di una legge puramente ecclesiastica (can. 85)

In un importante documento di s. Paolo VI leggiamo: “il Concilio Ecumenico tra le altre dà ai Vescovi diocesani questa facoltà: di dispensare per un caso particolare dalla legge generale della Chiesa i fedeli sui quali, a norma del diritto, esercitano la loro autorità, ogni qual volta ritengano che ciò giovi al loro bene spirituale; purché dalla suprema Autorità della Chiesa non sia stata fatta qualche speciale riserva in proposito (Ibid., n. 8, b.). … per dispensa si intende lo scioglimento della legge per un caso speciale. La facoltà di dispensare si potrà esercitare nei confronti delle leggi precipienti o proibenti, non però di quelle costitutive. … Per leggi generali della Chiesa s’intendono quelle leggi meramente disciplinari, sancite dalla Suprema Autorità ecclesiastica, alle quali sono ovunque tenuti tutti quelli per cui sono state emanate, a norma del can. 13 § 1; ma non s’intendono quelle leggi divine, sia naturali che positive, dalle quali il solo Sommo Pontefice – nei casi in cui gode della potestà vicaria – può dispensare; come accade nella dispensa dal matrimonio rato e non consumato, in ciò che riguarda il privilegium fidei, ecc.” [128]

Le affermazioni di Paolo VI sono molto importanti perché precisano bene cosa è la dispensa: scioglimento della legge per un caso speciale; inoltre per il nostro scopo è di particolare interesse riflettere sull’affermazione di Paolo VI per cui solo il Papa può dispensare dalle leggi divine, sia naturali che positive, e solo nei casi in cui gode della potestà vicaria.

Come spiega un famoso testo di diritto canonico la legge divina naturale o positiva è ordinariamente sottratta totalmente al potere umano ma in materie limitate la Chiesa e in particolare il Papa può dispensare da tali leggi nell’esercizio della sua autorità per un particolare potere conferitole da Cristo.[129]

Il famoso testo Wernz Vidal afferma più precisamente: “Romanus Pontifex in legibus divinis sive naturalibus sive positivis absolute latis vere valideque dispensare non potest. Praecepta vero iuris naturalis, quae pendent in sua obligatione praeceptiva a priori consensu voluntatis humanae et ab efficacia illius ad aliquid agendum, possunt a Romano Pontifice vi potestatis suae vicariae a Deo speciatim concessae ex iusta causa dispensari, at non directe ac praecise auferendo obligationem legis naturalis, sed mediante aliqua remissione, quae fit ex parte materiae (15). Ita v. g. Romanus Pontifex nomine Dei remittit debitum ortum ex voluntate humana in voto aut solvit vinculum matrimonii rati per contractum matrimonialem effectum, atque exinde consequenter cessat obligatio iuris naturalis.    Quare recte monet Suarez De Leg. l. II cap. 14 n. 11, huiusmodi remissiones in rigore non sint dispensationes iuris naturalis, sed potius vocari dispensationes, quia fiant per quamdam remissionem ex potestate iurisdictionis.

Quando autem lex naturalis obligat ex vi solius rationis in materia independenti a priori consensu voluntatis humanae, etiam Romano Pontifici omnimoda potestas dispensandi est subducta, (cfr. Suarez 1. c. n. 25).”[130]

Il Papa non può concedere dispensa dalle Leggi divine e naturali proclamate assolutamente.

I precetti di diritto naturale e divino che sono legati nella loro obbligazione da un precedente consenso della volontà umana possono essere sottoposti a dispensa dal Romano Pontefice in forza della sua potestà vicaria ma non direttamente togliendo l’obbligazione del diritto naturale bensì attraverso una certa remissione che si fa per parte della materia. In questo modo il Papa in nome di Dio rimette il debito sorto dalla volontà umana nel voto o scioglie il vincolo del matrimonio ratificato attraverso il contratto matrimoniale ma non ancora consumato. Perciò Suarez insegna che le remissioni di questo tipo sono piuttosto dispense che dispense di diritto naturale perché avvengono per una certa remissione legata alla postà di giurisdizione. Quando invece la Legge naturale obbliga per la forza della sola ragione in materia indipendente da un previo consenso della volontà umana, anche al Romano Pontefice è sottratta quasiasi potesta di dispensare.

Tutto questo, ben inteso, ci fa capire che in realtà nessuno, neppure il Papa, può dispensare sé o altri dai precetti del decalogo.

L ‘indispensabilità dei comandamenti divini espressi chiaramente nel Decalogo è chiaramente affermata dal Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2072: “Poiché enunciano i doveri fondamentali dell’uomo verso Dio e verso il prossimo, i dieci comandamenti rivelano, nel loro contenuto essenziale, obbligazioni gravi. Sono sostanzialmente immutabili e obbligano sempre e dappertutto. Nessuno potrebbe dispensare da essi. I dieci comandamenti sono incisi da Dio nel cuore dell’essere umano.” Nessuno può dispensare dai dieci comandamenti!

Spiegò s. Giovanni Paolo II in questa linea “8. Il  Romano  Pontefice … ha  la  “sacra potestas”  di insegnare  la  verità  del  Vangelo, amministrare i sacramenti e governare pastoralmente  la  Chiesa  in  nome  e  con  l’autorità  di Cristo, ma tale potestà non include in sé alcun potere sulla Legge divina naturale o positiva.”[131]

Il Dottore Angelico parla in vari passi di dispensa.

Anzitutto s. Tommaso ribadisce che la dispensa implica una distribuzione commisurata delle cose comuni alle realtà che fanno parte di tale comunità, in questo modo si dispensa il cibo alla famiglia (cfr. II-II q. 88 a. 10)

La dispensa di un voto, precisa s. Tommaso, va intesa come le dispense che si concedono nell’osservanza di una legge umana. Ora, la dispensa nella legge umana va data nel caso in cui una certa legge, data in considerazione di ciò che è bene nella maggior parte dei casi, per qualcuno non è un bene, con tale dispensa appunto viene liberato dall’osservanza di tale legge colui per cui non è bene tale osservanza. (cfr. II-II q. 88 a. 10)

Colui che fa un voto, fissa in qualche modo per sé stesso una legge, obbligandosi a qualche cosa che nella maggior parte dei casi è un bene e non un male, ma in qualche caso può capitare che ciò sia un male, o sia inutile o impedisca un bene maggiore: il che è contrario alla ragione per cui quella cosa è oggetto di voto, perciò in questo caso è necessario poter  statuire che il voto non va osservato. E se viene statuito assolutamente che un voto non va osservato si ha la dispensa del voto. Se invece viene statuito che all’oggetto del voto si sostituisca qualche altra opera, si ha la commutazione. La statuizione circa la dispensa o la commutazione è rimessa alla Chiesa ma tale statuizione, precisa s. Tommaso, non significa la dispensa dal diritto naturale o divino, essa infatti determina solo ciò che cadeva sotto l’obbligazione della deliberazione umana , che non poté esaminare tutto bene. (cfr. II-II q. 88 a. 10)

La dispensa del voto, peraltro, non contrasta con la fedeltà dovuta a Dio, perché tale fedeltà  non implica che uno faccia quello che è male, o è inutile, oppure è impeditivo ad un bene maggiore, e la dispensa appunto elimina tali implicazioni e lascia intatta la fedeltà a Dio.(cfr. II-II q. 88 a. 10)

S. Tommaso parla quindi della dispensa da particolari voti (cfr. II-II q. 88 a. 11) e della dispensa dai giuramenti (cfr. II-II q. 89 a. 9)

I precetti di Dio son precetti di diritto naturale, necessari per se stessi alla salvezza, invece le leggi ecclesiastiche non hanno per oggetto cose che per indicazione della Chiesa, e non per sé stesse, sono necessarie alla salvezza; perciò possono esserci degli impedimenti che determinano per qualcuno la dispensa dall’osservare tali leggi, ma non possono esserci dispense dall’osservare i precetti fissati da Dio come necessari per la salvezza.(cfr. IIª-IIae, q. 147 a. 4 ad 1)

S. Tommaso , come anticipammo, è appunto molto chiaro nel negare che un uomo possa dispensare alla Legge di Dio. (cfr. Super Sent., lib. 3 d. 37 q. 1 a. 4; I-II q. 100 a. 8; Quodlibet 4, a. 8).

Nella Somma Teologica dice in particolare s. Tommaso a riguardo: “.. Praecepta autem Decalogi continent ipsam intentionem legislatoris, scilicet Dei. … Et ideo praecepta Decalogi sunt omnino indispensabilia. ”(I-II q. 100 a. 8) I precetti del Decalogo contengono la stessa intenzione del Legislatore cioè di Dio , quindi tali precetti sono del tutto indispensabili!

Nell’articolo il s. Dottore spiega in particolare che: Dio stesso si rinnegherebbe se togliesse l’ordine della sua giustizia, essendo egli la stessa giustizia; per questo Dio non può dispensare in modo che all’uomo sia lecito di rapportarsi disordinatamente con Dio stesso, o di non sottomettersi all’ordine della sua giustizia, anche in quelle cose per le quali gli uomini sono ordinati tra loro (cfr. I-II q. 100 a. 8 ad 2).

I precetti del decalogo sono immutabili quanto alla regola di giustizia che contengono. Rispetto, invece, ad una certa determinazione per l’ applicazione ai singoli atti, sicché questo o quello sia omicidio o furto o adulterio, ci possono essere cambiamenti:  in quelle cose che il Signore ha istituito si richiede solo l’autorità di Dio stesso; basta invece l’autorità  degli uomini in quelle cose che sono affidate alla giurisdizione degli uomini.[132]

Più precisamente, esaminando vari passi delle sue opere, s. Tommaso afferma quanto segue.

1)L’uomo non può mai dispensare dai precetti del decalogo. Neppure il Papa può dispensare dalla Legge divina o dalla legge naturale: “Dicendum, quod Papa habet plenitudinem potestatis in Ecclesia, ita scilicet quod quaecumque sunt instituta per Ecclesiam vel Ecclesiae praelatos, sunt dispensabilia a Papa. Haec enim sunt quae dicuntur esse iuris humani, vel iuris positivi. Circa ea vero quae sunt iuris divini vel iuris naturalis, dispensare non potest: quia ista habent efficaciam ex institutione divina. Ius autem divinum est quod pertinet ad legem novam vel veterem.”(Quodlibet 4, a. 8). 2) Il potere del Papa , da esercitare ovviamente nella Verità, è solo nel senso di precisare ciò che il comandamento condanna, quindi dire, p. es., se una certa pratica è aborto o non lo è e quindi ricade o meno sotto la condanna del quinto comandamento(cfr. I-II q. 100 a. 8 ad 3m)

3) Nel caso di dispensa da voti e simili atti umani che sono una specie di legge per l’uomo, la statuizione circa la dispensa o la commutazione è rimessa alla Chiesa ma tale statuizione, precisa s. Tommaso, non significa la dispensa dal diritto naturale o divino, essa infatti determina solo ciò che cadeva sotto l’obbligazione della deliberazione umana(cfr. II-II q. 88 a. 10)

4) Dio non può cambiare le regole di giustizia che contengono i precetti del decalogo: “… praecepta ipsa Decalogi, quantum ad rationem iustitiae quam continent, immutabilia sunt.   Sed quantum ad aliquam determinationem per applicationem ad singulares actus, ut scilicet hoc vel illud sit homicidium, furtum vel adulterium, aut non, hoc quidem est mutabile, quandoque sola auctoritate divina, in his scilicet quae a solo Deo sunt instituta, sicut in matrimonio, et in aliis huiusmodi; quandoque etiam auctoritate humana, sicut in his quae sunt commissa hominum iurisdictioni. Quantum enim ad hoc, homines gerunt vicem Dei, non autem quantum ad omnia.”(I-II q. 100 a. 8 ad 3m)

Dio però può realizzare una determinazione per l’ applicazione ai singoli atti, stabilendo, con la sua autorità, che questo o quello sia o non sia omicidio o furto o adulterio; in questo modo gli Israeliti che si fecero dare cose dagli egiziani alla loro partenza dall’ Egitto non rubarono perché Dio stabilì che erano loro dovute; in modo simile Abramo non consentì ad un omicidio quando Dio gli comandò di uccidere Isacco perché Dio è padrone della vita e della morte e aveva deciso che egli fosse ucciso. In modo simile Osea, unendosi con la moglie fornicatrice o con la donna adultera non peccò perché quella donna era di lui, gli apparteneva secondo il mandato di Dio che è l’autore del matrimonio. Nel modo appena detto, però, Dio può in certo modo dispensare dai precetti della II tavola del Decalogo, come dice anche s. Bernardo, non da quelli della I tavola.[133]

Come dice s. Tommaso “ … contra praecepta primae tabulae, quae ordinant immediate in Deum, Deus dispensare non potest; sed contra praecepta secundae tabulae, quae ordinant immediate ad proximum, Deus potest dispensare; non autem homines in his dispensare possunt.” (Super Sent., lib. 1 d. 47 q. 1 a. 4) Dio non può dispensare dai precetti della I tavola del Decalogo , può dispensare invece, come visto, dai precetti della II tavola, ma gli uomini non possono.

Nel De Malo in particolare s. Tommaso afferma “Quod vero dicitur ad Oseam: accipe tibi mulierem fornicariam, etc., intelligitur secundum modum praecepti; sed praeceptum divinum facit ut non sit peccatum quod aliter esset peccatum. Potest enim Deus, ut Bernardus dicit, dispensare in praeceptis secundae tabulae, per quae homo immediate ordinatur ad proximum: bonum enim proximi est quoddam bonum particulare. Non autem potest dispensare in praeceptis primae tabulae, per quae homo ordinatur in Deum, qui a se ipso alios non potest avertere, non enim potest negare se ipsum, ut dicitur II ad Tim. II, 13, quamvis quidam dicant, quod ea quae dicuntur de Osea, sunt intelligenda contigisse in visione prophetiae.” Dio non può dispensare dai precetti della I tavola del Decalogo, può dispensare invece, come visto, dai precetti della II tavola, facendo che non sia peccato ciò altrimenti sarebbe peccato; infatti con i precetti della I tavola gli uomini sono ordinati a Dio, bene universale, e Dio non può negare sé stesso allontanando da sé gli uomini.  S. Tommaso cita il caso di Osea ma non è, comunque, sicuro del fatto che Dio abbia veramente comandato ad Osea qualcosa che è normalmente peccato perché fa notare come alcuni dicono che quelle cose che si affermano di Osea accaddero non nella realtà ma in visione profetica.

  1. Alfonso de Liguori, Dottore della Chiesa, riguardo alla dispensa afferma che essa scusa dalla trasgressione del precetto e, in particolare riguardo al Papa dice : “ Di podestà ordinaria ben può dispensare il papa in tutte le leggi canoniche, anche fatte dagli apostoli, come particolari prelati delle chiese: conforme sono il digiuno quaresimale, l’osservanza delle domeniche, la proibizione al bigamo d’ordinarsi ecc., secondo insegna s. Tommaso (Quodlib. 4. art. 13.) il quale dice, che ‘l papa può dispensare in tutte le cose che spettano ad determinationem divini cultus, ma non già nelle leggi tràdite da Gesù Cristo, conforme sono le leggi circa la materia e forma de’ sacramenti, e circa l’obblazione della messa (Lib. 1. n. 188. cum Salm. et aliis commun.).
  2. Se poi il papa possa anche dispensare in alcuni precetti divini; si risponde, che in quelle cose, nelle quali il ius divino nasce dalla volontà umana, come sono i voti, ed i giuramenti, è certo appresso tutti, che ‘l papa (purché vi sia giusta causa) può dispensare; perché allora, non è che ‘l papa tolga il ius divino, ma toglie il fondamento dell’obbligo, o pure, come dice s. Tommaso(2. 2. q. 88. art. 12.), determinat quid sit Deo acceptum. Il dubbio sta, se possa dispensare in quelle cose che assolutamente dipendono dall’arbitrio divino. Vi sono tre sentenze. La prima ch’è dell’abate, e di altri pochi, l’afferma universalmente; ma questa comunemente si riprova. La seconda ch’è di Navarro, Cano, Sanchez, ecc., l’afferma solamente in alcuni casi particolari, come nel matrimonio

rato, residenza de’ vescovi, nel dare a’ sacerdoti semplici la facoltà di amministrare gli ordini, e la cresima, e simili; perché in queste cose vi può essere tal causa che preponderi all’indecenza considerata dal precetto; ma lo nega in altre cose nelle quali in ogni caso deve evitarsi l’indecenza, come nel precetto di non fornicare, di non mutare le materie e forme de’ sacramenti (almeno in quanto alla sostanza), e simili. La terza sentenza più comune e più probabile di Suarez, Silvestro, Castropal., e Covarruvia con s. Tommaso (2. 2. q. 97. a. 4.), lo nega universalmente, perché l’inferiore niente può nelle leggi del superiore. Nulladimeno molto probabilmente dicono Soto, Suarez, Navarro, Coninchio, Valenzia, Durando, ecc. che il papa in qualche caso particolare ben può, non già dispensare, ma dichiarare, che la legge divina allora non obbliga, poiché una tale podestà nel papa par che sia necessaria per lo buon governo della chiesa, a riguardo di tante varie circostanze che possono occorrere (L. 6. de matr. n. 1110.).”[134]

Riguardo a questa sentenza e alle opinioni di Suarez e degli altri sulla possibilità che il Papa affermi che la Legge divina non obbliga non consta che ciò significhi che il Papa possa dispensare  dai precetti Decalogo. F. Suarez, in particolare, segue molto direttamente s. Tommaso e afferma che neppure Dio può dispensare dai precetti del Decalogo, l’uomo, e in particolare il Papa, può precisare, nella Verità, circa la materia del precetto, la quale è soggetta a mutazione e precisazione, p. es. ciò che prima era di una persona può diventare di un altra e quindi ciò che era furto non lo è più … (cfr. F. Suarez “Tractatus de legibus et de Deo Legislatore” l. II c. XV n. 16) ma non può dispensare dai precetti del Decalogo.

Il famoso testo di teologia morale secondo la dottrina alfonsiana realizzato da Aertnys e Damen  afferma che solo Dio può dispensare dal diritto divino positivo si dia vera  delle norme della legge naturale, la Chiesa non ha la potestà di concedere dispensa propriamente detta circa il diritto divino positivo; la Chiesa può interpretare la Legge divina positiva e, per la potestà vicaria, può impropriamente dispensare nel diritto divino positivo in quanto si appoggia su un fatto umano; in questa linea la Chiesa dispensa nel vincolo matrimoniale rato ma non consumato (cfr. Aertnys e Damen “Theologia Moralis .” Marietti, 1956, vol. I p. 145s)

L’assoluta indispensabilità dei comandi del decalogo si salda perfettamente con la verità per cui i precetti negativi del decalogo valgono sempre e per sempre … sempre e in ogni circostanza[135] tali precetti negativi sono sempre e assolutamente obbligatori a tal punto da essere assolutamente indispensabili.

Solo Dio, ed entro i limiti, a Lui convenienti, della Giustizia, può “dispensare” dalle leggi divine e naturali, non gli uomini e neppure il Papa … come dicemmo più sopra: nessuno può dispensare sé o altri dal Decalogo, e ciò vale anche per il Confessore e per il penitente … e ciò vale anche dopo Amoris Laetitia e dopo la lettera dei Vescovi argentini …

Per quanto attiene all’epicheia diciamo anzitutto che questo termine e il suo concetto  hanno  origine nella Grecia classica[136]

Aristotele tratta con profondità dell’epicheia: “Lo studio aristotelico dell’epicheia costituisce senza dubbio un momento culminante della storia di questo concetto. E ciò va affermato non solo perché tale studio è il più classico e il più organico, ma anche perché il suo influsso sulla tradizione morale cattolica è stato determinante. ”[137]

La traduzione della Bibbia in greco, la LXX, usa più volte il termine greco ἐπιείκεια e le parole ad essa collegate come ἐπιεικής etc. nel senso di clemenza, equità in particolare di Dio e di uomini  vicini a Dio[138]

Nel Nuovo Testamento il termine in questione e le parole ad esso collegate si trovano in vari casi   nel senso già visto nella LXX, si parla di epicheia di Cristo (2 Cor. 10,1; Fil. 2,5)  i cristiani devono mostrare epicheia (Fil. 3,20)  e in particolare ciò deve attuarsi nella comunità (2 Cor. 10, 6.8) e più generalmente i cristiani devono mostrare epicheia verso tutti gli uomini (Fil. 4,5) Questa epicheia viene dal Cielo ed è in stretta relazione con il Cielo (cfr. Fil. 2,15s) e manifesta la clemenza degli abitatori del Cielo; in questa linea la sapienza che viene dal Cielo (Gc. 3,17) è piena di epicheia.[139]

Il termine in questione con i suoi derivati si trova ovviamente nei Padri della Chiesa nel senso di clemenza, mitezza (cfr. H. Preisker “ ἐπιείκεια” in “Grande Lessico del Nuovo Testamento”  Paideia , Brescia 1967 v. III p. 708 s.); attraverso i commenti ad Aristotele questo gruppo di termini entra nel Medioevo latino, in particolare : “ … con la traduzione latina dell’Etica Nicomachea realizzata da Roberto Grossatesta. Prima era conosciuto soltanto il testo aristotelico dei Topici VI, 3, 141a e anche l’aequitas della tradizione romanistica.”[140]

Il concetto di epicheia, secondo s. Tommaso, è identico a quello di equità e si basa sulla verità per cui non è possibile statuire una norma umana che in qualche caso non sia inadeguata perché la legge ha per oggetto gli atti umani, che riguardano cose contingenti e che possono variare in infiniti modi. (cfr. II-II q. 120 a. 1); l’epicheia è quindi la virtù per la quale la persona, nei casi in cui la legge umana è inadeguata, fa valere non la legge stessa ma la regola della giustizia e la comune utilità, p. es. la legge stabilisce che occorre sempre restituire ciò che si ha in deposito ma se un pazzo furioso viene a riprendersi la spada che mi ha lasciato in deposito e con essa può compiere uccisioni di persone indifese, l’epicheia mi indica che non devo restituirgliela.(cfr. II-II q. 120 a. 1)

Più precisamente l’epicheia non interviene in ogni caso ma solo quando la legge è chiaramente dannosa per la comunità e il pericolo è immediato e non si può aspettare di ricorrere al superiore; allora occorre agire appunto secondo epicheia; se, invece, l’osservanza di tale legge non comporta un pericolo immediato non deve essere il singolo attraverso l’epicheia a interpretare la legge ma ciò compete al principe.(cfr. I-II, q. 96 a. 6 co.)

L’epicheia riguarda essenzialmente le norme umane essa è guidata dal diritto naturale e fa valere tale diritto e la giustizia naturale contro la giustizia semplicemente legale, meglio è ovviamente l’ epicheia che la giustizia legale;[141] l’epicheia corrisponde alla giustizia legale superandola appunto con la giustizia naturale. (cfr. II-II q. 120 a. 2) In questo s. Tommaso segue in certo modo s. Alberto Magno che ritiene l’epicheia migliore della giustizia legale ma non del giusto naturale e quindi del diritto naturale, l’epicheia va dunque ricondotta al diritto naturale.[142]

  1. Tommaso in questa linea nega chiaramente che si possa dare epicheia dei precetti del Decalogo che sono addirittura Legge divina rivelata: contengono la legge naturale e la superano;le norme del decalogo, precisa s. Tommaso, contengono in sé stesse l’intenzione del Legislatore e sono indispensabili (cfr. I-II q. 100 a. 8); d’altra parte abbiamo visto che, secondo s. Tommaso, i precetti negativi del Decalogo obbligano sempre e in ogni circostanza[143] e ad ogni costo, quindi è ovvio che siano assolutamente sottratti all’epicheia.

A partire dal Gaetano, famoso commentatore di s. Tommaso, viene posto il problema del rapporto tra l’epicheia e la legge naturale sulla base di un esame attento della legge positiva umana: la legge positiva, che appunto è oggetto di epicheia, contiene in realtà due ordini di precetti: alcuni che sono meramente positivi e altri che appartengono in realtà al diritto naturale e tra questi precetti di diritto naturale occorre distinguerne due tipi : quelli universalmente veri e che non vengono mai meno (ad es. non si deve mentire , non si deve commettere adulterio etc.) e riguardo a questi questi non ha mai luogo epicheia, quelli che sono veri nella maggior parte dei casi ma non sempre perché contengono norme che se applicate sempre deviano in alcuni casi dalla rettitudine, come il precetto per cui le cose ricevute in deposito devono essere restituite, e riguardo a questi questi ha luogo l’epicheia :“Nam quaedam sic sunt universaliter vera ut in nullo casu deficiant: ut non esse mentiendum, non esse adulterium perpetrandum, et huiusmodi. Et in istis, quia deficere nequeunt, nullum locum habet aequitas. Quaedam vero sunt quae ut in pluribus rectitudinem continent, in aliquo tamen casu a rectitudine declinarent si servarentur. Ut, deposita reddenda esse rectum est ut in pluribus: quia tamen quandoque, si redderetur depositum, esset iniquum, oportuit aliquod aliud directivum inveniri horum operum in quibus lex naturalis depositorum.”[144] Il ragionamento del Gaetano è davvero illuminante e spiega molto bene come alcune norme naturali implicate nelle norme positive siano suscettibili di epicheia e altre no; esistono, ripeto, norme di diritto naturale che valgono sempre e norme di tale diritto che valgono solo in alcuni casi e solo su queste seconde si attua l’epicheia.

Sottolineo che questo significa chiaramente che ciò che s. Tommaso afferma riguardo alla legge umana e alla sua limitatezza di estensione in II-II q. 120 a.1 in c. non va esteso al diritto naturale, vi sono, in particolare, alcune leggi di tale diritto che valgono assolutamente sempre!

Il ragionamento di Gaetano è veramente illuminante e preciso, appunto nella linea del Gaetano dobbiamo leggere ciò che afferma s. Alfonso circa l’epicheia quando dice che essa si applica riguardo alle leggi umane e anche riguardo a quelle naturali[145]; s. Alfonso segue normalmente s. Tommaso e anche in questo caso la sua linea è nella linea tomista, in particolare nella linea del miglior commentatore del Dottore Angelico; può essere sottoposta a epicheia la legge umana positiva e le norme di diritto naturale in essa implicate che non siano valide in tutti i casi, le norme naturali che sono sempre valide, sono escluse dall’epicheia. Quindi in particolare le norme che valgono sempre e per sempre, cioè le norme negative del decalogo, sono escluse dall’epicheia.

In questa linea va essenzialmente il famoso testo di teologia morale secondo la dottrina alfonsiana realizzato da Aertnys e Damen (cfr. Aertnys e Damen “Theologia Moralis ..” Marietti, 1956, vol. I p. 320s)

Il testo di Wernz-Vidal afferma similmente : “Similiter duplex exsistit aequum scl. aequum naturale et legale. Aequum naturale idem plane est atque iustum naturale. Quo sensu vel ipsa iura cívilia saepe loquuntur de aequitate naturali: “Neque enim inaudita causa quemquam damnari aequitatis ratio patítur” (18). Aequìtas hoc modo intellecta non est emendatio iuris, sed potìus regula ipsius iuxta L. 90 D. de R. I. I. 17: “In omnibus quidem maxíme tamen in iure aequitas spectanda est”. Aequum vero legale dicitur prudens moderatio legis scriptae (19) praeter rigorem verborum illius atque ita opponitur stricto iuri. Huiusmodi emendatio iusti legalis sive aequitas exercetur per epikeiam (20). . Ad virtutem enim epikeiae spectat contra verba legis humanae agere in particulari. quando illius observatio esset illicita et contra naturalem aequitatem aut saltem nimis gravis et difficilis.(21). Quo in casu iudex dicitur agere non iure i. e. materìaliter spectato. et ut verba sonant. sed aequo et bono, et ius ipsum ìuxta íntentíonem legislatorìs servatur. Dum contrario agendi modo ius potius violatur iuxta R. I. 88 in Sext.: “Certum est, quod is committít in legem, qui legis verba complectens contra legìs nititur voluntatem”.[146]

Esiste quindi una duplice equità: una naturale e una legale; l’equità naturale è la giustizia naturale che è regola dello stesso diritto; la virtù dell’epicheia interviene per attuare l’equità legale con una prudente moderazione della legge scritta che si oppone allo stretto diritto, alla virtù dell’epicheia spetta di agire contro le parole della legge umana in particolare quando l’osservanza di essa sarebbe illecita e contraria alla naturale equità o almeno troppo grave e difficile. L’epicheia quindi è guidata dalla legge naturale e non si applica alla legge naturale intesa con profondità nei suoi principi fondamentali sempre validi.

Quello che abbiamo detto ci deve fare capire che l’epicheia non ha nessuno spazio riguardo al Decalogo; cioè in particolare riguardo a quelle norme sempre valide fissate dalla morale naturale e presentate anche nel diritto divino come assolutamente obbliganti.

Come spiega il Card. Ratzinger l’epicheia non ha nessuno spazio riguardo al diritto divino,infatti :“Epicheia ed aequitas canonica sono di grande importanza nell’ambito delle norme umane e puramente ecclesiali, ma non possono essere applicate nell’ambito di norme, sulle quali la Chiesa non ha nessun potere discrezionale .”[147] … ovviamente sui comandamenti divini la Chiesa non ha nessun potere discrezionale. Dio ci doni Luce e si renda coraggiosi per far valere la sua Verità. Quello che ha detto il Card. Ratzinger è stato ripetuto recentemente dal Card. Müller: “Anche la dottrina dell’epichèia, secondo la quale una legge vale sì in termini generali, ma non sempre l’azione umana vi può corrispondere totalmente, non può essere applicata in questo caso, perché l’indissolubilità del matrimonio sacramentale è una norma di diritto divino, che non è dunque nella disponibilità autoritativa della Chiesa. Questa ha, tuttavia, il pieno potere — sulla linea del privilegio paolino — di chiarire quali condizioni devono essere soddisfatte prima che un matrimonio possa definirsi indissolubile secondo il senso attribuitogli da Gesù. Su questa base, la Chiesa ha stabilito gli impedimenti al matrimonio che sono motivo di nullità matrimoniale e ha messo a punto una dettagliata procedura processuale. ”[148]

Il cardi. Ruini affermò in questa stessa linea : “Quanto alla “epicheia” e alla “aequitas” canonica, esse sono criteri molto importanti nell’ambito delle norme umane e puramente ecclesiali, ma non possono essere applicate alle norme di diritto divino, sulle quali la Chiesa non ha alcun potere discrezionale.”[149]

Quindi non si dà epicheia o dispensa dei comandamenti del Decalogo. Quindi nessuno può “liberarsi” o “liberare” altri dall’osservanza dei 10 comandamenti attraverso la dispensa e l’epicheia; il Papa, in particolare, non può dispensare nessuno dall’osservanza di tali precetti, anzi … il Papa deve essere il primo ad osservarli e il primo a difenderli …

Dio ci illumini sempre meglio.

e) Come l’ Amoris Laetitia ai n. 304s mette furbamente da parte la Legge rivelata …

Dice l’Amoris Laetitia al n. 304 che è sbagliato : considerare solo se l’agire di una persona è conforme a una legge o a una norma generale, perché ciò non è sufficiente per capire se l’uomo è pienamente fedele a Dio e per spiegare meglio il messaggio che vuole veicolare, il Papa presenta un testo di s. Tommaso d’Aquino  che afferma: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti. […] E tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare». (Summa Theologiae I-II, q. 94, art. 4)

Il Papa continua affermando che le norme  generali:  “… presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari.”

D’altra parte non può essere elevato a norma generale, continua il Papa, ciò che è frutto di discernimento di un caso particolare. Qui il Papa cita un altro testo di s. Tommaso per cui  “Quia igitur prudentia est ratio activa, oportet quod prudens habeat utramque notitiam, scilicet et universalium et particularium; vel, si alteram solum contingat ipsum habere, magis debet habere hanc, scilicet notitiam particularium, quae sunt propinquiora operationi.” (Sententia libri Ethicorum, VI, 6, 11) Poiché la prudenza è ragione attiva, occorre che il prudente abbia sia la conoscenza delle cose universali che di quelle particolari, se  fosse possibile avesse una sola di tali scienze sarebbe da preferirsi quella delle cose particolari , che sono più vicine all’operazione.

Faccio notare subito che i testi in questione parlano di Legge naturale, non di Legge divina (positiva). In particolare, il testo del libro del libro  “Sententia libri Ethicorum” tratta di questioni filosofiche e appunto dà indicazioni per un discernimento filosofico, sulla base della legge naturale.

Di legge naturale la stessa Esortazione parla anche al n. 305 laddove riporta un testo della Commissione Teologica Internazionale … su questioni fondamentali di morale il Papa mette furbamente da parte la Legge rivelata, quindi anche la Legge della carità … in questo modo pur citando s. Tommaso papa Francesco va contro la sana dottrina tomista e soprattutto va contro la sana dottrina cattolica, come vedremo meglio nei prossimi paragrafi.

e,1) Esame approfondito di  I-II q. 94 a.4, testo citato in Amoris Laetita n. 304.

Esaminiamo ora l’articolo della Somma Teologica, I-II q. 94 a.4, presentato in modo parziale  nel testo dell’ Amoris Laetitia al n. 304; l’articolo può essere integralmente letto qui nel sito Corpus Thomisticum , qui http://www.corpusthomisticum.org/sth2094.html#37604  e, in latino con traduzione  italiana, qui  nel sito delle Edizioni Studio  Domenicano    https://www.edizionistudiodomenicano.it/Docs/Sfogliabili/La_Somma_Teologica_Seconda_Parte/index.html#916

Per capire a fondo ciò che l’Angelico sta dicendo occorre andare ai passi paralleli delle sue opere :  I-II q. 94. a. 5 in c.; II-II, q. 57, a. 2, ad 1; In 3 Sent., d. 37, q. 1, a. 3; a. 4, ad 2; In 4 Sent., d. 33, q. 1, a. 2, ad 1; De Malo, q. 2, a. 4, ad 13; In 5 Ethic., lect. 12 etc.

  1. Tommaso sta evidentemente parlando della Legge naturale, comune a tutti gli uomini, e nell’ articolo in oggetto si domanda se tutti i popoli conoscano, riconoscano e applichino i principi della legge naturale. Il discorso di s. Tommaso è generale, per tutti gli uomini, e non entra in particolare nell’ esame dei popoli cristiani che hanno la fede, s. Tommaso qui non parla direttamente della fede; egli piuttosto astrae dalla fede … e sviluppa un discorso che riguarda l’uomo e si basa essenzialmente sulla buona filosofia e sulla retta ragione, parla di ragione pratica e ragione speculativa … ma non parla specificamente di fede.
  2. Tommaso precisa, altrove, che :” … fides est in intellectu speculativo sicut in subiecto, ut manifeste patet ex fidei obiecto. Sed quia veritas prima, quae est fidei obiectum, est finis omnium desideriorum et actionum nostrarum, ut patet per Augustinum, in I de Trin.; inde est quod per dilectionem operatur. Sicut etiam intellectus speculativus extensione fit practicus, ut dicitur in III de anima.” (II-II q.4 a. 2 ad.3) La fede illumina l’intelletto speculativo e quello pratico.

Dice ancora s. Tommaso: “Cum enim credere sit actus intellectus assentientis vero ex imperio voluntatis, ad hoc quod iste actus sit perfectus duo requiruntur. Quorum unum est ut infallibiliter intellectus tendat in suum bonum, quod est verum, aliud autem est ut infallibiliter ordinetur ad ultimum finem, propter quem voluntas assentit vero. Et utrumque invenitur in actu fidei formatae. Nam ex ratione ipsius fidei est quod intellectus semper feratur in verum, quia fidei non potest subesse falsum, ut supra habitum est, ex caritate autem, quae format fidem, habet anima quod infallibiliter voluntas ordinetur in bonum finem. Et ideo fides formata est virtus.”(II-II q.4 a. 5) Per la fede viva, formata, la verità illumina l’intelletto, illumina la ragione e la conduce a retti giudizi.

Vedemmo più sopra che la coscienza morale è giudizio della ragione pratica sulle azioni compiute o su quelle da compiere.

Vedemmo che il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n. 1794: ” La coscienza buona e pura è illuminata dalla fede sincera.”

La regola corrotta, dice s. Tommaso, non è regola, la ragione falsa non è ragione , perciò la regola delle azioni umane non è semplicemente la ragione ma la ragione retta (cfr. Super Sent., II d.24 q.3 a.3 ad 3m.)

  1. Tommaso precisa che la coscienza morale per essere retta, deve essere guidata e regolata da Dio: Prima Regola, Legge eterna (cfr. II-IIae q.23 a. 3 in c. e a.6 in c.).

La coscienza morale in quanto atto della ragione (pratica) porta in sé evidentemente le conseguenze della ferita arrecata alla nostra ragione dal peccato (originale e attuale), ferita che e` l’ignoranza per la quale la ragione è destituita dal suo ordine verso la verità (“ratio destituitur suo ordine ad verum”)(Cfr.  I-IIae q.85 a.3)

La coscienza morale umana, in quanto privata della grazia a causa del peccato originale, da sé stessa non è capace di conoscere le cose della fede e non è capace di opporsi a ciò che va contro la fede (cfr. Super Sent.,II d. 39 q.3 a.1ad 3m)

Attraverso la sua Incarnazione per la nostra salvezza, spiega il s. Dottore Angelico, il Signore ha purificato la nostra coscienza con il suo Sangue (Super Heb., cap. 9 l. 3)  Accogliendo il dono di Dio in Cristo la nostra  coscienza è purificata dalla grazia e dalla fede, è una coscienza illuminata dalla salvezza portata da Cristo, è una coscienza morale cristiana, cioè una coscienza rettificata sotto la guida dello Spirito Santo; s. Tommaso dice a riguardo :”Testis infallibilis sanctorum est eorum conscientia, unde (Apostolus n.d. r.) subdit “testimonium mihi perhibente conscientia mea”II Cor.1,12 “Gloria nostra haec est, testimonium conscientiae nostrae”. Et quia interdum  conscientia errat nisi per Spiritum Sanctum rectificetur, subdit “in Spiritu Sancto”. Supra 8,16 “Ipse Spiritus testimonium reddit spiritui nostro.” (Cfr. Super Rom. c.9 lec.1.)  Si noti: per i santi il testimone infallibile è la coscienza morale; e perché è infallibile? Perché è un testimone rettificato, attraverso la grazia, dallo Spirito Santo che è Dio;  è, quindi, un testimone pienamente guidato e regolato da Dio: Prima Regola, Legge eterna (cfr. II-IIae q.23 a. 3 in c. e a.6 in c.). Attraverso la fede e la grazia, Dio Verità rettifica la coscienza morale del fedele, facendola partecipare alla sapienza di Cristo, come confermato da s. Tommaso in questo testo che segue:“…“nos autem”, scilicet spirituales viri, “sensum Christi habemus” idest recipimus in nobis sapientiam Christi ad iudicandum. Eccli 17,6: Creavit illis scientiam spiritus, sensu adimplevit corda illorum”.(Super  I Cor. c.2 lec.3.). Noi , cioè gli uomini spirituali abbiamo il pensiero di Cristo cioè abbiamo ricevuto la sapienza di Cristo per giudicare. La coscienza morale in quanto illuminata dalla fede  è  la coscienza cristiana, la coscienza che riceviamo in Cristo. In Lui riceviamo il dono della coscienza veramente retta e santa che comprende la percezione dei principi della moralità secondo la Verità rivelata, la loro applicazione nelle circostanze di fatto mediante un discernimento pratico delle ragioni e dei beni e, soprattutto, il giudizio retto e santo riguardante gli atti concreti che si devono compiere o che sono già stati compiuti. La verità piena sul bene morale è praticamente e rettamente riconosciuta attraverso il giudizio prudente della coscienza illuminata dalla fede, specie se viva. Le virtù infuse unite alla carità ci dispongono in modo perfetto al compimento dell’atto che è la coscienza morale soprannaturale . La coscienza morale cristiana è un atto, invece le virtù infuse sono disposizioni all’atto dunque le virtù infuse predispongono anche al compimento dell’atto che è la coscienza morale cristiana. La fede, in quanto viva e unita alla carità è una virtù infusa che   predispone in modo perfetto l’uomo al compimento dell’atto che è la coscienza morale cristiana:  “ Id enim quod universaliter fide tenemus, puta usum ciborum esse licitum vel illicitum, conscientia applicat ad opus quod est factum vel faciendum”(Super  Rom., cap. 14 l. 3. ) Ciò che crediamo per fede  la coscienza morale lo applica ad un’opera che è stata fatta o deve essere fatta per giudicare ciò che è stato fatto e per stabilire cosa si deve fare.

La Croce Sacra sia la nostra luce.

Questo che ho appena detto qui sopra significa che la fede illumina la coscienza morale e la ragione pratica … e ci porta a giudicare rettamente sul da farsi …

Il testo di I-II q. 94 a.4 in quanto astrae dalla fede è radicalmente inadatto per spiegare con precisione il discernimento di un credente cattolico, e la citazione che il Papa fa nell’Amoris Laetitia è radicalmente inadatta e ovviamente fuorviante per spiegare con precisione il discernimento  di un credente cattolico. Il Papa afferma al n. 304: “Prego caldamente che ricordiamo sempre ciò che insegna san Tommaso d’Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti. […] E tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare»(I-II q. 94 a. 4). ”

Ma questa è semplice etica umana naturale, assolutamente insufficiente per un discernimento di credenti cristiani che hanno la fede e la coscienza morale illuminata dalla fede.

La fede e la coscienza morale cristiana precisano bene il giudizio morale e il discernimento del cristiano facendogli noto il suo obbligo di conformarsi ai 10 comandamenti e quindi il valore semper et pro semper dei precetti negativi del Decalogo.

Il giudizio del cristiano è determinato dalla luce della fede e quindi dalla luce della Rivelazione.

Dice s. Tommaso, come visto, che noi abbiamo ricevuto, per grazia la sapienza di Cristo per giudicare (cfr. Super I Cor. c.2 lec.3.); la coscienza morale illuminata dalla fede è atto illuminato dalla sapienza che viene in noi attraverso la grazia, cioè in ultima analisi dalla sapienza di Cristo. Cristo, Regola somma conforme a noi e Capo del suo Corpo Mistico ci dona sapienza soprannaturale nella fede e nella carità (Super Sent., III d. 13 q. 2 a. 1 in c.); da Cristo Capo, perciò, noi riceviamo, l’intelligenza, la sapienza e la carità per poter realizzare l’atto perfetto di coscienza morale soprannaturale. In tale atto soprannaturale, la fede precisa il giudizio universale della sinderesi (cfr. Super Sent., lib. 2 d. 39 q. 3 a. 2 in c.) . Quindi, come detto, nella coscienza morale soprannaturale, resta la synderesi ma coadiuvata dalla fede, in questa linea dobbiamo intendere quello che dice s. Tommaso  nel seguente testo :

“Deinde cum dicit “Beatus qui non iudicat” […] Id enim quod universaliter fide tenemus, puta usum ciborum esse licitum vel illicitum, conscientia applicat ad opus quod est factum vel faciendum […]”(Super Rom., cap. 14 l. 3.)

Per noi questo significa che la coscienza soprannaturale, sempre guidata dalla synderesi ma appunto coadiuvata dalla fede, applica al caso concreto ciò che universalmente teniamo per fede. La fede è dunque la luce sulla base della quale si compie la coscienza morale soprannaturale, per la fede partecipiamo in Cristo alla conoscenza di Dio:

“ … per potentiam intellectivam homo participat cognitionem Dei per virtutem fidei … ”(Cfr.  I-IIae q. 110 a.4 in c.)

Per la fede, quindi, partecipiamo alla conoscenza divina, in Cristo, sicché possiamo giudicare in modo veramente retto le nostre azioni.

Per fede vengono fissati in noi i principi dell’operare soprannaturale sulla base dei quali giudichiamo il nostro comportamento.

Anche quando la fede non è viva, e non è unita alla grazia santificante, illumina la nostra coscienza morale e la rende cristiana.

  1. Tommaso afferma che la fede illumina l’intelletto donando ad esso la conoscenza di verità soprannaturali che sono principi per l’azione soprannaturale (cfr. De virtutibus, q. 1 a. 10 in co.); ma va notato che la fede di cui qui si parla è, soprattutto, la fede perfetta, e affinché l’atto della fede sia perfetto e meritorio occorre che l’abito della virtù sia nell’intelletto, per la fede stessa, e nella volontà(cfr. II-II a. 2 ad 2m), per la carità (cfr II-II a. 3). Per la fede perfezionata dalla carità, nella maniera più piena si attua in noi il giudizio di Cristo su una determinata azione, è per questa fede che la sapienza di Cristo per giudicare viene a noi partecipata in modo molto alto, è per questa fede unita alla carità che la vita divina, attraverso Cristo viene in noi e con essa vengono i doni dello Spirito Santo che radicano più pienamente in noi l’abito della fede e perfezionano la nostra coscienza.

La Commissione Teologica ha affermato in questa linea: “La fede, in quanto virtù teologale, rende il credente capace di partecipare alla conoscenza che Dio ha di se stesso e di tutte le cose. … Mediante la grazia e le virtù teologali i credenti divengono «partecipi della natura divina» (2Pt 1,4) e sono in qualche modo resi connaturali a Dio. …”[150]

Spiega ancora la Commissione Teologica Internazionale “La carità permette il dispiegarsi dei doni dello Spirito Santo nei credenti, conducendoli a una comprensione superiore delle cose della fede «con ogni sapienza e intelligenza spirituale» (Col 1,9).[Cf. Commissione teologica internazionale, La teologia oggi, nn. 91-92.] In effetti le virtù teologali si esprimono pienamente nella vita del credente solo se egli si lascia guidare dallo Spirito Santo (cf. Rm 8,14).”[151]

A riguardo occorre considerare che, come detto, la coscienza, a livello naturale, è applicazione degli abiti operativi della ragione che sono la synderesi, la scienza e la sapienza; a livello soprannaturale la coscienza morale è partecipazione, alla perfezione di Cristo, partecipazione che si attua in noi attraverso la fede, soprattutto attraverso la fede viva con la carità, le virtù infuse e i doni dello Spirito Santo: la carità difatti informa e perfeziona la fede e porta nell’anima umana tutte le virtù e i doni dello Spirito Santo; per tale partecipazione alle perfezioni di Cristo noi possiamo realizzare nella maniera più alta e divina i 2 atti in cui consiste la coscienza morale: l’esame e il consiglio o deliberazione (cfr. De veritate,q.17 a.1 in c.) per tale partecipazione possiamo giudicare nella maniera più perfetta i nostri atti. Per tale partecipazione alle perfezioni di Cristo, ulteriormente, la nostra volontà, che è il fulcro della vita morale cristiana, può orientarsi verso  la beatitudine del cielo e quindi verso tutti gli atti santi e meritori che ad essa veramente conducono.

Anche la fede informe, che è priva della carità, ci fa partecipare, in certo modo, alla sapienza di Cristo ma in modo meno perfetto e illumina la coscienza morale cristiana.

La Croce Sacra sia la nostra luce.

L’Amoris Laetitia mette praticamente da parte, quindi, la fede e si ferma semplicemente alla ragione pratica naturale degli uomini cui fa riferimento s. Tommaso in I-II q. 94 a.4.

L’Amoris Laetitia si ferma alla Legge naturale e non va alla Rivelazione … eppure anche s. Tommaso, come visto, spiega molto bene i limiti della Legge naturale e la necessità della Legge divina positiva : “Ad primum ergo dicendum quod lex scripta dicitur esse data ad correctionem legis naturae, vel quia per legem scriptam suppletum est quod legi naturae deerat, vel quia lex naturae in aliquorum cordibus, quantum ad aliqua, corrupta erat intantum ut existimarent esse bona quae naturaliter sunt mala; et talis corruptio correctione indigebat. ” (I-II q. 94 a. 5 ad 1m) La Legge scritta è stata data a correzione della Legge naturale sia perché è stato aggiunto ciò che ad essa mancava, sia perché la Legge di natura era corrotta in alcuni cuori quanto a qualcosa sicché stimavano buone le cose che sono naturalmente cattive e tale corruzione richiedeva la correzione.

Qualche pagina più sopra, parlando del rapporto che c’è tra la Legge naturale e la Legge divina positiva abbiamo visto ampiamente perché è stato necessario che Dio desse la Legge divina.  S. Tommaso , cui il Papa dice di rifarsi, tratta abbondantemente, nelle sue opere della Legge divina positiva; solo nella Somma Teologica  il s. Dottore dedica almeno 10 questioni  e circa 60 articoli alla trattazione della Legge divina positiva.

Alla Legge rivelata è legata la virtù della fede e il comando della stessa fede di cui s. Tommaso parla abbondantissimamente nelle sue opere …

f) Ribadisco: l’ Amoris Laetitia ai nn. 304s fa incredibilmente scomparire, su un punto essenziale della morale, la Legge rivelata e quindi la Legge della carità, vediamo perché.

Sottolineo fortemente e preciso quanto ho appena detto: quello che afferma s. Tommaso in I-II q. 94 a. 4 riguarda la Legge naturale e non la Legge divina positiva, che ci è data proprio per correzione della Legge naturale e per la nostra salvezza eterna, come lo stesso santo dice chiaramente; quello che il Dottore Angelico dice in I-II q. 94 a. 4, come notammo più sopra, è assolutamente inadatto ed è deviante al fine di dare indicazioni precise circa il discernimento che i credenti cattolici devono realizzare perché tale articolo non parla della fede e della sua azione nella vita del cristiano. Il Papa dice di rifarsi a s. Tommaso, il quale tratta abbondantemente, nelle sue opere, della Legge divina positiva e della fede, ma l’Amoris Laetitia al n. 304 appunto mette in evidenza questa affermazione circa la Legge naturale e circa la ragione pratica e mette da parte la Legge divina rivelata data da Dio proprio per correzione e superamento della Legge naturale e per la salvezza eterna delle anime e mette da parte la fede. Praticamente lo stesso fa il Papa al n. 305, ma usando un testo della Commissione Teologica, laddove afferma“ Pertanto, un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa «per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite».[152] In questa medesima linea si è pronunciata la Commissione Teologica Internazionale: «La legge naturale non può dunque essere presentata come un insieme già costituito di regole che si impongono a priori al soggetto morale, ma è una fonte di ispirazione oggettiva per il suo processo, eminentemente personale, di presa di decisione».[153]

L’Amoris Laetitia, sottolineo, mette da parte, sottilmente e discretamente, la Legge divina rivelata con la sua chiarezza, precisione e la sua indispensabilità e obbligatorietà, che la Tradizione mette in evidenza, l’ Amoris Laetitia mette da parte la fede infusa, per presentare affermazioni riguardanti la Legge naturale e la semplice ragion pratica!

Si tratta di un fatto molto grave che mi pare si spieghi molto bene se si considera la sovversione che il Papa sta realizzando riguardo alla sana dottrina.

Occorre notare, infatti, che la Commissione Teologica nel documento citato parla dell’esistenza e della preminenza della Legge divina positiva accanto alla Legge naturale e dice : “ La grazia non distrugge la natura ma la risana, la conforta e la conduce alla sua piena realizzazione. Perciò, … la legge naturale …  non è estranea all’ordine della grazia. Gesù Cristo non è «venuto per abolire ma per dare pieno compimento» alla Legge (Mt 5,17) (…). … Ma ne ha pure confermato il contenuto essenziale e, nella sua persona, ha portato a perfezione la pratica della Legge, assumendo per amore i diversi tipi di precetti — morali, cultuali e giudiziari — della Legge mosaica, che corrispondono alle tre funzioni di profeta, sacerdote e re. … Gesù ha valorizzato in diversi modi il primato etico della carità, che unisce inseparabilmente l’amore di Dio e l’amore del prossimo (…). La carità è il «comandamento nuovo» (Gv 13,34) che ricapitola tutta la Legge e ne dà la chiave di interpretazione … Le beatitudini e il discorso della montagna spiegano il modo in cui si deve vivere il comandamento dell’amore, nella gratuità e nel senso dell’altro, elementi propri della nuova prospettiva assunta dall’amore cristiano. … La persona stessa di Cristo, Logos e Sapienza incarnati, diventano così la legge vivente, la norma suprema per ogni etica cristiana.  …  La grazia dello Spirito Santo costituisce l’elemento principale della nuova Legge o Legge del Vangelo … La nuova Legge del Vangelo include, assume e porta a compimento le esigenze della legge naturale. Gli orientamenti della legge naturale non sono dunque istanze normative esterne rispetto alla nuova Legge. Sono una parte costitutiva di questa, anche se seconda e ordinata all’elemento principale, che è la grazia di Cristo (…). Perciò è alla luce della ragione illuminata ormai dalla fede viva che l’uomo riconosce meglio gli orientamenti della legge naturale, che gli indicano la via del pieno sviluppo della sua umanità.”[154]

Vedemmo più sopra che alla Legge rivelata è legata la fede e appunto, come appena visto: ” … è alla luce della ragione illuminata ormai dalla fede viva che l’uomo riconosce meglio gli orientamenti della legge naturale, che gli indicano la via del pieno sviluppo della sua umanità.” Più generalmente  la fede illumina la ragione e le presenta la Legge rivelata da vivere.

S. Tommaso, sulla base della S. Scrittura, oltre che indicarci i comandi divini per la nostra salvezza eterna, precisa, come vedemmo più sopra, che: i precetti negativi del Decalogo obbligano sempre e per sempre mentre i precetti affermativi obbligano sempre ma non “ad semper”, cioè obbligano a luogo e tempo convenienti [155] S. Tommaso afferma in questa linea nella Somma Teologica :  “Sed considerandum est quod sicut praecepta negativa legis prohibent actus peccatorum, ita praecepta affirmativa inducunt ad actus virtutum. Actus autem peccatorum sunt secundum se mali, et nullo modo bene fieri possunt, nec aliquo tempore aut loco, quia secundum se sunt coniuncti malo fini, ut dicitur in II Ethic. Et ideo praecepta negativa obligant semper et ad semper. ” (II-II q. 33 a. 2 in c.) I precetti negativi obbligano sempre e per sempre perché essi proibiscono i peccati che sono intrinsecamente malvagi e in nessun modo, in nessun tempo e in nessun luogo possono diventare buoni. I precetti negativi valgono sempre e per sempre e come tutti i precetti del decalogo non ammettono alcuna dispensa. (cfr. I-II, q. 100, a. 8); i precetti positivi obbligano a luogo e tempo convenienti (Super Sent., lib. 3 d. 25 q. 2 a. 1 qc. 2 ad 3)

La VS ribadisce chiaramente, anch’essa sulla base della S. Scrittura e della Legge divina positiva, la dottrina cattolica presentata da s. Tommaso allorché afferma: “ La Chiesa ha sempre insegnato che non si devono mai scegliere comportamenti proibiti dai comandamenti morali, espressi in forma negativa nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Come si è visto, Gesù stesso ribadisce l’inderogabilità, sempre e in ogni circostanza di queste proibizioni : « Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti…: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso » (Mt 19,17-18)….”(VS n. 52)

La Legge della carità, la Legge di Cristo  ribadisce l’inderogabilità, sempre e in ogni circostanza, di questi comandi  negativi, dalla Legge rivelata scaturisce anche il precetto della fede che appunto illumina la ragione e afferma l’inderogabilità della Legge divina rivelata e in particolare l’inderogabilità assoluta, sempre e in ogni circostanza, dei comandi  negativi della stessa Legge  … ma affermare questo  con chiarezza nell’Amoris Laetitia avrebbe distrutto buona parte dell’ opera sovversiva del Papa e dei suoi collaboratori specie riguardo alla “legittimazione dell’adulterio , degli atti omosessuali” etc. … quindi mi pare evidente che occorreva mettere da parte la Legge divina positiva, con la sua chiarezza e precisione, con la fede ad essa collegata e con la Tradizione che la interpreta nel senso dell’inderogabilità, sempre e in ogni circostanza, dei precetti negativi…

Più precisamente: affermare con chiarezza nell’Amoris Laetitia che, sulla base della Legge divina rivelata e per la fede, come dice anche s. Tommaso, esistono norme assolute ben precise che valgono sempre e a cui mai possiamo disobbedire, norme tra cui quella per cui non si può mai commettere adulterio o quella per cui non si può mai commettere un atto di omosessualità, “rompeva le uova nel paniere” al Papa e a coloro che stanno con lui operando la sovversione della morale cattolica. Il Papa e i suoi collaboratori hanno quindi  studiato e “furbamente” presentato alcune affermazioni tomiste riferentisi alla legge naturale, astraenti dalla fede e che potevano sostenere il punto di vista nella linea del “cambio di paradigma” del Pontefice ed hanno messo tranquillamente da parte  la Legge divina rivelata con la sua chiara inderogabilità, con la sua chiara  indispensabilità, con i suoi obblighi che valgono sempre e con la fede che essa comanda … Ripeto: hanno messo tranquillamente da parte  la Legge divina rivelata e la fede, che ci guidano alla salvezza eterna! Il Papa e i suoi collaboratori hanno  messo tranquillamente da parte anche la Veritatis Splendor e hanno presentato in modo oggettivamente ingannevole, accomodandole ai loro intenti, la dottrina tomista e la dottrina cattolica!

Per capire ciò che sta dietro ai n. 304s di Amoris Laetitia appaiono molto significative, in questa linea, le seguenti affermazioni dei cardd. Baldisseri e Kasper.  Il  Card. Baldisseri disse :“E in effetti non tanto il Sinodo, sarà importante, ma la sintesi che ne verrà preparata, e che porterà la firma del Papa come “Esortazione post-sinodale”. E’ molto probabile che non sarà un testo chiaro e definitivo, ma basato su un’interpretazione “fluttuante”. In modo che ciascuno leggendolo, possa tirarselo dalla parte che più gli fa comodo.”[156] … Il seguente testo racchiude molto significativamente le affermazioni del Card. Kasper  : “«La porta è aperta», ha detto in riferimento alla disciplina dei sacramenti per i divorziati risposati, ma «il Papa non ha detto come passarvi attraverso. Egli però – ha detto Kasper – non ha ripetuto le dichiarazioni negative dei papi precedenti su ciò che non è possibile e non è permesso. Quindi c’è spazio per i singoli vescovi e le singole Conferenze episcopali». … Il cardinale ha fatto anche un esempio concreto che rivela molto della prassi “caso per caso” presente in Amoris Laetitia, a proposito dell’eucaristia per le persone divorziate risposate. Quando Kasper era vescovo di Rottenburg un pastore gli pose il caso di una madre divorziata risposata che però aveva preparato la figlia alla Santa Comunione «molto meglio» di altri. «Una donna molto attiva nella Chiesa e che era in Caritas», sottolinea. Il prete non vietò a questa madre di accedere all’Eucaristia il giorno della prima comunione della figlia. «Quel prete aveva ragione», spiega Kasper, e «ho detto questo a Papa Francesco che ha confermato il mio atteggiamento».”[157]

Per realizzare un testo con un’interpretazione “fluttuante” e aprire la porta di cui parla il Card. Kasper e più generalmente per aprire le porte a tutti gli errori inclusi nel “cambio di paradigma”  non era certo utile ribadire in Amoris Laetitia la dottrina cattolica, di cui è parte la dottrina tomista, circa la Legge divina positiva, con la sua precisione e la sua obbligatorietà e circa la fede che è legata a tale Legge … quindi tale dottrina è stata messa da parte in modo discreto …

Per capire ciò che sta dietro ai nn. 304s di Amoris Laetitia appare molto significativo ricordare che, nel Sinodo del 2014, Papa Francesco, anche se nella votazione dell’assemblea non avevano raggiunto la maggioranza richiesta  i paragrafi riguardanti la cura pastorale delle persone con tendenze omosessuali e la questione della comunione per i divorziati risposati, ha, significativamente, e in deroga al regolamento, ordinato che tali passaggi risultassero nel testo finale che sarebbe stato poi inviato alle diocesi e parrocchie al fine di ispirare le proposte della “base” per il Sinodo Ordinario dell’anno successivo[158].”  Un fatto grandemente significativo specie se si considera che, commentando questa fatto, il Cardinale Reinhard Marx ha dichiarato: “Fino ad ora, queste due questioni erano state assolutamente non negoziabili. Sebbene non fossero riuscite a ottenere la maggioranza dei due terzi, la maggioranza dei padri sinodali aveva comunque votato a loro favore.”

“Fanno ancora parte del testo”, ha continuato Marx. “Ho chiesto in particolare al Papa di questo, e il Papa ha detto che voleva tutti i punti pubblicati insieme a tutti i risultati delle votazioni. Voleva che tutti nella Chiesa vedessero dove ci trovavamo. No, questo Papa ha spalancato le porte e i risultati del voto alla fine del sinodo non lo cambieranno “.[159] …. il Card. Marx è un grande amico e collaboratore del Papa ed è colui che ha guidato la Chiesa tedesca al Sinodo, la cui prima Assemblea si è tenuta a inizio 2020,  che in questi mesi sta facendo tanto parlare di sé per le  deviazioni dottrinali che vuole veicolare [160]

Per capire l’importanza dei nn. 304-5 di Amoris Laetitia va anche detto che ben 2 dubia dei cardinali si sono appuntati su di essi: “1. Si chiede se, a seguito di quanto affermato in “Amoris laetitia” nn. 300-305, sia divenuto ora possibile concedere l’assoluzione nel sacramento della Penitenza e quindi ammettere alla Santa Eucaristia una persona che, essendo legata da vincolo matrimoniale valido, convive “more uxorio” con un’altra, senza che siano adempiute le condizioni previste da “Familiaris consortio” n. 84 e poi ribadite da “Reconciliatio et paenitentia” n. 34 e da “Sacramentum caritatis” n. 29. L’espressione “in certi casi” della nota 351 (n. 305) dell’esortazione “Amoris laetitia” può essere applicata a divorziati in nuova unione, che continuano a vivere “more uxorio”?

Continua ad essere valido, dopo l’esortazione postsinodale “Amoris laetitia” (cfr. n. 304), l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II VS n. 79, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, circa l’esistenza di norme morali assolute, valide senza eccezioni, che proibiscono atti intrinsecamente cattivi?”[161]

Ovviamente il Papa non ha risposto direttamente …  In particolare, se avesse detto chiaramente che ribadiva la dottrina VS sugli atti intrinsecamente malvagi e quindi la dottrina che emerge dalla Legge rivelata e che la vera fede afferma avrebbe fatto naufragare tutto il “cambio di paradigma” , se avesse risposto che la dottrina in questione non valeva più si sarebbe esposto agli attacchi di coloro che seguono la sana dottrina e avrebbe rischiato anche di creare gravissime conseguenze ecclesiali … Se avesse detto chiaramente che quelli che vivono in situazione di peccato possono ricevere l’Eucaristia, ugualmente avrebbe avuto grossi problemi …

Indirettamente il Papa ha risposto al dubium n. 1 elogiando la lettera dei Vescovi argentini e considerandola interpretazione precisa di Amoris Laetitia sicché anche chi si trova in situazione di peccato in alcuni casi può ricevere l’assoluzione sacramentale e l’Eucaristia senza proporsi di non peccare più …. quindi accettando di continuare a compiere atti oggettivamente gravi.

Riguardo al secondo dubium vedremo meglio nelle prossime pagine quale è la risposta del Papa  che emerge da varie indicazioni … ma già da ora ci deve essere chiaro che appunto per sovvertire con “discrezione” la sana dottrina il Papa ha usato il testo della Somma Teologica di s. Tommaso (I-II q. 94 a.4).

g) Affermazioni significative del presunto autore ombra di Amoris Laetitia circa l’obbligatorietà assoluta delle norme morali negative.

Ricordo anche che mons. Fernández, il presunto autore ombra di Amoris Laetitia, in un articolo che appare tra le fonti teologiche di Amoris Laetitia  ha affermato che:  c’è anche il caso di un’astensione sessuale che contraddice la gerarchia cristiana di valori coronati dalla carità; pensiamo alla difficoltà che una donna ha quando percepisce che la stabilità della famiglia è messa a rischio sottoponendo il marito non praticante a periodi di continenza; in tal caso, un rifiuto inflessibile di qualsiasi uso del preservativo farebbe prevalere il rispetto di una norma esterna sul grave obbligo di prendersi cura della comunione amorevole e della stabilità coniugale che la carità richiede più direttamente.[162] L’uso del preservativo e quindi la contraccezione  è un atto intrinsecamente malvagio che mai può essere scelto, quindi l’affermazione di mons. Fernández è chiaramente errata; in questa linea il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n. 370 :“ … è intrinsecamente cattiva « ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione ». (Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 14: AAS 60 (1968) 490.)”

In un articolo del 2011 mons. Fernández torna sull’articolo del 2006 che abbiamo appena esaminato, e riguardo alla questione dell’uso del condom afferma : “En el artículo (pág . 150) pongo el ejemplo de una mujer que, por preservar el amor y la estabilidad familiar, no rechaza el uso del preservativo (cooperación material al pecado del cónyuge). Pretendo decir que, ante un conflicto de deberes, el cuidado del amor y la estabilidad familiar es una exigencia más directa de la caridad porque es un bien mayor por el cual puede ser lícito tolerar un mal comportamiento.  … Es lo que en la moral clásica se expresa como cooperación sólo material y proporcionada en el mal.”[163]

Quindi secondo mons. Fernández la donna che, per preservare l’amore e la stabilità familiare, non rifiuta l’uso del preservativo (cooperazione materiale con il peccato del coniuge)sta solo compiendo una cooperazione materiale e proporzionata al male. Purtroppo anche dicendo questo mons. Fernández commette un grave errore perché per aversi  cooperazione materiale e proporzionata al male l’atto che si pone in essere non deve essere oggettivamente malvagio, più ampiamente questa cooperazione può essere lecita :

“ … quando si danno congiuntamente queste tre condizioni:

l’azione del coniuge cooperante non sia già in se stessa illecita; (Denzinger-Schönmetzer, Enchiridion Symbolorum, 2795, 3634)

esistano motivi proporzionalmente gravi per cooperare al peccato del coniuge;

si cerchi di aiutare il coniuge (pazientemente, con la preghiera, con la carità, con il dialogo: non necessariamente in quel momento, né in ogni occasione) a desistere da tale condotta.”[164]

Le risposta del s. Uffizio citate (Denzinger-Schönmetzer, Enchiridion Symbolorum, 2795, 3634)  affermano chiaramente che l’atto della donna che accetta passivamente l’uso del preservativo da parte del marito nel rapporto intimo con lei compie un atto intrinsecamente illecito … quindi la cooperazione della donna che accetta l’uso del preservativo nel rapporto intimo è gravemente illecita e non è cooperazione materiale al peccato.

Come vedete mons. Fernández già in passato ha affermato come leciti atti intrinsecamente malvagi.

Mons. Fernández ha anche affermato che la legge morale è sempre vincolante e non ha una gradualità, pertanto, le fasi della crescita sono orientate a consentire al soggetto di rispettarla pienamente ed “è essenziale in questa dinamica educativa la non dissoluzione della legge nelle coordinate delle possibilità storiche fattibili della libertà umana” (cfr. L.  Melina , Morale: tra crisi e rinnovamento, Barcellona, ​​1996, 135.); Mons. Fernández afferma quindi in nota  che  la posizione minimalista di Melina  non può essere accettata quando sostiene che l’obbedienza ai precetti negativi è un presupposto per la gradualità, dal momento che “Familiaris Consortio” 34  si riferisce alla gradualità proprio quando parla delle difficoltà degli sposi di applicare precetti negativi come quello che vieta la contraccezione.[165]

Non è Melina, come già dicemmo, a sbagliare ma Fernández perché ritiene che vi possa essere una lecita disobbedienza rispetto ai precetti negativi; i precetti negativi non possono essere mai violati e la Legge di Dio è indispensabile. Ovviamente mons. Fernández, appunto perché segue una dottrina errata giunge a criticare mons. Melina perché quest’ultimo afferma, seguendo la retta dottrina, che l’obbedienza ai precetti negativi del decalogo è condizione previa alla legge di gradualità.

Lo stesso mons. Fernández, nella linea dell’articolo appena visto, in un articolo di commento all’Amoris Laetitia ha poi affermato che Amoris Laetitia si riferisce a persone consapevoli della gravità della loro situazione, ma con grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che cadono in nuovi difetti, se l’atto rimane oggettivamente disonesto e non perde la sua gravità oggettiva, non può essere “eletto” con convinzione, come se facesse parte dell’ideale cristiano, ancor meno si potrebbe dire che, con quella “scelta di vita”, diventa soggettivamente onesta. Un’altra cosa molto diversa , dice mons. Fernández, è proporre come fa Francesco, che in un contesto di colpa attenuata si cerchi di rispondere alla volontà di Dio con maggiore dedizione, possibile nel contesto di quella situazione. Ad esempio, con una maggiore generosità verso i bambini, o con la decisione di assumere in coppia un impegno più intenso per il bene comune, o con una maturazione nel dialogo familiare, o con lo sviluppo di gesti reciproci più frequenti e intensi di carità ecc.[166] … quindi, secondo mons. Fernández, la persona che vive in adulterio e che ha dei condizionamenti che attenuano le sue colpe che le “rendono impossibile” l’attuazione dei comandamenti  deve compiere il bene che le è possibile : con una maggiore generosità verso i bambini, o con la decisione di assumere in coppia un impegno più intenso per il bene comune, o con una maturazione nel dialogo familiare, o con lo sviluppo di gesti reciproci più frequenti e intensi di carità ecc. …

Prosegue mons. Fernández:  “Estos intentos sí pueden ser objetos de una “elección personal”, y son ejemplos de ese “bien posible” que se puede realizar en los límites de la propia situación (cf. EG 44-45; AL 308). Son expresiones de la “via caritatis”, a la que siempre pueden acudir “quienes tengan dificultades para vivir plenamente la ley divina” (AL 306). Situándose en esa vía, la conciencia también está llamada a reconocer “aquello que, por ahora, es la

respuesta generosa que se puede ofrecer a Dios […] la entrega que Dios mismo está reclamando en medio de la complejidad concreta de los límites” (AL 303).”(p. 464)” Traduco in modo orientativo: “Questi intenti possono essere oggetti di una “scelta personale” e sono esempi di quel “possibile bene” che può essere realizzato entro i limiti della situazione che si sta vivendo . Sono espressioni della “via caritatis”, che possono sempre seguire “coloro che hanno difficoltà a vivere pienamente la legge divina”. Situandosi in questa via, la coscienza è anche chiamata a riconoscere “ciò che, per ora, è la generosa risposta che può essere offerta a Dio […] l’ impegno che Dio stesso sta chiedendo nella complessità concreta dei limiti .”

Per chi è “impossibilitato” a vivere i comandamenti resta aperta la possibilità di fare un certo bene che è la via della “carità” da seguire e  la coscienza può dunque ritenere che la persona possa rimanere in situazione in cui compie atti oggettivamente gravi perché questo è quello che Dio chiede nel presente alla persona ….

Ovviamente queste affermazioni di Mons. Fernández, nella linea di quelle che lui ha presentato più sopra, si pongono, discretamente, fuori dalla sana dottrina cattolica e affermano praticamente per queste persone “condizionate” una dispensa dai comandamenti perché per costoro basta compiere il bene loro “possibile”, e non la Legge di Dio oggettivamente, in questa linea queste persone “condizionate” possono poi ricevere i Sacramenti senza proporsi di vivere secondo la oggettiva attuazione dei comandamenti[167] … queste affermazioni hanno aperto le porte per le quali il teologo Fumagalli è passato per dichiarare la liceità, in alcuni casi, anche degli atti omosessuali[168] … e il libro di Fumagalli, invece delle giuste condanne … ha ricevuto la prefazione di un Vescovo vicinissimo al Papa e la pubblicità di Avvenire …

Che qualcuno abbia grandi difficoltà , come dicono mons. Fernández e il Papa[169] a seguire la via stretta della Croce è normale e non è certo per questo che la via stretta va allargata …. perché solo la via stretta conduce al Cielo!

D’altra parte Dio ci dona la grazia, la carità , i doni dello Spirito Santo, non per farci una semplice passeggiata ma per vivere la vita soprannaturale, la salvezza non è in una vita naturale e facile ma nella vita soprannaturale che è difficile ma possibile con l’aiuto di Dio!

La carità di cui stiamo parlando in questo capitolo ci porta a seguire Cristo sulla via della Croce e ad odiare il peccato sommamente … ci rende pronti al martirio, figuriamoci se non ci fa superare le difficoltà si cui parla mons. Fernández!

Il Vangelo dice chiaramente che le richieste che fa sono molto impegnative e difficili per tutti; se per il fatto che ci sono difficoltà si fosse scusati dal praticarle … praticamente tutti sarebbero scusati …

Il Catechismo afferma al n. 2072: “ Poiché enunciano i doveri fondamentali dell’uomo verso Dio e verso il prossimo, i dieci comandamenti rivelano, nel loro contenuto essenziale, obbligazioni gravi. Sono sostanzialmente immutabili e obbligano sempre e dappertutto. Nessuno potrebbe dispensare da essi. I dieci comandamenti sono incisi da Dio nel cuore dell’essere umano.” … i comandamenti obbligano sempre e dappertutto. Nessuno potrebbe dispensare da essi … e la carità vera ci porta a vivere secondo i comandamenti, nella s. Legge di Dio! Il Concilio di Trento afferma che nessuno, poi, per quanto giustificato, deve ritenersi libero dall’osservanza dei comandamenti (can. 20), nessuno deve far propria quell’espressione temeraria e proibita dai Padri sotto pena di scomunica esser cioè impossibile per l’uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio (can. 18 e 22); Dio, infatti, non comanda l’impossibile; ma quando comanda ti ammonisce di fare quello che puoi  e di chiedere quello che non puoi, ed aiuta perché tu possa: i suoi comandamenti non sono gravosi (1 Gv. 5,3), il suo giogo è soave e il peso leggero (Mt.11,30). Aggiunge lo stesso Concilio che se qualcuno dice che anche per l’uomo giustificato e costituito in grazia i comandamenti di Dio sono impossibili da osservarsi, sia anatema.[170]

Quello che abbiamo appena detto circa le affermazioni di mons. Fernández ci pare importante per renderci conto con profondità della dottrina deviata che si trova nelle “fonti” di Amoris Laetitia e quindi della dottrina deviata che l’Amoris Laetitia e la lettera dei Vescovi argentini  presentano in modo reale ma in certo modo nascosto, discreto.

Mons. Fernández dice appunto riguardo alla discrezione tenuta da Papa Francesco per far passare il suo cambio di dottrina : “Aunque la cuestión del posible acceso a la comunión de algunos divorciados en nueva unión ha provocado mucho revuelo, el Papa intentó —sin lograrlo— que este paso se diera de una manera discreta. Por eso, después de desarrollar los presupuestos de esta decisión en el cuerpo del documento, la aplicación a la comunión de los divorciados en nueva unión se hizo explícita en notas a pie de página.”[171] Ciò significa che sebbene la questione del possibile accesso alla comunione di alcuni divorziati in una nuova unione abbia suscitato scalpore, il Papa ha provato – senza riuscirci – a compiere questo passo in modo discreto. Pertanto, dopo aver sviluppato i presupposti di questa decisione nel corpo del documento, l’applicazione alla comunione dei divorziati in una nuova unione è stata resa esplicita nelle note a piè di pagina.

h) Chiare indicazioni che fanno ritenere che il Papa metta da parte la dottrina secondo cui le norme negative della legge divina sono obbligatorie sempre e in ogni circostanza.

Nella linea delle affermazioni di mons. Fernández al n. 303 dell’Amoris Laetitia leggiamo: «Ma questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo».(Amoris Laetitia 303)

Al n. 304 di Amoris Laetitia leggiamo:“Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà” (Amoris Laetitia 304)

Al n. 304 di Amoris Laetitia leggiamo inoltre: «È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano».

In Amoris Laetitia n. 305 leggiamo :“Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che dànno gloria a Dio” (Amoris Laetitia  305).

Afferma ancora l’Amoris Laetitia “ Per evitare qualsiasi interpretazione deviata, ricordo che in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza … La tiepidezza, qualsiasi forma di relativismo, o un eccessivo rispetto al momento di proporlo, sarebbero una mancanza di fedeltà al Vangelo e anche una mancanza di amore della Chiesa verso i giovani stessi. Comprendere le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano.” (Amoris Laetitia n. 307)

In Amoris Laetitia leggiamo, al n. 308: “Ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, «non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada».[ …] ..”

Notiamo anzitutto quello che dice il Papa : parla di ideale , di coscienza che può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo ma può anche che con sincerità e onestà riconoscere ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti  … dice che non bisogna rinunciare al bene possibile e che un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio … dice che è meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale … dice che dobbiamo aiutare le persone a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti e che credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita …  Inoltre come visto, il Papa cita un testo tomista che presenta delle affermazioni sulla Legge naturale e dice che più si va nel particolare più si trova indeterminatezza …  cita un testo della Commissione Teologica per cui la legge naturale non può dunque essere presentata come un insieme già costituito di regole che si impongono a priori al soggetto morale, ma è una fonte di ispirazione oggettiva per il suo processo, eminentemente personale, di presa di decisione …

Ora vediamo quello che il Papa non riporta : non riporta i testi di s. Tommaso che affermano l’esistenza di norme che sono obbligatorie sempre e in ogni circostanza, non riporta testi di s. Tommaso sulla fede che mettono in evidenza come essa ci fa partecipare a livello soprannaturale a luce di Verità divina, non riporta la Veritatis Splendor e altri testi che affermano chiaramente l’esistenza di norme che sono obbligatorie sempre e in ogni circostanza non riporta le affermazioni della Commissione Teologia sulla Legge rivelata e sulla fede ad essa collegata … Poi notiamo che il Papa non ha risposto ai dubia, tra i quali uno riguardava in modo specifico Amoris Laetitia 304 come visto sopra, dunque il Papa non ha confermato che: “ … continua ad essere valido, dopo l’esortazione postsinodale “Amoris laetitia” (cfr. n. 304), l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II “Veritatis splendor” n. 79, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, circa l’esistenza di norme morali assolute, valide senza eccezioni, che proibiscono atti intrinsecamente cattivi?”[172]

Vedemmo più sopra che per mons. Fernández  in alcuni casi le norme negative della Legge di Dio possono essere lecitamente infrante infatti questo autore afferma che nell’ambito della della lecita legge di gradualità possono essere lecitamente violati i precetti negativi della Legge di Dio[173] … sulla scia di mons. Fernández anche Amoris Laetitia, come stiamo vedendo, mette discretamente da parte la validità della dottrina per cui le norme negative del Decalogo sono obbligatorie sempre e in ogni circostanza.

Mi pare importante notare in questa linea, come già vedemmo, che il professore Josef Seifert ha pubblicato un articolo sul numero 2/2016 della rivista tedesca di filosofia e teologia AEMAET dal titolo “Amoris laetitia: gioia, tristezza e speranze”, in cui afferma: “Penso che alcuni passaggi di AL, specialmente quelli che probabilmente avranno maggiore impatto, sono causa di grande preoccupazione, non soltanto perché facilmente possono condurre a malintesi e abusi nella loro applicazione, ma anche perché – almeno in apparenza – entrano in deciso conflitto con la Parola di Dio e l’insegnamento della Chiesa rispetto all’ordine morale, alle azioni intrinsecamente disordinate, ai comandamenti divini, e alla nostra capacità di adempierli con l’aiuto della grazia divina, dall’indissolubilità del matrimonio, alla santità dei sacramenti dell’Eucaristia e del Matrimonio, alla salvezza eterna (inferno) e alla disciplina sacramentale e pastorale della Chiesa che proviene dalla Parola di Dio e da 2000 anni di sacra tradizione della Chiesa”[174].

Il 5 agosto 2017, sulla rivista teologica tedesca AEMAET, il professore Josef Seifert ha pubblicato un articolo con il titolo posto in forma di domanda: “La logica pura minaccia di distruggere l’intera dottrina morale della Chiesa?”. In esso affermava che il citato n° 303 di Amoris Laetitia è “una bomba atomica teologica che minaccia di abbattere l’intero edificio morale dei 10 comandamenti e dell’insegnamento morale cattolico”. E giustificava la drammaticità dell’affermazione domandandosi:

“Se solo un caso di atto intrinsecamente immorale può essere permesso e persino voluto da Dio, ciò non si deve applicare a tutti gli atti considerati ‘intrinsecamente errati’?  …  Non dovranno pertanto cadere anche gli altri 9 comandamenti, Humanae Vitae, Evangelium Vitae e tutti i documenti passati, presenti o futuri della Chiesa, i dogmi o i concili, che insegnano l’esistenza di atti intrinsecamente errati? … Non dovrebbero allora, per pura logica, essere buoni e lodevoli a causa della complessità di una situazione concreta, l’eutanasia, il suicidio o assistenza ad esso,

bugie, furti, spergiuri, negazioni o tradimenti di Cristo, come quello di San Pietro o

l’omicidio, in alcune circostanze e dopo un adeguato “discernimento”?

….  Tuttavia, se la domanda contenuta nel titolo di questo documento deve avere una

risposta affermativa, come credo personalmente sia il caso, la conseguenza puramente

logica dell’affermazione di Amoris Laetitia sembra distruggere l’intero insegnamento

morale della Chiesa.”[175]

Il prof. Meiattini ha aggiunto, nella linea di Seifert : “ …  l’asserzione che in certi casi Dio possa perfino “chiedere” di compiere un male oggettivo, perché, in un dato momento, è l’unica cosa che si può offrire generosamente a Lui (n. 303). Qui ha ragione Seifert: se il senso di quell’espressione presente in AL è questo, e non vedo quale altro potrebbe essere, allora crolla l’intera morale cristiana. In fondo questa affermazione contiene i presupposti di un pensiero neognostico che altre volte il Papa (e più recentemente la Congregazione per Dottrina della Fede) dice giustamente di voler respingere. Perché se Dio chiede positivamente il male, si pone in Dio stesso la dimensione dell’“ombra”, del negativo. Se può essere Dio a chiedere ciò che è male, in certe condizioni concrete, perché è quello che in quel momento la persona può fare, allora sarebbe proprio AL a creare uno spiraglio a una certa forma di neognosticismo, ben presente in certe correnti culturali.”[176]

Queste riflessioni di Meiattini e Seifert hanno colto nel segno … purtroppo! Sulla scia di mons. Fernández anche Amoris Laetitia, come stiamo vedendo, mette discretamente da parte la validità della dottrina per cui le norme negative del Decalogo sono obbligatorie sempre e in ogni circostanza.

… appunto perché le affermazioni di Seifert hanno evidentemente colto nel segno  … era “bene” per il “cambio di paradigma” rimuoverlo.

Il famoso professore Seifert è stato allontanato dall’insegnamento nella Diocesi di Granada[177]

Aggiungiamo che, significativamente, in questa linea, negli ultimi anni il Papa ha allontanato dall’Istituto Giovanni Paolo II i professori Melina e Noriega Bastos che ribadivano fortemente  l’esistenza di norme morali assolute, valide senza eccezioni, che proibiscono atti intrinsecamente cattivi …  al loro posto ha chiamato al loro posto è stato chiamato tra gli altri il teologo Chiodi[178], del primo il prof.  Granados afferma: “Adesso girano voci che verrà a insegnare il professor Maurizio Chiodi, che apre alla liceità della contraccezione e ammette gli atti omosessuali come “possibili” in certe situazioni. “[179]

Il Papa non ha risposto alla supplica filiale che molti fedeli gli hanno rivolto e nella quale si afferma: “Constatiamo infatti un generalizzato disorientamento causato dall’eventualità che in seno alla Chiesa si apra una breccia tale da permettere l’adulterio – in seguito all’accesso all’Eucaristia di coppie divorziate e risposate civilmente – e perfino una virtuale accettazione delle unioni omosessuali. ”[180]

Durante questo Pontificato, inoltre, Sua Eminenza De Kesel, uno dei Cardinali creati da Papa Francesco, ha affermato, molto significativamente: «La condanna degli atti omosessuali non è più sostenibile».[181] … la Santa Sede non è intervenuta a condannare tali affermazioni …

Sempre durante questo Pontificato: “Il Cardinal Gracias ha pubblicamente espresso l’opinione secondo cui l’omosessualità potrebbe essere un orientamento dato agli uomini da Dio. Papa Francesco ha fatto di lui uno degli organizzatori del summit vaticano sugli abusi sessuali del febbraio 2019.”[182] … la Santa Sede non è intervenuta a condannare tali affermazioni …

Il Papa non ha condannato il teologo Fumagalli, che peraltro si è appoggiato anche sull’Amoris Laetitia, che ha dichiarato la liceità, in alcuni casi, anche degli atti omosessuali[183] … anzi il libro di Fumagalli, invece delle giuste condanne … ha ricevuto la prefazione di un Vescovo, ora Cardinale, vicinissimo al Papa ed ha ricevuto la pubblicità di Avvenire, giornale dei Vescovi italiani … il Papa non ha condannato il domenicano Oliva per le aperture da lui fatte a favore degli atti omosessuali nel libro “Amours” (Editions du Cerf, 2015)  … Di questi due testi favorevoli agli atti omosessuali parleremo nel  capitolo in cui parleremo delle aperture che attraverso Amoris Laetitia si stanno attuando in ordine alla legittimazione degli atti omosessuali e appunto in tale capitolo troveremo molti altri passi significativi nella linea che stiamo vedendo … Significativa appare in questa linea anche una catechesi di Papa Francesco tenuta il 18.8.2021 , in essa ha detto: “E anche la seconda: disprezzo i Comandamenti? No. Li osservo, ma non come assoluti, perché so che quello che mi giustifica è Gesù Cristo.” ( Papa Francesco “Udienza generale” 18.8.2021 www.vatican.va https://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2021/documents/papa-francesco_20210818_udienza-generale.html ) I comandamenti non sono assoluti … notate bene .

Tutto questo ci permette di concludere in modo abbastanza netto che davvero il Papa attuale sta operando per mettere da parte, e considerare non più valida, la dottrina circa l’esistenza di norme morali assolute, valide senza eccezioni, che proibiscono atti intrinsecamente cattivi (come adulterio e atti omosessuali) … ovviamente questa azione che il Papa sta attuando non ha nessun fondamento reale nella Bibbia e nella Tradizione.

La Bibbia e la Tradizione affermano chiaramente e precisamente il contrario di ciò che il Papa diffonde.

Aggiungo che in realtà quello che ho appena detto emerge anche da un più approfondito esame di Amoris Laetitia n. 304 infatti il Papa prima afferma con s. Tommaso: “… tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare».” … poi aggiunge che : “ … le norme generali … nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari.” poi dice: “Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma.”

Appare evidente che il messaggio che passa è quello di una indeterminazione per cui  non è più valida la dottrina  circa l’esistenza di norme morali assolute, valide senza eccezioni, che proibiscono atti intrinsecamente cattivi e che in tale senso risolvono radicalmente molti casi di morale … La stessa apertura che il Papa fa all’ assoluzione e alla Comunione di coloro che non si propongono di non peccare gravemente e in particolare di non commettere adulterio, e quindi accettano di compiere un atto intrinsecamente malvagio, contrario ad un precetto negativo della Legge rivelata, appare una ulteriore indicazione papale per mettere da parte la dottrina circa la assoluta obbligatorietà dei precetti negativi del Decalogo e delle connesse norme della Legge naturale.

Faccio notare che mettere da parte la dottrina biblica e tradizionale per cui esistono  norme morali assolute, valide senza eccezioni, che proibiscono atti intrinsecamente cattivi, significa praticamente  affermare che in alcuni casi è lecito commettere adulterio, in alcuni casi è lecito compiere atti omosessuali, ma significa anche affermare praticamente che in alcuni casi è lecito uccidere l’innocente,  significa anche affermare che in alcuni casi è lecito stuprare,  significa anche affermare che in alcuni casi è lecito commettere pedofilia, significa anche affermare che in alcuni casi è lecito massacrare etc. etc. il che è ovviamente assurdo e immorale  … e infatti la linea seguita da Papa Francesco di apertura, discreta, alla legittimità in alcuni casi di atti intrinsecamente malvagi, oggettivamente gravi, è assurda e contraria alla morale cattolica.

Concludendo, in Amoris Laetitia n. 304s con discrezione il Papa  mette da parte il Magistero di Veritatis Splendor n. 52 e di altri testi papali, mette da parte la vera dottrina tomista sul Decalogo, mette da parte la Legge divina rivelata con la sua chiara indispensabilità e con la sua sua assoluta obbligatorietà specie per ciò che riguarda i precetti negativi, e quindi  mette da parte la dottrina  circa l’esistenza di norme morali assolute, valide senza eccezioni, che proibiscono atti intrinsecamente cattivi fissate nei precetti negativi della Legge divina.

Non è la prima volta che il Papa e i suoi collaboratori mettono da parte “fastidiosi” “insegnanti” di sana dottrina: lo hanno fatto con Card. Burke, lo hanno fatto con Card. Muller (che, pur con qualche errore, cerca di ribadire la sana dottrina) …

Significativa a questo riguardo la domanda del famoso prof. Rist al Card. Cupich dopo che quest’ultimo aveva parlato di “cambio di paradigma”: “Eminenza, in base al suo resoconto sugli aspetti solari, premurosi e olistici della rivoluzione della misericordia di Papa Francesco – descritta in maniera inquietante dal volantino di questo incontro e da Sua Eminenza come “cambio di paradigma” nell’annuncio del Cattolicesimo – e sulla richiesta del Papa di una discussione libera e franca in ordine alle sue proposte e tattiche provocatorie, vorrei chiedere perché Papa Francesco agisce così spietatamente nell’insultare ed eliminare gli oppositori dottrinali:

Il Cardinale Burke rimosso dal comando della Rota romana;

Tre fedeli sacerdoti del CDF sono stati licenziati senza spiegazioni, seguiti dalla brusca interruzione del Cardinale Mueller stesso;

La negazione del cappello cardinalizio al tanto amato paladino del non nato, l’Arcivescovo Chaput;

La rimozione della maggior parte dei membri originali dell’Academy for Life;

L’apparente “svendita lungo il fiume” del Cardinale Pell, che potrebbe essere stato incastrato;

E più recentemente l’esilio da Roma del professore di patristica in Laterano e redattore del difficile libro Rimanere nella verità di Cristo;

La lista può protrarsi all’infinito, ma mi fermo qui per chiedere nuovamente se azioni dure di questo tipo – combinate con il ben documentato sartiame del Sinodo sulla Famiglia – indichino che il “cambio di paradigma” del Papa dovrebbe essere riconosciuto come un tentativo – sotto il pretesto di offrire soluzioni a problemi sociali autentici nella società occidentale – di imporre alla Chiesa cambiamenti radicali della dottrina, sviluppati non dai laici ma in gran parte in Germania da un gruppo di teologi hegeliani relativisti?”[184]

Non è, dunque, la prima volta che il Papa e i suoi collaboratori mettono da parte “fastidiosi” “insegnanti” di sana dottrina: lo hanno fatto con Card. Burke, lo hanno fatto con Card. Müller (che, pur con qualche errore, cerca di ribadire la sana dottrina) … , lo hanno fatto non rispondendo ai dubia, lo hanno fatto con il prof. Melina e il prof. Noriega; ma attraverso Amoris Laetitia, e in particolare attraverso i nn. 304-5,  Papa Francesco ha messo da parte, con discrezione, la sana dottrina tomista, la dottrina tradizionale, il Magistero, la fede  e addirittura la Legge divina positiva, cioè ha messo da parte in particolare s. Tommaso, e santi Papi suoi predecessori , la Tradizione, la fede, la vera carità … e  Dio!

Dio intervenga e molto presto.

6) La carità non porta ad essere adulteri; il n. 301 dell’Amoris Laetitia cita s. Tommaso per  affermare il contrario di quanto afferma il santo.

a) Il n. 301 dell’Amoris Laetitia.

Al n. 301 dell’Amoris Laetitia leggiamo che  è  necessario un “discernimento speciale in alcune situazioni dette “irregolari”” perché  la “Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti” che rendono peccati veniali attioggettivamente gravi. I limiti che rendono veniali certi atti  possono essere di vario genere: ignoranza, difficoltà a comprendere i «valori insiti nella norma morale»(Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1992), 33: AAS 74 (1982), 121), situazioni che  che non permettono “di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa”; qui Papa Francesco inserisce alcune citazioni di san Tommaso d’Aquino per cui : ” qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù”(Cfr Summa Theologiae I-II, q. 65, a. 3, ad 2; De malo, q. 2, a. 2.) e “Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù».(Ibid., ad 3.)”

Dio ci illumini e la sua verità risplenda in questo libro.

Mi pare importante notare anzitutto qualcosa molto importante che non emerge dalle parole del Papa: la Chiesa possiede una monumentale riflessione sulla immutabilità di certi principi morali e una monumentale riflessione sulla mancanza di eccezioni ad essi …. la Tradizione mai ha affermato che è lecito commettere adulterio o bestemmiare  …. né afferma che è lecito ricevere l’assoluzione sacramentale se non si ha il proposito di non commettere adulterio, contrariamente a ciò che afferma Amoris Laetitia!

Il Papa usa molto attentamente le parole e le citazioni per far passare il suo messaggio di “cambio di paradigma” e quindi il tradimento della sana dottrina … quindi è molto importante non farsi portare semplicemente dai suoi discorsi ma tenere ben presente la sana dottrina, sottolinenando bene ciò che egli non dice e approfondendo bene ciò che vogliono davvero dire i grandi Dottori cattolici, come s. Tommaso, che egli cita , loro infatti hanno seguito la sana dottrina ma il Papa se ne serve almeno in alcuni casi per presentare insegnamenti che deviano dalla sana dottrina.

Appunto per capire bene cosa afferma s. Tommaso sull’argomento per cui è citato dal Papa, e quindi per capire la strategia usata dal Papa stesso attraverso tali citazioni, nelle pagine che seguono mi soffermerò a studiare a fondo anzitutto quello che vuole realmente dire il Dottore in I-II, q. 65, a. 3, ad 2-3 e De malo, q. 2, a. 2, testi citati nel n. 301 di Amoris Laetitia, altri aspetti da esaminare del suddetto numero 301 di tale esortazione  li studierò più avanti infatti nel prossimo volume alla questione delle attenuanti dedicherò un intero capitolo.

Interessante può essere per chi si accinge a leggere le pagine che seguono consultare  un articolo del prof. Pakaluk[185] che può essere una utile introduzione critica ad Amoris Laetitia …

Cristo regni.

b) Cosa voleva dire veramente s. Tommaso con il suo commento (I-II, q. 65, a. 3, ad 3) alle parole di s. Beda  citato in Amoris Laetitia 301; esame di passi “paralleli” nelle opere del s. Dottore.

 

 

Dio ci illumini sempre meglio.

L’affermazione di s. Tommaso, che l’Amoris Laetitia riporta al n. 301, per cui: «Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù».(I-II q. 65 a.3  ad 3.)”, se la esaminiamo bene partendo dall’ obiezione iniziale (arg. 3)  è un commento di s. Tommaso ad un passo delle opere di s. Beda e tale passo con relativo commento si trova certamente in altri due scritti dell’ Angelico: il Commento alle Sentenze e il De Virtutibus.

Per esaminare bene  I-II, q. 65, a. 3, ad 3  mi pare, dunque, importante anzitutto fare una precisazione sulla santità secondo la dottrina di s. Tommaso e quindi vedere ciò che il s. Dottore afferma nei testi “paralleli” a questo brano, cioè appunto nel Commento alle Sentenze e nel De Virtutibus, e quindi esaminare tutto l’articolo 3 della q. 65 della I-II; successivamente vedremo cosa afferma s. Tommaso più specificamente in I-II, q. 65, a. 3, ad 2; De malo, q. 2, a. 2., seguiranno delle mie riflessioni.

Chi è il santo per s. Tommaso d’ Aquino? Ovviamente per un Dottore cattolico come lui, santo è anzitutto Dio e quindi colui che partecipa in modo elevato della santità di Dio, tale partecipazione si attua per la grazia e la carità, per tale partecipazione la vita trinitaria e la stessa Trinità è nell’uomo e lo guida verso il Cielo, lo guida, in particolare,  sulla via della Bibbia e del Vangelo … cioè sulla via della Legge e dei comandamenti.

Dice più precisamente s. Tommaso: ” Ad quartum dicendum, quod, sicut dicit Dionysius, sanctitas est ab omni immunditia libera et perfecta et immaculata munditia; et ideo convenienter sanctitas spiritualitati adjungitur, quae etiam a materialitate separationem dicit, ut sic per spiritualitatem designetur separatio a materia, et per sanctitatem a materialibus defectibus. … Et ideo convenienter sanctitas, quae rectitudinem voluntatis importat, adjungitur processioni amoris, et non generationi, quae est opus naturae.” (Super Sent., lib. 1 d. 10 q. 1 a. 4 ad 4.)

Il santo è dunque colui che vive in assoluta purezza e libertà da difetti, nella rettitudine della volontà.

Continua s. Tommaso :”Respondeo dicendum, quod, sicut dicit Dionysius, sanctitas est ab omni immunditia libera et perfecta et immaculata munditia; unde cum sanctificari sit sanctum fieri, oportet quod sanctificatio emundationem ab immunditia spirituali ponat, prout nunc de sanctificatione loquimur. Emundatio autem a spirituali macula, scilicet culpa, sine gratia esse non potest, sicut et tenebra non nisi per lucem fugatur; unde sanctificatio tantum ad eos pertinet qui gratiae capaces sunt …” (Super Sent., lib. 3 d. 3 q. 1 a. 1 qc. 1 co.)

La purezza di cui parla Dionigi e con lui s. Tommaso riguardo al santo è purezza dal peccato e vita in grazia, che è la vita divina trinitaria in noi e implica l’inabitazione trinitaria nelle nostre anime.

Dice ancora s. Tommaso: ” … sanctitas est scientia faciens fideles et servantes quae ad Deum justa sunt.” (Super Sent., lib. 3 d. 33 q. 3 a. 4 qc. 6 co.) … e ulteriormente il Dottore Angelico afferma: “… Nullus enim privatur totaliter sanctitate nisi per peccatum mortale.” (II-II, q. 111 a. 4 co.) Il peccato moratle soltanto cancella totalmente la santità in noi (cfr. anche I, q. 63 a. 9 ad 3)

La grazia che ci fa santi fa che Dio abiti in noi:”Respondeo dicendum quod per gratiam gratum facientem tota Trinitas inhabitat mentem, secundum illud Ioan. XIV, ad eum veniemus, et mansionem apud eum faciemus.”(Summa Theologiae I, q. 43 a. 5 co.)

Questi citazioni ci devono far capire che il santo, secondo s. Tommaso, è, quindi, un uomo in cui vive la Trinità per grazia, è, quindi, un uomo guidato da Dio, è un uomo che ha la carità e tutte le virtù, è un uomo in cui si manifesta Dio con la sua santità.

Nel Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo leggiamo  :

“Ad secundum sic proceditur. Videtur quod virtutes gratuitae non sint connexae. Beda enim dicit, quod sancti magis humiliantur de virtutibus quas non habent, quam de virtutibus quas habent, glorientur. Ergo habent aliquas virtutes et aliquas non habent.”(Super Sent., lib. 3 d. 36 q. 1 a. 2 arg. 1) La risposta a tale argumentum è la seguente  “Ad primum ergo dicendum, quod verbum Bedae intelligendum est de virtutibus quantum ad usus, et non quantum ad habitus. Diversi enim sancti diversimode excedunt se invicem in usibus diversarum virtutum, secundum quod de quolibet confessore dictum est: non est inventus similis illi qui conservaret legem excelsi.”

(Super Sent., lib. 3 d. 36 q. 1 a. 2 ad 1)

Nel De Virtutibus leggiamo:“ Dicit enim Beda super Lucam,  quod sancti magis humiliantur de virtutibus quas non habent, quam extollantur de virtutibus quas habent. Ergo quasdam habent, et quasdam non habent; non ergo virtutes sunt connexae.” ( De virtutibus, q. 5 a. 2 arg. 1.)

La risposta a tale argumentum è la seguente“Ad primum ergo dicendum, quod propter inclinationem quae est ex natura, vel ex aliquo dono gratiae, quam habet aliquis magis ad opus unius virtutis quam alterius contingit quod aliquis promptior est ad actum unius virtutis quam alterius; et secundum hoc dicuntur sancti aliquas virtutes habere, ad quarum actus magis sunt prompti, et aliquas non habere, ad quas sunt minus prompti.” (De virtutibus, q. 5 a. 2 ad 1)

Esaminiamo qui di seguito quello che dice s. Tommaso in questi due testi e più avanti esamineremo più direttamente le sue affermazioni nella Somma Teologica.

Nel Commento alle Sentenze s. Tommaso spiega che l’affermazione di s. Beda va intesa quanto all’uso e non quanto all’abito della virtù secondo che i diversi santi si superano a vicenda in vari modi nell’uso delle diverse virtù; questo significa che i santi, pur essendo perfetti e operando da perfetti, si umiliano per la loro mancanza di somma perfezione. S. Alfonso M. de Liguori spiega a questo riguardo :“ Le anime che sono veramente umili, perché si trovano più illuminate dalla luce divina, siccome esse maggiormente conoscono le divine perfezioni, così maggiormente vedono le loro miserie e peccati; perciò i santi, con tutto che facessero vita così esemplare e così differente dagli uomini mondani, pure si chiamavano, non per esagerazione, ma con vero sentimento, i maggiori peccatori che vivessero nel mondo.” [186]

Nel De Virtutibus s. Tommaso afferma che l’espressione di s. Beda, secondo cui i santi più si umiliano per le virtù che non hanno rispetto a  quanto si glorino per le virtù che hanno, significa che essi sono più pronti per compiere certi atti di virtù che per altri.

In questo testo e in quello del Commento alle Sentenze, dunque, è chiaro per s. Tommaso che i santi hanno tutte le virtù e non sono adulteri, né fornicatori, né assassini ma la frase di s. Beda indica che il santo pur essendo perfetto non è sommamente perfetto e appunto si umilia per questa sua mancanza di somma perfezione piuttosto che gloriarsi della perfezione che ha raggiunto.

Prima di passare a esaminare il testo della Somma Teologica dobbiamo notare che il testo del De Virtutibus è certamente successivo rispetto al Commento alle Sentenze e che è probabilmente coevo o successivo rispetto al testo della I-II che stiamo per vedere; inoltre è bene sottolineare che  s. Tommaso parla di santi, cioè parla di persone che hanno la carità e una carità eminente …. e nella carità ci sono tutte le virtù, come dice s. Tommaso stesso nel testo della Somma Teologica che il Papa ha citato nell’Amoris Laetitia e che qui di seguito ora riporto integralmente.

c) Esame approfondito del testo di I-II q. 65 a. 3 citato dalla Amoris Laetitia e precisazioni.

 

 

L’articolo completo della Somma Teologica che il Papa ha citato in parte nell’Amoris Laetitia può essere letto da tutti gratuitamente a questo sito : http://www.corpusthomisticum.org/sth2055.html .  Il Santo Dottore si domanda all’inizio di tale articolo se la carità possa essere senza le altre virtù morali. La sua risposta è la seguente: “Respondeo dicendum quod cum caritate simul infunduntur omnes virtutes morales. ” e aggiunge che: “ … oportet quod cum caritate simul infundantur omnes virtutes morales, quibus homo perficit singula genera bonorum operum. Et sic patet quod virtutes morales infusae non solum habent connexionem propter prudentiam; sed etiam propter caritatem. Et quod qui amittit caritatem per peccatum mortale, amittit omnes virtutes morales infusas.”(Iª-IIae q. 65 a. 3)

Da quello che afferma s. Tommaso è evidente che la carità è unita a tutte le virtù morali infuse. Coloro che hanno la carità hanno dunque con essa tutte le virtù morali.

La seconda obiezione (arg. 2) afferma, seguendo Aristotele, che molti che hanno la carità, e sono senza peccato grave, non hanno le altre virtù perché patiscono difficoltà nelle opere di tali virtù, ed esse non sono loro piacevoli per se stesse, ma solo in quanto sono riferite alla carità, quindi la carità può esserci senza le altre virtù morali.

Rispondendo s. Tommaso spiega che a volte capita, per una difficoltà che sopravviene dall’esterno, che chi possiede un abito patisca difficoltà nell’operare, e quindi non provi piacere e compiacimento nell’atto. In questa linea può accadere che una persona pur avendo l’abito della scienza provi difficoltà nel capire, a causa della sonnolenza o per una malattia. In modo simile talora gli abiti delle virtù morali infuse patiscono difficoltà nell’operare, a causa di alcune disposizioni contrarie lasciate dagli atti precedenti. La quale difficoltà non capita ugualmente nelle virtù morali acquisite: poiché mediante l’esercizio degli atti, col quale vennero acquistate, furono tolte anche le disposizioni contrarie.(cfr. Iª-IIae q. 65 a. 3 ad 2)

Qui occorre sottolineare che l’obiezione (arg. 2) è fondamentalmente errata perché  applica alle virtù infuse le stesse caratteristiche delle virtù acquisite. Ma tra i due tipi di virtù c’è una abissale differenza e le loro caratteristiche sono ben diverse. Le virtù infuse sono virtù che sono unite alla grazia santificante e quindi alla nostra partecipazione soprannaturale alla vita divina e ci fanno partecipare soprannaturalmente alle divine perfezioni e ci fanno camminare sulla via della Croce .. esse, come spiega s. Tommaso, differentemente dalle virtù acquisite possono patire difficoltà nell’operare.

Nella terza obiezione si afferma che la carità è in tutti i santi, ma ci sono dei santi che mancano di qualche virtù: infatti S. Beda afferma che i santi più si umiliano per le virtù che non hanno, di quanto si glorino per le virtù che hanno, quindi non è necessario che chi ha la carità, abbia tutte le virtù morali.
S. Tommaso risponde precisando che si dice che alcuni santi non hanno certe virtù per la ragione già detta nella risposta all’obiezione seconda e cioè per le difficoltà che provano negli atti di esse, a causa delle disposizioni contrarie lasciate dagli atti precedenti. Ma in realtà i santi hanno l’abito di tutte le virtù. (cfr. Iª-IIae q. 65 a. 3 ad 3)  Quindi i santi hanno tutte le virtù con la carità. I santi hanno tutte le virtù infuse anche se alcuni atti di esse li compiono con difficoltà … ma li compiono quando li devono compiere! Sottolineo che per s. Tommaso, come visto, i comandamenti negativi non possono essere mai violati … e che s. Tommaso afferma che riguardo ai santi si dice (“dicuntur”) che non hanno le virtù e quel “dicuntur” è estremamente illuminante , vuole dire che l’affermazione di s. Beda è un modo di dire che non corrisponde alla verità piena delle cose. I santi , secondo le affermazioni di s. Tommaso  in questo passo hanno le virtù infuse e ne compiono gli atti anche se con difficoltà.

I santi operano secondo verità.  In questo testo della Somma Teologica , quindi, il s. Dottore segue più direttamente quello che lui ha affermato nel De Virtutibus : i santi sono più pronti per compiere certe opere virtuose che per altre;  per s. Tommaso, è bene ribadirlo, è chiaro che i santi hanno tutte le virtù e la frase di s. Beda dice in fondo che i santi illuminati da Dio e contemplando la sua perfezione, sentono la debolezza delle loro virtù e si impegnano a crescere in esse come spiega molto bene s. Alfonso:“ Le anime che sono veramente umili, perché si trovano più illuminate dalla luce divina, siccome esse maggiormente conoscono le divine perfezioni, così maggiormente vedono le loro miserie e peccati; perciò i santi, con tutto che facessero vita così esemplare e così differente dagli uomini mondani, pure si chiamavano, non per esagerazione, ma con vero sentimento, i maggiori peccatori che vivessero nel mondo.”.[187]

Dom G. Meiattini afferma riguardo al passo dell’Amoris Laetitia in cui si cita l’articolo della Somma Teologica (Iª-IIae q. 65 a. 3) qui sopra riportato : “Ora, usare questo passo della Summa riguardante un deficit relativo di bene e di virtù in chi vive non solo nella legge di Dio (senza peccato mortale), ma perfino nella santità, per cercare di gettar luce sulla situazione di coloro che violano positivamente un comando divino (cioè contraddicono oggettivamente la legge) è del tutto improprio. … Citare questo passo di Tommaso quasi a sostenere l’equivalenza fra virtù imperfetta e condizione oggettiva di peccato soggettivamente meno o del tutto non colpevole, per attenuanti di vario tipo, mi sembra una vera e propria metabasis eis allos ghenos e urta con l’insegnamento complessivo di Tommaso ….”[188]

d) Cosa dice realmente il testo di s. Tommaso  De Malo, q. 2, a. 2 e perché è citato insieme a I-II q. 65 a. 3 ?

Vediamo il testo del  De malo, q. 2, a. 2. , l’articolo è lungo, quindi citerò solo i passi salienti. Anzitutto l’articolo ha per titolo una domanda “ … quaeritur utrum peccatum consistat in actu voluntatis tantum” ci si chiede se il peccato consista solo in un atto di volontà e nel corpo il s. Dottore risponde dicendo “Qui vero consideraverunt in peccato solum id unde habet rationem culpae, dixerunt peccatum in sola voluntate consistere. Sed oportet in peccato considerare non solum ipsam deformitatem, sed etiam actum deformitati substratum; quia peccatum non est deformitas, sed actus deformis. Deformitas autem actus est per hoc quod discordat a debita regula rationis vel legis Dei. Quae quidem deformitas invenitur non solum in actu interiori, sed etiam exteriori. Sed tamen hoc ipsum quod actus exterior deformis imputatur homini ad culpam, est a voluntate.”  Nell’articolo poi s. Tommaso precisa:“ …voluntate producitur non solum actus interior quem voluntas elicit, sed etiam actus exterior quem voluntas imperat; et ita etiam hoc ipsum quod exteriori actu peccatur, voluntate peccatur.”(ibid. ad 1)

S. Tommaso risponde essenzialmente alla domanda iniziale dicendo che il peccato è un atto deforme che discorda dalla regola di ragione o dalla Legge divina, tale deformità si trova non solo nell’atto interiore ma anche in quello esteriore ma è la volontà che produce l’atto interiore e l’atto esteriore che è imperato dalla volontà. L’atto interiore della volontà è dunque causa dell’atto esteriore. In alcuni casi l’atto esteriore e quello interiore formano un solo peccato ma se la persona ha fatto prima un peccato solo interiore e poi volendo ha compiuto anche l’atto esteriore, sono due peccati .(ibid. ad 11)

Facciamo notare che i due testi, I-II q. 65 a. 3 e De Malo q. 2 a. 2 sono parti di articoli in cui si trattano cose ben diverse visto che in uno si parla della relazione tra la carità e le virtù morali e nell’altro si parla della relazione esistente tra peccato e volontà. Il Papa cita questi  testi di s. Tommaso, in Amoris Laetitia n. 301, parlando delle circostanze attenuanti, dopo avere detto: “ Già san Tommaso d’Aquino riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù.”.

e) Il Papa cita s. Tommaso per far passare qualcosa che lo stesso s. Tommaso condanna.

Il Papa cita questi  testi di s. Tommaso, in Amoris Laetitia n. 301, parlando delle circostanze attenuanti. Questi testi dovrebbero giustificare le affermazioni fatte in precedenza dal Papa al n. 301. … e dovrebbero giustificare ultimamente l’amministrazione del Sacramento della Confessione e della Comunione a coloro vivono in adulterio  e che non hanno hanno il proposito di non commettere adulterio, quindi non sono contriti per tali peccati … come si evince della lettera dei Vescovi argentini approvata dal Papa laddove afferma : “ Si se llega a reconocer que, en un caso concreto, hay limitaciones que atenúan la responsabilidad y la culpabilidad (cf. 301-302), particularmente cuando una persona considere que caería en una ulterior falta dañando a los hijos de la nueva unión, Amoris laetitia abre la posibilidad del acceso a los sacramentos de la Reconciliación y la Eucaristía (cf. notas 336 y 351). Estos a su vez disponen a la persona a seguir madurando y creciendo con la fuerza de la gracia.”[189] Come si vede, in questo passo i Vescovi argentini citano Amoris Laetitia n. 301 …

Le affermazioni del Papa e la citazione di s. Tommaso che stiamo esaminando dovrebbero, inoltre, aprire la porta per il “cambio di paradigma”.

….  si pensi in particolare a quanto affermato dal Card. Kasper  [190]

…. si pensi a quanto affermato dal Card. Coccopalmerio[191] , da un teologo che applica le affermazioni del Card. Coccopalmerio [192] … e dal Vescovo Elbs[193]… si pensi a quello che dice un interessante articolo di S. Magister  [194]

Si pensi alle aperture che il “cambio di paradigma” sta realizzando in tema di legittimazione degli atti omosessuali … come ho detto più sopra … perciò:

– il Cardinale Reinhard Marx ha dichiarato: “Fino ad ora, queste due questioni erano state assolutamente non negoziabili. Sebbene non fossero riuscite a ottenere la maggioranza dei due terzi, la maggioranza dei padri sinodali aveva comunque votato a loro favore.”

“Fanno ancora parte del testo”, ha continuato Marx. “Ho chiesto in particolare al Papa di questo, e il Papa ha detto che voleva tutti i punti pubblicati insieme a tutti i risultati delle votazioni. Voleva che tutti nella chiesa vedessero dove ci trovavamo. No, questo Papa ha spalancato le porte e il voto i risultati alla fine del sinodo non lo cambieranno “.[195]

– il giornalista Moia ha potuto scrivere un significativo articolo sul giornale dei Vescovi italiani[196];

– il Papa si fa problemi a incontrare una donna, un’attivista contraria al matrimonio omosessuale, che pure aveva 4 matrimoni (con uomini) sulle spalle, ma non si fa problemi a incontrare noti omosessuali[197].

– ugualmente il Papa non si fa problemi a far leggere ad una delle sue s. Messe un attivista pro LGBT, con grande scandalo[198].

– il Papa non censura e anzi “promuove” il p. Martin SJ che celebra addirittura s. Messa pre gay-pride e secondo il quale: Papa Francesco ha amici LGBT ed ha nominato molti i, arcivescovi e vescovi che sostengono il mondo LGBT[199], P. Martin è stato ricevuto dal Papa nell’ottobre 2019 e circa un mese dopo ha affermato che in tale incontro il Papa lo ha incoraggiato a continuare il suo ministero presso i cattolici LGBT, in un articolo di S. Paciolla intitolato significativamente:  “Una foto che certifica un “cambio di paradigma””[200] e che riguarda proprio l’incontro dell’ottobre 2019 tra il Papa e p. Martin,   il giornalista spiega che: “ … il Card. Robert. Sarah, in un editoriale sul WSJ, ha definito padre Martin “uno dei critici più schietti del messaggio della Chiesa riguardo alla sessualità”, il Card. Burke, in una intervista a The Wanderer, ha detto che quanto affermato da padre Martin “non è coerente con l’insegnamento della Chiesa” sull’omosessualità, l’Arcivescovo di Philadelphia, mons. Charles Chaput, ultimamente ha scritto che padre Martin “travisa il credo cattolico”, il vescovo Thomas John Paprocki, della diocesi di Springfield, il 19 settembre scorso ha emesso un comunicato nel quale, tra l’altro, si dice che “I messaggi pubblici di Padre Martin creano confusione tra i fedeli e sconvolgono l’unità della Chiesa, promuovendo il falso senso che il comportamento sessuale immorale è accettabile secondo la legge di Dio.”[201] … Papa Francesco evidentemente lo lascia libero di parlare e non censura le erronee e scandalose affermazioni di p. Martin … e anzi lo incoraggia a continuare la sua opera !

– uno degli ultimi Cardinali creati da Papa Francesco è mons. Mendonça, di lui leggiamo quanto segue : “ noto per essere un fan di suor Maria Teresa Forcades i Vila, “teologa” ultra-femminista sostenitrice dell’aborto e del “matrimonio” omosessuale. Proprio nella prefazione a un libro della Forcades il neo-e sostiene  che “Gesù di Nazareth non ha codificato né ha stabilito delle regole”. Inoltre in un’intervista del 2016 ha esaltato Bergoglio contrapponendolo ai “tradizionalisti”.”[202],  significative ci paiono in questa linea le parole di questa teologa Forcades : “Papa Francesco io penso che abbia provato a fare un passo in avanti in questo senso con il sinodo della famiglia, non è riuscito a farlo ma non è la stessa atmosfera di quando non c’era Papa Francesco. Per esempio suor Jeannine Gramick, che lavora da tanti anni negli Stati Uniti per l’accettazione non solo dell’essere omosessuale ma anche dell’attività omosessuale, dell’amore omosessuale fisico, ha detto che da quando è arrivato Papa Francesco non ha più avuto la pressione che subiva prima per non fare questo tipo di apostolato”.[203]

– Sua Eminenza De Kesel, uno dei Cardinali creati da Papa Francesco, ha affermato: «La condanna degli atti omosessuali non è più sostenibile».[204] Non mi consta che la S. Sede sia intervenuta a correggere le affermazioni di questo Cardinale  …

– “Nel Sinodo sulla Famiglia del 2015 il cardinale Cupich ha sostenuto la proposta di permettere alle persone che vivono in relazioni adulterine e agli omosessuali sessualmente attivi di ricevere l’Eucarestia in buona coscienza, in alcune circostanze, Papa Francesco lo ha nominato Arcivescovo di Chicago nel 2014, cardinale nel 2016, e membro della Congregazione dei Vescovi e della Congregazione per l’Educazione Cattolica.”[205], in questa linea vanno anche le parole del Card. Cupich secondo cui nella sua Diocesi non è previsto che siano negati i Sacramenti a coloro che vivono notoriamente in unione omosessuale [206], iL PAPA, sottolineo,  significativamente, NON HA CONDANNATO tutti QUESTI ERRORI riguardanti l’omosessualità, COME SUO DOVERE, ma, ANZI, IN VARI CASI, HA SOSTENUTO E PROMOSSO, come visto, QUELLI CHE LI DIFFONDEVANO;

– diversi Vescovi e teologi stanno sostenendo la legittimità delle benedizioni alle coppie omosessuali … e la S. Sede dopo aver condannato, con molto ritardo, tali benedizioni non ha preso nessun reale e forte provvedimento contro coloro che sostengono queste aberrazioni teologiche e che in alcuni casi le hanno compiute … o continuano a compierle … quindi teologi e Pastori che sono  a favore dell’omosessualità e delle benedizioni delle coppie omosessuali sono pienamente attivi nel loro “apostolato” nelle Parrocchie e nei seminari e quindi nella diffusione dei loro errori  su questo punto di dottrina [207]

– come vedemmo poco più sopra attraverso Amoris Laetitia il Papa praticamente cancella la dottrina per cui i precetti negativi del Decalogo siano obbligatori sempre e in ogni circostanza … e ovviamente questo può valere o vale anche riguardo al divieto di atti impuri omosessuali;

– etc. etc.

L’ Amoris Laetitia (con il suo n. 301) è appunto lo strumento per l’attuazione del “cambio di paradigma”, come aveva detto già il Card. Baldisseri  :“E in effetti non tanto il Sinodo, sarà importante, ma la sintesi che n verrà preparata, e che porterà la firma del Papa come “Esortazione post-sinodale”. E’ molto probabile che non sarà un testo chiaro e definitivo, ma basato su un’interpretazione “fluttuante”. In modo che ciascuno leggendolo, possa tirarselo dalla parte che più gli fa comodo.” [208]

Il documento finale, sottolineo, doveva essere  non chiaro e definitivo, ma basato su un’interpretazione “fluttuante”, in modo che ciascuno leggendolo, possa tirarselo dalla parte che più gli fa comodo …. per la realizzazione del “cambio di paradigma” …

Tutto questo è radicalmente contrario all’insegnamento di s. Tommaso e il Papa vuole realizzarlo appoggiandosi  a delle citazioni di s. Tommaso … mi pare ovvio che venga usato s. Tommaso in modo improprio per far passare ciò che in realtà s. Tommaso e la sana dottrina condannano assolutamente.

Le citazioni di s. Tommaso appaiono come “fumo negli occhi” che serve per legittimare, per aprire le porte” riguardo a  ciò che in realtà s. Tommaso non ammette e che, anzi, condanna. Dio intervenga!

Riguardo più specificamente alle attenuanti e quindi al n. 301 occorre dire che, come vedremo meglio più avanti, specie nel prossimo volume, esse sono una delle “vie maestre” usate dal Papa per attuare il “cambio di paradigma”. Il Papa adotta, a questo riguardo, una strategia molto astuta: far passare attraverso una trattazione ambigua e imprecisa dei casi estremi di teologia morale (appunto delle attenuanti e del relativo discernimento) la sovversione della sana dottrina.

Mons. Fernandez , presunto autore nascosto dell’ Amoris Laetitia, ha scritto commentando l’Amoris laetitia: “Pero su acento está puesto más bien en la cuestión de la eventual

disminución de la responsabilidad y de la culpabilidad. Los condicionamientos pueden atenuar o anular la responsabilidad y la culpabilidad frente a cualquier norma, aun frente a los preceptos

negativos y a las normas morales absolutas. Ello hace posible que no siempre se pierda la vida de la gracia santificante en una convivencia “more uxorio”.[209] Quindi l’accento nell’ Amoris Laetitia è piuttosto sulla questione dell’eventuale diminuzione di responsabilità e colpevolezza, alcuni condizionamenti  possono mitigare o annullare la responsabilità e la colpa contro qualsiasi norma, anche contro i precetti negativi e le norme assolute. Questo fa che la vita della grazia santificante non si perda sempre in una convivenza “more uxorio”.

E l’Amoris Laetitia gli fa eco: “La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. … Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale»[ …] o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa. Come si sono bene espressi i Padri sinodali, «possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione».[…]” (Amoris Laetitia n. 301)

Le attenuanti di cui parla il Papa, come vedremo bene nel prossimo volume, possono essere invocate per sottrarsi ai comandamenti e ricevere i Sacramenti e appaiono estensibili a moltissimi casi sicché molta gente compia peccati gravi, si senta praticamente giustificata nel compierli e in più riceva i Sacramenti.

Le attenuanti di cui parla il Papa in Amoris Laetitia 301 sono  quelle per cui basta avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale» per essere considerati praticamente incapaci di vivere tale norma e quindi per poter ricevere l’assoluzione sacramentale senza proporsi di non peccare più; Papa Francesco infatti scrive:“  Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale»”. (Amoris Laetitia n. 301) Questa attenuante così come presentata può riguardare tutti i tipi di peccatori  (omicidi,  pedofili, adulteri etc.)  Seguendo il ragionamento di Amoris Latitia ed applicandolo nella sua totale ampiezza, avremmo che un omicida o un pedofilo cattolico che compiono atti di omicidio o pedofilia ma che, pur conoscendo le norme divine, hanno grande difficoltà nel comprendere i valori insiti nelle norme che vietano tali peccati, sarebbero considerati praticamente incapaci di vivere lontano dalla pedofilia e dall’omicidio, quindi potrebbero essere assolti in Confessione e potrebbero ricevere l’Eucaristia  senza proporsi di non più commettere atti di omicidio o di pedofilia. Similmente un adultero o uno che pratica l’omosessualità ma che, pur conoscendo le norme divine, ha grande difficoltà nel comprendere i valori insiti nelle norme che vietano tali peccati, sarebbe considerato praticamente incapace di vivere lontano da tali peccati e quindi potrebbe essere assolto in Confessione e potrebbe ricevere l’Eucaristia  senza proporsi di non più commettere adulterio, basterebbe, in questa linea, che costui affermasse di avere tale difficoltà perché tale persona fosse assolta sacramentalmente e potesse ricevere l’Eucaristia senza proporsi di non peccare più e quindi continuando a compiere atti oggettivamente gravi!

Nell’ Amoris laetitia, inoltre,  al n. 301 leggiamo: “Un soggetto … si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa.”

Questa attenuante così come presentata può riguardare tutti i tipi di peccatori  (omicidi,  pedofili, adulteri etc.)

Più generalmente, per tale attenuante, chiunque pecca gravemente (omicida,  pedofilo, adulterio, sodomita etc. etc.)  e si trova in “condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa” può essere assolto sacramentalmente e ricevere l’ Eucaristia senza proporsi di vivere secondo la Legge divina e quindi  continuando a peccare. In questa linea un pedofilo che si trova in “condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa” potrebbe non proporsi di convertirsi, continuare a violentare bambini e ricevere anche i Sacramenti! Un omicida, in modo simile, che si trova in “condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa” potrebbe  non proporsi di convertirsi, continuare a compiere e ricevere anche i Sacramenti! Un adultero che si trova in “condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa” potrebbe  non proporsi di convertirsi, continuare a compiere atti di adulterio e ricevere anche i Sacramenti! A stabilire che il soggetto si trova in tali condizioni è, in particolare, il soggetto stesso alla cui coscienza il discernimento viene affidato in modo particolare, come abbiamo visto.

Come notammo più sopra l’ATTENUANTE è DI LARGHISSIMA ESTENSIONE … MA Da quanto appare nella lettera dei Vescovi argentini elogiata dal Papa, le “condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente” si attuerebbero, in particolare, nel caso che una persona, divorziata risposata, non voglia liberarsi da una situazione di peccato oggettivamente grave ritenendo che cadrebbe in ulteriori mancanze danneggiando i figli della nuova unione, tale attenuante renderebbe possibile a tale persona di ricevere i Sacramenti senza doversi proporre di non peccare più e quindi continuando atti adulterini nella situazione di divorziata risposata.

Questa attenuante, per cui sarebbe dispensato dal proporsi di vivere secondo la Legge di Dio chi non vuole uscire dalla situazione di peccato per non cadere in ulteriori mancanze danneggiando i figli, si può evidentemente estendere ad altri atti oggettivamente gravi (omicidio,  pedofilia, adulterio, atti impuri contro natura etc.) e rende possibile di ricevere i Sacramenti senza doversi proporre di non peccare più e quindi continuando a compiere atti oggettivamente gravi. Il pedofilo, l’omicida etc., in questa linea, per non cadere in ulteriori mancanze danneggiando i figli, potrebbero proseguire nel peccato di pedofilia e in quello di omicidio e non dovrebbero proporsi di non peccare più  e potrebbero ricevere i Sacramenti appunto senza doversi proporre di non peccare più … Ma più generalmente occorre sottolineare che per questa attenuante diverrebbe praticamente lecito fare un male oggettivo grave per ottenere un bene … In questa linea praticamente tutto potrebbe diventare lecito (omicidio, furto, bestemmia, stupro etc.) per ottenere un bene … e si potrebbero anche ricevere i Sacramenti …

Ripeto: le attenuanti di cui parla il Papa al n. 301, come vedremo bene nel prossimo volume, possono essere invocate per sottrarsi ai comandamenti e ricevere i Sacramenti e appaiono estensibili a moltissimi casi sicché molta gente compia peccati gravi, si senta praticamente giustificata nel compierli e in più riceva i Sacramenti … questo è ovviamente contrario alla sana dottrina e all’insegnamento di s. Tommaso … Dio intervenga e ci liberi da questi colossali errori e da questi scandali.

Concludo notando che i Vescovi tedeschi nel loro documento evidentemente contrario alla sana dottrina, come vedemmo sopra , citano il n. 301 di Amoris laetitia dicendo che è chiaro cosa intende il Papa quando afferma in Amoris laetitia che la Chiesa possiede un solido corpo di riflessione sulle attenuanti, quindi non si può più dire semplicemente che tutti coloro che si trovano in una qualsiasi situazione “irregolare” vivono in stato di peccato mortale e sono privi della grazia santificante. (AL n. 301). Amoris laetitia, precisano i Vescovi, non offre una regola generale in merito a questa materia, e non fornisce un meccanismo automatico per ammettere tutti coloro che sono divorziati risposati civilmente ai sacramenti. Amoris laetitia, in particolare, non si ferma alla esclusione irreversibile dai sacramenti di costoro ma appunto apre le porte … le apre al punto da far accettare anche gli errori contenuti nel documento dei Vescovi tedeschi e quindi da annientare praticamente la necessità del proposito di non peccare in ordine ad una confessione valida … le apre  sicché molta gente compia peccati gravi, si senta praticamente giustificata nel compierli e in più riceva i Sacramenti … con evidente colossale scandalo dei fedeli!

Dio intervenga.

f) Quando si perde la carità? Ce lo spiega s. Tommaso.

Mi sembra interessante a questo punto del libro esaminare qui un articolo della Somma Teologica in cui s. Tommaso si sofferma in modo particolare ad esaminare il caso della perdita della carità (II-IIae q. 24 a. 11) S. Tommaso si domanda anzitutto se chi ha ricevuto la carità possa perderla.

La risposta che il s. Dottore dà alla domanda iniziale è che la carità si perde perché il soggetto si sottrae allo Spirito Santo e alla carità stessa. Lo  Spirito Santo, precisa il s. Dottore, muove l’anima ad amare Dio e a non peccare, il Paraclito col suo influsso preserva immuni dal peccato coloro che egli muove come vuole. La carità non può fare altro che quanto appartiene all’essenza di essa quindi non può peccare in nessun modo, la carità che nella sua stessa natura di carità potesse mancare, non sarebbe vera carità, s. Gregorio ha detto a questo riguardo che “l’amore di Dio, se c’è, compie cose grandi: se cessa di compierle, la carità non c’è”(“Quadraginta Hom. in Evangel.” , l. II, h. XXX, PL. 76, 1221). La carità ha un intrinseco proposito di compiere grandi cose. La carità, stando alla natura del suo atto, esclude tutti i moventi del peccato.

Il soggetto invece, in questo mondo, è mutabile per la libertà del suo libero arbitrio e può peccare e perdere la carità, appunto sottraendosi ad essa e allo Spirito Santo. Capita che la carità spesso non agisca attualmente e allora può intervenire un movente che spinge al peccato, consentendo al quale si perde la carità. La carità dei beati non si può perdere, la carità dei viatori non sempre si porta attualmente verso Dio e appunto quando non tende attualmente verso Dio, può capitare un atto che fa perdere la carità.
È proprio di un abito, precisa s. Tommaso, spingere la potenza ad agire, in quanto l’abito fa sembrare buono ciò che gli si addice, e cattivo quanto ad esso si oppone perciò la carità non si può perdere là dove l’oggetto che ad essa conviene non può apparire che buono e cioè nella patria, dove si vede l’essenza di Dio, che è l’essenza stessa della bontà. Invece la carità dei viatori, che non vedono l’essenza di Dio, l’essenza stessa della bontà, può essere perduta. [210]

In II-II, q. 24 a. 11 s. Tommaso ci offre una precisazione riguardo all’affermazione secondo cui: “…”l’amore di Dio, se c’è, compie cose grandi: se cessa di compierle, la carità non c’è”.[211]

Qui s. Tommaso precisa che questa affermazione di s. Gregorio non significa che la carità non si può perdere e non significa che se una persona non opera queste grandi cose non ha mai avuto la carità ma vuole dire che finché l’anima ha la carità, quest’ultima fa compiere alla persona grandi cose, quando invece l’anima perde la carità non compie più cose grandi. L’insegnamento di s. Tommaso è quindi che se  c’è la carità e lo Spirito Santo con essa, questa presenza si manifesta; quando non c’è più tale presenza, essa non si può manifestare. Come vedremo meglio qui di seguito: allontanato Dio dall’anima per il peccato mortale, alla Luce divina subentra la tenebra del peccato e la Luce non si può più manifestare se non dopo che la persona riacquista la carità.

Nell’articolo successivo (II-IIae q. 24 a. 12) a quello che abbiamo appena visto s. Tommaso si domanda se un solo peccato mortale determini la perdita della carità.

La carità, dice s. Tommaso ci porta a sottometterci alla Legge di Dio e ad osservarla infatti è essenziale alla carità di amare Dio sopra tutto, tanto da volersi sottomettere a lui interamente, e da seguire in tutto la norma dei suoi precetti. Tutto ciò che contrasta con i comandi della Legge di Dio è manifestamente contrario alla carità ed è incompatibile con la carità, cioè una sola deviazione grave dalla Legge divina con il peccato grave comporta la perdita della carità:

Dice s. Tommaso più precisamente:“ Manifestum est autem quod per quodlibet mortale peccatum, quod divinis praeceptis contrariatur, ponitur praedictae infusioni obstaculum, quia ex hoc ipso quod homo eligendo praefert peccatum divinae amicitiae, quae requirit ut Dei voluntatem sequamur, consequens est ut statim per unum actum peccati mortalis habitus caritatis perdatur.” (II-IIae q. 24 a. 12) Con qualsiasi peccato mortale, contrario ai precetti di Dio, si mette un ostacolo all’ infusione della carità: perché dal fatto che un uomo nella scelta preferisca il peccato all’amicizia di Dio, la quale richiede che seguiamo la volontà divina, consegue che immediatamente si perda l’abito della carità, con un solo atto di peccato mortale. Perciò S. Agostino insegna, che “Così l’uomo viene illuminato da Dio se Dio è presente a lui ma, se Dio è assente, piomba subito nelle tenebre. Da Dio però ci si allontana non a causa di distanze spaziali tra noi e lui, ma a causa dell’avversione della volontà umana che si volge via da lui.”[212]

Più precisamente s. Tommaso spiega che la carità si può perdere in due modi. In un modo, direttamente, disprezzandola volontariamente. In un altro modo, indirettamente: quando si commette un atto contrario alla carità, per una passione della concupiscenza o del timore. L’uomo che si trova nello stato di perfezione non procede immediatamente all’atto del peccato mortale, ma vi si predispone con qualche negligenza precedente, infatti si dice che i peccati veniali predispongono al mortale. [213]

Come si vede, con un solo peccato grave si perde la carità … e l’adulterio  (come omicidio, come la pratica omosessuale etc.) è peccato grave, come sappiamo bene noi e come sapeva bene s. Tommaso!

Quindi ogni atto di adulterio, in quanto peccato grave, priva l’anima della carità e della grazia e fa decadere ogni santo dalla sua santità.

Come ho detto in precedenza: le attenuanti di cui parla il Papa al n. 301, come vedremo meglio nel prossimo volume, possono essere invocate per sottrarsi ai comandamenti e ricevere i Sacramenti e appaiono estensibili a moltissimi casi sicché molta gente compia peccati gravi, si senta praticamente giustificata nel compierli e in più riceva i Sacramenti … e quando parlo di peccati gravi intendo peccati che sono tali per la sana dottrina e quindi aventi materia grave, piena avvertenza e deliberato consenso … Attraverso Amoris Laetitia e più ampiamente attraverso il “cambio di paradigma”, come stiamo vedendo  e sempre meglio vedremo, vengono legittimati veri peccati gravi e a coloro che li compiono e non si propongono di smettere viene permesso di ricevere i Sacramenti … le parole del card. Kasper, di mons. Elbs, dei Vescovi tedeschi etc. sono estremamente indicative di ciò … e tutto questo va ovviamente contro la carità e contro la dottrina tomista …

Ovviamente mons. Fernandez e l’Amoris Laetitia si oppongono a parole alla possibilità che i peccati gravi siano legittimati ma dobbiamo sempre ricordarci che la dottrina di mons. Fernandez e di Amoris Laetitia non è la sana dottrina … quindi ciò che per la sana dottrina è peccato grave , per loro non lo è … e ciò che essi condannano in generale non è detto che sia condannato da loro in particolare perché appunto secondo Amoris Laetitia più si scende nel particolare e più c’è indeterminazione (Amoris Laetitia n. 304).

Ricordo, in conclusione, che i peccati gravi fanno perdere la carità e aprono le porte che conducono all’inferno.

Cristo intervenga, ribadisca la dottrina della salvezza e condanni gli errori che l’attuale Papa e alcuni suoi collaboratori diffondono.

7) La carità fraterna nella sana dottrina e  nell’Amoris Laetitia.

 

 

a) Indicazioni fondamentali circa la carità fraterna nella Bibbia e nei Padri della Chiesa.

 

 

a,1) La carità fraterna nella Bibbia.

 

 

Vedemmo più sopra che sulle labbra di Gesù l’amore del prossimo è divenuto qualcosa di nuovo. Gesù afferma chiaramente: “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.” (Mt. 5, 43-48). Sotto la guida dello Spirito che Cristo ci dona diventa possibile per noi amare in modo soprannaturale il prossimo, amarlo come Cristo lo ama, amarlo divinamente e santamente, amarlo con una carità e sapienza divine.

Secondo Spadafora l’affermazione di Gesù, “odierai il tuo nemico” non è precisamente biblica ma rende efficacemente il messaggio di molte pagine del V. T., dove troviamo espressioni di vendetta contro i pagani e contro gl’Israeliti malvagi. Ci troviamo dinanzi ad una attitudine  di odio nei riguardi dei nemici che gli scribi traevano dalle prescrizioni fissate per Israele, nel Deuteronomio, in particolare, riguardo ai Gentili (cf. Deut. 20, 13-17; 23, 4-7; 25, 17-19).

Quest’ attitudine fu rafforzata dalla letteratura giudaica post-biblica.[214]

Per il V. T. l’amore per il prossimo è amore per il compatriota, uomo della stessa famiglia o della stessa tribù, per la gente della stessa razza, o comunque quanti, ed esclusivamente essi, sono entrati con la circoncisione o rito equivalente a far parte della collettività, secondo il principio di solidarietà, allora vigente; ma tutti gli altri ne sono esclusi.(cfr. F. Spadafora “Carità” in “Dizionario Biblico” ed. Studium 1963) In tal senso, la letteratura rabbinica commenta concordemente le leggi riguardanti il prossimo; precisando sempre che si tratta del solo israelita e «non del Samaritano, dello straniero o del proselita» (Mekiltà, Ex. 21, 14.35, citato in F. Spadafora “Carità” in “Dizionario Biblico” ed. Studium 1963).

Per prossimo, spiega A. Penna, nel V. T.  non si intende ogni uomo, piuttosto si intende il membro del popolo di Dio, connazionale e correligionario, e lo straniero domiciliato tra il popolo eletto (gher) e la molteplice espressione del comando è lasciata alla responsabilità e alla sensibilità dell’individuo. (cfr. A. Penna “Amore nella Bibbia.” ed. Paideia Brescia 1972 p. 133)

Penna afferma a riguardo all’amore del prossimo nel V. T. : “In ogni caso, questo concetto non comprende certo il proprio nemico (Altra documentazione in Nissen, Gott und der Nächste im antiken Judentum, 285-308). Anzi, commentando Es 21,35, dove si fa il caso del bue di un uomo che cozza e ammazza «il bue del suo prossimo », il midrash Mekilta spiega testualmente: «Ciò esclude il bue di un subordinato, il bue di un Samaritano, il bue di uno straniero, e il bue di un residente forestiero». Da parte sua, Mosè Maimonide intenderà solo «il correligionario» ….”[215]

La carità cui Cristo chiama i suoi discepoli è somma partecipazione all’amore con cui Dio ama gli uomini, è virtù soprannaturale che prolunga la carità con cui Cristo ha amato ogni uomo … quindi è nettamente superiore a quella che fino ad allora veniva insegnata sulla base dell’ A. T.; essa include in Dio, in certo modo, in Cristo e in noi come vedremo, anche il santo odio cioè la radicale opposizione al peccato ma tale santo odio, come vedremo, va inteso in una luce nuova, appunto nella pienezza della Luce divina che Gesù ha portato.

Nel Vangelo di Marco leggiamo: “Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: “Qual è il primo di tutti i comandamenti?”.  Gesù rispose: “Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; 30 amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi”.  Lo scriba gli disse: “Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici”.  (Mc. 12, 28ss; cf. Mt. 22, 34-40).

Gesù ha dato al termine “prossimo” il suo vero significato; per Cristo il prossimo è ogni uomo, tutti gli uomini. La nostra carità deve essere simile alla misericordia del Padre, deve essere universale: “ … siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Cristo riporta l’umanità alla perfezione originaria della carità, nella grazia santificante, nella partecipazione più piena alla vita divina trinitaria , perciò Cristo ci invita ad una carità verso il prossimo che sia partecipazione alla carità del Padre, una carità universale. (cfr. F. Spadafora “Carità” in “Dizionario Biblico” ed. Studium 1963)

Saremo giudicati da Dio sulla carità reale, attuata o trascurata, e Gesù sottolinea appunto in tale giudizio la carità fraterna  (cfr. Mt. 25, 31-46); la vera carità  è necessariamente anche carità verso il prossimo.

In questa luce dobbiamo leggere anche le affermazioni di s. Paolo : “ Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. Infatti: Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai, e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: Amerai il tuo prossimo come te stesso. La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità.” (Rom. 13, 8 ss.)

La vera carità è necessariamente anche carità verso il prossimo.

Chi ama veramente Dio, ama anche il prossimo e procura al prossimo il vero bene; nella carità  verso il prossimo sono racchiusi tutti gli altri comandamenti che regolano il nostro rapporto con il prossimo.

Tutta la Legge è racchiusa nella carità che appunto è la pienezza della Legge, come dice s. Paolo.

Ovviamente la carità di cui parliamo è un amore soprannaturale che nel suo attuarsi anche riguardo al prossimo adempie la legge divina, perfezionata in Gesù (Mt. 5, 17) Salvatore di tutti.

S. Giovanni l’apostolo che si è chinato sul petto di Cristo nell’ultima Cena e che ha fatto della carità il suo particolare distintivo, precisa riguardo alla carità fraterna “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi. …  E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui. …  Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello.” (1 Gv. 4, 7-21)

Vediamo bene in questo testo la connessione intima che lega l’amore di Dio e quello del prossimo: Dio ci ha amato per primo e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati; se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. La carità fraterna è partecipazione alla carità divina e la “prolunga” in certo modo.

Gesù chiama i suoi discepoli ad amarsi tra loro come Lui li ha amati “ Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.  Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri.” (Gv. 13, 34s) … “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. … Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.(Gv. 15, 12s.17) Cristo Dio uomo ci ha amato con una carità divina e una carità umana che partecipa alla divina, noi dobbiamo amarci con tale carità partecipe della divina. Dio stesso è carità (cfr. I Io. 4, 8) la sua carità verso gli uomini e verso il creato è modello sommo per la nostra ed è realtà cui partecipiamo in Cristo e che deve manifestarsi nella nostra vita specie nella relazione con i fratelli di fede (cfr. F. Spadafora “Carità” in “Dizionario Biblico” ed. Studium 1963)

La carità deve raggiungere, secondo Cristo, anche i nemici!

Gesù è molto chiaro: “ Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.” (Mt. 5, 43-48)

Cristo ha dato la sua vita per tutti anche per i suoi nemici … e questo ovviamente supera nettamente ogni insegnamento precedente tratto dalla Bibbia … “Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8). Cristo ha dato, nella carità, la vita per i suoi nemici e ci chiama a seguirlo e imitarlo nella carità prendendo la croce (Lc. 9) . Egli patì per noi per noi, lasciandoci un esempio, perché lo imitiamo; la lettera di s. Pietro è molto chiara a riguardo:

“anche Cristo patì per voi,

lasciandovi un esempio,

perché ne seguiate le orme:

egli non commise peccato

e non si trovò inganno sulla sua bocca;

insultato, non rispondeva con insulti,

maltrattato, non minacciava vendetta,

ma si affidava a colui

che giudica con giustizia.

Egli portò i nostri peccati nel suo corpo

sul legno della croce,

perché, non vivendo più per il peccato,

vivessimo per la giustizia;

dalle sue piaghe siete stati guariti.” (1 Pt. 2,21 ss)

Leggevamo più sopra : “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. ” (1 Gv. 4, 7)

Cristo, come vittima di espiazione ha riparato i nostri peccati e così ci ha amati, noi dobbiamo seguirlo in questi via di carità verso gli altri, verso i fratelli e verso tutti gli uomini peccatori, anche verso i nostri nemici …

La carità fraterna in questa linea si manifesta nella sua cruda e gloriosa realtà espiatoria … una realtà espiatoria che si vive sotto la guida dello Spirito Santo, nella grazia santificante, nella fede e in tutte le virtù.

a,2) La carità fraterna negli insegnamenti dei Padri della Chiesa, dei Dottori e del Magistero.

Per i Padri è evidente che non c’è che una sola carità, che viene da Dio e porta ad amare Dio e il prossimo ; come dice s. Agostino: unica è la carità con due comandamenti, la carità con cui amiamo il prossimo non è diversa da quella con cui amiamo Dio[216]

Non si può amare Dio senza amare il prossimo né è possibile amare il prossimo senza amare Dio (cfr. S. Massimo il Confessore, “De caritate”, I, 13, 23, PG., 90, 964-965). L’amore di Dio è origine e sorgente dell’amore del prossimo[217]. [218]

“Non dobbiamo lasciare che la contemplazione di Dio ci impedisca di amare il nostro prossimo. L’amore del prossimo, però, non deve farci abbandonare la contemplazione di Dio ”  (S. Gregorio Magno, “Hom. 38 in Evang.”, n° 10, PL., 76, 1288). [219]

La nostra carità per il prossimo mostra se è in noi la vera carità per Dio (S. Isidoro, “Differentiarum liber”.,lib. 2, n. 143, PL., 83, 92D). La vera carità nei confronti del prossimo si trova solo nei discepoli di Cristo (cfr. S. Massimo il Confessore, “De caritate”, IV, 100, PG., 90, 1073 A)[220]

La carità ci porta ad amare i nemici , ma cosa significa davvero ciò? Come dovremmo amare i peccatori, nemici e offensori di Dio?

Bisogna amarli come creature di Dio, non come peccatori, Dio non ci chiede di amare il male. [221].

San Leone ci chiede di amarli come li ama Dio che riversa le sue benedizioni su tutti, buoni e cattivi (S. Leone Magno, “Sermo XXI”, PL., 54, 190); precisa il s. Dottore che non dobbiamo amare i vizi ma gli uomini, amarli perché hanno la nostra natura e possono un giorno diventare figli di Dio (S. Leone Magno, “Sermo XLVIII”, PL., 54, 299; cfr. “Sermo XII”, PL., 54, 169).

S. Agostino insegnava questa stessa dottrina precisando che la dottrina di Cristo prevede anche delle punizioni che vengono date in alcuni casi ai peccatori senza odio malvagio [222].

Cristo è venuto per i peccatori, per riscattarli soffrì e morì sulla croce[223] [224] … e come dice Lui stesso, noi dobbiamo prolungare nella storia l’opera di Cristo guidati dal suo Spirito, dobbiamo imitarlo nella sua carità anche riguardo ai peccatori, ai nemici.

La superiorità del Vangelo sulla legge si manifesta riguardo all’amore del prossimo e in particolare riguardo all’amore dei nemici. Il Vangelo si spinge oltre nell’ambito del precetto dell’amore del prossimo, in particolare per quanto riguarda l’amore dei nemici. Il Vangelo insegna la vita soprannaturale, la vita divina  e quindi va oltre la filosofia e la legge naturale [225] [226]

Il precetto dell’amore dei nemici è un precetto impegnativo, oneroso, gravoso[227], è un precetto molto difficile (cfr. “Sermo 15”,n ° 8, PL., 38, 120), è un precetto impossibile da attuare, per noi, senza l’aiuto di Dio, ma Dio ci aiuta … ed  è un precetto essenziale da vivere.

L’amicizia di Dio, la filiazione adottiva di Dio si pagano con questo questo prezzo dell’amore per i nemici: Dio ci ha amato quando eravamo nemici … e noi dobbiamo fare altrettanto verso i nostri nemici … (cfr. S. Massimo di Torino, “Hom. 64” a S. Steph., PL., 57, 382).

S. Agostino afferma che : la carità perfetta consiste nell’ amare i tuoi nemici per convertirli e renderli tuoi fratelli in Cristo[228].

Dice s. Massimo il Confessore che chi possiede la carità non si stanca nel seguire Cristo ma sopporta con animo forte ogni travaglio, disprezzo e ingiuria con animo forte senza pensare al male. (S. Massimo , “De caritate”, I, 29-30, PG., 90, 966)

San Massimo il Confessore affermava anche che non ama Cristo chi non lo imita in tre cose: 1 ° meritare benefici per gli uomini; 2 ° sostenere gli ingrati e i detrattori; 3 ° perdonare chi ci ha fatto del male (cfr. S. Massimo , “De caritate”, IV, 55, PG., 90, col. 1059).

Qui siamo ovviamente a livelli altissimi di perfezione, impensabili prima della venuta di Cristo.

Questa carità verso i nemici è un dovere per tutti ma pochi, grandi uomini, davvero spirituali, la vivono: “Et ego scio, pauci illud faciunt, magni sunt qui faciunt, spirituales faciunt” (S. Agostino, “Sermo 56”,cp. 11, n. 15, PL., 38, 384).

È sufficiente, secondo Origene, per adempiere al precetto  non restituire il male al male che ci viene fatto, per l’ingiustizia impegniamoci a offrire un beneficio[229].

S. Gregorio di Nissa afferma in particolare: “Il nemico deve essere amato nel non ricambiare il male con il male, ma restituire l’ingiustizia con il beneficio.” (S. Gregorio di Nissa “Omelie sul Cantico dei Cantici” Ed. Città Nuova Roma 1996, p. 115s)

Anche riguardo ai nemici c’è un ordine nella carità perché merita maggior riguardo colui è solo un nemico nostro che colui che è nemico nostro e di Dio (cfr. Origene, “In Canticum Canticorum”, lib. 3, PG., 13, 157 a.C.).

Uno dei modelli di carità verso i nemici è Santo Stefano che prega per i suoi carnefici; molti insegnamenti dei Padri si sono sviluppati come commento dei passi biblici che trattano della morte di questo famoso diacono [230]

Chi vuole scoprire esempi di carità fraterna delle prime generazioni di monaci ne trova moltissimi  sia negli “Apoftegmi”, sia nelle “Vite dei Padri”, sia nella “Storia lausiaca”[231].

Nella linea dei Padri s. Tommaso afferma che amare il prossimo come noi stessi, significa che  dobbiamo amare il prossimo in modo ordinato: “debemus diligere ordinate … ” (“Collationes in decem praeceptis” a. 2) Il prossimo va amato ordinatamente cioè non più di quanto si deve amare Dio o tanto quanto si deve amare Dio ma va amato, secondo le parole bibliche, come noi stessi, cioè dobbiamo amare il nostro prossimo in modo analogo al modo con cui amiamo noi stessi, come dice lo stesso s. Tommaso.

Spiega il Dottore Angelico che il precetto dell’amore fraterno è formulato in modo perfetto e va inteso non nel senso che uno debba amare il prossimo tanto quanto ama sé stesso, cioè nella misura in cui ama se stesso, ma va inteso nel senso che ognuno deve amare il prossimo in modo simile a come ama se stesso: ognuno deve amare il prossimo per Dio, come per Dio deve amare se stesso, cioè con un amore santo; ognuno deve amare il prossimo in modo da non accondiscendere al prossimo nel male, nel peccato, ma solo nel bene, l’amore del prossimo deve, infatti, essere giusto; ognuno deve amare il prossimo non per il proprio vantaggio, ma volendo il bene del prossimo come ognuno vuole il bene di se stesso, l‘amore del prossimo, infatti, deve essere vero.(cfr. II-II, q. 44 a. 7 co.) Come l’amore di Dio ci impegna nella santificazione e salvezza delle nostre anime così questo stesso amore ci impegna nella santificazione e salvezza dei nostri prossimi, nostri fratelli in Cristo, e tale salvezza e santificazione si attua attraverso l’osservanza della Legge di Dio. Come dobbiamo impegnarci ad attuare e vivere i comandamenti dobbiamo aiutare gli altri ad attuarli e viverli.

S. Alfonso afferma che: ” Il prossimo poi dobbiamo amarlo come noi stessi, sicut te ipsum; come noi stessi, ma non più di noi stessi; onde non siam tenuti a preferire il bene del prossimo al bene nostro, se non quando il bene del prossimo è di ordine maggiore al nostro bene, e quando il prossimo sta in necessità estrema. L’ordine de’ beni è questo: prima è la vita spirituale dell’anima, poi la vita temporale del corpo, poi la fama, e poi la roba.

…per lo precetto della carità noi dobbiamo amare tutti i prossimi morti in grazia di Dio, poiché i dannati noi non possiamo amarli, anzi siamo obbligati ad odiarli come nemici eterni del nostro Dio. E dobbiamo amare tutti i prossimi vivi, ancorché peccatori, ed ancorché nostri nemici. Dico, ancorché peccatori, perché quantunque essi attualmente stiano in disgrazia di Dio, possono nondimeno riconciliarsi con Dio, e salvarsi … Fra gli obblighi dunque del precetto della carità questo è il primo, di amare tutti i nostri prossimi con amore, non solo interno, ma ancora esterno; onde siamo tenuti di usare col prossimo, ancorché nostro nemico, tutti i segni comuni di benevolenza, che usiamo cogli altri nostri amici. …  Il secondo obbligo col prossimo è di fargli la limosina, quando egli è povero, specialmente se è vergognoso, e noi possiamo fargliela. …  Il terzo obbligo è della correzione fraterna che dobbiamo fare al prossimo quando egli sta in peccato mortale, oppure sta per cadervi, e vi è speranza che la correzione faccia frutto …  Il quarto obbligo di carità è di consolare gli afflitti, e specialmente gl’infermi, quando possiamo. … Il quinto obbligo della carità è di dar buon esempio, e non dare scandalo al prossimo. …” [232]

S. Alfonso all’interno dell’amore del prossimo include la trattazione della cooperazione al male, il santo Dottore precisa che è illecita la cooperazione formale al male mentre è lecita la cooperazione materiale : “Or queste cooperazioni materiali possono esser lecite quando vi concorrono tre condizioni: 1. che l’atto della tua cooperazione (come già si è detto) sia per sé indifferente. 2. Che tu non sii tenuto per officio ad impedire l’altrui peccato. 3. Che tu abbi causa giusta e proporzionata di poter così cooperare; poiché allora il peccato del prossimo non proviene dalla tua cooperazione, ma dalla malizia di colui il quale si serve della tua azione per peccare.”[233]

Nel “Vademecum per i confessori su alcuni temi di morale attinenti alla vita coniugale.” leggiamo che la cooperazione materiale al male è lecita:“ … quando si danno congiuntamente queste tre condizioni:

l’azione del coniuge cooperante non sia già in se stessa illecita;(Denzinger-Schönmetzer, Enchiridion Symbolorum, 2795, 3634)

esistano motivi proporzionalmente gravi per cooperare al peccato del coniuge;

si cerchi di aiutare il coniuge (pazientemente, con la preghiera, con la carità, con il dialogo: non necessariamente in quel momento, né in ogni occasione) a desistere da tale condotta.”[234]

Gesù ci ha donato eccelso esempio di carità per i nostri prossimi: “ Amandosi gli uni gli altri, i discepoli imitano l’amore di Gesù, che essi ricevono a loro volta.” (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1823)

Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma ancora al n. 1878: “ L’amore del prossimo è inseparabile dall’amore per Dio.”

Lo stesso Catechismo sviluppa un’ampia trattazione dell’amore del prossimo trattando dei comandamenti che vanno dal quarto al decimo del decalogo, questi comandamenti, in particolare,  precisano il comandamento, più generico, per cui dobbiamo amare il prossimo come noi stessi. Nella Gaudium et spes leggiamo: “Iddio, che ha cura paterna di tutti, ha voluto che tutti gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero tra loro come fratelli. Tutti, infatti, creati ad immagine di Dio « che da un solo uomo ha prodotto l’intero genere umano affinché popolasse tutta la terra » (At17,26), sono chiamati al medesimo fine, che è Dio stesso. Perciò l’amor di Dio e del prossimo è il primo e più grande comandamento. La sacra Scrittura, da parte sua, insegna che l’amor di Dio non può essere disgiunto dall’amor del prossimo … Anzi, il Signore Gesù, quando prega il Padre perché « tutti siano una cosa sola, come io e tu siamo una cosa sola » (Gv17,21), aprendoci prospettive inaccessibili alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l’unione delle Persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nell’amore.  … Scendendo a conseguenze pratiche di maggiore urgenza, il Concilio inculca il rispetto verso l’uomo: ciascuno consideri il prossimo, nessuno eccettuato, come un altro « se stesso », tenendo conto della sua esistenza e dei mezzi necessari per viverla degnamente (Cf. Gc 2,15-16.), per non imitare quel ricco che non ebbe nessuna cura del povero Lazzaro (Cf. Lc 16,19-31). ” [235]

Paolo VI ha scritto: «Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Signore stesso ha dato l’esempio nel trattare con gli uomini. Venuto non per giudicare ma per salvare (cf Gv 3,17), Egli fu certo intransigente con il male, ma misericordioso verso le persone». [236]

Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma anche di carità fraterna perché il vero bene dei nostri fratelli è nella Verità e quindi nella vera e salutare dottrina di Cristo.

La carità e quindi Dio porta la Chiesa a vivere secondo la sana dottrina nei comandamenti divini e a diffondere tale sana dottrina per la salvezza degli uomini; la carità porta la Chiesa a camminare sulla via della Croce con la sapienza della Croce e ad aiutare le anime  a camminare sulla stessa via e nello stesso modo, nella santità. Appunto come Madre caritatevole la Chiesa è ferma nel difendere la validità universale e permanente dei precetti che proibiscono gli atti intrinsecamente cattivi.

Dice s. Giovanni Paolo II:“95. … la maternità della Chiesa non può mai essere separata dalla sua missione di insegnamento, che essa deve compiere sempre come Sposa fedele di Cristo, la Verità in persona”(VS n. 95-96)

Appunto in quanto Sposa di Cristo Verità la Chiesa deve sempre proclamare e testimoniare il: “… principio della verità e della coerenza, per cui non accetta di chiamare bene il male e male il bene», [237]

Come caritatevole Maestra, la Chiesa non si deve stancare di proclamare la verità in campo morale:“ Come Maestra, essa non si stanca di proclamare la norma morale… Di tale norma la Chiesa non è affatto né l’autrice né l’arbitra. In obbedienza alla verità, che è Cristo, la cui immagine si riflette nella natura e nella dignità della persona umana, la Chiesa interpreta la norma morale e la propone a tutti gli uomini di buona volontà, senza nasconderne le esigenze di radicalità e di perfezione”.[238]

La Chiesa, per la carità che è radicalmente in Lei,  Sposa di Cristo Verità, deve sempre proclamare la norma morale, di cui non è autrice né arbitra! Neppure il Papa è autore o arbitro della norma morale! In obbedienza alla Verità, che è Cristo, immersa nella sua Luce e nella sua Carità, la Chiesa deve interpretare la norma morale e proporla a tutti gli uomini di buona volontà, senza nasconderne le esigenze di radicalità e di perfezione. La carità vera non nasconde al prossimo le esigenze di radicalità e perfezione della norma morale.

La Chiesa quindi nell’insegnare la norma morale con precisione non è intransigente o mancante di misericordia, è invece veramente caritatevole e veramente misericordiosa … perché la carità vera e la vera misericordia, la vera comprensione e la genuina compassione, sono solo nella Verità …

La vera carità comprensiva e compassionevole non si attua mettendo da parte o indebolendo la verità circa la morale, ma proponendola chiaramente  nel suo intimo significato di irradiazione e partecipazione  della Sapienza eterna della Trinità, giunta a noi in Cristo, e nel suo intimo significato di dono e servizio per l’uomo, per la crescita della sua libertà e per il perseguimento della sua felicità in Dio.[239]

La Chiesa, guidata dalla carità, difende le norme morali universali e immutabili e con ciò essa difende la libertà umana perché non c’è libertà fuori della verità (cfr. VS n. 95-96)

Ovviamente la Chiesa nella sua opera di diffusione della Verità nella carità deve essere davvero sapiente per aiutare tutte le anime, anche le più deboli, a salvarsi ; ma tutto va fatto nello “splendore della Verità”

b) Precisazioni riguardanti la carità fraterna con particolare riferimento a ciò che afferma l’Amoris Laetitia.

Dio ci illumini sempre più.

Il testo dell’Amoris Laetitia parla di carità fraterna in vari passi (n. 86, 118, 129) e afferma, in particolare, al n. 306 :“ In qualunque circostanza, davanti a quanti hanno difficoltà a vivere pienamente la legge divina, deve risuonare l’invito a percorrere la via caritatis. La carità fraterna è la prima legge dei cristiani (cfr Gv 15,12; Gal 5,14). Non dimentichiamo la promessa delle Scritture: «Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati» (1 Pt 4,8); «sconta i tuoi peccati con l’elemosina e le tue iniquità con atti di misericordia verso gli afflitti» (Dn 4,24); «l’acqua spegne il fuoco che divampa, l’elemosina espia i peccati» (Sir 3,30).”

Nei prossimi paragrafi svolgerò un approfondimento su alcuni aspetti della dottrina cattolica riguardante la carità fraterna e d’altra parte farò delle precisazioni sulle affermazioni di Amoris Laetitia a questo riguardo.

b,1) Cristo, sommo modello di carità fraterna, ci ha insegnato a non cedere al peccato e a percorrere la via della Croce e del martirio.

Ovviamente la carità fraterna vera ha il suo modello e il suo culmine in Cristo che, come visto, aveva somma carità essendo Dio -Uomo, Capo della Chiesa, comprensore e viatore, il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n. 478: “ Gesù ci ha conosciuti e amati, tutti e ciascuno, durante la sua vita, la sua agonia e la sua passione, e per ognuno di noi si è offerto” e aggiunge che il Sacro Cuore di Gesù: “ … è considerato il segno e simbolo principale […] di quell’infinito amore, col quale il Redentore divino incessantemente ama l’eterno Padre e tutti gli uomini». ”

Cristo ci amato sommamente, Egli ha vissuto sommamente nella carità, come visto, e quindi nella carità fraterna, Egli ha vissuto nella maniera più perfetta il comandamento della carità fraterna ed ha operato anzitutto per la nostra salvezza eterna, per la nostra santificazione; Egli, attraverso la Chiesa, ci ha insegnato vivere nella perfezione della carità, sulla via dei comandamenti, ci ha insegnato a considerare l’adulterio un peccato molto grave, ci ha insegnato a considerare gli atti omosessuali come peccati molto gravi, ci ha insegnato a considerare altri atti come oggettivamente gravi. Aiutare le persone a vivere fuori dai comandamenti, presentare la sana dottrina in modo parziale e deviante non è secondo l’insegnamento di Cristo, non è vera carità fraterna insegnataci da Cristo!  La Chiesa è chiamata non ad illudere le anime e a farle camminare per vie meno “strette” rispetto alla strada fissata da Cristo, ma è chiamata a formare le anime alla via stretta, alla via della Croce, alla via di Cristo ….

S. Giovanni Paolo II nella Veritatis Splendor afferma “ La Chiesa ogni giorno guarda con instancabile amore a Cristo, pienamente consapevole che solo in lui sta la risposta vera e definitiva al problema morale…. Cristo crocifisso rivela il senso autentico della libertà, lo vive in pienezza nel dono totale di sé e chiama i discepoli a prendere parte alla sua stessa libertà.” (VS n. 85)

La carità di Cristo, anche la carità fraterna, risplende in Lui crocifisso, è una carità che aiuta le persone a camminare sulla via della Croce e non fuori di essa. La carità di Cristo in quanto uomo gli faceva amare Dio al di sopra della sua vita e della vita degli altri e lo rendeva pronto al martirio e alla Croce più nuda e dolorosa. S. Ignazio di Antiochia scrisse: “I non credenti hanno l’impronta di questo mondo, ma i fedeli che sono nella carità portano impressa l’immagine di Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo.  Se noi, con la grazia sua, non siamo pronti a morire per partecipare alla sua Passione, la sua vita non è in noi.”[240] …. questa è la carità che era sommamente in Cristo e questa è la carità che Cristo vuole far nascere in noi. Inutile illudersi, il Vangelo è via di Croce! Il  compito di Cristo non è togliere la Croce dalle spalle della gente ma aiutare la gente a portare tale croce ..  S. Paolo afferma “ tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati.”(2Tim. 3, 12) Chi vuole vivere in Cristo, nella carità, trova la Croce ma anche la forza per affrontare la Croce e vivere nella libertà vera.

S. Giovanni Paolo II afferma in questa linea : “ È la verità che rende liberi davanti al potere e dà la forza del martirio. … La comunione poi con il Signore crocifisso e risorto è la sorgente inesauribile alla quale la Chiesa attinge senza sosta per vivere nella libertà, donarsi e servire…

Gesù, dunque, è la sintesi viva e personale della perfetta libertà nell’obbedienza totale alla volontà di Dio. La sua carne crocifissa è la piena Rivelazione del vincolo indissolubile tra libertà e verità, così come la sua risurrezione da morte è l’esaltazione suprema della fecondità e della forza salvifica di una libertà vissuta nella verità.” (VS n. 86-87)

Il Crocifisso rivela l’indissolubile vincolo tra carità, verità e libertà; la verità e la libertà si vivono davvero in Cristo, nella carità, sulla via dei comandamenti divini sulla via della Croce ma conducono alla Risurrezione, conducono alla gloria … non c’è altra scala per salire al Cielo che la Croce: questa è la scala che Gesù vuole farci salire, perché ci ama davvero. Amare davvero qualcuno significa aiutarlo a seguire Cristo sulla via della carità , della verità e della libertà, cioè sulla via dei comandemnti divini, sulla via della Croce che conduce al Cielo. Inutile illudersi! Gesù ci dona questa grande lezione di carità fraterna vera.

Capiamo bene e capiremo ancora meglio, in questa linea, da quanto abbiamo detto e da quanto diremo che la vera via caritatis, la vera via della carità fraterna non è quella che emerge attraverso Amoris Laetitia e attraverso il “cambio di paradigma” che Papa Francesco sta attuando …

Visto il cedimento alla immoralità che l’ Amoris Laetitia presenta è ovvio che la dottrina contenuta in tale esortazione non segua la via della carità fraterna di Cristo Crocifisso …

b,2)La carità fraterna ci fa aiutare il nostro prossimo a camminare sulla via della Legge di Dio, cioè sulla via della Croce, e ad essere pronto al martirio.

La Croce sacra sia la nostra luce.

La salvezza passa attraverso Cristo, attraverso i comandamenti e quindi attraverso la Croce …. “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23). S. Giovanni Paolo II affermò:“La testimonianza di Cristo è fonte, paradigma e risorsa per la testimonianza del discepolo, chiamato a porsi sulla stessa strada:  … La carità, secondo le esigenze del radicalismo evangelico, può portare il credente alla testimonianza suprema del martirio. Sempre sull’esempio di Gesù che muore in croce: «” (VS n. 86-87)

Gesù infatti ha detto: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23) e s. Paolo ha precisato, nella luce della Croce di Cristo: “Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore” (Ef 5,1-2).

La carità si attua rinnegando noi stessi e seguendo Cristo sulla via della Croce; questo significa che essa può portare il credente alla testimonianza suprema del martirio per partecipazione alla Passione di Cristo. Il cristiano se vive nella vera carità è, in realtà, sempre pronto al martirio. Come abbiamo visto più sopra, s. Ignazio di Antiochia affermava: “I  non credenti hanno l’impronta di questo mondo, ma i fedeli che sono nella carità portano impressa l’immagine di Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo.  Se noi, con la grazia sua, non siamo pronti a morire per partecipare alla sua Passione, la sua vita non è in noi.”[241]

Le parole di s. Ignazio sono davvero illuminanti: se noi, con la grazia sua, non siamo pronti a morire per partecipare alla sua Passione, la sua vita non è in noi.

La carità fraterna ci porta a condurre i nostri fratelli alla fede e alla carità e quindi alla fortezza che dona loro di poter restare fedeli alla Legge divina anche in mezzo alle prove più terribili e fino al martirio.

Tutta la S. Scrittura è costellata dai fulgidi esempi dei gloriosi martiri, come s. Stefano, come s. Giacomo Apostolo “… che  sono morti martiri per confessare la loro fede e il loro amore al Maestro e per non rinnegarlo. …”(VS n. 90s)

La carità ci rende fermi nella Legge di Dio fino alla morte e la carità fraterna ci porta a condurre i nostri fratelli alla fede e alla carità e quindi alla fortezza che dona a noi e loro di poter restare fedeli alla Legge divina anche in mezzo alle prove più terribili e fino al martirio.

La storia della Chiesa è ricca di esempi straordinari di martiri   (cfr. VS n. 91) e d’altra parte è ricca di Pastori che hanno insegnato con la vita e parola che: l’amore di Dio implica il martirio in quanto implica obbligatoriamente il rispetto dei suoi comandamenti, anche nelle circostanze più gravi e difficili, e il rifiuto assoluto di tradirli, anche con l’intenzione di salvare la propria vita o la vita degli altri (cfr. VS n. 91). Il martirio appunto afferma l’inviolabilità dell’ordine morale e l’intangibilità della dignità personale dell’uomo; dice s. Giovanni Paolo II : “92. Nel martirio come affermazione dell’inviolabilità dell’ordine morale risplendono la santità della legge di Dio e insieme l’intangibilità della dignità personale dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio: è una dignità che non è mai permesso di svilire o di contrastare, sia pure con buone intenzioni, qualunque siano le difficoltà. Gesù ci ammonisce con la massima severità: «Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?» (Mc 8,36).”(VS n. 92)

Mai è permesso svilire o contrastare la dignità dell’uomo, sia pure con buone intenzioni!

È quindi illusorio e falso ogni significato umano che si pretendesse di attribuire all’atto in sé stesso moralmente cattivo:  “Il martirio sconfessa come illusorio e falso ogni «significato umano» che si pretendesse di attribuire, pur in condizioni «eccezionali», all’atto in se stesso moralmente cattivo; ancor più ne rivela apertamente il vero volto: quello di una violazione dell’«umanità» dell’uomo, prima ancora in chi lo compie che non in chi lo subisce.(Conc. Ecum. Vat. II, cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 27.)”(VS n. 92)

L’atto in se stesso moralmente cattivo è una violazione dell’umanità anzitutto di chi lo compie.

E il martirio rivela ed esalta la perfetta umanità e la vera  vita della persona umana (cfr. VS n. 92) … perfetta umanità e vera vita in Cristo …

“Se noi, con la grazia sua, non siamo pronti a morire per partecipare alla sua Passione, la sua vita non è in noi.”[242]

I martiri sono uomini che hanno accolto il dono della vita di Cristo! La testimonianza dei martiri è luce per il mondo; e in tale luce si manifesta la Luce che è Dio, che li sostiene nel martirio. La vita dei martiri e dei santi è una vita trasfigurata dallo splendore della verità morale e in ultima analisi dallo splendore della Luce divina, dallo splendore della Verità divina. Nella colletta della XIII dom. del Tempo Ordinario leggiamo “O Dio, che ci hai reso figli della luce con il tuo Spirito di adozione, fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore, ma restiamo sempre luminosi nello splendore della verità. Per il nostro Signore Gesù Cristo…”  S. Giovanni Paolo II afferma: “ I martiri, e più ampiamente tutti i santi nella Chiesa, con l’esempio eloquente e affascinante di una vita totalmente trasfigurata dallo splendore della verità morale, illuminano ogni epoca della storia risvegliandone il senso morale.”(VS n. 93) I martiri risvegliano il senso morale e quindi illuminano ogni epoca, i martiri sono segno della vocazione altissima dell’uomo, vocazione anzitutto a chiamare bene il bene e male il male, vocazione alla verità, alla Luce e alla testimonianza della Luce.

Gesù ha detto chiaramente, in questa linea: “Voi siete la luce del mondo.”(Mt. 5) Il cristiano è chiamato a diffondere la Luce divina e deve essere pronto al martirio. Tutti i cristiani devono esser pronti a dare la vita per restare fedeli alla santa Legge di Dio, tutti i cristiani devono essere pronti ad affrontare l’impegno eroico implicato nella vocazione cristiana : “…  di fronte alle molteplici difficoltà che anche nelle circostanze più ordinarie la fedeltà all’ordine morale può esigere, il cristiano è chiamato, con la grazia di Dio invocata nella preghiera, ad un impegno talvolta eroico, sostenuto dalla virtù della fortezza, mediante la quale — come insegna san Gregorio Magno — egli può perfino «amare le difficoltà di questo mondo in vista del premio eterno». (Moralia in Job, VII, 21, 24: PL 75, 778.)” (VS n. 93)

Tutti i cristiani devono esser pronti a dare una coerente testimonianza ogni giorno anche a costo di sofferenze e di gravi sacrifici, ciò può comportare un impegno eroico. L’eroismo è per tutti i cristiani perché Dio dà loro la grazia per tale eroismo …  abbiamo visto più sopra l’intangibilità della dignità personale dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, si tratta di una dignità che non è mai permesso di svilire o di contrastare … mai! “ … l’amore di Dio implica obbligatoriamente il rispetto dei suoi comandamenti, anche nelle circostanze più gravi, e il rifiuto di tradirli, anche con l’intenzione di salvare la propria vita.” (VS n. 91) Capite bene che la carità include in sé l’eroismo … e tutti i cristiani devono essere pronti a tale eroismo …

“Se noi, con la grazia sua, non siamo pronti a morire per partecipare alla sua Passione, la sua vita non è in noi.”[243]

Capiamo, in questa linea, altresì l’errore del Card. Kasper, amico e stretto collaboratore di Papa Francesco, laddove afferma: “To live together as brother and sister? Of course I have high respect for those who are doing this. But it’s a heroic act, and heroism is not for the average Christian. That could also create new tensions. Adultery is not only wrong sexual behavior. It’s to leave a familiaris consortio, a communion, and to establish a new one. But normally it’s also the sexual relations in such a communion, so I can’t say whether it’s ongoing adultery. Therefore I would say, yes, absolution is possible. Mercy means God gives to everybody who converts and repents a new chance.”[244]  Mia traduzione indicativa : “Vivere insieme come fratello e sorella? Ovviamente nutro un grande rispetto per coloro che stanno facendo questo. Ma è un atto eroico, e l’eroismo non è per il cristiano medio. Ciò potrebbe anche creare nuove tensioni. L’adulterio non è solo un comportamento sessuale sbagliato. È lasciare un consorzio familiare, una comunione e stabilirne una nuova. Ma normalmente ci sono anche relazioni sessuali in tale comunione, quindi non posso dire se sia in corso l’adulterio. Quindi direi, sì, l’assoluzione è possibile. Misericordia significa che Dio dà a tutti coloro che si convertono e si pentono, una nuova possibilità.”

Le parole del Card. Kasper contengono vari errori, evito di di esaminarli tutti; faccio solo notare, qui, il grave errore contenuto nell’ l’affermazione per cui l’eroismo non è per il cristiano medio; tutti i cristiani sono chiamati a vivere i comandamenti fino all’eroismo e al martirio, Dio ci rende capaci di questo, come visto, con la grazia!

La vocazione cristiana è vocazione alla deificazione, e Dio ci dona di vivere una vita deificata in Cristo e di osservare sempre e ovunque i suoi santi comandamenti quindi ci dona di mai trasgredire i precetti negativi del Decalogo. Il cristiano ha da Dio la forza per affrontare l’eroismo più alto per obbedire sempre alle Leggi divine. La carità e quindi la grazia santificante implicano questa fortezza capaci di superare le prove più terribili . La carità fraterna ci porta a condurre i nostri fratelli alla fede e alla carità e quindi alla fortezza che dona loro di poter restare fedeli alla Legge divina anche in mezzo alle prove più terribili, fino al martirio, seguendo Cristo sulla via della Croce .   D’ altra parte la voce di Dio nella coscienza dell’uomo ha sempre affermato senza ambiguità che ci sono verità e valori morali per i quali si deve essere disposti anche a dare la vita perciò la storia mostra che anche uomini non appartenenti alla Chiesa di Cristo in modo visibile sono giunti ad affermare e manifestare  con la vita l’assolutezza del bene morale; s. Giustino ritiene che gli stoici siano tra questi uomini uccisi per aver affermato la verità in campo morale. (cfr.VS 94)

La carità che ci porta appunto ad essere disposti a dare la vita per la Legge di Dio e la carità fraterna che ci porta a rendere disposto il nostro prossimo a dare la vita per la Legge di Dio attuano in pienezza in noi e nel nostro prossimo quella realtà che tutti gli uomini sono chiamati ad accogliere: la vera umanità secondo il progetto originale di Dio, cioè l’umanità a immagine e somiglianza di Dio, la vera umanità che risplende in Cristo vero Dio e vero uomo.

Capiamo bene e capiremo ancora meglio, in questa linea, da quanto abbiamo detto e da quanto diremo che la vera via caritatis, la vera via della carità fraterna non è quella che emerge attraverso Amoris Laetitia e attraverso il “cambio di paradigma” che Papa Francesco sta attuando …

Visto il cedimento a gravi errori nell’ambito della teologia morale e quindi all’ immoralità, ai peccati gravi e agli scandali che l’ Amoris Laetitia presenta è ovvio che la dottrina contenuta in tale esortazione non segua la via della carità fraterna di Cristo Crocifisso e dei martiri  … ma piuttosto segua la via opposta, cioè la via di coloro che con il peccato crocifiggono Cristo e fanno soffrire quelli che seguono Lui.

Nella Sacra Scrittura leggiamo che i nostri peccati offendono e misteriosamente colpiscono Cristo stesso (Cf Mt 25,45; At 9,4-5.)

Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: “La Chiesa, nel magistero della sua fede e nella testimonianza dei suoi santi, non ha mai dimenticato che « ogni singolo peccatore è realmente causa e strumento delle […] sofferenze » del divino Redentore.”(Catechismo della Chiesa Cattolica n. 598)

b,2,1) La vera carità fraterna ci fa aiutare il prossimo ad acquisire la sapienza e l’amore della Croce in ordine al raggiungimento della beatitudine celeste.

Il nostro sguardo, tuttavia, non deve fermarsi al martirio, alla Croce ma attraverso essi deve raggiungere il Fine Ultimo, cioè il Cielo e Dio … e in vista del premio eterno, illuminati dalla sapienza divina, possiamo arrivare ad : “amare le difficoltà di questo mondo in vista del premio eterno”. (Moralia in Job, VII, 21, 24: PL 75, 778.)” (VS n. 93)

Nella enciclica “Quod Numquam” di Papa Pio IX leggiamo : “”Alzate lo sguardo a Colui che Vi ha preceduto soffrendo tormenti più gravi: “andò incontro a pena di morte ignominiosa, affinché le sue membra imparassero a fuggire le ambizioni mondane, a non temere affatto i terrori, ad amare le avversità in nome della verità, a rifiutare con spavento la prosperità” [S. Greg. M. Reg. Past. p. I, c. 3] [245]

Il Fine Ultimo della via dell’uomo è il Cielo, l’unica via per giungervi è la Croce, non ne esistono altre (cfr. Santa Rosa da Lima: P. Hansen, Vita mirabilis […], (Roma 1664) p. 137; Citato in Catechismo della Chiesa Cattolica n. 618) .

Ovviamente la via della Croce è via che si percorre nella carità e nella santa Legge di Dio.

Dio attraverso s. Paolo ci esorta a pensare alle cose del Cielo e a cercare le cose del Cielo (cfr. Col. 3) … Pensare alle cose del Cielo e cercare le cose del Cielo significa in particolare aprirsi alla sapienza divina perché sia tale sapienza ad illuminare e guidare nella maniera più piena la nostra vita, i nostri giudizi le nostre scelte e sia la sapienza divina a illuminare la vita dei nostri prossimi. La sapienza divina è sapienza della Croce che ci fa capire la preziosità della Croce e quindi la preziosità della nostra partecipazione alla Passione di Cristo e perciò ci porta ad amare la Croce in vista del premio eterno. La Croce è mistero di carità e di perfetta attuazione della Legge di Dio per la salvezza del mondo, si partecipa alla Croce nella carità e nell’attuazione della santa Legge di Dio.

S. Luigi M. Grignon afferma riguardo a questa sapienza “Potete nondimeno, anzi dovete chiedere la sapienza della croce: quella scienza gustosa ed esperienziale della verità che consente di vedere alla luce della fede anche i misteri più nascosti, come quello della croce. A tale sapienza si giunge solo attraverso molte fatiche, profonde umiliazioni e fervorose preghiere.”[246]

S. Paolo della Croce afferma nella luce di questa sapienza della Croce: “

Fortunato è quel cuore, che sta in CROCE abbandonato, nella braccia dell’AMATO, brucia sol di santo AMORE; ancor più è avventurato chi nel nudo suo patire, senza ombra di gioire sta in CROCE trasformato.

…  Chi veramente ama Dio, desidera patire e fare grandi cose per Lui (Lt. 1, 129 — 687). … Godo che Dio vi scopra la sua Croce: godo che ve la faccia amare (Lt. 1, 327), così si fanno più profonde radici (Lt. 2, 108).  … Chi sapesse il grande tesoro che è nella CROCE, non desiderebbe altro che patire per Cristo!  … Il servo di Dio che non è crocifisso chi è? (Lt. 1, 63). State volentieri in CROCE! (Lt. 1, 147) Godete di stare crocifissi… (Lt. 1, 229).(Lt. 1, 555).

… Non mi sono mai mancate croci, che vorrei baciare come margherite preziose! (Lt. 2, 288). Sono le gioie del mio cuore! (Lt. 1, 3). ”[247]

Nell’Ufficio delle Letture della memoria liturgica di S. Rosa da Lima ci viene proposto alla meditazione un testo che la santa scrisse; in esso, tra le altre affermazioni leggiamo: “ Nessuno erri né si inganni; questa é l’unica vera scala del paradiso, e al di fuori della croce non c’é altra via per cui salire al cielo. … Da parte di Cristo e con parole della sua stessa bocca vi avverto che non si riceve grazia senza soffrire afflizioni.” [248]

In questa linea troviamo le meravigliose espressioni di  s. Luigi Grignon de Montfort sull’amore alla Croce: “Prenda la sua croce! …  La ponga sulla fronte, ripetendo con san Paolo:

«Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo». … La ponga infine nel cuore, con l’amore, per trasformarla in un roveto

ardente che bruci giorno e notte nel puro amore di Dio, senza mai consumarsi.”[249]

Lo stesso santo francese, dopo aver trattato della straordinaria preziosità della Croce  afferma : “Quando vi si dice di amare la croce, non si intende parlare di amore sensibile. …  Si può amare la croce con un altro amore, che io chiamo razionale, per il fatto che ha sede nella parte superiore, cioè nella ragione.”[250] Esiste anche un altro modo di amare la Croce : “ Esso fa sì che, pur senza sperimentare una gioia sensibile o avvertire un piacere razionale nell’anima, si ami e si gusti la propria croce con uno sguardo di fede pura benché spesso tutto sia in lotta o in stato di allarme nella parte inferiore,

che geme, si lamenta, piange e cerca conforto”[251]

La preghiera dopo la Comunione per la memoria liturgica di s. Paolo della Croce è la seguente: “La comunione a questo sacrificio,o Padre, ci doni la sapienza della croce che illuminato il tuo sacerdote san Paolo, perché aderiamo pienamente a Cristo e collaboriamo, nella Chiesa, alla redenzione del mondo. Per Cristo nostro Signore.”

La preghiera colletta per la memoria liturgica di s. Giovanni della Croce è la seguente: “O Dio, che hai guidato san Giovanni della Croce alla santa montagna che è Cristo, attraverso la notte oscura della rinuncia e l’amore ardente della croce, concedi a noi di seguirlo come mæstro di vita spirituale, per giungere alla contemplazione della tua gloria. Per il nostro Signore…”

Dio ci riempia di sapienza e di amore della Croce.

La Croce è mistero di carità e di perfetta attuazione della Legge di Dio per la salvezza del mondo, si partecipa alla Croce nella carità e nell’attuazione della santa Legge di Dio sulle orme di Cristo che era certamente pieno di sapienza e di amore della Croce e che appunto vuole farci partecipare anche a tale sapienza e a tale amore.

Consideriamo che più è perfetta la nostra partecipazione alla Croce e quindi alla carità ma anche alle sofferenze di Cristo, tanto più grande sarà la nostra partecipazione alla sua gloria e più sarà grande la gloria che daremo a Dio; consideriamo anche che più è perfetta la partecipazione dei nostri prossimi alla Croce e alle sofferenze di Cristo più sarà grande la loro partecipazione alla sua gloria. Chi vuole davvero bene a sé e agli altri nella carità vuole immergere nella maniera più perfetta sé e loro nella Passione di Cristo e quindi nella sapienza e nell’amore della Croce. La carità appunto ci porta a camminare e a fare camminare le anime nella sapienza  e nell’amore della Croce,  e quindi sulla via della Croce; perciò sottolineo: chi vuole davvero bene a sé e agli altri nella carità vuole immergere nella maniera più perfetta sé e loro nella Passione di Cristo e quindi nella sapienza e nell’amore della Croce … Chi vuole davvero bene a sé e agli altri nella carità non vuole dispensarli dai comandamenti ma vuole immergere nella maniera più perfetta sé e loro nella perfetta pratica di essi in Cristo, sulla via della Croce, nella sapienza e nell’amore della Croce.

Ovviamente, da quanto abbiamo detto più sopra, non è certo questa che abbiamo appena indicato la via presentata dall’Amoris Laetitia.

Come abbiamo detto e ripetiamo: la vera via caritatis, la vera via della carità fraterna non è quella che emerge attraverso Amoris Laetitia e attraverso il “cambio di paradigma” che Papa Francesco sta attuando … e non è strano, in questa linea, che l’Amoris Laetitia non parli di sapienza della Croce e di amore della Croce …

Visto il cedimento a gravi errori nell’ambito della teologia morale e quindi all’ immoralità, ai peccati gravi e agli scandali, che l’ Amoris Laetitia presenta, è ovvio che la dottrina contenuta in tale esortazione non segua la via della carità fraterna di Cristo Crocifisso e dei martiri e non guidi  le anime alla sapienza e all’amore della Croce ma piuttosto segua la via opposta, cioè la via di coloro che con il peccato crocifiggono Cristo e fanno soffrire quelli che seguono Lui.

La Croce sacra sia la nostra luce.

b,3) La vera carità conduce non a fare “un piccolo passo” ma conduce a vivere tutti i comandamenti  di Dio; la vera carità fraterna aiuta il prossimo a vivere tutti i comandamenti!

La carità, dice s. Tommaso, come vedemmo, fa osservare: sia i comandi affermativi, sia quelli  che quelli negativi, cioè quelli che proibiscono alcune azioni, la carità infatti non agisce ingiustamente. La carità fraterna ci spinge, quindi, a far sì che questa osservanza dei comandamenti sia anche nei nostri prossimi!

La carità fraterna ci spinge a volere il vero bene per i nostri fratelli e quindi ci spinge a volere per loro la carità, la grazia e l’osservanza dei comandamenti … e quindi la vita eterna.

Dio ci ha dato la sua Legge che dobbiamo osservare con il suo aiuto, la Legge di Dio è indispensabile, tutti sono chiamati non a fare un “piccolo passo” ma a vivere la Legge divina. Non esiste gradualità della Legge, s. Giovanni Paolo II lo affermò chiaramente[252]

Il Catechismo afferma al n. 2072: “ Poiché enunciano i doveri fondamentali dell’uomo verso Dio e verso il prossimo, i dieci comandamenti rivelano, nel loro contenuto essenziale, obbligazioni gravi. Sono sostanzialmente immutabili e obbligano sempre e dappertutto. Nessuno potrebbe dispensare da essi. I dieci comandamenti sono incisi da Dio nel cuore dell’essere umano.”

Il fatto che la legge di Dio sia indispensabile, come insegna anche s. Tommaso (cfr. Iª-IIae q. 100 a. 8 co.) implica che nessuno possa dispensare altri o sé stesso dal compimento della Legge, dai Comandamenti divini e questo vale in particolare riguardo a ciò che di oggettivamente grave essi condannano; cioè nessuno può dispensare sé o gli altri dall’osservanza dei comandamenti permettendo a sé o ad altri di compiere atti oggettivamente gravi (come adulterio, omicidio, pedofilia, cioè abusi sessuali sui minori, stupro etc.) condannati dai divini comandamenti. Dio che ci ha donato i comandamenti ci dà di poterli osservare e Dio è onnipotente, dunque a Lui è possibile donare la piena osservanza di essi anche a persone che non sono responsabili dei loro atti. Quindi non c’è nessuno che sia assolutamente impossibilitato, con l’aiuto di Dio, a vivere i comandamenti. Tutti si devono impegnare a vivere in tali comandamenti che, come detto, non sono soggetti a dispensa. Tutti devono sforzarsi a seguire la via stretta che conduce al Cielo. La Croce sacra sia la nostra luce. Ovviamente il giudizio ultimo su tale osservanza viene da Dio che sulla base del suo aiuto, della nostra reale collaborazione e dei nostri reali impedimenti ad essa, emetterà la sua divina sentenza.

Quello che ho appena detto vale anche per coloro che sono parzialmente responsabili o del tutto non responsabili per le loro azioni, quindi anche i dementi, gli incapaci di intendere e volere, i bambini piccoli, coloro che sono parzialmente responsabili per le loro azioni, tutti sono obbligati dalla Legge Nuova e sono tenuti ad osservarla ma nella misura in cui sono incapaci sono scusati per le loro inadempienze. (cfr. Aertnys Damen “Theologia Moralis ..” Marietti, 1956, vol. I p. 182) Anche per loro vale la regola per cui la legge di Dio è indispensabile, come insegna anche s. Tommaso (cfr. Iª-IIae q. 100 a. 8 co.) sicché nessuno può dispensare altri o sé stesso dal compimento della Legge e questo vale in particolare riguardo a ciò che di oggettivamente grave essi condannano.

I superiori delle persone che sono parzialmente responsabili o del tutto non responsabili per le loro azioni devono impegnarsi perché essi non compiano atti oggettivamente contrari alla legge di Dio.

Tutti si devono impegnare a osservare tali comandamenti, tutti devono sforzarsi a seguire la via stretta che conduce al Cielo e i superiori devono curare in modo particolare che si attui tale osservanza e tale sequela, ma più generalmente per la carità fraterna, tutti devono aiutare i loro prossimi ad osservare la Legge di Dio , tutti devono aiutare i loro prossimi a capire che l’osservanza della legge di Dio, in determinate situazioni, può essere difficile, difficilissima, non è mai però assolutamente impossibile (cfr. VS n. 52).

Dio è onnipotente, a Lui nulla è impossibile, in questa linea, tutti sono chiamati ad appoggiarsi a Dio anche con la preghiera per attuare la sua Legge e tutti sono chiamati ad aiutare i loro prossimi ad appoggiarsi a Dio anche con la preghiera per attuare la sua Legge.

La vera via caritatis è, quindi, quella per cui aiutiamo il prossimo a vivere integralmente tutti comandamenti, nella carità, come Dio vuole.

La vera via della carità ci porta ad osservare la Legge divina sempre e a non trasgredirla mai, dunque ci porta a non trasgredire tale Legge neppure per il vantaggio nostro o di altri … la carità fraterna ci spinge a fare sì che tale osservanza sia anche nei nostri fratelli

La vera via caritatis, quindi, non porta a lasciare il prossimo nel peccato grave e ad illuderlo facendogli credere che, per la salvezza, basti il “piccolo passo possibile” e che non occorra aprire il cuore allo Spirito Santo e quindi alla vera conversione con la vera contrizione, con il proposito serio di vivere secondo tutta la Legge di Dio e quindi di non peccare più, con l’odio del peccato e con la fuga delle occasioni prossime di peccato … La vera via caritatis non porta ad aprire porte per la trasgressione della Legge di Dio per il vantaggio nostro o di altri.

Capiamo bene, in questa linea, che la vera via caritatis, la vera via della carità fraterna non è quella che emerge attraverso Amoris Laetitia e attraverso il “cambio di paradigma” che Papa Francesco sta attuando. Visto il cedimento a gravi errori nell’ambito della teologia morale e quindi all’ immoralità, ai peccati gravi e agli scandali, che l’ Amoris Laetitia presenta, è ovvio che la dottrina contenuta in tale esortazione non sia la vera via della carità fraterna …

Dio ci illumini sempre meglio.

b,4) La vera carità fraterna ci fa agire al fine di portare i nostri prossimi a vivere nella carità e quindi nell’odio verso il peccato specie se grave.

La carità fraterna, inoltre, e soprattutto la carità pastorale, in quanto ci fa amare i nostri prossimi in modo analogo a noi stessi (cfr. II-II, q. 44 a. 7 co.) conduce a volere che essi, con noi, vivano nella carità e nella grazia. La salvezza e la santificazione si compiono nella carità e nella grazia e perciò dobbiamo volere per noi e per i nostri prossimi la grazia e la carità. La carità fraterna appunto ci porta a questo e quindi ci porta anche a desiderare per il prossimo i beni nell’ordine giusto e santo secondo cui ognuno deve desiderarli per sé, infatti amare rettamente il prossimo come sé stessi significa, spiega s. Tommaso in un altro testo: desiderare per il prossimo i beni nell’ordine giusto e santo secondo cui ognuno deve desiderarli per sé, e per tale ordine ognuno deve desiderare anzitutto i beni spirituali, quindi quelli corporali e quei beni che consistono in cose esteriori: “Sic igitur  rectitudo  circa dilectionem  proximi instituitur, cum praecipitur alicui quod proximum diligat sicut se ipsum; ut scilicet eo ordine bona proximis optet quo sibi optare debet: praecipue quidem spiritualia bona, deinde bona corporis, et quae in exterioribus rebus consistunt.” (“De perfectione”, cap. 13 co.) Non ama davvero sé stesso né il prossimo chi non vuole per sé e per il prossimo i beni secondo l’ordine retto e santo che abbiamo precisato, per cui al primo posto stanno i beni spirituali cioè la salvezza dell’anima e la santificazione, cui si oppone radicalmente il peccato specie se grave.

La carità fraterna che ci spinge a volere il vero bene per i nostri fratelli e a volere anzitutto per loro i beni più importanti, quali la carità e la grazia, ci spinge a volere che essi, nella carità, detestino, odino, il peccato che è il più grande male . La carità ci fa odiare il peccato, come visto; il Catechismo Tridentino afferma al n. 249 “Siccome la carità con cui amiamo Dio è la più grande, ne segue che la contrizione deve portar con sé un veementissimo dolore di animo. Se dobbiamo amare Dio sopra ogni cosa, dobbiamo anche detestare sopra ogni cosa ciò che da lui ci allontana.”[253] … in questa linea s. Alfonso afferma :“Egli l’Eterno Verbo quanto amava il suo Padre, tanto odiava il peccato, di cui ben conoscea la malizia: onde per togliere il peccato dal mondo e per non vedere più offeso il suo amato Padre, egli era venuto in terra e s’era fatt’uomo, ed aveva intrapreso a soffrire una Passione ed una morte così dolorosa.”[254] Il peccato va, dunque, detestato sommamente  e mai e per nessuna ragione dobbiamo disporci a farlo, neppure per evitare danni  ai figli ,  mai è lecito peccare e soprattutto mai è lecito peccare gravemente, neppure per fare del bene per grande che sia o per evitare un male per noi o per gli altri …  Il Catechismo Romano  precisa che: “In secondo luogo, come Dio è il primo dei beni da amare, così il peccato è il primo e il maggiore dei mali da odiare. Quindi, la stessa ragione che ci obbliga a riconoscere che Dio deve essere sommamente amato, ci obbliga anche a portare sommo odio al peccato. Ora, che l’amore di Dio si debba anteporre a ogni altra cosa, sicché non sia lecito peccare neppure per conservare la vita, lo mostrano apertamente queste parole del Signore: “Chi ama suo padre o sua madre più di me, non è degno di me” (Mt 10,37); “Chi vorrà salvare la sua vita, la perderà” (Mt 16,25; Mc 8,35).”[255] … quindi la carità ci fa considerare il peccato, specie se grave, come il maggiore dei mali da odiare e ci fa portare sommo odio ad esso; la vera carità fraterna, in questa linea, ci fa agire perché i nostri prossimi credano che il peccato è il sommo male da odiare e appunto lo odino in questo modo!   S. Tommaso parla di questo odio al peccato nel De virtutibus, q. 2 a. 8 ad 8. “Ad octavum dicendum, quod Deus non odit in aliquo quod suum est, scilicet bonum naturale vel quodcumque aliud, sed solum illud quod suum non est, scilicet peccatum; et sic etiam nos in hominibus debemus diligere quod Dei est, et odire quod est alienum a Deo;  et  secundum    hoc   dicitur  in   Psalm. CXXXVIII,  22:  perfecto odio oderam illos.” Traduciamo il testo: Dio odia non ciò che è suo, cioè il bene, ma ciò che non è suo cioè il peccato e così anche noi negli uomini dobbiamo amare ciò che è di Dio  e odiare ciò che è alieno da Dio e in questa linea il Salmo afferma: li odiavo perfettamente. Precisa s. Tommaso nella Somma contro i Gentili che “Metaforicamente però si può dire che Dio odia certe cose. ”(“Somma contro i Gentili”, ed UTET, 2013, ebook, libro I c. 96) Afferma lo stesso s. Dottore in  Super Sent., lib. 3 d. 30 q. 1 a. 1 ad 6. “Ad sextum dicendum, quod non  oderat  eos perfecto   odio, nisi inquantum  Deo  inimici erant; hoc autem est  inquantum peccabant; unde non  odiebat in eis quos perfecto odio oderat, nisi peccatum.” Quindi il versetto  22 del Salmo 138 che parla di odio verso i nemici viene interpretato da s. Tommaso nel senso che tale odio riguarda i loro peccati. La vera carità fraterna ci fa agire perché anche i nostri prossimi odino il peccato come sommo male!

Nel commento ai Salmi s. Tommaso precisa ulteriormente le sue affermazioni su questo punto  dicendo che esiste un odio buono e un odio iniquo: “ Est autem duplex odium. Primum odium est bonum, quando quis odit peccatum sive peccatorem propter culpam: Ps. 138: perfecto odio oderam illos. Item est odium iniquum, quando quis odit naturam vel justitiam; ideo dicit, et odio iniquo oderunt me, idest injusto et sine causa: Joan. 15: ut impleatur  sermo  qui  in lege  eorum scriptus est, quia odio habuerunt me gratis.” (“In psalmos Davidis expositio.”, Super Psalmo 24, n. 13.)  Vi è un buon odio per cui  viene odiato il peccato o il peccatore per la colpa e di questo odio parla il Salmo 138, vi è un odio iniquo per cui si odia la natura o la giustizia e perciò si dice , nella Bibbia, “di odio iniquo mi hanno odiato” cioè odio ingiusto e senza causa  “perché si adempisse la parola scritta nella loro Legge, poiché mi hanno odiato senza ragione” (Gv. 15).

Ulteriormente s. Tommaso afferma: “ … la pratica di questa salutare abnegazione di sé e di questo odio, per così dire, caritatevole, fino a un certo grado è necessaria alla salvezza e si trova in tutti quelli che si salvano; oltre quel grado però appartiene al compimento della perfezione…. L’uomo quindi per salvarsi bisogna che ami talmente Dio da indirizzare a lui

tutti i suoi intenti e da non accogliere niente che reputi contrario al divino amore,

e per conseguenza, per salvarsi, è necessario l’odio e l’abnegazione di se stesso.”[256] La vera carità fraterna ci fa volere il bene  dei nostri fratelli e quindi ci fa agire perché anche i nostri prossimi, insieme con noi, attuino in pienezza l’odio santo e l’abnegazione santa  di loro stessi!

Un passo di s. Gregorio Magno afferma : “È giusto chiederci perché ci vien rivolto il comando di odiare i parenti e i congiunti, dal momento che è nostro dovere amare persino i nemici. …” Nella risposta a tale domanda egli spiega che esaminando bene i comandi divini capiamo che non c’è vera contraddizione tra il comando di odiare i nostri avversari sulla via che conduce a Dio e quello di amare i nostri prossimi. S. Gregorio precisa che è una specie di carità la nostra avversione e opposizione a chi ci vuole spingere al male; la carità infatti ci spinge a non peccare e quindi a opporci a chi ci vuole far cadere nel peccato; questa opposizione, questa avversione e quindi odio nascono quindi dalla carità e si rivolgono non solo verso gli altri ma anche verso noi stessi allorché siamo tentatori delle nostre stesse anime. In questa linea s. Gregorio dice che dobbiamo odiare gli altri come noi stessi, in quanto noi e loro siamo nemici delle nostre anime e spingiamo noi stessi al peccato. Precisa s. Gregorio che noi avversiamo e odiamo ” davvero la nostra vita, quando non acconsentiamo ai suoi carnali desideri ma ne contrastiamo le voglie e resistiamo al piacere.” In modo simile dobbiamo avversare e odiare coloro che ci spingono al male. In questo senso s. Paolo, per la sua ardente carità, odiava la sua vita e tutti coloro che lo avversavano sulla via di Dio, precisa s. Gregorio  “… chi ci ostacola sulla via di Dio non può essere amato anche se è nostro congiunto. …” [257]

S. Tommaso riporta tale passo e precisa: “ Appartiene invece alla perfezione rinunziare per un più intenso amore di Dio, e per attendere meglio al suo servizio, anche a quelle cose di cui uno potrebbe usare lecitamente. E in questo senso l’odio e l’abnegazione di sé appartengono alla perfezione.”[258] Ovviamente la carità fraterna ci porta a volere la perfezione per noi e per il nostro prossimo e quindi ci porta a volere che egli abbia questo odio che appartiene alla perfezione .

Sempre in questa linea s. Tommaso afferma in Super Rom., cap. 7 l. 3 “Per hoc quod dicit odi intelligitur odium perfectum quo quis perseverat in detestationem mali usque ad finalem reprobationem ipsius,  de quo  dicitur  in Ps.  CXXXVIII,  22:  perfecto  odio oderam illos, scilicet malos, inquantum sunt peccatores.” L’odio perfetto è dunque quello per cui perseveriamo nel detestare il male fino alla riprovazione finale di esso. La carità fraterna ci spinge a vivere noi stessi e a far vivere ai nostri fratelli questo odio santo e perfetto …  per cui perseveriamo nel detestare il male fino alla riprovazione finale di esso.

Nel bel commento ai due precetti della carità e ai dieci comandamenti s. Tommaso afferma ancora : “Et ideo sciendum, quod in omnibus factis nostris factum Christi debet esse nobis exemplum. Deus enim diligit et odit. Quia in quolibet homine duo sunt consideranda: scilicet natura et vitium. Natura quidem in hominibus diligi debet, vitium vero odiri.”(Collationes in decem praeceptis a. 2) In tutto ciò che facciamo dobbiamo avere per modello, cioè come esempio, Cristo; Dio odia e ama. In ogni uomo devono essere considerate due cose: la natura e il vizio; la natura va amata, il vizio va odiato. La carità fraterna ci spinge a vivere noi stessi e a far vivere ai nostri fratelli avendo Cristo come modello e quindi ci spinge a vivere noi stessi e a far vivere i nostri fratelli nell’odio santo che era in Cristo …

S. Alfonso, come visto, afferma: “Egli l’Eterno Verbo quanto amava il suo Padre, tanto odiava il peccato, di cui ben conoscea la malizia: onde per togliere il peccato dal mondo e per non vedere più offeso il suo amato Padre, egli era venuto in terra e s’era fatt’uomo, ed aveva intrapreso a soffrire una Passione ed una morte così dolorosa.”[259]

Come Cristo odiava sommamente il peccato perché amava sommamente il Bene così noi dobbiamo, in Cristo, amare sommamente il Bene e quindi sommamente odiare il peccato; in modo simile dobbiamo aiutare il nostro prossimo ad amare sommamente il Bene, in Cristo, e quindi ad odiare  sommamente il peccato

La carità fraterna vera ci porta, perciò, a detestare e a far detestare sommamente dai nostri prossimi il peccato grave, quindi anche l’adulterio e la pratica omosessuale, perché il peccato grave è sommo male: “… come Dio è il primo dei beni da amare, così il peccato è il primo e il maggiore dei mali da odiare.”[260]  Ovviamente la carità ci porta a vivere i santi comandamenti e a mai peccare. Il peccato, specie se grave, è il male sommo quindi molto più grande di ogni altro male e mai è lecito peccare per evitare altri mali!

Capiamo bene e capiremo ancora meglio, in questa linea, da quanto abbiamo detto e da quanto diremo, che la vera via caritatis, la vera via della carità fraterna non è quella che emerge attraverso Amoris Laetitia e attraverso il “cambio di paradigma” che Papa Francesco sta attuando … essa infatti non insegna, secondo la sana dottrina, il santo odio per ogni peccato specie se grave  ma anzi legittima a vari livelli peccati gravi e scandali. Significativamente l’Amoris Laetitia non parla mai di odio per il peccato né di detestazione per il peccato grave … in tale esortazione troviamo infatti solo una citazione biblica in cui si afferma che Dio detesta il ripudio realizzato da un coniuge verso l’altro (Amoris Laetitia n. 123; Ml 2,14.15.16)

Cristo regni e la sua luce risplenda nei cuori.

b,5) La carità, e soprattutto lo zelo, spiega s. Tommaso, porta ad un santo “odio” verso il peccatore, cioè verso noi stessi e verso ogni peccatore, e porta a correggerci e a correggerlo per tale peccato.

 

 

Dio ci illumini ancora più abbondantemente!

Approfondendo quello che abbiamo iniziato a dire più sopra dobbiamo ribadire che esiste un santo “odio” che si indirizza verso il peccatore, cioè verso noi stessi e tutti gli altri peccatori.

La Bibbia in vari passi parla di un certo santo “odio” verso il peccatore di qui le parole che troviamo nel Sal 11,5 : “ Il Signore scruta giusti e malvagi, egli odia chi ama la violenza.”

Sal 5,6s “ … gli stolti non resistono al tuo sguardo. Tu hai in odio tutti i malfattori.  tu distruggi chi dice menzogne. Sanguinari e ingannatori, il Signore li detesta.” Sal 139,21s : “ Quanto odio, Signore, quelli che ti odiano! Quanto detesto quelli che si oppongono a te! Li odio con odio implacabile, li considero miei nemici.”

Sottolineiamo che, come detto, per s. Tommaso (“In psalmos Davidis expositio.”, Super Psalmo 24, n. 13) vi è  un buon “odio”per cui  viene odiato il peccato e il peccatore per la colpa e di questo odio parla il Salmo 138, vi è un odio iniquo per cui si odia la natura o la giustizia e perciò si dice , nella Bibbia, “di odio iniquo mi hanno odiato” cioè ingiusto e senza causa  “perché si adempisse la parola scritta nella loro Legge , poiché mi hanno odiato senza ragione”.(Gv. 15)  Il buon odio si trova in certo modo sommamente in Dio, come vedemmo : “Metaforicamente però si può dire che Dio odia certe cose. E questo per due motivi. Primo, perché Dio amando le cose, nel volere che esista il loro bene, vuole che il loro male non esista. …  Secondo, per il fatto che Dio vuole talora un bene maggiore il quale non può esistere, senza la soppressione del bene minore.”(“Somma contro i Gentili”, ed UTET, 2013, ebook, libro I c. 96)

L’odio di Dio è quindi metaforico e si caratterizza come radicale opposizione al peccato e punizione giusta del peccatore che può giungere alla condanna alla dannazione. Si tratta di un “odio” che emerge dalla Carità divina perché Dio è Carità.

Il nostro odio deve ugualmente scaturire dalla carità ed essere partecipazione all’ odio metaforico che Dio ha  verso il peccato e verso il peccatore e ci deve portare ad opporci sapientemente a tale peccato e quindi a coloro che lo commettono e in alcuni casi può giungere alla punizione del peccatore e anche all’uccisione dello stesso, si pensi al caso della legittima difesa nei confronti di un ingiusto aggressore, al caso della guerra giusta contro un ingiusto aggressore o al caso di giusta comminazione di pena capitale al reo di gravi crimini.

Questo “odio” procede dalla carità come spiega s. Tommaso che accoglie e riporta una significativa affermazione di s. Gregorio:  “Ut autem dominus demonstraret hoc erga proximos  odium non de affectione procedere, sed  de caritate, addidit  dicens adhuc  autem et  animam suam.  Constat ergo quia amando debet  odisse proximum qui sic eum odit sicut  seipsum:  seipsum: enim  bene animam  nostram  odimus,  cum eius carnalibus  desideriis non acquiescimus,  cum  eius appetitum frangimus,  eius  voluptatibus reluctamur.”(Catena in Lc., cap. 14 l. 5.) Dunque vi è un “odio” verso gli altri e verso noi stessi che procede dalla carità e non dalla passione; colui che nella carità deve santamente “odiare” la sua anima (Gv 12,25) deve similmente “odiare” santamente il suo prossimo; per tale “odio” santo non accettiamo i desideri della carne, combattiamo contro i  piaceri delle nostre anime e frangiamo il desiderio peccaminoso delle nostre anime in noi; per tale santo “odio” dobbiamo sapientemente opporci ai peccati e al male degli altri.

Vedemmo più sopra che: “L’uomo quindi per salvarsi bisogna che ami talmente Dio da indirizzare a lui tutti i suoi intenti e da non accogliere niente che reputi contrario al divino amore,

e per conseguenza, per salvarsi, è necessario l’odio e l’abnegazione di se stesso.”[261] … è necessario l’odio santo di noi stessi in quanto peccatori … ed è necessario, in questa linea, l’odio santo degli altri in quanto peccatori; anche in questo dobbiamo Cristo come esempio: “Et ideo sciendum, quod in omnibus factis nostris factum Christi debet esse nobis exemplum. Deus enim diligit et odit. Quia in quolibet homine duo sunt consideranda: scilicet natura et vitium. Natura quidem in hominibus diligi debet, vitium vero odiri.”(“Collationes in decem praeceptis” a. 2) In tutto ciò che facciamo dobbiamo avere come esempio Cristo. Dio, e quindi Cristo, infatti odia e ama nell’uomo: ama la natura, odia il vizio; noi dobbiamo imitare Cristo anche in questo e perciò dobbiamo, in noi stessi e nel prossimo,  amare la natura, odiare il vizio. E questa verità è ribadita e precisata da s. Tommaso nel De virtutibus, q. 2 a. 8 ad 8. “Ad octavum dicendum, quod Deus non odit in aliquo quod suum est, scilicet bonum naturale vel quodcumque aliud, sed solum illud quod suum non est, scilicet peccatum; et sic etiam nos in hominibus debemus diligere quod Dei est, et odire quod est alienum a Deo;  et  secundum    hoc   dicitur  in   Psalm. CXXXVIII,  22:  perfecto odio oderam illos.”  Dio, e quindi Cristo, odia non ciò che è suo, cioè il bene, ma ciò che non è suo cioè il peccato e così anche noi dobbiamo amare, in noi e negli altri, ciò che è di Dio ed odiare ciò che è alieno da Dio: dobbiamo amare in noi e negli altri ciò che è di Dio ma “odiare” in noi e negli altri ciò che non è di Dio, cioè il peccato.

Questo si realizzava con somma perfezione in Cristo uomo per partecipazione somma alla carità e quindi al “santo odio” che abbiamo visto in Dio. La carità che risplende in Cristo, anche in quanto uomo, è una carità che santamente odia il peccato e santamente “odia” il peccatore secondo il Salmo 138 versetto 22; precisa  a riguardo il s. Dottore Angelico in Super Sent., lib. 3 d. 30 q. 1 a. 1 ad 6. “Ad sextum dicendum, quod non  oderat  eos perfecto odio, nisi inquantum  Deo  inimici erant; hoc autem  est  inquantum peccabant; unde non  odiebat in  eis quos perfecto odio oderat,  nisi peccatum.” Il versetto  22 del Salmo 138 che parla di “odio” perfetto verso i nemici viene interpretato da s. Tommaso nel senso che tale “odio” riguarda i loro peccati per i quali erano nemici di Dio.

Tale perfezione di odio santo era in Cristo. Egli fu odiato con odio malvagio (cfr. Gv. 15) ma santamente “odiò” con l’ odio perfetto, pieno di perfettissimo amore, i peccatori ai quali appunto si oppose  in quanto operatori di male e per i quali diede anche la vita , per la loro salvezza. E questo santo odio, in Cristo era radicale e perseverante fino alla finale riprovazione del male, come possiamo capire da ciò che s. Tommaso precisa ulteriormente “Per hoc quod dicit odi intelligitur odium perfectum quo quis perseverat in detestationem mali usque ad finalem reprobationem ipsius,  de quo  dicitur  in Ps.  CXXXVIII,  22:  perfecto  odio oderam illos, scilicet malos, inquantum sunt peccatores.” (Super Rom., cap. 7 l. 3.) L’ “odio perfetto”, santo, è dunque quello per cui, imitando Dio, perseveriamo nel detestare il male fino alla riprovazione finale di esso e con tale odio dobbiamo odiare santamente i peccatori cioè gli altri e noi stessi  in quanto peccatori; questo santo e buon “odio” perfetto, come detto, fu pienamente in Cristo in quanto Dio e in quanto uomo e, per partecipazione a Lui, deve essere in noi.

Cristo, in questa linea, odiò santamente i malvagi cioè si oppose radicalmente ai malvagi in quanto nemici di Dio e peccatori , si oppose al male che volevano compiere, ma li amò sommamente in quanto uomini creati da Dio e aventi per fine Ultimo il Paradiso e per tale amore patì per loro appunto per convertirli e indirizzarli verso il Cielo.

Quello che ho detto finora seguendo in particolare s. Tommaso, circa l’odio santo, si conferma in certo modo in ciò che afferma O. Michel nel suo articolo “μισέω” in Grande Lessico del Nuovo Testamento vol. VII ed. Paideia 1971, colonne 321ss, infatti questo autore precisa efficacemente come va inteso l’odio di Dio verso varie realtà create, tra cui anche il peccatore, che la Bibbia in vari passi mette in evidenza (Dt. 12,31, ; 16,22; Ger. 44,4; Am. 5,21; Is. 1,14; Sap. 14,9; Sir. 12,6; 27,24 (LXX)), tale odio è ripudio del peccato, è lotta contro peccato, è giudizio e rappresaglia contro il peccatore (colonna 331). L’articolo appena citato precisa anche che, come Dio anche i giusti, stando con Dio, odiano il male cioè hanno in sé stessi un appassionato rifiuto del male o del malvagio  (colonna 332) l’odio di cui qui si parla non è tanto un sentimento quanto il rifiuto del male e l’opposizione al male da parte della volontà e quindi dell’azione (colonna 333) anche nella tradizione rabbinica si trova un odio comandato contro alcuni peccatori: seduttori, epicurei etc. (col. 336 ss)

Nel Vangelo, prosegue Michel nell’articolo in oggetto, chi vuole seguire Cristo deve odiare (Lc. 14,26; Mt. 10,37; Gv. 12,25) tutti coloro che d’altra parte deve amare tra le creature, compreso sé stesso, tale odio è cosciente rifiuto, distacco e rinuncia per essere legati esclusivamente a Cristo (colonna 343) in Ap. 2,6 si parla dell’odio di Gesù per le opere dei nicolaiti e in Eb. 1,9 si applica a Cristo l’odio per l’iniquità mettendo in evidenza il ministero di Cristo giudice e signore (colonna 344); in Giuda 23 si evidenza l’idea dell’odio voluto da Dio  che è messa in rilievo anche in Ap. 2,6. (colonna 349); anche nel N. T., conclude Michel, c’è un santo odio ma che è parte della carità verso tutti gli uomini (colonna 350), s. Tommaso appunto più sopra ha spiegato  molto bene come la carità possa includere in sé il santo odio.

La vera carità fraterna contiene dunque un santo e radicale “odio” per il peccato e per il peccatore, cioè una radicale opposizione al peccato e a chi vuole farlo; quindi la carità ci porta a santamente “odiare”  l’adulterio e ogni peccato grave in noi stessi e negli altri. La vera carità fraterna quindi non ci porta ad aprire porte per giustificare i peccati gravi e lo scandalo negli altri o in noi stessi e non ci porta quindi a concedere i Sacramenti della Penitenza e della Confessione a coloro che vogliono continuare a peccare gravemente, ma ci porta a santamente “odiare” e combattere in essi tale peccato e lo scandalo che ne deriva! La carità non ci porta a legittimare gli atti omosessuali ma ad opporci santamente ad essi e a chi vuole farli … la carità non ci porta a legittimare la pedofilia, o lo stupro, o l’omicidio o la bestemmia etc. ma ci porta ad opporci santamente a tali peccati e a chi vuole farli.

I santi, come s. Tommaso, che hanno amato veramente il prossimo in Cristo hanno santamente “odiato” il peccatore opponendosi a lui in quanto voleva peccare!

I santi Pastori che hanno amato veramente il prossimo in Cristo, hanno anche santamente “odiato” il peccatore che vuole peccare e quindi fare il male e, in questo santo amore e santo odio, non hanno esitato a punire e scomunicare coloro che si erano resi colpevoli di delitti particolarmente gravi.

Dio illumini i Pastori della s. Chiesa!

Quello che abbiamo detto finora in questo paragrafo vale appunto, in maniera particolare per i Pastori e soprattutto per il s. Padre che è chiamato in modo particolare alla perfezione della carità e in essa al santo “odio” del peccato e del peccatore e quindi ad opporsi radicalmente al peccato, specie se grave, in lui stesso e nei suoi sudditi, ed è chiamato quindi al santo “odio” del peccatore  che vuole peccare e quindi fare il male cioè è chiamato ad opporsi a lui in quanto vuole fare il male; la Chiesa con la sua Tradizione offre appunto ai suoi membri tanti mezzi per opporsi a chi vuole fare il male, si pensi alla scomunica.

In questa linea mi pare interessante ascoltare quello che dice s. Tommaso sullo zelo laddove afferma che esso vuole, secondo l’ordine della giustizia, la riparazione del male fatto e quindi l’emendazione di ciò che vede deviare dalla via del bene: “Quandoque vero talis appetitus est sine peccato, immo est laudabilis, puta cum aliquis appetit vindictam secundum ordinem iustitiae. Et hoc  vocatur ira per  zelum, dicit  enim Augustinus,  super Ioan. quod zelo domus  Dei  comeditur  qui omnia  perversa  quae videt  cupit emendare; et, si emendare  non possit, tolerat et gemit. Et talis ira fuit in Christo.”(III, q. 15 a. 9 co.)

Il santo zelo che si accompagna alla carità perfetta vuole, secondo l’ordine della giustizia, la riparazione del male fatto, desidera emendare le cose peccaminose che vede e opera perché tale emendazione e riparazione si realizzi; il santo zelo, con il s. odio che contiene, si oppone radicalmente ai peccatori in quanto vogliono fare il male … tale zelo con l’ira santa che lo accompagna (“ira per zelum”) fu, sommamente, in Cristo (cfr. IIIª q. 15 a. 9 in c.) che è sommo Pastore…  e deve essere nei veri Pastori.

Dio ci doni questo santo zelo che risplendeva fortemente anche in Elia, nell’ A. T. (cfr. 1 Re 19,10). S. Tommaso afferma in questa linea, parlando della Trasfigurazione e riportando delle affermazioni di s. Giovanni Crisostomo, che Mosè ed Elia furono scelti da Dio per apparire accanto a Gesù:  “perché voleva che i suoi discepoli imitassero la mansuetudine di Mosè e lo zelo di Elia”.  (III, q. 45 a. 3 ad 3). Dio vuole che lo zelo ardente di Elia sia anche in noi specialmente nei Pastori.  E s. Tommaso precisa che questo santo zelo va esercitato anzitutto verso sé stessi e poi verso gli altri:  anzitutto occorre purificare la propria anima da ogni affetto verso i beni terreni e poi, dopo il santo disprezzo di sé e delle cose terrene, procedere nello zelo verso gli altri e così il nostro sacrificio sarà più perfetto; perfettissimo sacrificio sarà quello di colui che per voto si impegna allo zelo per le anime, è il caso dei vescovi e dei religiosi che si impegnano a ciò per voto. (cfr. “De perfectione”, cap. 23 co.)

I Vescovi, e ancora di più il Papa sono obbligati al santo zelo per le anime; in essi questo santo zelo deve risplendere in modo particolare.

I santi, come s. Tommaso , e specialmente i santi Pastori, hanno spesso brillato di santo zelo e per esso hanno combattuto radicalmente contro il peccato e contro certi peccatori al fine di salvare le anime; in alcuni casi tali Pastori proprio per tale zelo sono stati martirizzati .

Ovviamente la vera carità fraterna ha portato i santi, e soprattutto i santi Pastori, non solo a vivere loro stessi in questo santo zelo ma anche ad insegnare ai loro sudditi questo stesso zelo.

E in questo zelo hanno corretto i loro sudditi caduti nel peccato …

La carità fraterna e lo zelo ci portano a correggere i fratelli o i sudditi che peccano e non ad assecondarli e sostenerli nel loro peccato grave.  Spiega s. Tommaso riguardo alla correzione: la correzione di colui che pecca è un rimedio che si deve applicare contro il peccato di qualcuno, il peccato è nocivo a colui che pecca ma danneggia anche gli altri che da esso sono lesi o scandalizzati, il peccato danneggia anche il bene comune la cui giustizia appunto per tale peccato è perturbata. (cfr. IIª-IIae q. 33 a. 3 co.)

Dato il male che è il peccato è evidente che la carità fraterna e lo zelo, in questa linea, ci portano ad aiutare il peccatore a cambiare vita con la correzione.

La correzione fraterna, in particolare, è atto di carità fraterna perché per essa scacciamo il male del fratello cioè il peccato e gli procuriamo del bene (cfr. IIª-IIae q. 33 a. 1 co.)

LA CARITÀ FRATERNA CI FA OPERARE IN MODO CHE ANCHE IL NOSTRO PROSSIMO VIVA NELLA CARITÀ FRATERNA E CORREGGA A SUA VOLTA IL SUO PROSSIMO SE ERRA.

Ricordo che la carità include in sé stessa la giustizia, i Pastori per carità e per giustizia devono correggere i sudditi che vivono in peccato. (IIª-IIae q. 33 a. 3 co. mia traduzione)

La carità fraterna, e quindi la GIUSTIZIA che è inclusa in essa, impongono ai Pastori IL DOVERE DI CORREGGERE I PECCATORI E DI INTERVENIRE NEI LORO CONFRONTI IN QUANTO IL PECCATO NUOCE non solo al peccatore ma AL BENE PUBBLICO.

I prelati hanno il dovere di intervenire, in particolare, contro i peccatori notori, secondo la sana dottrina, evitando di amministrare loro i Sacramenti, come afferma s. Tommaso in III, q. 80 a. 6:  ai peccatori manifesti non si deve dare la santa Comunione, neppure se la chiedono.

Capiamo bene e capiremo ancora meglio, in questa linea, da quanto abbiamo detto e da quanto diremo che la vera via caritatis, la vera via della carità fraterna, non è quella che emerge attraverso Amoris Laetitia e attraverso il “cambio di paradigma” che Papa Francesco sta attuando … Papa Francesco infatti attraverso tale “cambio”: diffonde lui stesso, e non corregge negli altri, gravi scandali e gravi errori specie in campo di teologia morale, legittima il compimento di gravi trasgressioni della legge di Dio e quindi di gravi peccati … e prevede addirittura l’amministrazione dei Sacramenti a chi vive in veri peccati gravi.

Dio intervenga.

b,6) La carità ci porta ad operare perché i nostri prossimi abbiano una fede retta anche riguardo ai comandamenti.

La Croce sacra sia la nostra luce.

La Veritatis Splendor è chiarissima: “I precetti morali negativi, cioè quelli che proibiscono alcuni atti o comportamenti concreti come intrinsecamente cattivi, non ammettono alcuna legittima eccezione; essi non lasciano alcuno spazio moralmente accettabile per la «creatività» di una qualche determinazione contraria. Una volta riconosciuta in concreto la specie morale di un’azione proibita da una regola universale, il solo atto moralmente buono è quello di obbedire alla legge morale e di astenersi dall’azione che essa proibisce” (VS, 67 cfr. ibidem  n. 52.102)

Ancora nella Veritatis Splendor leggiamo:“ La Chiesa ha sempre insegnato che non si devono mai scegliere comportamenti proibiti dai comandamenti morali, espressi in forma negativa nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Come si è visto, Gesù stesso ribadisce l’inderogabilità di queste proibizioni: « Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti…: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso » (Mt 19,17-18).” (VS n. 52)… quindi mai si puo’ scegliere di commettere adulterio! … neppure nel caso che sembra prevedere la lettera dei Vescovi argentini al n. 5 laddove afferma :  “cuando una persona considere que caería en una ulterior falta dañando a los hijos de la nueva unión”[262] ….  IL PECCATO SPECIE SE GRAVE È IL MALE SOMMO QUINDI MAI È LECITO PECCARE PER EVITARE ALTRI MALI; MAI DUNQUE È LECITO PECCARE E SOPRATTUTTO MAI È LECITO PECCARE GRAVEMENTE, MAI È LECITO COMMETTERE ADULTERIO, NEPPURE QUANDO UNA PERSONA CONSIDERI CHE ALTRIMENTI CADREBBE IN UN ULTERIORE PECCATO DANNEGGIANDO I FIGLI DELLA NUOVA UNIONE!

La Veritatis Splendor afferma in questa linea “… è sempre possibile che l’uomo, in seguito a costrizione o ad altre circostanze, sia impedito di portare a termine determinate buone azioni; mai però può essere impedito di non fare determinate azioni, soprattutto se egli è disposto a morire piuttosto che a fare il male. ” (VS n. 52)

LA CARITÀ FRATERNA CI PORTA AD OPERARE PERCHÉ ANCHE I NOSTRI PROSSIMI CREDANO:

– CHE MAI possono attuare comportamenti proibiti dai comandamenti morali, espressi in forma negativa;

– CHE MAI possono essere impediti di non fare determinate azioni, soprattutto se essi sono disposti a morire piuttosto che a fare il male.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n. 2518: “ I « puri di cuore » sono coloro che hanno accordato la propria intelligenza e la propria volontà alle esigenze della santità di Dio, in tre ambiti soprattutto: la carità, (Cf 1 Ts 4,3-9; 2 Tm 2,22.) la castità o rettitudine sessuale, (Cf 1 Ts 4,7; Col 3,5; Ef 4,19.) l’amore della verità e l’ortodossia della fede.”

S. Agostino afferma che attraverso la fede si giunge all’obbedienza a Dio e attraverso l’obbedienza si giunge ad una vita onesta, ad un cuore puro e alla conoscenza di ciò che si crede (cfr. Sant’Agostino, “De fide et Symbolo”, 10, 25: CSEL 25, 32 (PL 40, 196).)

La carità fraterna ci porta ad operare perché in noi e nei nostri prossimi sia l’ortodossia della fede,  l’amore della verità, la carità, la castità.

Senza una fede veramente ortodossa, chiara e precisa non è possibile che sia in noi la vera carità e la vera castità … la vittoria contro le potenze delle tenebre implica anzitutto che noi abbiamo chiarezza su ciò che Dio vuole da noi.

Quello che sto dicendo fa capire il gravissimo danno che realizza l’Amoris Laetitia  con il “cambio di paradigma” che veicola : diffondendo volute ambiguità ed errori, mettendo praticamente da parte la dottrina per cui i precetti negativi del Decalogo sono obbligatori sempre e per sempre e praticamente legittimando peccati anche molto gravi, tale esortazione devia la fede dei cattolici su questioni attinenti alla morale e praticamente annienta la carità nei cuori. Dio intervenga!

c) L’ ordine della carità fraterna nella sana dottrina, specie in s. Tommaso, e gli errori circa tale ordine presenti  al n. 101 di Amoris Laetitia , la quale, anche su questo punto, non è tomista!

c,1) La carità fraterna vera e il suo ordine, precisazioni introduttive.

c,1,1) L’ ordine della carità fraterna nella Bibbia e nei Padri.

Vedemmo più sopra che la Bibbia presenta chiaramente l’ordine della carità anzitutto allorché afferma che occorre amare Dio con tutto sé stessi (Dt. 6 ; Mt 22,37) e quindi l’ordine della carità fraterna  in particolare allorché afferma che bisogna amare il prossimo come sé stessi (Mt 22,37)

Nel Levitico leggiamo: “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore.”(Lv. 19,18)

Il quarto comandamento afferma significativamente : “ Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà.” (Es 20,12)

La carità fraterna è a noi comandata da Cristo in particolare attraverso il “suo” comandamento: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati “ (Gv 15,12).

  1. Agostino precisa in questa linea che occorre stimare rettamente le cose. “Secondo giustizia e santità vive colui che sa stimare rettamente le cose.”[263]

Nella “Città di Dio” s. Agostino spiega che l’ordine è: “ … è l’assetto di cose eguali e diseguali che assegna a ciascuno il proprio posto.” [264]

La carità ha un ordine fondamentale che si applica in particolare nella carità fraterna: anzitutto non fare il male quindi fare il bene in quanto si può , come dice sant’Agostino: “Primum ut nulli noceat, deinde ut etiam prosit si potuerit” (“De civitate Dei”, Lib. 19, cp. 14, PL., 41, 643).[265]

I Padri, seguendo le indicazioni bibliche, delineano l’ordine della carità, e quindi della carità fraterna, affermando che anzitutto occorre amare Dio, quindi precisano che dobbiamo amare il prossimo come noi stessi, riguardo ai nostri prossimi precisano che dobbiamo ordinariamente prima amare i nostri genitori, poi i nostri figli, poi le persone della nostra famiglia.[266]

Origene, il grande biblista del III secolo, sviluppa il tema dell’ordine della carità fraterna sulla base del messaggio complessivo della Bibbia partendo dal testo di Cantico dei Cantici 4,2 che secondo i testi cui lui si appoggia afferma: ordinate in me la carità; questo autore, nel suo commento al Cantico dei Cantici, in particolare, consacra una lunga riflessione all’ordine della carità partendo dal versetto suddetto[267]

Origene afferma che per questo ordine vanno amati anzitutto i genitori, poi i figli, poi gli altri parenti e amici, occorre anche amare i nemici (cfr. Origene, “Homilia II in Canticum Canticorum” n° 8, PG., 13, 53-54)

Continua Origene affermando in particolare che da Dio dobbiamo vedere come si ama ordinatamente, per prendere esempio ; Dio non odia nulla di quanto ha creato ma non ama allo stesso modo tutti gli uomini. (cfr. Origene “In Canticum Canticorum”, l. 3.  PG., 13, 155ss)

In questa luce occorre considerare che:

-secondo il principio biblico per cui che siamo reciprocamente membra gli uni degli altri, secondo le parole di Dio attraverso s. Paolo per cui “… così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri. ” (Rm 12,5), conviene aver uguale amore verso tutti.

-secondo il principio biblico per cui ci sono nel corpo alcune membra più onorevoli  e altre inferiori  meno nobili (1 Cor. 12), ugualmente nel Corpo che è la Chiesa la misura dell’amore va proporzionata ai meriti, in Cristo, e all’ onore delle persone; s. Paolo in questa linea afferma: “Vi preghiamo, fratelli, di avere riguardo per quelli che faticano tra voi, che vi fanno da guida nel Signore e vi ammoniscono; trattateli con molto rispetto e amore, a motivo del loro lavoro. Vivete in pace tra voi.” (1 Ts. 5, 12-13). Bisogna quindi amare in modo particolare le persone sante e quelle che operano per la salvezza delle anime. La carità, in quanto ordinata, tiene conto dei meriti del prossimo, della sua fede, dei servizi resi alla Chiesa, del suo rapporto con Dio[268] perciò Origene afferma: “Si autem filius malus est et domesticus bonus domesticus in caritate filii collocetur” (Origene, “Homilia II in Canticum Canticorum”, n° 7, PG., 13, 54) Se il figlio è malvagio e il domestico è buono, il domestico sia amato con la carità che spetta al figlio.

Inoltre bisogna amare i nemici e amarli con sapienza distinguendo bene coloro che sono solo contrari a noi e coloro che sono contrari a Cristo e a noi, etc.

Bisogna amare le donne nella carità, anzitutto la madre, poi le sorelle, un particolare amore va riservato alla propria moglie, ovviamente.  (cfr. Origene “In Canticum Canticorum”, l. 3.  PG., 13, 155ss)

S. Ambrogio riporta il suddetto passo del Cantico dei Cantici (4,2) per parlare dell’ordine della carità[269] e s. Gregorio di Nissa ugualmente nelle sue Omelie sul Cantico dei Cantici attraverso il passo suddetto di tale libro biblico tratta del necessario ordine della carità fraterna e dice : “ Bisogna amare Dio, infatti, con tutto il cuore e tutta l’anima e le proprie forze e i propri sentimenti, e il prossimo, invece, come se stessi; la moglie, se tu sei di anima pura, come Cristo ama la Chiesa; se, invece, tu sei piú soggetto alle passioni, come il proprio corpo; cosí, infatti, comanda colui che pone ordine a questi problemi, Paolo. Il nemico deve essere amato nel non ricambiare il male con il male, ma restituire l’ingiustizia con il beneficio.”[270]

S. Agostino tratta dell’ordine della carità partendo dalle Scritture e in particolare proprio dal testo del Cantico appena indicato, che anche per lui tratta dell’ordine della carità, e facendo notare che occorre amare ordinatamente e che al di sopra di tutto, in tale ordine, sta Dio[271]

S. Agostino precisa, nella linea di una sapiente interpretazione biblica, che dobbiamo amare noi stessi meno di quanto amiamo Dio e dice che dobbiamo amare gli altri più del nostro corpo, evidentemente non più della nostra anima (cfr. S. Agostino, “De doctrina cristiana”. Lib. 1, cp. 26-27, PL., 34, 29) S. Agostino precisa che: “Non c’è dunque alcuno che odii se stesso: sicché al riguardo mai c’è stata controversia con una qualche sètta.”[272].

Aggiunge il s. Dottore: “All’uomo è da tracciarsi una norma concernente l’amore, cioè insegnargli come deve amare se stesso in maniera vantaggiosa. Che infatti egli si ami e voglia rendersi utile a se stesso, sarebbe insensato dubitarne. Una norma è da imporgli anche sul modo di amare il suo corpo, perché vi provveda in modo ordinato e saggio.”[273]

Quindi successivamente s. Agostino afferma che non c’è bisogno di leggi perché ciascuno ami se stesso o il suo corpo, solo occorrono leggi per amarci in modo retto e ordinato. La legge per cui dobbiamo amare noi stessi è una basilare legge di natura :“… che è stata partecipata anche agli animali, i quali di fatto amano se stessi e il loro corpo. Per questo motivo non restava altro se non che ci venissero impartiti precetti concernenti ciò che è al di sopra di noi o accanto a noi. Dice: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente, e amerai il prossimo tuo come te stesso. In questi due precetti si compendia tutta la Legge e i Profeti.”[274]

Quindi la Bibbia comanda l’amore di Dio e del prossimo ma ovviamente non esclude l’amore di sé stessi , anzi lo implica visto che che dobbiamo amare gli altri come noi stessi ed essendo tale amore già nella natura dell’uomo.

Occorre imparare ad amarsi secondo Dio, cioè operando per la propria salvezza eterna e amare gli altri appunto aiutandoli anzitutto a salvarsi.

Dice s. Agostino: “Per avere quindi un amore ben ordinato occorre evitare quanto segue: amare ciò che non è da amarsi, amare di più ciò che è da amarsi di meno, amare ugualmente ciò che si dovrebbe amare o di meno o di più, o amare di meno o di più ciò che deve essere amato allo stesso modo. Il peccatore, chiunque esso sia, in quanto peccatore non è da amarsi; l’uomo, ogni uomo, in quanto è uomo, lo si deve amare per amore di Dio; Dio lo si deve amare per se stesso.”[275].

Quindi non dobbiamo amare il peccatore in quanto peccatore; dobbiamo amarlo come un uomo.

L’uomo, ogni uomo, in quanto è uomo, lo si deve amare per amore di Dio … e perciò l’amore del prossimo consisterà anzitutto nel portarlo all’amore di Dio.

“Ora Dio maestro insegna due comandamenti principali, cioè l’amore di Dio e l’amore del prossimo , nei quali l’uomo ravvisa tre oggetti che deve amare: Dio, se stesso, il prossimo, e che nell’amarsi non erra chi ama Dio. Ne consegue che provvede anche al prossimo affinché ami Dio perché gli è ordinato di amarlo come se stesso, così alla moglie, ai figli, ai familiari e alle altre persone che potrà e vuole che in tal modo dal prossimo si provveda a lui, se ne ha bisogno.” [276]

Se amare noi stessi secondo Dio significa impegnarsi per la nostra salvezza, amare il prossimo secondo Dio sarà operare anzitutto per la sua salvezza.[277]

S. Agostino afferma:“Chi pertanto ama rettamente il prossimo questo deve da lui ottenere: che anch’esso ami Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente. Amandolo in tal modo come se stesso, convoglia tutto l’amore che ha per se stesso e per l’altro a quell’amore di Dio che non tollera che alcun ruscello, anche se piccolo, sia dirottato fuori di sé perché da ogni dispersione di acqua ne risulterebbe diminuito.”[278]

La carità spirituale, per i Padri viene ovviamente prima della carità corporea, perché, secondo le Scritture e la Tradizione, l’anima è immortale e dall’anima dipende la salvezza eterna dell’anima e del corpo .[279]

c,1,1,1) L’ ordine della carità fraterna verso i nemici.

L’ordine della carità fraterna prevede che amiamo il prossimo come noi stessi , anche i nostri nemici .  Bisogna amarli ordinatamente, come creature di Dio, non come peccatori, Dio non ci chiede di amare il male.[280]

San Leone ci chiede di amarli come li ama Dio che riversa le sue benedizioni su tutti, buoni e cattivi (S. Leone Magno, “Sermo 21”, PL., 54, 190); precisa il s. Dottore che non dobbiamo amare i vizi ma gli uomini, amarli perché hanno la nostra natura e possono un giorno diventare figli di Dio (S. Leone Magno, “Sermo 48”, PL., 54, 299; cfr. “Sermo 12”,PL., 54, 169).

S. Agostino insegnava questa stessa dottrina precisando che la dottrina di Cristo prevede anche delle punizioni che vengono date in alcuni casi ai peccatori senza odio malvagio (“Contra Adimantium”.,cp. 17, n. 1-5, PL., 42, 157 mq; “Sermo 71”,n ° 4, PL., 38, 446-447).

Cristo è venuto per i peccatori, per riscattarli soffrì e morì sulla croce[281] [282] … e come dice Lui stesso, noi dobbiamo prolungare nella storia l’opera di Cristo guidati dal suo Spirito, dobbiamo imitarlo nella sua carità anche riguardo ai peccatori, ai nemici.

S. Agostino afferma che : la carità perfetta consiste nell’ amare i tuoi nemici per convertirli e renderli tuoi fratelli in Cristo : “Ma qual’è la perfezione dell’amore? è amare anche i nemici ed amarli perché diventino fratelli. … Ama i tuoi nemici con l’intento di renderli fratelli; amali fino a farli entrare nella tua cerchia. Cosí ha amato colui che, pendendo sulla croce, disse: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Non che abbia detto: Padre, costoro abbiano una vita lunga; loro che mi uccidono abbiano a vivere; ma ha detto: Perdona loro perché non sanno quello che fanno[283].

È sufficiente, secondo Origene, per adempiere al precetto dell’amore dei nemici non restituire il male al male che ci viene fatto, per l’ingiustizia impegniamoci a offrire un beneficio[284].

S. Gregorio di Nissa afferma in particolare: “Il nemico deve essere amato nel non ricambiare il male con il male, ma restituire l’ingiustizia con il beneficio.”[285]

Dice s. Massimo il Confessore che chi possiede la carità non si stanca nel seguire Cristo ma sopporta con animo forte ogni travaglio, disprezzo e ingiuria con animo forte senza pensare al male. (S. Massimo , “De caritate”, I, 29-30, PG., 90, 966)

San Massimo il Confessore affermava anche che non ama Cristo chi non lo imita in tre cose: 1 ° meritare benefici per gli uomini; 2 ° sostenere gli ingrati e i detrattori; 3 ° perdonare chi ci ha fatto del male (cfr. S. Massimo , “De caritate”, IV, 55, PG., 90, col. 1059).

Anche riguardo ai nemici c’è un ordine nella carità perché merita maggior riguardo colui è solo un nemico nostro che colui che è nemico nostro e di Dio (cfr. Origene, “In Canticum Canticorum”, lib. 3, PG., 13, 157 a.C.).

Uno dei modelli di carità verso i nemici è Santo Stefano, afferma s. Agostino riguardo a s. Stefano: “Soprattutto, quindi, fratelli, ad esempio di questo Martire, impariamo ad amare i nostri nemici. L’esempio ci è stato offerto da Dio Padre, che fa sorgere il sole su buoni e malvagi. Questo ha detto pure il Figlio di Dio, in seguito alla sua Incarnazione, con la bocca della sua carne che assunse per amore dei suoi nemici. Infatti, egli che ama i suoi nemici venne al mondo e trovò suoi nemici proprio tutti, non trovò alcun amico. Per i nemici versò il sangue: con il suo sangue, però, convertì i nemici. Cancellò con il suo sangue i peccati dei suoi nemici: cancellando i peccati, da nemici li rese amici.”[286]

c,1,2) L’ ordine della carità secondo le affermazioni di alcuni Dottori della Chiesa e in alcuni documenti del Magistero.

Sulla scia dei Padri della Chiesa i santi e i teologi continuarono ad approfondire il tema dell’ordine della carità. Il famoso testo di Pietro Lombardo “Libri IV Sententiarum” consacra almeno una distinzione, la n. 29 del III libro, a questo tema. In essa afferma, partendo dai testi dei Padri, che dobbiamo amare anzitutto Dio, poi noi stessi, poi ciò che ci è vicino e poi ciò che è sotto di noi ; in particolare il prossimo va amato più del nostro corpo.[287] Quindi esamina se tutti gli uomini vadano amati ugualmente e spiega, sempre partendo dalle sentenze dei Padri che anzitutto vanno amati i familiari secondo la carne il padre e la madre , i figli, i fratelli e le sorelle. L’ordine quindi di coloro che devono essere amati è il seguente  “ante omnia Deum, secundo nos ipsos, tertio parentes, inde filios et fratres, post domesticos, demum inimicos diligamus.”[288] prima Dio, poi noi stessi poi i genitori, poi i figli, poi i parenti, poi gli altri e quindi i nemici.

L’amore per il prossimo va nel senso di amare il prossimo quanto amiamo noi stessi, cioè in modo simile a come amiamo noi stessi e non tanto quanto amiamo noi stessi .

Dice Pietro Lombardo: “ “Ut tantum diligamus fratres, quantum nos”, ita intelligi potest, id est ad tantum bonum diligamus fratres, ad quantum nos, ut tantum bonum eis optemus in aeternitate, quantum nobis, etsi non tanto affectu; vel ibi «quantum» similitudinis est, non quantitatis.” (Petri Lombardi “Libri IV  Sententiarum”  l. III d. XIX, Ad Claras Aquas 1916,  T. II, p. 685)

S. Bonaventura nel Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo allorché affronta il commento della questione sull’ordine della carità ovviamente precisa che Dio va amato sopra noi stessi[289] quindi precisa, riportando anche altre citazioni patristiche, che dobbiamo amare più noi stessi , quanto all’anima, che il prossimo: “Dicendum , quod secundum ordinem caritatis amor salutis propriae praeponendus est amori salutis alienae”[290]. Dopo la nostra anima, come spiega lo scholion interpretando il testo di s. Bonaventura, va amata l’anima del prossimo e poi il nostro corpo; tra i prossimi vanno amati anzitutto i genitori, poi i figli, poi gli altri parenti , quindi gli estranei[291].

S. Tommaso parla molto dell’ordine della carità, anzitutto nel “Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo”, nel libro III tutta la questione 29 è consacrata allo studio dell’ordine della carità. Nel suo testo sulle virtù (De virtutibus,), s. Tommaso consacra l’intero articolo IX della questione II all’esame dell’ordine della carità. Egli tratta di questo argomento anche in altre opere tra cui la Somma Teologica, in quest’ ultima, nella II-II consacra l’intera questione n. 26 a questo tema, in essa s. Tommaso precisa anzitutto che Dio va amato più del prossimo e più di noi stessi , e che noi dobbiamo amare noi stessi più del nostro prossimo.

Anzitutto, quindi, Dio va amato più del prossimo  (cfr. IIª-IIae q. 26 a. 2 co.) e più di noi stessi (cfr. IIª-IIae q. 26 a. 3 co.). Dobbiamo amare noi stessi più del nostro prossimo (IIª-IIae q. 26 a. 4, q. 64, a. 7) ma dobbiamo amare il nostro prossimo più del nostro corpo. (IIª-IIae q. 26 a. 5 co.)

Il moralista H. B. Merkelbach, seguendo il pensiero di s. Tommaso, in “Summa Theologiae Moralis” Desclée de Brouwer , Brugis – Belgica 1959, t.1, alla p. 693 precisa che :“Per l’ordine della carità Dio va amato semplicemente sopra tutte le cose. Essenziale per la carità è che noi amiamo Dio sopra tutte le cose …in modo obiettivo …e anche in modo appreziativo cosicché preferiamo perdere tutto e tutto soffrire piuttosto che perdere Dio con il peccato grave. Infatti l’infinito Bene va amato più di qualsiasi creatura … la causa per cui amiamo noi stessi e il prossimo è Dio perciò Dio dobbiamo amarlo più di noi stessi e del prossimo.”(mia traduzione)

La carità ci fa amare Dio al di sopra di tutto quindi al di sopra anche dei figli, perciò fa che ci opponiamo radicalmente al peccato grave, ce lo fa odiare, e ci fa prendere le decisioni necessarie per non commetterlo anche se ciò dovesse determinare in certo modo un danno per i figli e / o per noi.  S. Tommaso, in questa linea, afferma che è meglio soffrire qualsiasi male temporale che meritare  la pena eterna! “ Et reddit causam bonum est tibi etc., quia melius est quodcumque malum temporale pati, quam mereri poenam aeternam.” (“Super Mt.”, cap. 18 l. 1).

Ama davvero il prossimo chi ama, dunque, anzitutto Dio al di sopra di tutto e per tale amore di Dio preferisce perdere tutto piuttosto che peccare.  La vera carità ci porta a preferire qualsiasi pena alla colpa cioè ci porta a preferire anche la pena della morte alla colpa del peccato (cfr. “Quodlibet.” I, 9) Ovviamente la vera carità fraterna opera perché anche il prossimo viva nella vera carità mettendo Dio al primo posto e preferendo perdere tutto piuttosto che peccare.

S. Tommaso prosegue poi il suo ragionamento sull’ordine della carità, come detto, affermando che, dopo Dio, dobbiamo amare noi stessi più del prossimo (cfr. IIª-IIae q. 26 a. 4 co.).In questa linea s. Tommaso afferma che dobbiamo amare il prossimo in modo ordinato: “… debemus diligere ordinate: ut scilicet non diligamus eum supra Deum vel quantum Deum, sed iuxta sicut teipsum debes diligere. Cant. II, 4: ordinavit in me caritatem. Hunc ordinem docuit dominus Matth. X, 37, dicens: qui amat patrem aut matrem plus quam me, non est me dignus; et qui amat filium aut filiam super me, non est me dignus. ” (“Collationes in decem praeceptis”, a. 2) Il prossimo va amato ordinatamente cioè non più di quanto si deve amare Dio o tanto quanto si deve amare Dio ma va amato, secondo le parole bibliche, come noi stessi. Che significa che dobbiamo amare il prossimo come noi stessi? Non significa che dobbiamo amare il prossimo quanto amiamo noi stessi! Significa che dobbiamo amare il nostro prossimo in modo analogo al modo con cui amiamo noi stessi, come dice lo stesso s. Tommaso: il precetto dell’amore fraterno è formulato in modo perfetto e va inteso non nel senso che uno debba amare il prossimo tanto quanto ama sé stesso, cioè nella misura in cui ama se stesso, ma va inteso nel senso che ognuno deve amare il prossimo in modo simile a come ama se stesso: ognuno deve amare il prossimo per Dio, come per Dio deve amare se stesso, cioè con un amore santo; ognuno deve amare il prossimo in modo da non accondiscendere al prossimo nel male, nel peccato, ma solo nel bene, l’amore del prossimo deve, infatti, essere giusto; ognuno deve amare il prossimo non per il proprio vantaggio, ma volendo il bene del prossimo come ognuno vuole il bene di se stesso, l‘amore del prossimo, infatti, deve essere vero.(cfr. II-II, q. 44 a. 7 co.)

S. Alfonso de’ Liguori, Dottore della Chiesa, afferma riguardo all’ordine della carità : “Praeceptum caritatis Dei praecipit Deum super omnia amandum.- Patet ex Scriptura. Ratio est, quia finis ultimus plus est diligendus, quam omnia media quae ad eum referuntur: non quidem intensive (etsi enim hoc etiam deceat, non tamen est in praecepto), sed appretiative, ita ut nullam creaturam pluris facias, quam Deum, velisque potius omnia perdere, quam Deum offendere, et sic illi male velle.”[292]

Occorre amare Dio al di sopra di tutto e tale amore va inteso non in senso intensivo ma appreziativo, cioè nel senso che occorre essere pronti a perdere tutto piuttosto che offendere Dio con il peccato. Meglio la morte che il peccato.

S. Alfonso diceva, in questa linea, nell’ atto di preparazione alla morte “Affermo che v’amo sopra tutte le cose, perché siete un bene infinito; e perché v’amo, mi pento sopra ogni male di tutte le offese che vi ho fatte, e propongo prima morire che più offendervi. Vi prego a levarmi la vita piuttosto che permettere ch’io v’abbia da perdere con un altro peccato.”

Meglio perdere tutto, vita compresa che peccare.

Andando a esaminare più a fondo l’ordine della carità, lo stesso Dottore della Chiesa napoletano afferma:“La carità si definisce:  Est virtus qua  diligimus Deum  per seipsum, ac nos et proximum propter Deum. Sicché l’oggetto materiale primario della carità (cioè quel che dobbiamo amare) è Dio, che siam tenuti ad amare sopra ogni cosa, come nostro ultimo fine. Il secondario siamo noi stessi, e ‘l prossimo che dobbiamo amare come noi stessi, perché Dio ce lo comanda. L’oggetto poi formale della carità (cioè il motivo per cui dobbiamo amare Dio) è per essere egli infinita bontà, fonte ed aggregamento di tutte le perfezioni. come insegna s. Tommaso: Est eadem virtus caritatis, qua quis diligit Deum, seipsum, et proximum; mentre non  dobbiamo amare noi stessi, né il prossimo se non per Dio. E perciò, siccome amando il prossimo per piacere  a  Dio, noi  amiamo Dio; così amando Dio amiamo anche il prossimo, e tutto ciò che Dio vuole che noi amiamo; e così appunto lo spiega s. Tommaso in altro  luogo in poche parole: Qui  habet caritatem Dei, eadem caritate diligit proximum.”[293]

S. Alfonso afferma in questa linea, parlando dell’ordine della carità: “14. La carità è ordinata, ond’è che dobbiamo preferire Dio e la sua grazia ad ogni cosa; all’incontro non siamo obbligati a preferire il bene del prossimo al bene nostro, se non quando il bene del prossimo fosse di ordine maggiore al nostro. L’ordine de’ beni è questo: prima la vita spirituale, poi la temporale, poi la fama, e poi le robe. Sicché non siam tenuti a preferire la vita del prossimo alla nostra, ma bensì dobbiamo preferire la salute spirituale del prossimo alla nostra vita. Ciò nondimeno s’intende quando il prossimo sta in necessità estrema: ed anche in grave a rispetto de’ vescovi e parrochi, secondo la sentenza comune (Lib. 2. n. 27.). E quando la necessità spirituale del prossimo è estrema, allora siam tenuti a sovvenirlo, ancorché vi sia probabile pericolo di cader noi in qualche peccato (purché la caduta non sia moralmente certa) mentre allora dobbiamo giustamente sperare l’aiuto divino; così s. Tommaso, Suarez, Soto, Pal., Silvio, Tournely, Salmaticesi, ecc.(Lib. 6. n. 453.). S’intende ciò nulladimeno, sempre che v’è eguale speranza di giovare, e non vi sia altri che soccorra: e di più che altrimenti il prossimo certamente sia per dannarsi, poiché tutto ciò importa il nome di necessità estrema. Ma in tempo di peste, ragionevolmente dice Laymann, che i sacerdoti, mancando gli altri, sono obbligati d’assistere ai moribondi, perché in tanta moltitudine è moralmente certo, che vi saranno più peccatori che non potranno rimediare alla loro dannazione per l’ignoranza di non saper fare l’atto di contrizione(L. 2. n. 27. v. An autem.).”[294]

Si conferma dunque con alcune precisazioni l’ordine fondamentale di coloro verso cui dobbiamo esercitare la carità: anzitutto Dio, poi noi stessi, il prossimo.

Sulla scia della dottrina dei Dottori, dei Padri e sulla base della Scrittura, sempre riguardo all’ordine della carità, i Papi hanno fatto utili affermazioni sull’ ordine della carità.

Ne riporto qualcuna particolarmente significativa.

Pio XI affermava: “Se questo stesso egoismo (abusando del legittimo amor di patria e spingendo all’esagerazione quel sentimento di giusto nazionalismo, che il retto ordine della carità cristiana non solo non disapprova, ma con proprie regole santifica e vivifica) si insinua nelle relazioni tra popolo e popolo, non vi è eccesso che non sembri giustificato; e quello che tra individui sarebbe da tutti giudicato riprovevole, viene considerato ormai come lecito e degno d’encomio se si compie in nome di tale esagerato nazionalismo.”[295]

Quindi l’ordine della carità santifica e vivifica il giusto nazionalismo, evidentemnete perché l’ordine della carità ci comanda di amare in modo particolare coloro che appartengono alla nostra patria rispetto agli altri.

Giovanni XXIII affermò riguardo alla patria che: “fu sempre ritenuto come è, meritorio nell’ordine della carità, il sacrificarci per essa anche fino alla morte”.[296]

Dunque fu ritenuto meritorio nell’ordine della carità, il sacrificarci per essa anche fino alla morte; l’ordine della carità prevede che amiamo in particolare la nostra patria e che in alcuni casi siamo disposti a dare la nostra vita fisica, non quella spirituale, in particolare per il vero bene spirituale di tale patria.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2239 afferma: “ L’amore e il servizio della patria derivano dal dovere di riconoscenza e dall’ordine della carità. ”

Pio XII affermava: “Generosa verso i miseri fuori del monastero, la sua carità trionfava ed eccelleva entro le mura claustrali, perché è nell’ordine della carità stessa e di una virtù solida e senza illusioni il prodigare le cure caritatevoli innanzi tutto nell’interno della comunità.”[297]

L’ordine della carità fraterna ci porta a  prodigare le cure caritatevoli innanzi tutto a coloro che ci sono più vicini.

Paolo VI affermava : “Ci siamo rammaricati con Noi stessi di non avervi parlato abbastanza, di non aver testimoniato con maggiore frequenza, con migliori segni il sentimento, che lo Spirito del Signore metteva e mette tuttora nel Nostro cuore per voi; un sentimento che sale dal cuore e trascina con sé quanti altri pensieri e sentimenti il Nostro ministero fa sorgere nella Nostra coscienza: sopra ogni cosa, con ogni cosa, nell’ordine della carità, siete voi, Sacerdoti, con i vostri Vescovi e Nostri Fratelli, che occupate il primo posto.”[298]

Vedemmo infatti che Origene, afferma che da Dio dobbiamo vedere come si ama ordinatamente, per prendere esempio ; Dio non odia nulla di quanto ha creato ma non ama allo stesso modo tutti gli uomini (cfr. Origene “In Canticum Canticorum”, l. 3.  PG., 13, 155ss).

In questa luce occorre considerare che:

-secondo il principio biblico per cui ci sono nel corpo alcune membra più onorevoli  e altre inferiori  meno nobili (1 Cor. 12), ugualmente nel Corpo che è la Chiesa la misura dell’amore va proporzionata ai meriti, in Cristo, e all’ onore delle persone; s. Paolo in questa linea afferma: “Vi preghiamo, fratelli, di avere riguardo per quelli che faticano tra voi, che vi fanno da guida nel Signore e vi ammoniscono; trattateli con molto rispetto e amore, a motivo del loro lavoro. Vivete in pace tra voi.” (1 Ts. 5, 12-13). Bisogna quindi amare in modo particolare le persone sante e quelle che operano per la salvezza delle anime. La carità, in quanto ordinata, tiene conto dei meriti del prossimo, della sua fede, dei servizi resi alla Chiesa, del suo rapporto con Dio.[299]

Diceva ancora Paolo VI “Effettivamente, l’ordine della carità comporta che ognuno ami il suo prossimo – e tutti sono prossimo, secondo il comandamento nuovo di Gesù -; cioè che ognuno «serva» gli altri, sia utile agli altri. Gli altri sono l’oggetto, non l’origine dell’autorità stabilita per il loro servizio, non al loro servizio.”[300]

L’ordine della carità fraterna vuole che amiamo il prossimo nella carità che viene da Dio, l’origine della carità e dell’autorità voluta da Dio per la carità è Dio e non il prossimo; non deve essere il prossimo a fissare la regola del nostro servizio di carità nei suoi confronti, è Dio che ha fissato tale regola; in questa linea il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n. 1822 “La carità è la virtù teologale per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa per se stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio.” Amiamo il prossimo non per sé stesso ma per amore di Dio ed è ultimamente Dio a darci la norma per il vero amore del prossimo. Dio ci ha dato questa norma in partiolcare con i comandamenti, perciò ella Veritatis Splendor leggiamo : “ … l’amore di Dio implica obbligatoriamente il rispetto dei suoi comandamenti, anche nelle circostanze più gravi, e il rifiuto di tradirli, anche con l’intenzione di salvare la propria vita.” (VS n. 91)

Nel Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2197 si afferma: “ Il quarto comandamento apre la seconda tavola della Legge. Indica l’ordine della carità. … ”

Come vedemmo più sopra: Origene afferma che per l’ ordine della carità vanno amati anzitutto i genitori, poi i figli, poi gli altri parenti e amici, occorre anche amare i nemici (cfr. Origene, “Homilia II in Canticum Canticorum” n° 8, PG., 13, 53-54)

La carità, in quanto ordinata, tiene conto dei meriti del prossimo, della sua fede, dei servizi resi alla Chiesa, del suo rapporto con Dio (cfr. Jacques Farges et Marcel Viller  “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité , ed. Beauchesne, 1932-1995,, ed. Beauchesne, 1932-1995,t. 2 col. 566) perciò Origene afferma: “Si autem filius malus est et domesticus bonus domesticus in caritate filii collocetur” (Origene, “Homilia II in Canticum Canticorum”, n° 7, PG., 13, 54) Se il figlio è malvagio e il domestico è buono, il domestico sia amato con la carità che spetta al figlio.

L’ordine della carità prevede che dopo Dio dobbiamo amare noi stessi e in questa linea il Catechismo della Chiesa Cattolica  afferma al n. 2264 “L’amore verso se stessi resta un principio fondamentale della moralità. È quindi legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita.” Il testo prosegue speigando che chi  difende la propria vita e perciò è costretto a uccidere il suo aggressore non è colpevole di omicidio.

S. Tommaso precisa che la difesa è lecita se si attua con moderazione e poiché ogni uomo è tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui non compie peccato grave chi non rinunzia alla legittima difesa per evitare l’uccisione di altri (cfr.  II-II, q. 64, a. 7, c.).

Come dicemmo più sopra, la carità ha un ordine fondamentale che si applica in particolare nella carità fraterna: anzitutto non fare il male quindi fare il bene in quanto si può , come dice sant’Agostino: “Primum ut nulli noceat, deinde ut etiam prosit si potuerit” (“De civitate Dei”, Lib. 19, cp. 14, PL., 41, 643),[301] in questa linea s. Giovanni Paolo II affermò a questo riguardo: “I comandamenti rappresentano, quindi, la condizione di base per l’amore del prossimo; essi ne sono al contempo la verifica. Sono la prima tappa necessaria nel cammino verso la libertà, il suo inizio …” (VS 13)  La prima libertà, precisa s. Agostino,  consiste nell’essere liberi dai  crimini come l’omicidio, l’adulterio, la fornicazione, il furto, la frode, il sacrilegio e così via. Quando uno non compie questi crimini comincia ad alzarsi nella libertà, è un principiante nel campo della libertà, non è certo perfetto nella libertà (cfr. “In lohannis Evangelium Tractatus,” 41, 10: CCL 36, 363.)… Sottolineo: i comandamenti rappresentano, quindi, la condizione di base per l’ordinato amore del prossimo; la prima libertà consiste nell’essere liberi da crimini come l’omicidio, l’adulterio, la fornicazione, la pratica omosessuale, il furto, la frode, il sacrilegio e così via … il primo livello, quello di base, per un amore ordinato del prossimo consiste nell’evitare crimini come l’omicidio, l’adulterio, la fornicazione, la pratica omosessuale, il furto, la frode, il sacrilegio e così via.

c,2) L’ ordine della carità e il disordine che si sta determinando attraverso Amoris Laetitia.

Vedremo nei prossimi paragrafi ancora meglio l’ordine della carità ma da quanto abbiamo detto finora sulla carità fraterna e il suo ordine già ora possiamo capire che: non ama secondo carità in modo ordinato il suo prossimo chi per amore di lui compie peccati gravi; non ama secondo carità in modo ordinato i suoi figli chi per amore di essi permane nel peccato grave; non ama  secondo carità in modo ordinato il proprio prossimo chi per amore di lui non si propone di vivere secondo i comandamenti divini.

Aggiungo che, ovviamente, un’ordinata carità fraterna ci fa operare perché il santo e ben ordinato amore di Dio e del prossimo sia conosciuto e vissuto anche dallo stesso prossimo sicché ami in modo ordinato Dio e il suo prossimo.

Purtroppo, come stiamo vedendo e sempre meglio vedremo in questo libro, l’Amoris Laetitia non indirizza le anime nella carità vera e ordinata a causa degli errori di tale esortazione per i quali praticamente legittima veri e propri peccati mortali, per i quali praticamente permette di compiere veri peccati gravi al fine di evitare (supposti) peccati peggiori e danni ai figli e per i quali concede l’ assoluzione sacramentale e quindi la Comunione eucaristica a chi non si propone di vivere secondo la Legge di Dio e permane in chiara situazione oggettivamente e gravemente peccaminosa. Ulteriormente, l’ Amoris Laetitia arriva a dichiarare, contro ciò che la Chiesa, guidata dalla vera carità, ha sempre insegnato, assolutamente inammissibile la pena di morte …

In questa linea, non appaiono guidate dalla vera e ordinata carità fraterna le “aperture” di cui abbiamo parlato più sopra, e , nella linea di Amoris Laetitia, sono state realizzate dal Cardinale Clemente[302] da mons.  Antonio Marto [303]

Ugualmente non appaiono guidate dalla vera e ordinata carità fraterna le “aperture” che emergono dalle affermazioni del Card. Kasper[304]; non appaiono guidate dalla vera e ordinata carità fraterna le “aperture” che emergono dalle affermazioni di mons. Elbs.[305]

Ugualmente non appaiono guidati dalla vera e ordinata carità fraterna gli errori che emergono dalle dichiarazioni di alcuni sostenitori di Papa Francesco.[306]

Questo significa più profondamente che il “cambio di paradigma” che sta portando avanti Papa Francesco con i suoi seguaci apre le porte ad una carità disordinata, che diventa in realtà, in vari casi, una carità falsa … che non è carità!

Dio intervenga.

c,3) Le affermazioni di Amoris Laetitia n.101 sull’ordine della carità e il loro contrasto con le affermazioni del Catechismo della Chiesa Cattolica, di s. Tommaso etc.

Come abbiamo evidenziato già più sopra, il Papa ha detto che l’ Amoris Laetitia è tomista [307] come abbiamo visto, e come vedremo sempre meglio, questa affermazione papale non corrisponde alla realtà, e qui mi pare importante notare come l’Amoris Laetitia faccia affermazioni contrarie a quelle di s. Tommaso riguardo all’ordine della carità che, per il s. Dottore, prevede realmente che dopo Dio amiamo noi stessi.  Al n. 101 dell’Amoris Laetitia, infatti,  si afferma “ Abbiamo detto molte volte che per amare gli altri occorre prima amare sé stessi. Tuttavia, questo inno all’amore afferma che l’amore “non cerca il proprio interesse”, o che “non cerca quello che è suo”. Questa espressione si usa pure in un altro testo: «Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,4). Davanti ad un’affermazione così chiara delle Scritture, bisogna evitare di attribuire priorità all’amore per sé stessi come se fosse più nobile del dono di sé stessi agli altri. Una certa priorità dell’amore per sé stessi può intendersi solamente come una condizione psicologica, in quanto chi è incapace di amare sé stesso incontra difficoltà ad amare gli altri: «Chi è cattivo con sé stesso con chi sarà buono? […] Nessuno è peggiore di chi danneggia sé stesso» (Sir 14,5-6).”

Tale precedenza, intesa solo come condizione psicologica, dell’amore di noi stessi rispetto all’amore del prossimo appare contraria all’ insegnamento di s. Tommaso ma più generalmente alla sana dottrina cattolica, infatti per tale dottrina nella carità vera c’ è una precedenza reale dell’amore di noi stessi rispetto all’amore del prossimo: la carità vera ci porta ad amare dopo Dio anzitutto noi stessi. Il Catechismo della Chiesa Cattolica , riportando anche un testo di s. Tommaso afferma al n. 2264 la liceità della difesa della propria vita e dell’uccisione di chi ci aggredisce. Il testo di s. Tommaso, che il Catechismo riporta, afferma che la difesa è lecita se si attua con moderazione e poiché ogni uomo è tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui; non compie peccato chi non rinunzia alla legittima difesa per evitare l’uccisione di altri (cfr.  II-II, q. 64, a. 7, c.).

In questa affermazione troviamo fissata anche la dottrina tomista per cui dopo Dio dobbiamo amare noi stessi; s. Tommaso, come stiamo vedendo e come vedremo nelle prossime pagine è molto chiaro nell’affermare questa verità.[308]

Faccio poi notare che anche per s. Bonaventura, nel Commento alle Sentenze, come pure vedemmo, l’ordine della carità è tale per cui, dopo Dio dobbiamo amare noi stessi e quindi il prossimo[309];  la prima misericordia va esercitata verso sé stessi, spiega s. Bonaventura:  “Ad illum quod obiicitur quod caritas est amor liberalis; dicendum, quod quamvis liberalitas quantum ad suam completionem respiciat alterum, tamen quantum ad suum initium prius respicit ipsum qui liberalitatem impendit, sicut et misericordia. de qua dictum est quod primo debet homo sui ipsius misereri.”[310]

I curatori dell’ Opera Omnia di s. Bonaventura , ed. Quaracchi precisano che le affermazioni di s. Bonaventura per cui occorre amare dopo Dio noi stessi e poi il prossimo se riferite alla propria anima sono dottrina comune; quindi è dottrina comune della Chiesa che, dopo Dio, dobbiamo amare la nostra anima. [311]

Dio ci illumini sempre meglio e ci doni una carità veramente ordinata.

c,4) Approfondimento sulle affermazioni di s. Tommaso circa l’ordine della carità fraterna.

Dice s. Tommaso, come visto, :“ … un uomo è tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui” (II-II, q. 64, a. 7) ….  cioè l’uomo è tenuto ad amare sé stesso prima del prossimo … e infatti nella Somma Teologica, in un’altra questione,  s. Tommaso precisa che Dio va amato più del prossimo e più di noi stessi, e noi dobbiamo amare noi stessi più del nostro prossimo. Vediamo meglio.

Anzitutto, spiega s. Tommaso, Dio va amato più del prossimo:   “ Et ideo principaliter et maxime Deus est ex caritate diligendus, ipse enim diligitur sicut beatitudinis causa; proximus autem sicut beatitudinem simul nobiscum ab eo participans.”(IIª-IIae q. 26 a. 2 co.)

Dio va amato principalmente e massimamente per la carità, ovviamente al di sopra del prossimo …. quindi non possiamo andare contro la Legge divina neppure per aiutare il prossimo!  “… l’amicizia della carità si fonda sulla partecipazione della beatitudine, che si trova essenzialmente in Dio come nel suo principio, dal quale si irradia in tutti coloro che ne sono capaci. Quindi la carità ci obbliga ad amare principalmente e sommamente Dio: poiché egli va amato come causa della beatitudine, mentre il prossimo va amato come compartecipe con noi della sua beatitudine.”[312]. S. Tommaso continua spiegando che Dio va amato più di noi stessi  “Et ideo ex caritate magis debet homo diligere Deum, qui est bonum commune omnium, quam seipsum, quia beatitudo est in Deo sicut in communi et fontali omnium principio qui beatitudinem participare possunt.” (IIª-IIae q. 26 a. 3 co.) L’uomo, per la carità, deve amare Dio, che è il bene comune di tutti, più di sé stesso perché la beatitudine è in Dio come in comune e fontale principio di tutti quelli che possono partecipare alla beatitudine .… quindi l’uomo non deve andare contro la Legge di Dio neppure per un proprio vantaggio …

S. Tommaso prosegue poi il suo ragionamento affermando che dobbiamo amare noi stessi più del prossimo (IIª-IIae q. 26 a. 4). Questo insegnamento si trova in varie opere del s. Dottore. Iniziamo vedendo ciò che aveva scritto qualche anno prima della stesura della Somma Teologica, sempre su questo punto, lo stesso santo nel Commento alle Sentenze .

In Super Sent., lib. 3 d. 29 q. 1 a. 5  , s. Tommaso precisa che dobbiamo amare noi stessi più del prossimo e distingue in noi i beni spirituali e i beni corporali , una natura interiore e una esteriore,  e aggiunge che  dobbiamo amare noi stessi più quanto alla natura interiore che a quella esteriore e che dobbiamo volere per noi stessi anzitutto i beni attinenti alla natura interiore che a quella esteriore, ma tutte le opere di virtù sono per ciascuno buone secondo la natura interiore e tra esse vi sono le opere che si fanno nei confronti del prossimo per il suo bene e perciò:

-i beni spirituali, che attengono più direttamente alla virtù, vanno  sempre utilizzati e voluti  più per noi che per gli altri e lo stesso vale per i mali che si devono evitare;

-i beni esteriori, che attengono indirettamente alla virtù, vanno maggiormente utilizzati per gli amici che per noi, secondo che in questo consiste il bene della virtù, che è il nostro sommo bene.

Dice infatti s. Tommaso nel sed contra di un suo articolo che quanto più uno cerca la salvezza dell’altro, continua s. Tommaso, tanto più fa che il suo amico non pecchi ma l’uomo deve più evitare il proprio peccato che quello altrui quindi deve amare più la sua vita che quella altrui; l’uomo deve iniziare la misericordia da sé e quindi deve amare anzitutto sé stesso; dunque è evidente che l’uomo deve amare sé stesso più del prossimo: “quanto quis amat salutem alicujus, tanto vitat peccatum ejus. Sed homo magis debet vitare peccatum suum quam peccatum alterius. Ergo magis debet amare vitam suam quam salutem alterius. ”(Super Sent., lib. 3 d. 29 q. 1 a. 5 , sed contra)

Questo testo è pienamente accettato dallo stesso Dottore nel corpo dell’articolo in cui afferma: “Omnia autem opera virtutis sunt sibi bona secundum interiorem naturam, inter quae etiam sunt illa quae quis ad amicum operatur; et ideo plura bona exteriora sunt impendenda amicis quam nobis ipsis, inquantum consistit in hoc bonum virtutis, quod est nostrum maximum bonum; sed de bonis spiritualibus semper plus nobis quam amicis impendere debemus et velle, et similiter etiam de malis vitandis.”(Super Sent., lib. 3 d. 29 q. 1 a. 5 in c.)

L’amore rende più importante l’amato che l’amante ma l’uomo ama sé stesso e gli altri e maggiore può essere l’amore per cui amiamo noi stessi, in quanto intrinseci a noi, rispetto all’amore che portiamo per un altro, che è esterno a noi; maggiore è l’affetto posto in sé stesso dall’amante che si ama, rispetto all’affetto che porta all’altro, che gli è esterno, che pure è amato:  “ … in amore amatum, ut amatum, potius est quam amans ut amans. Sed quia, ut amans est etiam amatum a seipso; ideo potius potest esse in amore, inquantum est amatum, quam amatum extrinsecum, et magis collocatur in ipso affectus amantis quam in exteriori amato.”(Super Sent., lib. 3 d. 29 q. 1 a. 5  ad 1.)  Aggiunge s. Tommaso che chi dà la sua vita per l’altro non ama il prossimo più di sé ma ama in sé stesso più il bene della virtù che il bene del corpo (cfr. Super Sent., lib. 3 d. 29 q. 1 a. 5  ad 3).

S. Bonaventura, Dottore della Chiesa, vissuto praticamente nel suo stesso periodo e, come s. Tommaso, commentatore del famoso testo di Pietro Lombardo “Libri IV Sententiarum”, dice lo stesso, come visto, commentando la medesima questione: “Dicendum , quod secundum ordinem caritatis amor salutis propriae praeponendus est amori salutis alienae” [313]Nella q. 4 del De Virtutibus all’art. 9 s. Tommaso spiega : “Unde sic inclinari oportet affectum hominis per caritatem, ut primo et principaliter aliquis diligat Deum; secundo autem seipsum; tertio proximum: et inter proximos, magis illos qui sunt magis coniuncti, et magis nati sunt coadiuvare. Qui autem impediunt, in quantum huiusmodi, sunt odiendi, quicumque sunt; unde dominus dicit, Luc., XIV, 26: si quis venit ad me, et non odit patrem suum et matrem (…) non potest esse meus discipulus. Ultimo autem diligendum est corpus nostrum. “ Dobbiamo orientare la carità anzitutto verso Dio , poi verso noi stessi e poi verso gli altri e tra gli altri occorre orientare tale virtù anzitutto verso quelli che ci sono più uniti. Nel commento alla seconda lettera a Timoteo s. Tommaso afferma: “Dicendum est quod in homine duo sunt, scilicet natura rationalis et corporalis. Quantum ad intellectualem seu rationalem, quae interior homo appellatur, ut dicitur II Cor. IV, 16, homo debet plus se diligere quam omnes alios, quia stultus esset qui vellet peccare ut alios a peccatis retrahat; sed quantum ad exteriorem hominem, laudabile est ut alios plus diligat quam se. ” (Super II Tim., cap. 3 l. 1) Dunque occorre amare sé stessi più degli altri quanto alla natura intellettuale ma è lodevole che amiamo gli altri più di noi quanto al corpo.

Come precisa s. Tommaso  per la carità dobbiamo amare prima Dio, poi  noi stessi , poi il nostro prossimo e perciò non dobbiamo subire il male del peccato per liberare il prossimo dal peccato; come già detto non possiamo mai peccare, neppure per salvare il prossimo dal peccato, tantomeno, aggiungo io, possiamo peccare per salvare il prossimo da altri mali. Dio è amato quale primo principio del bene su cui si fonda l‘amore di carità; l‘uomo con la carità ama se stesso in quanto partecipa a tale bene, mentre il prossimo è amato secondo la ragione di società, cioè di compartecipazione allo stesso bene, ora la compartecipazione o consociazione è una ragione di amore in quanto costituisce una certa unione in ordine a Dio; come quindi l‘unità è più dell‘unione, così il fatto di partecipare personalmente al bene divino è una ragione di amore superiore al fatto di avere associata a sé un‘altra persona in questa partecipazione perciò l‘uomo deve amare sé stesso con la carità più del prossimo e ne abbiamo un segno nel fatto che uno non deve mai peccare, il che si oppone  alla partecipazione alla beatitudine, per liberare il prossimo dal peccato (cfr. IIª-IIae q. 26 a.4 co.). S. Tommaso precisa ulteriormente  il suo pensiero affermando che dobbiamo amare più il nostro prossimo che il nostro corpo: “Respondeo dicendum quod illud magis est ex caritate diligendum quod habet pleniorem rationem diligibilis ex caritate, ut dictum est. Consociatio autem in plena participatione beatitudinis, quae est ratio diligendi proximum, est maior ratio diligendi quam participatio beatitudinis per redundantiam, quae est ratio diligendi proprium corpus. Et ideo proximum, quantum ad salutem animae, magis debemus diligere quam proprium corpus.” (IIª-IIae q. 26 a. 5 co.) La carità ci impone di amare maggiormente ciò che secondo la carità è più amabile, perciò, rispetto alla salvezza dell’anima, dobbiamo amare il prossimo più del nostro corpo. Nel commento alla seconda lettera a Timoteo s. Tommaso aveva detto praticamente la stessa cosa: occorre amare sé stessi più degli altri  quanto alla natura intellettuale ma dobbiamo amare gli altri più di noi quanto al corpo. (Super II Tim., cap. 3 l. 1)

Dicemmo già più sopra che il comandamento per cui dobbiamo amare il prossimo come noi stessi non significa che dobbiamo amare il prossimo tanto quanto amiamo noi stessi o nella stessa misura,  s. Tommaso, infatti, afferma che dobbiamo amare il nostro prossimo in modo simile al modo con cui amiamo noi stessi:  con un amore santo, giusto e vero (cfr. II-II, q. 44 a. 7 co.). Amare rettamente il prossimo come sé stessi significa, spiega s. Tommaso in un altro testo, desiderare per il prossimo i beni nell’ordine giusto e santo secondo cui ognuno deve desiderarli per sé, e per tale ordine ognuno deve desiderare anzitutto i beni spirituali, quindi quelli corporali e quei beni che consistono in cose esteriori: “Sic igitur  rectitudo  circa dilectionem  proximi instituitur, cum praecipitur alicui quod proximum diligat sicut se ipsum; ut scilicet eo ordine bona proximis optet quo sibi optare debet: praecipue quidem spiritualia bona, deinde bona corporis, et quae in exterioribus rebus consistunt.” (De perfectione, cap. 13 co.; cfr. II-II q. 152 a. 2)

Sottolineo che dobbiamo amare noi stessi dopo Dio e che non dobbiamo amare il prossimo più di noi stessi, né tanto quanto amiamo noi stessi ma dobbiamo amare il nostro prossimo in modo simile, analogo a come amiamo noi stessi desiderando per il prossimo i beni nell’ordine giusto e santo secondo cui ognuno deve desiderarli per sé.

L’ ordine della carità  fissa una priorità reale per cui dobbiamo amare, dopo Dio, noi stessi e poi il prossimo. Il nostro primo “prossimo” da amare siamo noi stessi e in particolare il primo prossimo da amare è la nostra anima!

Nella Somma Teologica s. Tommaso ribadisce il suo pensiero su questo argomento laddove afferma :“Ad secundum dicendum quod ordo quatuor diligendorum ex caritate in sacra Scriptura exprimitur. ” (IIª-IIae q. 44 a. 8 ad 2)  Quindi l’ordine della carità è indicato nella Bibbia  e per tale ordine, precisa s. Tommaso, dobbiamo amare noi stessi più del prossimo, ma dobbiamo amare l’anima del prossimo più del nostro corpo, e tra i prossimi dobbiamo amare di più i più vicini. Tale priorità reale dell’amore per sé stessi rispetto all’amore per il nostro prossimo, è fissata da Dio stesso (cfr. IIª-IIae q. 44 a. 8 ad 2) .

Più precisamente, secondo s. Tommaso l’ordine della carità è comandato da Dio e quindi pecca chi non agisce secondo tale ordine:“ Ex hoc ergo ipso quod alterum quod est minus diligendum, aequiparo in dilectione ei quod diligendum est magis, non totum dilectionis quod debeo, impendo ei quod magis diligendum est; et similiter etiam patet in aliis. Unde caritatis ordo est in praecepto; et peccat qui praepostere agit, ut in littera dicitur.”(Super Sent., lib. 3 d. 29 q. 1 a. 1 ad 5. )  Come si vede, s. Tommaso conferma l’affermazione del sed contra nella risposta che lui dà: l’ordine della carità è comandato da Dio! Sempre nella Somma Teologica s. Tommaso ci offre una importante precisazione riguardo all’amore del prossimo e di noi stessi: “ Respondeo dicendum quod necessarium dupliciter dicitur. Uno modo, sine quo aliquid esse non potest. Et de tali necessario omnino eleemosyna dari non debet, puta si aliquis in articulo necessitatis constitutus haberet solum unde posset sustentari, et filii sui vel alii ad eum pertinentes; de hoc enim necessario eleemosynam dare est sibi et suis vitam subtrahere. Sed hoc dico nisi forte talis casus immineret ubi, subtrahendo sibi, daret alicui magnae personae, per quam Ecclesia vel respublica sustentaretur, quia pro talis personae liberatione seipsum et suos laudabiliter periculo mortis exponeret, cum bonum commune sit proprio praeferendum.” (IIª-IIae q. 32 a. 6 co.) Dunque normalmente l’amore di noi stessi deve precedere l’amore del prossimo e quindi non possiamo toglierci ciò che è essenziale per vivere per darlo ad altri ma nel caso ci fosse una situazione di necessità uno potrebbe togliere a sé e alla sua famiglia il necessario per darlo a una persona importante che è di sostegno alla Chiesa o alla patria: poiché per la salvezza di una tale persona sarebbe degno di lode che uno esponesse se stesso e i suoi al pericolo di morte, dovendo il bene comune essere preferito al bene proprio. Questa affermazione non ci deve sconvolgere. S. Tommaso chiarisce molto precisamente questa verità laddove afferma “Ad tertium dicendum quod cuilibet homini imminet cura proprii corporis, non autem imminet cuilibet homini cura de salute proximi, nisi forte in casu. Et ideo non est de necessitate caritatis quod homo proprium corpus exponat pro salute proximi, nisi in casu quod tenetur eius saluti providere. Sed quod aliquis sponte ad hoc se offerat, pertinet ad perfectionem caritatis.”(IIª-IIae q. 26 a. 5 ad 3) Non è necessario per la carità che l’uomo esponga il suo corpo per la salvezza del prossimo, se non nel caso in cui è tenuto a provvedere alla salvezza di tale prossimo, ma se qualcuno spontaneamente offre il suo corpo per la salvezza del prossimo senza essere obbligato a questo, ciò attiene alla perfezione della carità. S. Tommaso afferma d’altra parte che l’uomo ha vari tipi di legami e che per tali legami come sono quelli per la patria o quelli ancora più profondi per la Chiesa e per essi è virtuoso dare la propria vita (cfr. IIª-IIae q. 31 a. 3 ad 2) Quello che abbiamo appena visto rientra fondamentalmente nel principio per cui l’uomo deve amare più il prossimo che il proprio corpo (cfr. IIª-IIae q. 26 a. 5 co.) ma l’uomo non deve patire danno nelle cose spirituali per il bene spirituale o temporale del prossimo e in questo prossimo è ovviamente inclusa anche la comunità: “Ad secundum dicendum quod detrimenta corporalia debet homo sustinere propter amicum, et in hoc ipso seipsum magis diligit secundum spiritualem mentem, quia hoc pertinet ad perfectionem virtutis, quae est bonum mentis. Sed in spiritualibus non debet homo pati detrimentum peccando ut proximum liberet a peccato, sicut dictum est.”( IIª-IIae q. 26 a. 4 ad 2).

Nelle cose spirituali l’uomo non deve patire detrimento peccando per liberare il prossimo dal peccato. E già sopra vedemmo che, secondo s. Tommaso: quanto alla natura spirituale l’uomo deve amare sé stesso più degli altri(cfr. Super II Tim. cap. 3 l. 1).

c,5) Altri famosi moralisti e Dottori più recenti tra cui s. Alfonso M. de Liguori accolgono pienamente l’ insegnamento di s. Tommaso, che è dottrina comune della Chiesa. Alcuni passi del Magistero la confermano.

I luminosi insegnamenti di s. Tommaso e di s. Bonaventura sull’ordine della carità sono accolti dai grandi Dottori e dai teologi e moralisti che li seguono.

La precedenza reale dell’amore per noi stessi rispetto all’amore per il prossimo emerge infatti in questo testo di s. Caterina in cui si afferma che la carità vera non ci fa peccare neppure pe strappare tutto il mondo dall’inferno!

“E questo amore la discrezione el da senza fine e senza modo verso di me: pero che so’ somma ed eterna Verita, non pone legge ne termine all’amore col quale egli ama me, ma bene el pone con modo e con carita ordinata verso il prossimo suo. Il lume della discrezione, la quale esce della carita come detto t’o, da al prossimo amore ordinato, cioe con ordenata carita, che non fa danno di colpa a se per fare utilita al prossimo. Che se uno solo peccato facesse per campare tutto il mondo dello ‘nferno o per adoperare una grande virtu, non sarebbe carita ordenata con discrezione anco sarebbe indiscreta, perche licito non e di fare una grande virtu o utilita al prossimo con colpa di peccato. … Non sarebbe cosa convenevole che per salvare le creature, che son finite e create da me, fossi offeso Io che so’ Bene infinito: piu sarebbe grave solo quella colpa, e grande, che non sarebbe il frutto che farebbe per quella colpa. Si che colpa di peccato in veruno modo tu non debbi fare: la vera carita el cognosce perche ella porta seco il lume della santa discrezione.”[314]

Come diceva s. Tommaso la carità vera ci porta ad amare, dopo Dio, anzitutto noi stessi e quindi il prossimo, la vera carità non ci porta ad amare il prossimo più di noi stessi e quindi non ci porta a peccare per fare del bene al prossimo; s. Caterina, illuminata da Dio in modo speciale, precisa, nel testo appena visto, che la carità vera è ordinata e non ci fa commettere peccato neppure per evitare il danno più terribile al prossimo, non ci fa peccare anche in caso che con tale peccato potessimo tirare fuori dell’inferno i dannati ….

Nel suo commento alla Somma Teologica di s. Tommaso che appare nell’edizione Leonina, e in particolare nel commento a II-II q. 26 a. 4 e 5, il Card. Gaetano accoglie pienamente la dottrina del Dottore Angelico per cui dopo Dio occorre amare la propria anima; il Card. precisa inoltre che l’uomo non è tenuto a esporre al pericolo il proprio corpo per la salute spirituale del prossimo se non in caso di necessità, fuori da questo caso non è tenuto ma può farlo per una più grande carità, come fanno lodevolmente certi religiosi in tempo di epidemia; aggiunge il Gaetano che a ciascuno compete la cura del proprio corpo, la salvezza dell’altro non compete che in particolari circostanze[315], infatti, come precisa lo stesso Cardinale, nella linea di s. Tommaso, nel commento a II-II q. 64 a. 7 l’uomo è tenuto a provvedere più a sé che agli altri: “ plus tenetur homo vitae suae providere quam vitae alienae.”[316]

Anche il grande Dottore della Chiesa s. Alfonso M. de’ Liguori segue la linea di s. Tommaso, di s. Bonventura e del Gaetano, infatti dice chiaramente nella sua famosa “Theologia Moralis”

. Ordine caritatis, quisque tenetur post Deum diligere:

1° seipsum, secundum bona spiritualia;

2° proximum, quoad eadem bona;

3° seipsum, quoad bona corporalia;

4° proximum, quoad eadem;

5° denique seipsum, et deinde proximum, quoad bona externa.”[317]

E lo stesso Dottore nella stessa pagina dello stesso libro afferma: “Nullius boni consequendi causa licet peccare, etiam venialiter: quia talis vellet sibi malum spirituale”, cioè non è lecito peccare neppure venialmente per conseguire un qualsiasi bene perché tale persona vorrebbe per sé un male spirituale, il che è contrario all’ordine della carità.

Anche i famosi moralisti più recenti ribadiscono chiaramente la dottrina esposta da s. Tommaso e da s. Bonaventura, si veda in particolare cosa affermano a questo riguardo i testi di H. B. Merkelbach[318] Prummer (cfr. Prummer “Manuale Theologiae Moralis”, Herder  1961, vol. I, p. 418 ss) Aertnys – Damen (cfr.“Theologia Moralis ..” Marietti, 1957, vol. I p. 337ss)

Quello che dice s. Tommaso e con lui s. Bonaventura e la dottrina comune per cui l’uomo deve amare anzitutto se stesso e poi gli altri, e perciò non può peccare per liberare altri dal peccato ( IIª-IIae q. 26 a. 4 ad 2)  emerge anche da importanti testi magisteriali.

Nella VS leggiamo: “I precetti morali negativi, cioè quelli che proibiscono alcuni atti o comportamenti concreti come intrinsecamente cattivi, non ammettono alcuna legittima eccezione; essi non lasciano alcuno spazio moralmente accettabile per la «creatività» di una qualche determinazione contraria. Una volta riconosciuta in concreto la specie morale di un’azione proibita da una regola universale, il solo atto moralmente buono è quello di obbedire alla legge morale e di astenersi dall’azione che essa proibisce” (VS n. 67 cfr. ibidem  n. 13, 52, 99, 102)

In un importante documento pubblicato sull’ Osservatore Romano leggiamo “La tradizione morale cristiana ha …  costantemente e chiaramente affermato che, tra quelle negative, le norme che proibiscono atti intrinsecamente disordinati non ammettono eccezioni …”

(Esortazione apostolica Familiaris consortio, n. 32).”[319]

Per nessuna ragione si possono commettere atti intrinsecamente cattivi, neppure per aiutare altri a non peccare, perché dobbiamo amare anzitutto la nostra anima e poi quella del prossimo.

Aggiungo che la vera carità fraterna, inoltre, ci porta a fare sì che i nostri prossimi abbiano una carità veramente ordinata e quindi ci porta a fare sì che amino anzitutto Dio e quindi loro stessi  e poi gli altri. La carità ci porta a fare sì che i nostri prossimi non siano mai disposti a peccare per il bene di noi o degli altri …

Attraverso l’Amoris Laetitia  n. 101 e più generalmente attraverso gli errori che tali documento contiene e con i quali praticamente legittima peccati molto gravi e quindi permette l’amministrazione dei Sacramenti a coloro che compiono tali peccati e attraverso gli errori di vari Vescovi e sacerdoti che prendono spunto da essa viene dunque presentata una carità disordinata e in alcuni casi una casa falsa, non conforme alla sana dottrina e in particolare alla dottrina di s. Tommaso, l’insegnamento di tale esortazione porta i cristiani non solo a vivere fuori dalla Verità, ma li porta ad operare perché anche i loro prossimi abbiano una carità distorta e non conforme alla sana dottrina, alla Tradizione e alla Bibbia. Dio intervenga presto e molto fortemente.

c,6) La retta interpretazione dei testi paolini che sembrano affermare che l’uomo deve amare gli altri più di sé.

In questa linea occorre ovviamente affermare che per s. Tommaso e s. Bonaventura i testi biblici, paolini, citati in Amoris Laetitia n.101 e per cui “Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri” (Fil 2,4) e per cui la carità “non cerca il proprio interesse” (1 Cor. 13) non significano che la carità ci porta ad amare gli altri più di noi stessi

S. Bonaventura afferma in particolare che il testo di 1 Cor. 13 vuole condannare il modo di fare di coloro che cercano il loro interesse escludendo l’interesse comune, il che è un vizio; cerca l’interesse suo, in questa linea, chi pecca per lussuria (S. Bonaventura “In III Sententiarum” q. 29 a.1 q. 3 ad 1m) S. Tommaso dice praticamente lo stesso nel suo commento alla prima lettera ai Corinzi cap. 13 e aggiunge che la carità non cerca il proprio interesse nel senso che cerca più la salvezza delle anime che cose temporali (cfr. Super I Cor. [reportatio vulgata], cap. 13 l. 2) Nel commento alla lettera ai Filippesi s. Tommaso precisa che le parole per cui: “Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri” (Fil 2,4) sono un invito alla carità fraterna che esclude l’egoismo ma non la carità ordinata verso noi stessi per cui dobbiamo amare noi stessi più del prossimo. (Super Philip., cap. 2 l. 1) La linea seguita da s. Tommaso e da s. Bonaventura riguardo all’ordine della carità è linea comune, come stiamo vedendo, quindi l’ interpretazione retta e tradizionale dei passi paolini citati da Amoris Laetitia non va nel senso di affermare che la carità ci porta ad amare il prossimo più di noi stessi ma nel senso di condannare l’egoismo che ci porta a fare quello che ci piace e non quello che Dio vuole, che è il vero bene nostro e che si inserisce ordinatamente nel vero bene della comunità. I testi paolini in questione non condannano la carità ordinata che porta le persone ad amare loro stessi dopo Dio ma condannano la carità disordinata, la falsa carità che non mette Dio al primo posto o che mette i beni materiali al di sopra dei beni spirituali.

P. Marco Sales quando nel suo commento alla I lettera ai Corinzi esamina il testo di 1 Cor. 13 per cui la carità non cerca il proprio interesse, spiega che la carità non cerca il proprio interesse trascurando l’interesse degli altri.[320]

Lo stesso autore allorché esamina il testo di Filippesi per cui la carità non cerca il proprio interesse, spiega, in nota, che: “ L’amore del proprio comodo unito al disprezzo degli altri è la sorgente delle divisioni e delle discordie, e quindi l’Apostolo dopo aver raccomandato nel versetto precedente la stima vicendevole, raccomanda ora che niuno preferisca il proprio vantaggio alla comune utilità” [321]

Quindi questi testi non affermano che la carità ci porta ad amare gli altri più di noi stessi ma affermano che la carità non ci porta ad amare noi stessi disordinatamente; la carità ci tiene lontano dall’egoismo e da un falso amore di noi stessi che non ci fa essere sottomessi alla parola di Dio e non ci fa seguire l’esempio di Cristo; la carità ci tiene lontano dall’egoismo e da un falso amore di noi stessi che ci fa cercare i nostri comodi  e non il vero bene nostro e degli altri; la carità ci tiene lontano dall’egoismo e da un falso amore di noi stessi che ci fa cercare i beni materiali e non il vero bene spirituale nostro e degli altri.

L’importanza dell’ ordine della carità è confermato anche dal fatto che se esso manca anche il nostro impegno per la salvezza degli altri risulta debole e inefficace. Il disordine implica infatti inefficacia. I grandi santi hanno pensato anzitutto alla loro conversione e santificazione e solo dopo averla realizzata veramente hanno aiutato con grande efficacia gli altri a salvarsi.

S. Ammonio, un asceta dei primi secoli, affermava a riguardo che i grandi santi hanno operato la giustizia tra gli uomini dopo essersi ritirati in un grande silenzio, essersi convertiti e aver ricevuto le virtù divine per cui Dio abitava in loro. Solo quando avevano tali virtù e Dio viveva in loro, Dio stesso li inviava, per condurre gli uomini a Dio e risanare le infermità di quelli. Solo allora venivano mandati, quando ogni loro infermità era stata sanata; per essere medici degli altri dovevano essere stati medici anzitutto di loro stessi; per perfezionare gli altri dovevano essere giunti loro stessi alla perfezione.[322]

Questi grandi santi operarono con grande efficacia tra gli uomini e il loro apostolato fu molto fruttuoso e grandemente benedetto da Dio appunto perché era profondamente ordinato secondo Dio.

Ovviamente i disordini morali che diffonde in vario modo l’Amoris Laetitia non portano buoni frutti alla Chiesa. Dio intervenga presto!

8) Precisazioni conclusive del cap. V : le affermazioni del Papa sono tradimento e non evoluzione della sana dottrina.

Riprendendo quello che vedemmo più sopra, nelle precisazioni conclusive del III capitolo e quello che vedemmo nei primi due capitoli ed evitando di riproporvi tutti i testi dottrinali della Tradizione che fondano il nostro giudizio e che potrete vedere in tali precisazioni devo affermare che le affermazioni del Papa, in ambito morale, in questo capitolo non appaiono uno sviluppo della sana dottrina ma un cambiamento della stessa, infatti, esse non si presentano nel senso della continuità dei principi, non si sviluppano come conseguenza logica e non realizzano un influsso preservatore del passato, sono semplicemente un tradimento della sana dottrina … tradiscono dottrine fondamentali, specie in ambito morale, dottrine chiaramente collegate alla S. Scrittura e ribadite dalla Tradizione …

Nonostante il Papa e alcuni suoi collaboratori cerchino di far passare la sua opera come evoluzione e come pura dottrina tomista, essa è un radicale cambiamento, una vera perversione della sana dottrina ed è in chiara opposizione anche alla dottrina del s. Dottore di Aquino, gli stessi Prelati vicini al Papa ne parlano indicandola come “cambio di paradigma”, con esso viene messa da parte in modo furbo, la sana dottrina e si aprono le porte a confessioni invalide, peccati gravi, sacrilegi etc.!

Con tale “cambio di paradigma”, in particolare, come visto in questo capitolo, il Papa  fa incredibilmente scomparire, su un punto essenziale della morale, la Legge rivelata e mette da parte la dottrina secondo cui le norme negative della legge divina sono obbligatorie sempre e in ogni circostanza, tutto questo si collega agli errori visti nel   IV capitolo per cui una coscienza morale cristiana può ritenere con sincerità e onestà e scoprire con una certa sicurezza morale che Dio le conceda di compiere ciò che Lui stesso vieta assolutamente, sempre e senza eccezioni, e si collega anche agli errori indicati nel III capitolo.  Si apre, in questa linea, anche la porta ad una falsa idea di carità, nonché a peccati gravi, sacrilegi etc..   Anche riguardo a tali errori risultano estremamente significative le parole del prof. Seifert  sulla rivista teologica tedesca AEMAET, e per cui il n° 303 di Amoris Laetitia è “una bomba atomica teologica che minaccia di abbattere l’intero edificio morale dei 10 comandamenti e dell’insegnamento morale cattolico”.  (http://www.aemaet.de/index.php/aemaet/article/view/44/pdf_1 ; Josef Seifert: “La logica pura minaccia di distruggere l’intera dottrina morale della Chiesa?” Corrispondenza Romana, 2017 https://www.corrispondenzaromana.it/wp-content/uploads/2017/08/Testo-Seifert-italiano.pdf?it ). Il prof. Meiattini ha aggiunto, nella linea di Seifert : “ Qui ha ragione Seifert: se il senso di quell’espressione presente in AL è questo, e non vedo quale altro potrebbe essere, allora crolla l’intera morale cristiana.” ( L. Scrosati, “Attenuanti in fuori gioco, il matrimonio non è una morale”, La Bussola Quotidiana, 11.3.2018 http://www.lanuovabq.it/it/attenuanti-in-fuori-gioco-il-matrimonio-non-e-una-morale )

Il Papa , come visto in questo capitolo, usa e cita s. Tommaso per diffondere ciò che è contrario alla piena  dottrina del s. Dottore.

Interceda per noi la gloriosa Madre di Dio, che annienta le dottrine eretiche, schiaccia la potenza dell’errore e smaschera l’insidia degli idoli(Cfr Inno Akathistos, vv. 111-112; ed. G.G. Meersseman, Der Hymnos Akathistos im Abendland, voi. I, Universitatsverlag, Freiburg Schw. 1958, p. 114)

Note

[1]La Civiltà Cattolica, “Un incontro privato del Papa con alcuni gesuiti colombiani” La Civiltà Cattolica anno 2017, quaderno 4015,volume IV pag. 3 – 10,   7 ottobre 2017 https://it.aleteia.org/2017/09/29/amoris-laetitia-papa-francesco-risponde-dubia-morale-tomista/2/   http://www.laciviltacattolica.it/articolo/la-grazia-non-e-una-ideologia/

[2]Giovanni Paolo II, Lettera enciclica “Dominum et Vivificantem”, 18.5.1986, n. 10, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_18051986_dominum-et-vivificantem.html

[3]Cfr. Sant’Atanasio di Alessandria, “De Incarnatione”, 54, 3: SC 199, 458 (PG 25, 192); San Tommaso d’Aquino, “Officium de festo corporis Christi”, Ad Matutinas, In primo Nocturno, Lectio 1; Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 19, 1: SC 211, 374 (PG 7, 939)

[4]Cfr. Kaufmann Kohler “Love “  in Jewish Encyclopedia,  1901-1906, New York and London  https://jewishencyclopedia.com/articles/10127-love

[5]Cfr. Penna, Romano. “Amore sconfinato” (Italian Edition) (posizioni nel Kindle 657-679). San Paolo Edizioni. 2019 Edizione del Kindle

[6]Penna, Romano. “Amore sconfinato” (Italian Edition) (posizioni nel Kindle 561-562). San Paolo Edizioni. Edizione del Kindle 2019

[7]Penna, Romano. “Amore sconfinato” (Italian Edition) (posizioni nel Kindle 578-580). San Paolo Edizioni. 2019 Edizione del Kindle

[8]Cfr. Commissione Teologica Internazionale “ Bibbia e morale. Le radici bibliche dell’agire cristiano” 11.5.2008 n. 2.1.3, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20080511_bibbia-e-morale_it.html

[9]Cfr. Commissione Teologica Internazionale “ Bibbia e morale. Le radici bibliche dell’agire cristiano” 11.5.2008 n. 2.2.1, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20080511_bibbia-e-morale_it.html

[10]Penna, Romano. “Amore sconfinato” (Italian Edition) (posizioni nel Kindle 583-584). San Paolo Edizioni 2019. Edizione del Kindle

[11]Cfr. Commissione Teologica Internazionale “ Bibbia e morale. Le radici bibliche dell’agire cristiano” 11.5.2008, n. 2.2.2, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20080511_bibbia-e-morale_it.html

[12]Cfr. Commissione Teologica Internazionale “ Bibbia e morale. Le radici bibliche dell’agire cristiano” 11.5.2008 n. 2.2.3, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20080511_bibbia-e-morale_it.html

[13]Penna, Romano. “Amore sconfinato” (Italian Edition) (posizioni nel Kindle 3880-3881). San Paolo Edizioni 2019. Edizione del Kindle

[14]cfr, Romano. Amore sconfinato (Italian Edition) (posizioni nel Kindle 585-588). San Paolo Edizioni. 2019 Edizione del Kindle

[15]Penna, Romano. “Amore sconfinato” (Italian Edition) (posizioni nel Kindle 490-494). San Paolo Edizioni. 2019  Edizione del Kindle.

[16]Cfr. F. Zorell “Lexicon Hebraicum Veteris Testamenti”, Pontificio Istituto Biblico Roma 1989 p.16-17

[17]Penna, Romano. Amore sconfinato (Italian Edition) (posizioni nel Kindle 502-503). San Paolo Edizioni. 2019 Edizione del Kindle.

[18]Giovanni Paolo II “Dives in Misericordia”, 30.11.1980 nota 52, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/en/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_30111980_dives-in-misericordia.html

[19]Giovanni Paolo II “Dives in Misericordia”, 30.11.1980 nota 52, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/en/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_30111980_dives-in-misericordia.html

[20]Cfr. Giovanni Paolo II “Dives in Misericordia”, 30.11.1980 nota 52, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/en/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_30111980_dives-in-misericordia.html

[21]Cfr. F. Zorell “Lexicon Graecum Novi Testamenti”Pontificio Istituto Biblico, Roma 1990 coll. 5-8 e 1402-3

[22]Cfr. F. Zorell “Lexicon Graecum Novi Testamenti”, Pontificio Istituto Biblico, Roma 1990, coll. 5-8

[23]Cfr. F. Zorell “Lexicon Graecum Novi Testamenti”, Pontificio Istituto Biblico, Roma 1990, coll. 5-6

[24]Cfr. F. Zorell “Lexicon Graecum Novi Testamenti”, Pontificio Istituto Biblico, Roma 1990, coll. 5-8

[25]Cfr. F. Zorell “Lexicon Graecum Novi Testamenti”, Pontificio Istituto Biblico, Roma 1990, col. 1402-3 , parola phileo

[26]Cfr.A. Penna “Amore nella Bibbia”Paideia, Brescia 1972 p. 22

[27]Cfr. F. Zorell “Lexicon Graecum Novi Testamenti”, Pontificio Istituto Biblico, Roma 1990, col. 903s

[28]Cfr. F. Zorell “Lexicon Graecum Novi Testamenti”, Pontificio Istituto Biblico, Roma 1990, col. 1225s

[29]Cfr. Ferdinand Prat “Charite” in Dictionnaire de Spiritualité ed. Beauchesne, 1932-1995, Tome 2 – Colonne 508s

[30]Cfr. Ferdinand Prat “Charite” in Dictionnaire de Spiritualité, ed. Beauchesne, 1932-1995, Tome 2 – Colonne 509

[31]Cfr. Ferdinand Prat “Charite” in Dictionnaire de Spiritualité, ed. Beauchesne, 1932-1995,Tome 2 – Colonne 519s

[32]Cfr. S. Tommaso d’ Aquino “Somma contro i Gentili”, ed UTET, 2013, ebook, ,l.1 c. 92.

[33]Cfr. S. Tommaso d’ Aquino “Somma contro i Gentili”, ed UTET, 2013, ebook, ,l.1 c. 92.

[34]S. Tommaso d’ Aquino “Somma contro i Gentili”, ed UTET, 2013, ebook,  libro III c. 149

[35]S. Agostino “La Trinità” l. VI,5,7 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/trinita/index2.htm

[36]S. Agostino “La Trinità” l. XV,17,31 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova Sant’Agostino – La Trinità (www.augustinus.it .it)

[37]S. Tommaso d’ Aquino “Somma contro i Gentili”, ed UTET, 2013, ebook, libro IV c. 21

[38]Leone XIII, “Divinum illud Munus”9.5.1897 www.vatican.va https://www.vatican.va/content/leo-xiii/en/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_09051897_divinum-illud-munus.html

[39]Leone XIII, “Divinum illud Munus” 9.5.1897 n.9 www.vatican.va https://www.vatican.va/content/leo-xiii/en/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_09051897_divinum-illud-munus.html

[40]Giovanni Paolo II, Lettera enciclica “Dominum et Vivificantem”, 18.5.1986, n. 10, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_18051986_dominum-et-vivificantem.html

[41]Opusc. 57, “Nella festa del Corpo del Signore”, lect. 1-4” www.chiesacattolica.it,   https://www.chiesacattolica.it/la-liturgia-delle-ore/?data=20210606&ora=ufficio-delle-letture&data-liturgia=20210606

[42]. Tommaso d’ Aquino “ La perfezione della vita spirituale” in “Compendio di teologia e altri scritti” Unione Tipografico-Editrice Torinese, Prima edizione eBook: Marzo 2013,  n. 5 e 6 p. 486

[43]Cf Concilio di Costantinopoli III (anno 681), Sess. 18a, Definitio de duabus in Christo voluntatibus et operationibus: DS 556-559.

[44]Concilio di Costantinopoli III, Sess. 18A, in  Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003, n.  556.

[45]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller  “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité, ed. Beauchesne, 1932-1995,  t. 2 col. 525 ss

[46]De gratia Christi, cp. 21, n° 22, PL., 44, 370 ; cf. Op. imperfect. contra Jul., lib. 3, cp. 114, PL., 45, 1296 ; De gratia et lib. arb., cp. 19, n° 40, PL., 44, 905

[47]Lib. de gratia Christi, cp. 21, n° 22, PL., 44, 286 ; S. Prosper, Contr. Collat., cp. 13, PL., 51, 251 C ; 541 S. Fulgence, De veritate praedest., lib. 1, cp. 21, n° 44, PL., 65, 626

[48]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller  “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité , ed. Beauchesne, 1932-1995,, t. 2 col. 540s

[49]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité t. 2 col. 541-543

[50]Cfr. S. Giovanni Crisostomo, “De incomprensibili contra anomaeos”, Hom. 1, n ° 1, PG., 48, 701-702; cfr. S. Cesario, “Sermo 29”, n ° 2, ed. Morin, p. 121; S. Gregorio Magno, “Moralia in Iob”, lib. 20, cp.7, n ° 17, PL., 76, 146-147

[51]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité , ed. Beauchesne, 1932-1995, t. 2 col. 561

[52]“Sermone per la domenica di quinquagesima”, www.santantonio.org ,    http://www.santantonio.org/it/sermoni/sermoni-domenicali/domenica-di-quinquagesima

[53]II- II q. 24 a.2 mia traduzione , cfr. Tommaso d’Aquino, “La Somma teologica”, Edizioni Studio Domanicano  https://www.edizionistudiodomenicano.it/on-line.php

[54]S. Tommaso d’Aquino, “Somma contro i gentili” , Unione Tipografico-Editrice Torinese; Prima edizione eBook: Marzo 2013, l. III c. 151

[55]S. Agostino “Discorso n. 350” traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/discorsi/discorso_509_testo.htm

[56]S. Tommaso d’ Aquino “Somma contro i gentili” , Unione Tipografico-Editrice Torinese; Prima edizione eBook: Marzo 2013, l. III, nn. 115 , 116 e 117

[57]S. Tommaso d’ Aquino “ La perfezione della vita spirituale” Unione Tipografico-Editrice Torinese, Prima edizione eBook: Marzo 2013,  n. 6

[58]S. Agostino “Commento al Vangelo di Giovanni” Omelia 75,5, traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/commento_vsg/index2.htm

[59]Cfr. in Super Sent., lib. 3 d. 25 q. 2 a. 1 qc. 2 ad 3; Super Sent., lib. 4 d. 15 q. 2 a. 1 qc. 4 arg. 3; Super Sent., lib. 4 d. 17 q. 3 a. 1 qc. 4 ad 3; De malo, q. 7 a. 1 ad 8; Super Rom. c. 13 l.2; Super Gal, c.6, l.1

[60]II-II q. 33 a. 2, mia traduzione seguendo quella della ESD in CD Rom del 2001

[61]Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede “Sulla pastorale dei divorziati risposati. Documenti, commenti e studi,” Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998, p. 24; S. Tommaso Super Sent., lib. 3 d. 37 q. 1 a. 4; II-II q. 120 a. 1; C. Ruini “Ruini: la comunione ai divorziati risposati non è possibile. Il magistero è chiaro e non modificabile”, Il Timone, 13 ottobre 2014 http://www.iltimone.org/news-timone/ruini-la-comunione-ai-divorziati-risposati-non-pos/

[62]Papa Francesco, “Carta del santo Padre Francisco a los obispos de la region pastoral de Buenos Aires en respuesta al documento “Criterios basicos para la aplicacion del capitulo VIII  de la Amoris Laetitia”, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/francesco/es/letters/2016/documents/papa-francesco_20160905_regione-pastorale-buenos-aires.html

[63]“Catechismo Tridentino”, ed Cantagalli 1992, n. 299 https://www.maranatha.it/catrident/25page.htm

[64]“La città di Dio” c. XIX n. 13 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/cdd/index2.htm

[65]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller  “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité, , ed. Beauchesne, 1932-1995, t. 2 col. 566

[66]Cfr. Origene, “Homilia II in Canticum Canticorum”, n° 7, PG., 13, 54 ;  “In Canticum Canticorum”, l. 3.  PG., 13, 155-160

[67]S. Gregorio di Nissa “Omelie sul Cantico dei Cantici” Ed. Città Nuova Roma 1996, p. 115s

[68]Cfr.  “Sermo 100”, n. 2.2 http://www.augustinus.it/latino/discorsi/discorso_129_testo.htm ; “Sermo 65”, 8 http://www.augustinus.it/latino/discorsi/discorso_085_testo.htm

[69]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller  “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité, , ed. Beauchesne, 1932-1995, t. 2 col. 566

[70]S. Agostino, “De doctrina cristiana.”, Lib. 1, cp. 27, n ° 28, PL., 34, 29 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/dottrina_cristiana/index2.htm

[71]S. Agostino, “La Città di Dio”, Lib. 19, cp. 14, PL., 41.643 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/cdd/index2.htm

[72]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller  “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité, , ed. Beauchesne, 1932-1995, t. 2 col. 566s; Martyrium Polycarpi, 1, 2

[73]“Catechismo Tridentino”, ed. Cantagalli, 1992,  n. 249 http://www.maranatha.it/catrident/21page.htm

[74]cfr Concilio di Trento, Sess. 14a, Doctrina de sacramento Paenitentiae, c. 4, Id., Sess. 14a, Canones de Paenitentia, canone 5, Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003 n. 1676-1678. 1705; “Catechismo Romano”, 2, 5, 4: ed. P. Rodríguez (Città del Vaticano-Pamplona 1989) p. 289; Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1431

[75]Cfr. S. Tommaso d’ Aquino “ La perfezione della vita spirituale” Unione Tipografico-Editrice Torinese, Prima edizione eBook: Marzo 2013,  n. 6 e 7

[76]S. Tommaso d’ Aquino “ La perfezione della vita spirituale” Unione Tipografico-Editrice Torinese, Prima edizione eBook: Marzo 2013,  n. 6 e 7

[77]S. Tommaso d’ Aquino “ La perfezione della vita spirituale” Unione Tipografico-Editrice Torinese, Prima edizione eBook: Marzo 2013,  n. 6 e 7

[78]S. Alfonso Maria de Liguori, “Protesta per ben morire”, in “Opere Ascetiche” Vol. IX, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1965, p. 452 , www.intratext.com, http://www.intratext.com/IXT/ITASA0000/_P2UD.HTM

[79]Cfr. “Catechismo Tridentino”, ed Cantagalli 1992, n.249  http://www.maranatha.it/catrident/21page.htm

[80]S. Ignazio di Loyola “Esercizi spirituali”, n. 165, mia traduzione seguendo il testo spagnolo e tenendo presente soprattutto questa traduzione messa a disposizione dai gesuiti italiani in internet nel sito gesuiti.it , https://gesuiti.it/wp-content/uploads/2017/06/Esercizi-Spirituali-testo.pdf

[81]“Esercizi spirituali” n. 165s gesuiti.it , https://gesuiti.it/wp-content/uploads/2017/06/Esercizi-Spirituali-testo.pdf

[82]Cfr. Heinrich  Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003 n.1536  e 1568

[83]Cfr.  VS 52;  * * “La norma morale di «Humanae vitae»
e il compito pastorale”  L’Osservatore Romano, 16 febbraio 1989, p. 1, www.vatican.va ,  http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19890216_norma-morale_it.html  ; S. Tommaso d’ Aquino in Super Sent., lib. 3 d. 25 q. 2 a. 1 qc. 2 ad 3; Super Sent., lib. 4 d. 15 q. 2 a. 1 qc. 4 arg. 3; Super Sent., lib. 4 d. 17 q. 3 a. 1 qc. 4 ad 3; De malo, q. 7 a. 1 ad 8; Super Rom c. 13 l.2; Super Gal, c.6, l.1;  II-II q. 33 a. 2

[84]S. Caterina da Siena, “Il Dialogo”, a cura di G. Cavallini, Siena, Cantagalli, 1995, 2a ed. (Testi Cateriniani; I), capitolo XI http://www.centrostudicateriniani.it/images/documenti/download/download-gratuiti/4-Il_Dialogo.pdf

[85]Vocabolario Online, voce :“Ordinazione” in Vocabolario Online, Treccani (testo consultato il 6.7.2020)

http://www.treccani.it/vocabolario/ordinazione/

[86]Leo XIII, Lettera Enciclica “Libertas Praestantissimum” del 20 giugno 1888,  n. 8, , www.vatican.va, http://w2.vatican.va/content/leo-xiii/it/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_20061888_libertas.html

[87]Cfr.  I-II, q. 93, a. 3, ad 2: Ed. Leon. 7, 164 testo citato in Catechismo della Chiesa Cattolica n.1902

[88]Cfr. Commissione Teologica Internazionale “Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla Legge naturale ” 20.5.2009, 1.3.22 www.vatican.va https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_con_cfaith_doc_20090520_legge-naturale_it.html#1.3.%20L%E2%80%99insegnamento%20della%20Sacra%20Scrittura

[89]Cfr. Commissione Teologica Internazionale “Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla Legge naturale ” 20.5.2009, 1.3.22 www.vatican.va https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_con_cfaith_doc_20090520_legge-naturale_it.html#1.3.%20L%E2%80%99insegnamento%20della%20Sacra%20Scrittura

[90]Cfr. Commissione Teologica Internazionale “Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla Legge naturale ” 20.5.2009, 1.3.23 www.vatican.va https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_con_cfaith_doc_20090520_legge-naturale_it.html#1.3.%20L%E2%80%99insegnamento%20della%20Sacra%20Scrittura

[91]Cfr. Heinrich Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003

[92]S. Tommaso D’Aquino “In Duo Praecepta Caritatis et in Decem Legis Praecepta.” Prologus: Opuscula Theologica, II, No. 1129, Ed. Taurinens. (1954), 245; cf Summa Theologiae, I-II, q. 91, a. 2; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1955

[93]San Tommaso d’Aquino, “In duo praecepta caritatis et in decem Legis praecepta expositio”, c. 1: Opera omnia, v. 27 (Parigi 1875) p. 144.

[94]Leone XIII, Lett. enc. “Libertas praestantissimum”: Leonis XIII Acta 8, 219; www.vatican.va , https://www.vatican.va/content/leo-xiii/it/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_20061888_libertas.html

[95]Lett. enc. Libertas praestantissimum (20 giugno 1888): Leonis XIII P.M. Acta, VIII, Romae 1889, 219. cit. in Giovanni Paolo II “Veritatis Splendor” n. 44

[96]Gaudium et Spes n. 74, www.vatican.va , http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19651207_gaudium-et-spes_it.html

[97]Gaudium et Spes n. 89, www.vatican.va , http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19651207_gaudium-et-spes_it.html

[98]Paolo VI, Lettera Enciclica “Humanae Vitae” del 1968,, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_25071968_humanae-vitae.html

[99]Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 10

[100]Gaudium et Spes n. 79, www.vatican.va , http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19651207_gaudium-et-spes_it.html

[101]http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19751229_persona-humana_it.html

[102]Congregazione per la Dottrina della Fede “Persona Humana” 22.1.1975, n. 4, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19751229_persona-humana_it.html

[103]Congregazione per la Dottrina della Fede “Persona Humana” 22.1.1975, n. 4, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19751229_persona-humana_it.html

[104]Cf Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 10; S. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. su alcune questioni di etica sessuale Persona humana (29 dicembre 1975), 4 …

[105]Sant’Agostino, De Trinitate, 14, 15, 21, (PL 42, 1052) traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova, Sant’Agostino – La Trinità (augustinus.it) ; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica  n. 1955

[106]Concilio Vaticano I, Cost. dogm. Dei Filius, c. 2: DS 3005; Pio XII, Lett. enc. Humani generis: DS 3876

[107]Pio XII, “Humani generis” 12.8.1950 Introduzione , www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/pius-xii/it/encyclicals/documents/hf_p-xii_enc_12081950_humani-generis.html

[108]Pontificia Commisione Biblica “Bibbia e morale” 11.5.2008,  03.1.4 https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20080511_bibbia-e-morale_it.html

[109]Pontificia Commisione Biblica “Bibbia e morale” 11.5.2008,  03.1.4 https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20080511_bibbia-e-morale_it.html

[110]Pontificia Commisione Biblica “Bibbia e morale” 11.5.2008,  03.1.4 https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20080511_bibbia-e-morale_it.html

[111]Penna, Romano. “Amore sconfinato” (Italian Edition) (posizioni nel Kindle 561-562). San Paolo Edizioni. Edizione del Kindle 2019

[112]Penna, Romano. “Amore sconfinato” (Italian Edition) (posizioni nel Kindle 578-580). San Paolo Edizioni. 2019 Edizione del Kindle

[113]Cfr. Commissione Teologica Internazionale “ Bibbia e morale. Le radici bibliche dell’agire cristiano” 11.5.2008 n. 2.1.3, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20080511_bibbia-e-morale_it.html

[114]Commissione Teologica Internazionale “ Bibbia e morale. Le radici bibliche dell’agire cristiano” 11.5.2008 n. 2.1.3.18.b, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20080511_bibbia-e-morale_it.html

[115]Cfr. Commissione Teologica Internazionale “ Bibbia e morale. Le radici bibliche dell’agire cristiano” 11.5.2008 n. 2.1.3.18.b, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20080511_bibbia-e-morale_it.html

[116] Commissione Teologica Internazionale “ Bibbia e morale. Le radici bibliche dell’agire cristiano” 11.5.2008 n. 3.41 , www.vatican.va  http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20080511_bibbia-e-morale_it.html

[117] Commissione Teologica Internazionale “ Bibbia e morale. Le radici bibliche dell’agire cristiano” 11.5.2008 n. 3.1.1.44 , www.vatican.va  http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20080511_bibbia-e-morale_it.html

[118] Commissione Teologica Internazionale “ Bibbia e morale. Le radici bibliche dell’agire cristiano” 11.5.2008  , www.vatican.va , nn. 46-79 http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20080511_bibbia-e-morale_it.html

[119]Cfr.  Commissione Teologica Internazionale “ Bibbia e morale. Le radici bibliche dell’agire cristiano” 11.5.2008  , www.vatican.va , nn. 46-79 http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20080511_bibbia-e-morale_it.html

[120]S. Antonio di Padova “Sermone della Domenica di Quinquagesima” n. 12, http://www.centrostudiantoniani.it/ , http://www.centrostudiantoniani.it/elenco-sermoni

[121]Commissione Teologica Internazionale “In cerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale” 2009, nn.101-113, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_con_cfaith_doc_20090520_legge-naturale_it.html

[122]S. Ambrogio , Expositio in Evangelium secundum Lucam,lib. 5, No. 73-80, PL., 15, 1655-1658; cfr. S. Ilario, In Mattheum ,cp. 4, PL., 9, 942; Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité, Beauchesne  1932-1995, t. 2 col. 568

[123]Concilio Ecumenico Vaticano I, Cost. dogm. “Dei Filius”, 24.4.1870, c. 2 https://www.vatican.va,  https://www.vatican.va/content/pius-ix/it/documents/constitutio-dogmatica-dei-filius-24-aprilis-1870.html

[124]Conc. Vat. D. B. 1876, Cost. “De fide Cath.”, cap. II, De revelatione).” (Pio XII, “Humani generis” 12.8.1950 Introduzione , www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/pius-xii/it/encyclicals/documents/hf_p-xii_enc_12081950_humani-generis.html

[125]Concilio Vaticano I, Cost. dogm. Dei Filius, c. 2: DS 3005; Pio XII, Lett. enc. Humani generis: DS 3876.

[126]Cfr. San Bonaventura, “ Commentaria in quattuor libros Sententiarum”, 3, 37, 1, 3: Opera omnia, v. 3 (Ad Claras Aquas 1887) p. 819-820

[127]S. Tommaso d’ Aquino “ La perfezione della vita spirituale” Unione Tipografico-Editrice Torinese, Prima edizione eBook: Marzo 2013,  nn. 2 e 6

[128]S. Paolo VI “De Episcoporum muneribus” 15.6.1966, www.vatican.va, http://www.vatican.va/content/paul-vi/it/motu_proprio/documents/hf_p-vi_motu-proprio_19660615_de-episcoporum-muneribus.html

[129]Cfr. L. Chiappetta “Il Codice di Diritto Canonico” EDB, Bologna, 2011 vol. I pp.100s  nn. 595.607

[130]Wernz “Ius canonicum ad codicis normam exactum opera p. Petri Vidal s. J.”, Romae , Apud Aed. Universitatis Gregorianae, 1938 T. I , pp. 467s

[131]“Discorso agli Officiali e Avvocati del Tribunale della Rota Romana per l’inaugurazione dell’anno giudiziario”  del 21.1.2000 , www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/2000/jan-mar/documents/hf_jp-ii_spe_20000121_rota-romana.html

[132]Cfr.  I-II q. 100 a. 8 ad 2 “Somma Teologica” , traduzione tratta dall’ edizione online, Edizioni Studio Domenicano,  https://www.edizionistudiodomenicano.it/Docs/Sfogliabili/La_Somma_Teologica_Seconda_Parte/index.html#993/z

[133]Cfr. Super Sent., lib. 1 d. 47 q. 1 a. 4; Super Sent., lib. 3 d. 37 q. 1 a. 4 ; De malo, q. 3 a. 1 ad 17;  q. 15 a. 1 ad 8

[134]S. Alfonso M. de Liguori “Istruzione e pratica pei confessori”, in “Opere di S. Alfonso Maria de Liguori”, Pier Giacinto Marietti,Torino 1880 , Vol. IX, p. 54 ss , www.intratext.com, http://www.intratext.com/IXT/ITASA0000/_PWL.HTM#$6Y9

[135]Cfr.VS n. 13, 52, 67, 99, 102;  ** “La norma morale di «Humanae vitae»
e il compito pastorale” L’Osservatore Romano, 16 febbraio 1989, p. 1, www.vatican.va ,  http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19890216_norma-morale_it.html  ;  S. Tommaso d’ Aquino in Super Sent., lib. 3 d. 25 q. 2 a. 1 qc. 2 ad 3; I-II, q. 72 a. 6 ad 2; II-II q. 33 a. 2 in c.; De malo, q. 7 a. 1 ad 8 ; SuperRm. c. 13, l. 2; Super Gal., c.6, l.1

[136]fr. Angel Rodríguez Luño “La virtù dell’epicheia. Teoria, storia e applicazione (I). Dalla Grecia classica fino a F. Suárez*” Acta Philosophica vol. 6 (1997), fasc. 2 – pp. 199

[137]Cfr. Angel Rodríguez Luño “La virtù dell’epicheia. Teoria, storia e applicazione (I). Dalla Grecia classica fino a F. Suárez*” Acta Philosophica vol. 6 (1997), fasc. 2  p. 201

[138]Cfr. Preisker “ ἐπιείκεια” in “Grande Lessico del Nuovo Testamento”  Paideia , Brescia 1967 v. III p. 704 ss

[139]Cfr. Preisker “ ἐπιείκεια” in “Grande Lessico del Nuovo Testamento”  Paideia , Brescia 1967 v. III p. 704 ss

[140]Angel Rodríguez Luño “La virtù dell’epicheia. Teoria, storia e applicazione (I). Dalla Grecia classica fino a F. Suárez*” Acta Philosophica vol. 6 (1997), fasc. 2  p. 214

[141]Cfr. S. Tommaso “In decem libros Ethicorum Aristotelis ad Nicomachum Expositio”, Marietti, To r i n o – R o m a 1964,  lib. V n. 1081; Angel Rodríguez Luño “La virtù dell’epicheia. Teoria, storia e applicazione (I). Dalla Grecia classica fino a F. Suárez*” Acta Philosophica vol. 6 (1997), fasc. 2 – pp. 206

[142]Cfr. Angel Rodríguez Luño “La virtù dell’epicheia. Teoria, storia e applicazione (I). Dalla Grecia classica fino a F. Suárez*” Acta Philosophica vol. 6 (1997), fasc. 2 – p. 215 s

[143]in Super Sent., lib. 3 d. 25 q. 2 a. 1 qc. 2 ad 3; I-II, q. 72 a. 6 ad 2; II-II q. 33 a. 2 in c.; De malo, q. 7 a. 1 ad 8 ; Super Rom. c. 13, l. 2; Super Gal, c.6, l.1

[144]Citiamo il testo latino del Gaetano che si trova in s. Thomae Aquinatis “ Secunda secundae Summae Theologiae … cum commentariis Thomae De Vio Caietiani” in “S. Thomae Aquinatis Opera Omnia” V. IX  Typographia Poliglotta S.C. De Propaganda Fide, Roma 1891, commento a II-II q. 120 a. 1,  p. 469 https://archive.org/details/operaomniaiussui09thom/page/ii/mode/2up?view=theater

[145]S. Alphonsi Mariae de Ligorio: “Theologia Moralis”  Typis Polyglottis Vaticanis MCCCCIX, Editio photomechanica. Sumptibus CssR, Romae, 1953, t. I, l.I, t. II, c. IV, d. IV, n. 201 p. 182

[146]“Ius canonicum ad codicis normam exactum opera p. Petri Vidal s. J.”, Romae , Apud Aed. Universitatis Gregorianae, 1938 T. I ,pp. 71s

[147]“Introduzione” in  Congregazione per la Dottrina della Fede, “Sulla pastorale dei divorziati risposati”, LEV, Città del Vaticano 1998, p. 20-29, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19980101_ratzinger-comm-divorced_it.html#_ftn1

[148]G. L. Müller : “ Indissolubilità del matrimonio e dibattito sui divorziati risposati e i Sacramenti” L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 243, Merc. 23/10/2013, www.vatican.va, http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/muller/rc_con_cfaith_20131023_divorziati-risposati-sacramenti_it.html

[149]C. Ruini “Ruini: la comunione ai divorziati risposati non è possibile. Il magistero è chiaro e non modificabile”, Il Timone, 13 ottobre 2014 http://www.iltimone.org/news-timone/ruini-la-comunione-ai-divorziati-risposati-non-pos/

[150]Commissione teologica internazionale, “Il sensus fidei nella vita della Chiesa” del 10.6.2014 n. 52, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140610_sensus-fidei_it.html#_ftnref68

[151]Commissione teologica internazionale, “Il sensus fidei nella vita della Chiesa” del 10.6.2014 n. 52, www.vatican.va,  http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140610_sensus-fidei_it.html#_ftnref68

[152]“Discorso a conclusione della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi” (24 ottobre 2015): “L’Osservatore Romano”, 26-27 ottobre 2015, p. 13)

[153]Commissione Teologica Internazionale “In cerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale” (2009), 59 , www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_con_cfaith_doc_20090520_legge-naturale_it.html

[154]Commissione Teologica Internazionale “In cerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale” (2009), nn.101-113 , www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_con_cfaith_doc_20090520_legge-naturale_it.html

[155]Cfr. in Super Sent., lib. 3 d. 25 q. 2 a. 1 qc. 2 ad 3; Super Sent., lib. 3 d. 25 q. 2 a. 1 qc. 2 ad 3 ; Super Sent., lib. 4 d. 15 q. 2 a. 1 qc. 4 arg. 3; Super Sent., lib. 4 d. 17 q. 3 a. 1 qc. 4 ad 3; De malo, q. 7 a. 1 ad 8; Super Rom. c. 13 l.2; Super Gal, c.6, l.1

[156]Marco Tosatti, “Sinodo: come lo manovro…”, La Stampa, I blog di La Stampa, 21 settembre 2014
https://www.lastampa.it/blogs/2014/09/21/news/sinodo-come-lo-manovro-1.37276215  attualmente, 24.5.2021, l’articolo è stranamente  scomparso dal sito ma si può trovare qui  https://anticattocomunismo.wordpress.com/2014/09/20/sinodo-come-lo-manovro/

[157]Lorenzo Bertocchi “Kasper: Divorziati risposati, il Papa ha aperto la porta”, La Nuova Bussola Quotidiana 26-04-2016 http://lanuovabq.it/it/kasper-divorziati-risposati-il-papa-ha-aperto-la-porta#.Vzcm7XRyzqA

[158]Cfr. B. Williams “Baldisseri: Pope Francis Approved Controversial Midterm Relatio” One Peter Five 29.1.2015 https://onepeterfive.com/baldisseri-pope-francis-approved-controversial-midterm-relatio/

[159]Mia traduzione da Christa Pongratz-Lippitt, “Cardinal Marx: Pope Francis has pushed open the doors of the church”, National Catholic Reporter 28-10-2014    https://www.ncronline.org/blogs/ncr-today/cardinal-marx-pope-francis-has-pushed-open-doors-church

[160]L. Scrosati “Sinodo tedesco: «Interpretiamo liberamente il Magistero»” La Nuova Bussola Quotidiana 06-02-2020 https://lanuovabq.it/it/sinodo-tedesco-interpretiamo-liberamente-il-magistero

[161]La Nuova Bussola Quotidiana “Cinque domande su cui si gioca la morale cattolica” La Nuova Bussola Quotidiana 14.11.2016   https://lanuovabq.it/it/cinque-domande-su-cui-si-gioca-la-morale-cattolica

[162]Fernández, Víctor M., “La dimensión trinitaria de la moral II : profundización del aspecto ético a la luz de “Deus caritas est”” [en línea]. Teología, 89 (2006). pag. 150 Disponible en:  http://bibliotecadigital.uca.edu.ar/repositorio/rectorado/dimension-trinitaria-moral-etico-fernandez.pdf

[163]Cfr. V. M. Fernández , “Vida trinitaria, normas éticas y fragilidad humana. Algunas breves precisiones”  [en línea]. Universitas, 6 (2011) pp. 68s Disponible en: https://repositorio.uca.edu.ar/handle/123456789/7827  , consultazione del 15.10.2020

[164]Pontificio Consiglio per la Famiglia, “Vademecum per i confessori su alcuni temi di morale attinenti alla vita coniugale.” 1997 n. 3, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia//pontifical_councils/family/documents/rc_pc_family_doc_12021997_vademecum_it.html#_ftnref43

[165]Fernández, Víctor M., La dimensión trinitaria de la moral II :

profundización del aspecto ético a la luz de “Deus caritas est” [en línea].

Teología, 89 (2006). Disponible en:  http://bibliotecadigital.uca.edu.ar/repositorio/rectorado/dimension-trinitaria-moral-etico-fernandez.pdf

[166]Cfr. Mons. V. M. Fernández: “El capítulo VIII de Amoris Laetitia: lo que queda después de la tormenta.” in Medellin, vol. XLIII / No. 168 / Mayo – Agosto (2017) / pp. 463s www.archidiocesisgranada.es, http://www.archidiocesisgranada.es/images/pdf/Amoris-Laetitia.-Articulo-Buenos-Aires.pdf (consultato il 29.5.2021)

[167]Cfr. Mons. V. M. Fernández: “El capítulo VIII de Amoris Laetitia: lo que queda después de la tormenta.” in Medellin, vol. XLIII / No. 168 / Mayo – Agosto (2017) / p. 451s. 459s)

[168]Fumagalli A., “L’amore sessuale. Fondamenti e criteri teologico-morali” Queriniana 2020 p. 174

[169]Cfr. Mons. V. M. Fernández: “El capítulo VIII de Amoris Laetitia: lo que queda después de la tormenta.” in Medellin, vol. XLIII / No. 168 / Mayo – Agosto (2017) / p. 453 .456.  463. 464  www.archidiocesisgranada.es, http://www.archidiocesisgranada.es/images/pdf/Amoris-Laetitia.-Articulo-Buenos-Aires.pdf (consultato il 29.5.2021)

[170]Cfr. Denzinger “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum” a cura di P. Hünermann, Edizioni Dehoniane Bologna, 2003 n.1536  e 1568

[171]Cfr. Mons. V. M. Fernández: “El capítulo VIII de Amoris Laetitia: lo que queda después de la tormenta.” in Medellin, vol. XLIII / No. 168 / Mayo – Agosto (2017) / p. 467

[172]La Nuova Bussola Quotidiana “Cinque domande su cui si gioca la morale cattolica” La Nuova Bussola Quotidiana 14.11.2016   https://lanuovabq.it/it/cinque-domande-su-cui-si-gioca-la-morale-cattolica

[173]Cfr. Fernández, Víctor M., La dimensión trinitaria de la moral II :

profundización del aspecto ético a la luz de “Deus caritas est” [en línea].

Teología, 89 (2006) p. 160 . Disponible en:  http://bibliotecadigital.uca.edu.ar/repositorio/rectorado/dimension-trinitaria-moral-etico-fernandez.pdf

[174]http://www.aemaet.de/index.php/aemaet/article/view/35/pdf; J. Seifert “Sulla Amoris laetitia di Papa Francesco: gioie, domande, tristezze.” www.corrispondenzaromana.it 8.6.2016 https://www.corrispondenzaromana.it/le-lacrime-di-gesu-sulla-amoris-laetitia/

[175]http://www.aemaet.de/index.php/aemaet/article/view/44/pdf_1 ;  Josef Seifert: “La logica pura minaccia di distruggere l’intera dottrina morale della Chiesa?” Corrispondenza Romana, 2017  https://www.corrispondenzaromana.it/wp-content/uploads/2017/08/Testo-Seifert-italiano.pdf?it

[176]L. Scrosati, “Attenuanti in fuori gioco, il matrimonio non è una morale”, La Bussola Quotidiana, 11.3.2018 http://www.lanuovabq.it/it/attenuanti-in-fuori-gioco-il-matrimonio-non-e-una-morale

[177]Cfr. Archidiocesis de Granada “Nota del Arzobispado de Granada” 21.8.2017 https://www.archidiocesisgranada.es/index.php/noticias/notas-de-prensa-y-comunicados/nota-del-arzobispado-de-granada-2

[178]L. Moia “Nuovo Istituto Giovanni Paolo II, ecco le cattedre e i docenti” Avvenire, 11 settembre 2019  https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/nomine-istituto-giovanni-paolo-ii

[179]Tempi “Che cosa è a rischio davvero nello scontro sull’Istituto Giovanni Paolo II” Tempi, 2-8-2019 https://www.tempi.it/che-cosa-e-a-rischio-davvero-nello-scontro-sullistituto-giovanni-paolo-ii/

[180]“Supplica Filiale a Papa Francesco sul futuro della famiglia” https://www.supplicafiliale.org/firstcampaign ;  https://www.atfp.it/rivista-tfp/2015/233-marzo-2015/1056-supplica-filiale-a-papa-francesco-sul-futuro-della-famigli a)

[181]M.  Tosatti “«Ok agli atti omosessuali». In Belgio è Chiesa arcobaleno” La Nuova Bussola Quotidiana  7.5.2018  http://lanuovabq.it/it/ok-agli-atti-omosessuali-in-belgio-e-chiesa-arcobaleno

[182]“Illustri studiosi laici ed ecclesiastici accusano Papa Francesco di eresia in una Lettera Aperta”, Chiesa e post Concilio 4.2019   http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2019/04/illustri-teologi-e-studiosi-accusano.html

[183]Fumagalli A., “L’amore sessuale. Fondamenti e criteri teologico-morali” Queriniana 2020 p. 174

[184]“Uno studioso mette in imbarazzo il card. Cupich chiedendo se il “cambiamento di paradigma” del Papa significhi cambiamento ‘radicale’ della dottrina”, Chiesa e post-concilio, 17 febbraio 2018  http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2018/02/uno-studioso-mette-in-imbarazzo-il-card.html , la traduzione offerta da questo sito è stata da me in un caso ritoccata

[185]M. Pakaluk  “Ethicist says ghostwriter’s role in ‘Amoris’ is troubling” Crux 16.1.2017  https://cruxnow.com/commentary/2017/01/ethicist-says-ghostwriters-role-amoris-troubling/

[186]S. Alfonso Maria de Liguori“La vera Sposa di Gesù Cristo”, in “Opere Ascetiche” Voll. XIV-XV, CSSR, Roma 1935  c. XI § 2 , www.intratext.com, http://www.intratext.com/IXT/ITASA0000/_P38G.HTM#1HP

[187]S. Alfonso Maria de Liguori “La vera Sposa di Gesù Cristo”, in “Opere Ascetiche” Voll. XIV-XV, CSSR, Roma 1935 c. XI § 2 , www.intratext.com, http://www.intratext.com/IXT/ITASA0000/_P38G.HTM#1HP

[188]Giulio Meiattini, “Amoris laetitia. I sacramenti ridotti a morale”, Ed. La Fontana di Siloe,  2018 p. 52s

[189]Papa Francesco, “Carta del santo Padre Francisco a los obispos de la region pastoral de Buenos Aires en respuesta al documento “Criterios basicos para la aplicacion del capitulo VIII  de la Amoris Laetitia”, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/francesco/es/letters/2016/documents/papa-francesco_20160905_regione-pastorale-buenos-aires.html

[190]Lorenzo Bertocchi “Kasper: Divorziati risposati, il Papa ha aperto la porta”, La Nuova Bussola Quotidiana 26-04-2016 http://lanuovabq.it/it/kasper-divorziati-risposati-il-papa-ha-aperto-la-porta#.Vzcm7XRyzqA

[191]Cfr. F. Coccopalmerio, “Il capitolo ottavo della esortazione post-sinodale Amoris laetitia”, Città del Vaticano 2017 p. 21

[192]Iacopo Iadarola “L’Amoris laetitia nel centenario della Comunione ai risposati” La Stampa, Vatican Insider, 09 Aprile 2017  https://www.academia.edu/34467610/L_Amoris_laetitia_nel_centenario_della_Comunione_data_ai_risposati_La_Stampa_-_Vatican_Insider_8_aprile_2017_

[193]La Fede Quotidiana   “Un vescovo austriaco: “La comunione ai divorziati risposati è una pratica irreversibile”, La Fede Quotidiana 11-1-2017  http://www.lafedequotidiana.it/un-vescovo-austriaco-la-comunione-ai-divorziati-risposati-pratica-irreversibile /

[194]S. Magister “Francesco e Antonio, una coppia in ottima Compagnia” www.chiesa.espressonline.it 12.4.2016   http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351273.html

[195]Mia traduzione da Christa Pongratz-Lippitt, “Cardinal Marx: Pope Francis has pushed open the doors of the church”, National Catholic Reporter 28-10-2014    https://www.ncronline.org/blogs/ncr-today/cardinal-marx-pope-francis-has-pushed-open-doors-church

[196]L. Moia “Lotta agli abusi nella Chiesa. Omosessualità e pedofilia. Spunti per capire.” Avvenire, 19 febbraio 2019 https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/abusi-e-omosessualita

[197]“Exclusive: Viganò reveals what really happened when Pope Francis met privately with Kim Davis” LifeSiteNews 31-8-2018  https://www.lifesitenews.com/news/exclusive-vigano-reveals-what-really-happened-when-pope-francis-met-private  ; “The Man Who Took On Pope Francis: The Story Behind the Viganò Letter” The New York Times 28-8-2018 https://www.nytimes.com/2018/08/28/world/europe/archbishop-carlo-maria-vigano-pope-francis.html

[198]Sergio Rame “Se un attivista gay legge alla Messa con Papa Francesco” Mer, 30/09/2015  http://www.ilgiornale.it/news/mondo/se-attivista-gay-legge-messa-papa-francesco-1177329.html

[199]Ermes Dovico “Gli errori di padre Martin spiegati da monsignor Chaput” 21.9.2019 , www.iltimone.org, http://www.iltimone.org/news-timone/gli-errori-padre-martin-spiegati-monsignor-chaput/ ; Sabino Paciolla  “Padre James Martin: “Papa Francesco ha amici LGBT. E ha nominato molti cardinali, arcivescovi e vescovi che sostengono il mondo LGBT”, 3.7.2019, www.sabinopaciolla.com, https://www.sabinopaciolla.com/padre-james-martin-papa-francesco-ha-amici-lgbt-e-ha-nominato-molti-cardinali-arcivescovi-e-vescovi-che-sostengono-il-mondo-lgbt/  ; “Papa Francesco: Dio si fa vicino a tutti con cuore di Padre” www.vaticannews.va,  27.6.2021, https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2021-06/lettera-del-papa-a-padre-james-martin.html

[200]www.sabinopaciolla.com, 6.11.2019, https://www.sabinopaciolla.com/una-foto-che-certifica-un-cambio-di-paradigma/

[201]S. Paciolla “Una foto che certifica un “cambio di paradigma”  www.sabinopaciolla.com, 6.11.2019, https://www.sabinopaciolla.com/una-foto-che-certifica-un-cambio-di-paradigma/

[202]Valli “Berrette rosse al merito bergogliano.” Aldo Maria Valli 1.9.2019 https://www.corrispondenzaromana.it/notizie-dalla-rete/berrette-rosse-al-merito-bergogliano/

[203]Corrispondenza Romana “Papa Francesco apre le porte alla “teologia queer”?” Corrispondenza Romana 3.2.2018  https://www.corrispondenzaromana.it/papa-francesco-apre-le-porte-alla-teologia-queer/

[204]M. Tosatti  “«Ok agli atti omosessuali». In Belgio è Chiesa arcobaleno” La Nuova Bussola Quotidiana 7.5.2018  http://lanuovabq.it/it/ok-agli-atti-omosessuali-in-belgio-e-chiesa-arcobaleno

[205]“Illustri studiosi laici ed ecclesiastici accusano Papa Francesco di eresia in una Lettera Aperta”, Chiesa e post concilio, 30 aprile 2019   http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2019/04/illustri-teologi-e-studiosi-accusano.html

[206]Sabino Paciolla “Card. Cupich: “non è nostro indirizzo negare la Santa Comunione agli sposati legati da matrimonio omosessuale” 10.10.2018 , www.sabinopaciolla.com,   https://www.sabinopaciolla.com/card-cupich-non-e-nostro-indirizzo-negare-la-santa-comunione-agli-sposati-legati-da-matrimonio-omosessuale/

[207]La Nuova Bussola Quotidiana “Cardinal Marx apre alle benedizioni delle coppie gay”, La Nuova Bussola Quotidiana del 6-2-2018 http://www.lanuovabq.it/it/cardinal-marx-apre-alle-benedizioni-delle-coppie-gay ; La Nuova Bussola Quotidiana “Chaput risponde al cardinale Marx sulle benedizioni alle coppie gay”, La Nuova Bussola Quotidiana , 8-2-2018  http://www.lanuovabq.it/it/chaput-risponde-al-cardinale-marx-sulle-benedizioni-alle-coppie-gay ; Lorenzo Bertocchi “Benedizioni “omoeretiche”, stop al cardinale sacrilego”, La Nuova Bussola Quotidiana 10-02-2018 http://www.lanuovabq.it/it/benedizioni-omoeretiche-stop-al-cardinale-sacrilego ; Annarosa Rossetto“Diocesi austriaca conferma che un sacerdote cattolico ha celebrato una liturgia per l’unione civile tra due donne” www.sabinopaciolla.com,  14.11.2019  https://www.sabinopaciolla.com/diocesi-austriaca-conferma-che-un-sacerdote-cattolico-ha-celebrato-una-liturgia-per-lunione-civile-tra-due-donne/ ; cfr. S. Paciolla “Benedizioni coppie omosessuali: Il Vaticano “discrimina le persone omosessuali e i loro progetti di vita” www.sabinopaciolla.com 24.3.2021
https://www.sabinopaciolla.com/benedizioni-coppie-omosessuali-il-vaticano-discrimina-le-persone-omosessuali-e-i-loro-progetti-di-vita/ ;  M. Tosatti “Austria. 350 Preti: “Continueremo a Benedire le Coppie Omosessuali” Stilum Curiae 17.3.2021 Austria. 350 Preti: “Continueremo a Benedire le Coppie Omosessuali”. : STILUM CURIAE (marcotosatti.com); L. Grotti “La benedizione delle coppie gay può portare la Chiesa tedesca allo «scisma»” www.tempi.it 7.5.2021 https://www.tempi.it/benedizione-coppie-gay-chiesa-germania-papa-scisma/

[208]Marco Tosatti, “Sinodo: come lo manovro…”, La Stampa, I blog di La Stampa, 21 settembre 2014
https://www.lastampa.it/blogs/2014/09/21/news/sinodo-come-lo-manovro-1.37276215 attualmente, 24.5.2021, l’articolo è scomparso dal sito ma si può trovare qui  https://anticattocomunismo.wordpress.com/2014/09/20/sinodo-come-lo-manovro/

[209]Mons. V. M. Fernandez: “El capítulo VIII de Amoris Laetitia: lo que queda después de la tormenta.” in Medellin, vol. XLIII / No. 168 / Mayo – Agosto (2017) / p. 456

[210]Cfr. II-II, q. 24 a. 10 “Somma Teologica” , traduzione tratta dall’ edizione online, Edizioni Studio Domenicano, https://www.edizionistudiodomenicano.it/Docs/Sfogliabili/La_Somma_Teologica_Seconda_Parte_2/index.html#258

[211]S. Gregorio Magno “Quadraginta Homiliarum in Evangelia Libri duo” ,  PL. 76, h. XXX, c.1221

[212]“Super Genesim ad litteram”, c. 8, 12, 26 PL. 34,383; traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova http://www.augustinus.it/italiano/genesi_lettera/index2.htm

[213]Cfr. S. Tommaso d’ Aquino “Somma Teologica” II-II, q. 24 a.12, edizione online, ESD, https://www.edizionistudiodomenicano.it/Docs/Sfogliabili/La_Somma_Teologica_Seconda_Parte_2/index.html#262/z

[214]Cfr. G. Bonsirven, Le Judaisme palestinien au temps de Iésus-Christ”, Parigi 1935., v. I, p. 199 s.)

[215]R. Penna. “Amore sconfinato” (Italian Edition) (posizioni nel Kindle 806-812). San Paolo Edizioni. Edizione del Kindle

[216]S. Agostino, “Sermo 265”, cp. 8, n° 9, PL., 38, 1223; “Discorso 265” n. 8.9 https://www.augustinus.it/italiano/discorsi/index2.htm  cfr. Tractatus 87 in Joan., n° 1, PL., 35, 1852

[217]Cfr. S. Isidoro, “Differentiarum liber”. Lib. 2, n° 143, PL., 83, 92D; S. Gregorio Magno, “Moralia in Iob”, lib. 7, cp. 24, PL., 75, 780

[218]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité Beauchesne  1932-1995, t. 2 col. 564s

[219]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité Beauchesne  1932-1995, t. 2 col. 564s

[220]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité Beauchesne  1932-1995, t. 2 col. 565

[221]Cfr. Clemente Alessandrino “Stromata” IV,cp. 13-14, PG., 8, 1360 mq; cfr. S. Prospero ,”Expositio in ps. 100”, verso 3, PL., 51, 278A; Expositio  in ps. 129,v. 21-22, col. 398 a.C.

[222]“Contra Adimantium.”,cp. 17, n. 1-5, PL., 42, 157 mq; “Sermo LXXI”,n ° 4, PL., 38, 446-447

[223]“Sermo 17”, n ° 2, PL., 38, 910; “Sermo 176”, No. 2, PL., 38, 950; “Sermo 71”, n ° 19, PL., 38,454-455

[224]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité Beauchesne  1932-1995, t. 2 col. 567

[225]S. Ambrogio , “Expositio in Evangelium secundum Lucam”,lib. 5, No. 73-80, PL., 15, 1655-1658; cfr. S. Ilario, “In Mattheum” ,cp. 4, PL., 9, 942

[226]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité Beauchesne  1932-1995, t. 2 col. 568

[227]Cfr. S. Agostino, “Sermo 317”, n ° 1, PL., 38, 1437 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.www.augustinus.it .it/italiano/discorsi/index2.htm

[228]Cfr. Sant’Agostino, “Commento alla lettera di s. Giovanni”, tr. 1, n. 9. PL., 35, 1984, www.augustinus.it , https://www.augustinus.it/italiano/commento_lsg/index2.htm ; cfr. tr. 8, n. 10, col. 2012; tr. 9, n. 3, 2047

[229]Cfr. Origene, “In Canticum Canticorum” , lib. 2, n. 8, PG., 13, 54; S. Gregorio di Nissa, “Homilia 4 in Canticum” ,PG., 44, 848 A

[230]Cfr. S. Gregorio di Nissa, PG., 46, 702-721; s. Asterio d’Amasea, PG., 40, 337; S. Giovanni Crisostomo, PG., 59, 501, 699 ; PG., 63, 929;  S. Agostino, “Sermo 317”, PL., 38, 1437; S. Massimo di Torino, PL., 57, 382).(cfr. Jacques Farges et Marcel Viller “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité Beauchesne  1932-1995, t. 2 col. 568

[231]Cfr J. Bremond, Les Pères du désert. Coll. Les Moralistes chrétiens, Paris, Gabalda, 1927, t. II, p. 328-344

[232]S. Alfonso Maria de Liguori “Istruzione al popolo” in “Opere di S. Alfonso Maria de Liguori”, Pier Giacinto Marietti, Vol. VIII, Torino 1880 pp. 911ss , www.intratext.com, http://www.intratext.com/IXT/ITASA0000/_PV3.HTM

[233]S. Alfonso Maria de Liguori, “Istruzione e pratica pei confessori”,  in “Opere di S. Alfonso Maria de Liguori”, Pier Giacinto Marietti, Vol. IX,Torino 1880, pag. 88 , www.intratext.com, http://www.intratext.com/IXT/ITASA0000/_PWR.HTM

[234]Pontificio Consiglio per la Famiglia, “Vademecum per i confessori su alcuni temi di morale attinenti alla vita coniugale.” 1997 n. 3, www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia//pontifical_councils/family/documents/rc_pc_family_doc_12021997_vademecum_it.html#_ftnref43

[235]Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale “Gaudium et spes”, 7.12.1965, nn. 24.27  www.vatican.va , http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19651207_gaudium-et-spes_it.html

[236]Lett. enc. Humanae vitae (25 luglio 1968), 29  www.vatican.va  https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_25071968_humanae-vitae.html

[237]Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica “Reconciliatio et Paenitentia” n. 34, www.vatican.va , https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_exhortations/documents/hf_jp-ii_exh_02121984_reconciliatio-et-paenitentia.html

[238]Giovanni Paolo II “Familiaris Consortio” 22.11.1992, www.vatican.va , n. 33 http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_exhortations/documents/hf_jp-ii_exh_19811122_familiaris-consortio.html

[239]Cfr. VS n. 95-96; Giovanni Paolo II “Familiaris Consortio” 22.11.1992, www.vatican.va , n. 34 http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_exhortations/documents/hf_jp-ii_exh_19811122_familiaris-consortio.html

[240]“Lettera ai cristiani di Magnesia”, Intr.; Capp. 1, 1 5, 2; Funk 1, 191-195;  Ufficio Letture della XXVI dom. del T. O. www.chiesacattolica.it https://www.chiesacattolica.it/la-liturgia-delle-ore/?data=20201003&ora=ufficio-delle-letture&data-liturgia=20201004

[241]“Lettera ai cristiani di Magnesia”, Intr.; Capp. 1, 1 5, 2; Funk 1, 191-195;  Ufficio Letture della XXVI dom. del T. O. www.chiesacattolica.it https://www.chiesacattolica.it/la-liturgia-delle-ore/?data=20201003&ora=ufficio-delle-letture&data-liturgia=20201004

[242]S. Ignazio di Antiochia “Lettera ai cristiani di Magnesia”, Intr.; Capp. 1, 1 5, 2; Funk 1, 191-195;  Ufficio Letture della XXVI dom. del T. O. www.chiesacattolica.it https://www.chiesacattolica.it/la-liturgia-delle-ore/?data=20201003&ora=ufficio-delle-letture&data-liturgia=20201004

[243]S. Ignazio di Antiochia “Lettera ai cristiani di Magnesia”, Intr.; Capp. 1, 1 5, 2; Funk 1, 191-195;  Ufficio Letture della XXVI dom. del T. O. www.chiesacattolica.it https://www.chiesacattolica.it/la-liturgia-delle-ore/?data=20201003&ora=ufficio-delle-letture&data-liturgia=20201004

[244]Matthew Boudway and Grant Gallicho“An Interview with Cardinal Walter Kasper.” Commonweal Magazine,  7 maggio 2014

https://www.commonwealmagazine.org/interview-cardinal-walter-kasper

[245]Papa Pio IX, Lettera enciclica “Quod Numquam” 5.2.1875 www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/pius-ix/it/documents/enciclica-quod-nunquam-5-febbraio-1875.html

[246]S. Luigi Grignon de Montfort  “Lettera circolare agli amici della Croce” in S. Luigi M. Grignon de Montfort “Opere” Edizioni Monfortane, Roma, 1990 p. 280

[247]Padre Disma C.P.  “Principi pratici della Sapientia Crucis secondo la dottrina di San Paolo della Croce.”, Novastampa, 1988, disponibile gratuitamente online sul sito apologetica-cattolica.net,

[248]“Dagli “Scritti” di santa Rosa da Lima, vergine

“Al medico Castillo”; ed. L. Getino, La Patrona de América, Madrid 1928, pp. 54-55 in Liturgia delle Ore, Ed. LEV, 2007, vol. 4, 23 agosto,  www.maranatha.it ,  http://www-maranatha-it.blogspot.com/2010/08/santa-rosa-da-lima-vergine-23-agosto.html

[249]S. Luigi Grignon de Montfort  “Lettera circolare agli amici della Croce” in S. Luigi Grignon de Montfort “Opere” Edizioni Monfortane, Roma, 1990 p. 265

[250]S. Luigi Grignon de Montfort  “Lettera circolare agli amici della Croce” in S. Luigi Grignon de Montfort “Opere” Edizioni Monfortane, Roma, 1990 p. 285-286

[251]S. Luigi Grignon de Montfort  “Lettera circolare agli amici della Croce” in S. Luigi Grignon de Montfort “Opere” Edizioni Monfortane, Roma, 1990 p. 285-286

[252]Cfr. Omelia a conclusione della V Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, 25.10.1980,

www.vatican.va , 25 ottobre 1980, Conclusione della V Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi | Giovanni Paolo II (vatican.va)

[253]“Catechismo Tridentino”, ed. Cantagalli, 1992,  n. 249  http://www.maranatha.it/catrident/21page.htm

[254]S. Alfonso Maria de Liguori, “L’amore delle anime”, in “Opere Ascetiche” Vol. V, p. , CSSR, Roma 1934p. 56s c. VI , www.intratext.com, http://www.intratext.com/IXT/ITASA0000/__PZ.HTM

[255]“Catechismo Tridentino”, ed Cantagalli 1992, n.249 https://www.maranatha.it/catrident/21page.htm

[256]S. Tommaso d’ Aquino, “La perfezione della vita spirituale”, in “Compendio di teologia e altri scritti”,UTET, Torino, Prima edizione eBook: Marzo 2013, c. 11, p. 644

[257]S. Gregorio, Magno “Omelie sui Vangeli” in  “Omelie sui Vangeli. Regola pastorale”  (Classici della religione) (Italian Edition) UTET. Edizione del Kindle 2013, Omelia XXXVII nn. 2 . 3. 5; PL 76, n.1276

[258]S. Tommaso d’ Aquino, “La perfezione della vita spirituale”, in “Compendio di teologia e altri scritti”,UTET, Torino, Prima edizione eBook: Marzo 2013, c. 11, pp. 644s

[259]S. Alfonso Maria de Liguori, ““L’amore delle anime””,  in “Opere Ascetiche” Vol. V, CSSR, Roma 1934 p. 56s c. VI , www.intratext.com, http://www.intratext.com/IXT/ITASA0000/__PZ.HTM

[260]Dal “Catechismo Tridentino”, ed Cantagalli 1992, n.249 consultabile a questo sito https://www.maranatha.it/catrident/21page.htm

[261]S. Tommaso d’ Aquino, “La perfezione della vita spirituale”, in “Compendio di teologia e altri scritti”,UTET, Torino, Prima edizione eBook: Marzo 2013, c. 11, p. 644

[262]Papa Francesco, “Carta del santo Padre Francisco a los obispos de la region pastoral de Buenos Aires en respuesta al documento “Criterios basicos para la aplicacion del capitulo VIII  de la Amoris Laetitia”, www.vatican.va , http://w2.vatican.va/content/francesco/es/letters/2016/documents/papa-francesco_20160905_regione-pastorale-buenos-aires.html

[263]S. Agostino “La dottrina cristiana” Lib. 1, n° 27.28,  PL., 34, 29  traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/dottrina_cristiana/index2.htm

[264]“La città di Dio” c. XIX n. 13 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/cdd/index2.htm

[265]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité Beauchesne  1932-1995, t. 2 col. 566

[266]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller  “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité , ed. Beauchesne, 1932-1995, t. 2 col. 566

[267]Cfr. Origene, “Homilia II in Canticum Canticorum”, n° 8, PG., 13, 54 ;  “In Canticum Canticorum”, l. 3.  PG., 13, 155-160

[268]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller  “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité , ed. Beauchesne, 1932-1995,, ed. Beauchesne, 1932-1995,t. 2 col. 566

[269]S. Ambrogio , “Expositio in Evangelium secundum Lucam”,lib. 5, No. 73-80, PL., 15, 1655s

[270]S. Gregorio di Nissa “Omelie sul Cantico dei Cantici” Ed. Città Nuova Roma 1996, p. 115s

[271]Cfr. “Sermo 100”, n. 2.2 www.augustinus.it, http://www.augustinus.it/latino/discorsi/discorso_129_testo.htm ; “Sermo 65” n. 8, www.augustinus.it,  http://www.augustinus.it/latino/discorsi/discorso_085_testo.htm

[272]S. Agostino, “De doctrina cristiana”. Lib. 1,  n ° 24,24 PL., 34, 29 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/dottrina_cristiana/index2.htm

[273]S. Agostino, “De doctrina cristiana” , Lib. 1,  n ° 24,24 PL., 34, 29  traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/dottrina_cristiana/index2.htm

[274]S. Agostino, “De doctrina cristiana” Lib. 1,  n ° 24,24 PL., 34, 29 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/dottrina_cristiana/index2.htm

[275]S. Agostino, “De doctrina cristiana”. Lib. 1, cp. 27, n ° 28, PL., 34, 29 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/dottrina_cristiana/index2.htm

[276]S. Agostino, “De civitate Dei”, Lib. 19, cp. 14, PL., 41.643  traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/cdd/index2.htm

[277]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller  “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité , ed. Beauchesne, 1932-1995, t. 2 col. 566s; Martyrium Polycarpi, 1, 2

[278]“De doctrina cristiana” l. 1 nn. 22.21 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova  https://www.augustinus.it/italiano/dottrina_cristiana/index2.htm

[279]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller  “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité Beauchesne  1932-1995, t. 2 col. 566

[280]Cfr. Clemente Alessandrino “Stromata” IV,cp. 13-14, PG., 8, 1360 mq; cfr. S. Prospero , “Expositio in ps. 100”, verso 3, PL., 51, 278A; “Expositio  in ps. 129”,v. 21-22, col. 398 a.C.

[281]S. Agostino “Sermo 174”, n ° 2, PL., 38, 910; “Sermo 176”, No. 2, PL., 38, 950; “Sermo 71”, n ° 19, col. 454-455

[282]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité Beauchesne  1932-1995, t. 2 col. 567

[283]Cfr. Sant’Agostino, “Commento alla lettera di s. Giovanni”, tr. 1, n. 9. PL., 35, 1984 traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/commento_lsg/index2.htm ; cfr. tr. 8, n. 10, col. 2012; tr. 9, n. 3, 2047

[284]Cfr. Origene, “In Canticum Canticorum” , lib. 2, n. 8, PG., 13, 54; S. Gregorio di Nissa, Homilia 4 in Canticum ,PG., 44, 848 A

[285]S. Gregorio di Nissa “Omelie sul Cantico dei Cantici” Ed. Città Nuova Roma 1996, p. 115s

[286]S. Agostino, “Sermo 317”, 2.2, PL., 38, 1437s traduzione tratta dal sito www.augustinus.it  che pubblica online le opere dell’editrice Città Nuova https://www.augustinus.it/italiano/discorsi/index2.htm

[287]Cfr. Petri Lombardi “Libri IV Sententiarum”  l. III d. XIX, Ad Claras Aquas 1916,  T. II, p. 682

[288]Petri Lombardi “Libri IV  Sententiarum”  l. III d. XIX, Ad Claras Aquas 1916,  T. II, p. 684

[289]S. Bonaventura “Commentaria in IV libros Sententiarum Petri Lombardi. ”, in “S. Bonaventurae Opera Omnia” Ad Claras Aquas MDCCCLXXXVII , t. III , In III Sententiarum,  p. 641 s

[290]S. Bonaventura “Commentaria in IV libros Sententiarum Petri Lombardi. ”, in “S. Bonaventurae Opera Omnia” Ad Claras Aquas MDCCCLXXXVII , t. III , In III Sententiarum,  p. 644

[291]Cfr. S. Bonaventura “Commentaria in IV libros Sententiarum Petri Lombardi. ”, in “S. Bonaventurae Opera Omnia” Ad Claras Aquas MDCCCLXXXVII , t. III , In III Sententiarum,  p. 646ss

[292]S. Alphonsi Mariae de Ligorio:, “Theologia moralis.” Editio nova…cura et studio L. Gaudé, C.SS.R, Romae 1905-1912, voll. I p. 314, l. II n. 22

[293]S. Alfonso Maria de’ Liguori, “Istruzione e pratica pei confessori”,  in “Opere di S. Alfonso Maria de Liguori”, Pier Giacinto Marietti, Vol. IX, Torino 1880, pag 81s. Capo IV – Punto I. Delle virtù teologali , www.intratext.com,  http://www.intratext.com/IXT/ITASA0000/_PWQ.HTM

[294]S. Alfonso M. de’ Liguori ,  “Istruzione e pratica pei confessori”, Capo IV – Avvertenze sul trattato del primo precetto del decalogo. Punto II. Della carità verso il prossimo. n. 14  in “Opere di S. Alfonso Maria de Liguori”, Pier Giacinto Marietti,Torino 1880 , Vol. IX,  p. 83 , www.intratext.com,  http://www.intratext.com/IXT/ITASA0000/__PWR.HTM

[295]Pio XI, “Caritate Christi compulsi” 3 maggio 1932 http://www.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19320503_caritate-christi-compulsi.html

[296]Giovanni XXIII, Lettera “Quanti siete” , 8.4.1962, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/john-xxiii/it/letters/1962/documents/hf_j-xxiii_let_19620408_quanti-siete.html

[297]Pio XII , “Discorso ai fedeli ungheresi sulle virtù di s. Margherita d’ Ungheria” del 10.8.1957, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/pius-xii/it/speeches/1957/documents/hf_p-xii_spe_19570810_santa-margherita-ungheria.html

[298]S. Paolo VI “Messaggio a tutti i sacerdoti della Chiesa Cattolica” , 30.6.1968, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/paul-vi/it/messages/pont-messages/documents/hf_p-vi_mess_19680630_priests.html

[299]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller  “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité , ed. Beauchesne, 1932-1995,, ed. Beauchesne, 1932-1995,t. 2 col. 566

[300]Paolo VI , “Discorso alla Sacra Romana Rota” , 28.1.1971, www.vatican.va , http://www.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1971/january/documents/hf_p-vi_spe_19710128_sacra-romana-rota.html

[301]Cfr. Jacques Farges et Marcel Viller “La charité chez le péres” in Dictionnaire de Spiritualité Beauchesne  1932-1995, t. 2 col. 566

[302]Cfr. Patriarcado de Lisboa “Nota para a receção do capítulo VIII da exortação apostólica ‘Amoris Laetitia’”6.2.2018 , www.patriarcado-lisboa.pt, https://www.patriarcado-lisboa.pt/site/index.php?id=8626

[303]Cfr. Mons. A. Marto “Nota Pastoral sobre os fiéis divorciados a viver em nova união “O Senhor está perto de quem tem o coração ferido” (Sl 34, 19)” del 31.5.2018, www.leiria-fatima.pt , https://www.leiria-fatima.pt/o-senhor-esta-perto-de-quem-tem-o-coracao-ferido-sl-34-19-2/ ; Jeanne Smits, “Portuguese cardinal allows divorced and ‘remarried’ Catholics to receive Communion” Lifesite news 5.2.2020  https://www.lifesitenews.com/news/portuguese-cardinal-allows-divorced-and-remarried-catholics-to-receive-communion  ; traduzione italiana “Cardinale portoghese consente a cattolici divorziati e “risposati” di ricevere la Comunione”  https://www.sabinopaciolla.com/cardinale-portoghese-consente-a-cattolici-divorziati-e-risposati-di-ricevere-la-comunione/

[304]Lorenzo Bertocchi “Kasper: Divorziati risposati, il Papa ha aperto la porta”, La Nuova Bussola Quotidiana 26-04-2016 http://lanuovabq.it/it/kasper-divorziati-risposati-il-papa-ha-aperto-la-porta#.Vzcm7XRyzqA

[305]La Fede Quotidiana   “Un vescovo austriaco: “La comunione ai divorziati risposati è una pratica irreversibile”, La Fede Quotidiana 11-1-2017  http://www.lafedequotidiana.it/un-vescovo-austriaco-la-comunione-ai-divorziati-risposati-pratica-irreversibile /

[306]S. Magister “Francesco e Antonio, una coppia in ottima Compagnia” www.chiesa.espressonline.it 12.4.2016   http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351273.html

[307]La Civiltà Cattolica, “Un incontro privato del Papa con alcuni gesuiti colombiani”, La Civiltà Cattolica anno 2017, quaderno 4015,volume IV pag. 3 – 10,   7 ottobre 2017

[308]II-II q. 26 a.4.5; IIª-IIae q. 44 a. 8 ad 2; Super Sent., lib. 3 d. 29 q. 1 a. 5; De Virtutibus q. 4  art. 9; Super II Tim., cap. 3 l.1

[309]Cfr. S. Bonaventurae “Commentaria in quattuor libros Sententiarum”, l. III d. 29, a.1, q. 3

[310]S. Bonaventurae “Commentaria in quattuor libros Sententiarum”, l. III d. 29, a.1, q. 3 ad 4m

[311]Cfr. Doctoris Seraphici s. Bonaventurae S. R. E. Episc. Card. Opera Omnia, Ex Typographia Collegii Sancti Bonaventurae, Ad Claras Aquas, MCDCCCLXXXVII, vol. III p. 645

[312]Cfr. IIª-IIae q. 26 a. 2 co. “Somma Teologica” , traduzione tratta dall’ edizione online, Edizioni Studio Domenicano,;  https://www.edizionistudiodomenicano.it/Docs/Sfogliabili/La_Somma_Teologica_Seconda_Parte_2/index.html#286/z

[313]S. Bonaventura “Commentaria in IV libros Sententiarum Petri Lombardi. ”, in “S. Bonaventurae Opera Omnia” Ad Claras Aquas MDCCCLXXXVII , t. III , In III Sententiarum,  p. 644 ,  d. 29, a.1, q. 3

[314]S. Caterina da Siena, Il Dialogo, a cura di G. Cavallini, Siena, Cantagalli, 1995, 2a ed.

(Testi Cateriniani; I), capitolo XI www.centrostudicateriniani.it , http://www.centrostudicateriniani.it/images/documenti/download/download-gratuiti/4-Il_Dialogo.pdf

[315]Cfr. il testo latino del Gaetano che si trova in s. Thomae Aquinatis “ Secunda secundae Summae Theologiae … con commentariis Thomae De Vio Caietiani” in “S. Thomae Aquinatis Opera Omnia” V. IX  Typographia Poliglotta S.C. De Propaganda Fide, Roma 1895, T. VII p. 213. 214 , commento a II-II q. 26 a. 4 e 5

[316]il testo latino del Gaetano si trova in s. Thomae Aquinatis “ Secunda secundae Summae Theologiae … con commentariis Thomae De Vio Caietiani” in “S. Thomae Aquinatis Opera Omnia” V. IX  Typographia Poliglotta S.C. De Propaganda Fide, Roma 1891, T. IX p. 75 , commento a II-II q. 64 a. 7

[317]S. Alphonsi Mariae de Ligorio:“Theologia moralis” : editio nova cum antiquis editionibus diligenter collata in singulis auctorum allegationibus recognita notisque criticis et commentariis illustrata / cura et studio P. Leonardi Gaudé, Romae 1905, vol. I pag. 318.

[318]Cfr. H. B. Merkelbach “Summa Theologiae Moralis”, Desclée de Brouwer , Brugis – Belgica , 1959, t. I, p. 694ss

[319]** “La norma morale di «Humanae vitae»
e il compito pastorale” L’Osservatore Romano, 16 febbraio 1989, p. 1 , www.vatican.va , http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19890216_norma-morale_it.html

[320]M. Sales  “Il Nuovo Testamento commentato dal p. Marco Sales” Edd. LICET e Marietti , Torino, 1914 , v. II p. 165

[321]M. Sales  “Il Nuovo Testamento commentato dal p. Marco Sales” Edd. LICET e Marietti , Torino, 1914 , v. II p. 309

[322]Cfr.  s. Ammonio, Lettera 12: Patrologia Orientalis 10/6, 1973, 603-607

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